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PDL 5231

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5231



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MURER, ALBINI, AMICI, BOSSA, CENNI, CODURELLI, DE BIASI, FARINA COSCIONI, GATTI, LO MORO, MIOTTO, POLLASTRINI, SBROLLINI, SCHIRRU, LIVIA TURCO

Delega al Governo per l'introduzione di agevolazioni contributive per le lavoratrici madri nonché modifiche agli articoli 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, e 42 del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, per l'elevazione del limite massimo di durata dei congedi lavorativi per gravi motivi familiari

Presentata il 23 maggio 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — Alcuni recenti provvedimenti del Governo in ordine alla materia previdenziale sono stati volti al progressivo innalzamento dei requisiti anagrafici per il diritto all'accesso dei trattamenti pensionistici, con riferimento ai lavoratori pubblici e privati, uomini e donne.
      La riforma è stata decisa per due ragioni sostanziali: da una parte, adeguare i requisiti anagrafici per l'accesso al sistema pensionistico all'incremento della speranza di vita accertato dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e convalidato dall'Ufficio statistico dell'Unione europea (EUROSTAT), con riferimento ai cinque anni precedenti, e dall'altra, garantire la sostenibilità economica di lungo periodo del sistema che, oltre all'aggancio automatico dell'età pensionabile all'incremento della speranza di vita, ha previsto il posticipo della decorrenza dei trattamenti pensionistici (cosiddette «finestre») e un generale incremento dei requisiti pensionistici.
      L'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha attuato una revisione complessiva del sistema pensionistico.
 

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In particolare, sono stati ridefiniti i requisiti anagrafici per il pensionamento di vecchiaia a decorrere dal 1° gennaio 2012 (comma 6), disponendo l'innalzamento a 66 anni di età del limite minimo per accedere alla pensione di vecchiaia (sia per i lavoratori dipendenti sia per quelli autonomi), nonché l'anticipazione della disciplina a regime dell'innalzamento progressivo dell'età anagrafica delle lavoratrici dipendenti private al 2018 (in luogo del 2026). Più specificamente, sono stati ridefiniti i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione di vecchiaia nei seguenti termini:

          a) 62 anni per le lavoratrici dipendenti private, la cui pensione è liquidata a carico dell'assicurazione generale obbligatori (AGO) e delle forme sostitutive della medesima; tale requisito anagrafico viene ulteriormente innalzato a 63 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014, a 65 anni a decorrere dal 1° gennaio 2016; e a 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018;

          b) 63 anni e 6 mesi per le lavoratrici autonome la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO nonché della gestione separata dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995; tale requisito anagrafico è fissato a 64 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2014, a 65 anni e 6 mesi a decorrere dal 1° gennaio 2016, a 66 anni a decorrere dal 1° gennaio 2018 e a 66 anni per i lavoratori dipendenti privati e per i dipendenti pubblici (lavoratori e, ai sensi dell'articolo 22-ter del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009, lavoratrici), la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima.

      Il successivo comma 10 innalza, a decorrere dal 1° gennaio 2012 e con riferimento ai soggetti la cui pensione è liquidata a carico dell'AGO e delle forme sostitutive ed esclusive della medesima, nonché della gestione separata dell'INPS, che maturino i requisiti a partire dalla medesima data, il limite massimo di 40 anni richiesto ai fini del riconoscimento del diritto al pensionamento in base al solo requisito di anzianità contributiva a prescindere dall'età anagrafica (cosiddetti «quarantesimi»). Sulla base delle nuove disposizioni, l'accesso al trattamento pensionistico è consentito esclusivamente qualora risulti maturata un'anzianità contributiva di:

          a) nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne;

          b) nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne;

          c) a decorrere dal 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne.

      In virtù di tale disposizione è soppressa, sempre a decorrere dal 2012, la possibilità di accedere al pensionamento anticipato con il sistema delle cosiddette «quote» introdotto dalla legge n. 247 del 2007, con un'anzianità minima compresa tra 35 e 36 anni di contributi. Inoltre, si prevede l'applicazione di una riduzione percentuale del trattamento pensionistico per ogni anno di pensionamento anticipato rispetto all'età di 62 anni (pari all'1 per cento, con elevazione al 2 per cento per ogni ulteriore anno di anticipo rispetto a 2 anni).
      Con la riforma previdenziale, sul fronte del trattamento delle pensioni per uomini e per donne, il Governo ha accolto i rilievi dell'Unione europea sull'uguaglianza tra donne e uomini, predisponendo un intervento legislativo che parifica l'età pensionabile delle lavoratrici del lavoro pubblico a quella dei colleghi maschi, passando, gradualmente, alla medesima età.
      Il provvedimento, giustificato dall'esigenza di riequilibrio dei conti, non tiene del tutto conto di una serie di specificità che investono, in particolare, le donne nella loro storia lavorativa e personale e, innanzitutto, del peso che deriva dalla mancanza di una vera politica di pari opportunità che investa nei servizi pubblici, che sostenga le donne nel mercato del lavoro, che dia risposte al lavoro di

 

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cura, che allievi le donne da un doppio lavoro obbligato in tutte le fasi della vita e che le discrimina di fatto per tutta la loro vita lavorativa, salvo saldare una paradossale «uguaglianza» quando si tratta della pensione.
      Il medesimo discorso riguarda chi assiste familiari disabili gravi, un lavoro di cura che riguarda spesso le donne ma, a volte, anche gli uomini.
      In Italia ci sono milioni di persone non in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita in modo autonomo o di non deambulare da soli eccetera, e quindi rientranti in una condizione di disabilità grave (articolo 3, comma 3, della legge n. 104 del 1992). Soggetti che vivono una condizione che incide pesantemente sulla loro vita ma anche, almeno per chi ne ha una, sulle loro famiglie, che sono la risorsa vera, dal momento che i servizi pubblici, in questo senso, risentono di note carenze.
      A considerare gli ultimi dati dell'ISTAT si rileva che il 43 per cento delle donne italiane con età inferiore ai 40 anni (ma ben il 55 per cento di quelle che ne hanno meno di 30), se decidono di avere un figlio non accedono alla maternità con tutti i diritti previsti dalla legge: non ricadono infatti tra le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato che sono il «target» di riferimento della legge n. 53 del 2000. Oggi le giovani donne accedono in modo precario al mondo del lavoro, spesso con lavori autonomi, ma si muovono anche in un contesto molto cambiato dal punto di vista culturale, fatto di maggiore equilibrio nelle responsabilità di cura nelle coppie e di consapevolezza di non voler essere messe di fronte alla scelta di rinunciare al lavoro in presenza di un figlio.
      È necessario dunque un riconoscimento mirato – materiale ma anche simbolico – del lavoro di cura, ed è necessario intraprendere un percorso di riequilibrio del sistema di welfare che allarghi i diritti sociali e di cittadinanza a chi, senza distinzione tra donne e uomini, presta attività di cura: la cura – che è un'attività umana essenziale e ha un valore irrinunciabile – deve entrare nella polis, ridisegnando una nuova mappa del welfare.
      Un sistema di welfare a carattere strutturale, reso più urgente dall'attuale situazione di crisi, iniziando dalle seguenti considerazioni.
      La proposta del Governo di equiparazione dell'età minima della pensione di vecchiaia delle donne, a fronte della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea sulla normativa italiana del pubblico impiego, è accettabile solo se si accompagna a una sostanziale riforma del welfare che tenga conto del lavoro di cura. La possibilità di anticipazione, infatti, costituiva una sorta di «risarcimento», per quanto generico e generalizzato, del ruolo di cura ricoperto dalle donne nella società. Averla cancellata contempla la necessità di individuare, comunque, una forma di riconoscimento per il lavoro di cura stesso.
      La nostra legislazione già prevede forme di riconoscimento per quelle categorie di lavoratori che hanno un'attesa di vita ridotta come disabili e lavoratori addetti a mansioni usuranti. Chi assiste in famiglia persone con necessità di assistenza continuata risente oggettivamente della medesima «usura» personale, nella propria esistenza, tale da giustificare un riconoscimento. La presente proposta di legge parte dal principio dell'indispensabilità del riconoscimento della cura, a cui va dato un corrispettivo materiale, che viene tradotto nel cosiddetto «credito di cura», un credito contributivo ai fini pensionistici che riguarda la maternità e il lavoro di cura. Un sistema di crediti che – secondo la proposta di legge – riconosce alle lavoratrici madri un credito di due anni di contribuzione figurativa, per ogni figlio, valido a tutti gli effetti di legge, ai fini della, maturazione del requisito di anzianità contributiva.
      Inoltre si prevede un riconoscimento per i lavoratori e le lavoratrici impegnati, nell'ambito familiare, in un lavoro di cura verso familiari conviventi con disabilità grave. La formula è quella di aumentare il periodo di congedo straordinario, già previsto dalla normativa, da due a quattro
 

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anni. Un congedo retribuito a tutti gli effetti e con rilevanza ai fini pensionistici.
Questa perequazione non solo va nella direzione di riconoscere alle donne quel diritto al riconoscimento di uno svantaggio oggettivo, relativo a tutto il lavoro svolto, non retribuito, relativo alle responsabilità familiari, di cura e della maternità, ma aiuta a riflettere anche sul fatto che, se è vero che l'età media e l'aspettativa di vita si sono innalzate, è anche vero che il lavoro di cura logora fino al punto di diminuire la durata dell'esistenza stessa.
      Appare, quindi, necessario destinare a misure di riconoscimento del lavoro di cura almeno una parte dei risparmi ottenuti con l'innalzamento dell'età pensionabile.
      La presente proposta di legge prevede, in conformità a queste considerazioni, una delega al Governo in ragione dell'estrema complessità del sistema previdenziale, che ha bisogno di interventi di varia natura su più provvedimenti che possono essere attuati solo dopo un'analisi normativa e contabile preventiva del Governo.
      Per quanto riguarda la copertura finanziaria, non risultando possibile procedere in sede di conferimento della delega, a causa della complessità della materia trattata, all'esatta determinazione degli effetti finanziari derivanti dall'attuazione delle disposizioni delegate, secondo quanto previsto dalla legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 2009, la quantificazione degli oneri è rimessa alla fase di adozione del decreto legislativo e l'individuazione dei relativi mezzi di copertura è condizionata all'adozione di specifici provvedimenti legislativi. Al decreto legislativo deve essere allegata una relazione tecnica che dia conto della neutralità finanziaria del medesimo decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. Si prevede, infatti, che qualora derivino nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il decreto legislativo sia emanato successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo che stanzia le occorrenti risorse finanziarie.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Delega al governo per introduzione di un credito contributivo ai fini pensionistici per le lavoratrici madri).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per l'introduzione di agevolazioni contributive alle lavoratrici madri, in conformità al seguente principio e criterio direttivo: riconoscimento di un credito di due anni di contribuzione figurativa, per ogni figlio, in favore delle lavoratrici madri, valido a tutti gli effetti di legge ai fini della maturazione del requisito di anzianità contributiva.
      2. Lo schema del decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1 è deliberato in via preliminare dal Consiglio dei ministri, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale.
      3. Lo schema del decreto legislativo è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro trenta giorni dalla data di assegnazione dello stesso. Entro i trenta giorni successivi all'espressione dei pareri, il Governo, ove non intenda conformarsi alle condizioni ivi eventualmente formulate con riferimento all'esigenza di garantire il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione, ritrasmette alle Camere i testi, corredati dei necessari elementi integrativi di informazione, per i pareri definitivi delle Commissioni competenti, che sono espressi entro trenta giorni dalla data di trasmissione.
      4. Allo schema del decreto legislativo è allegata una relazione tecnica che rende conto della neutralità finanziaria del medesimo

 

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decreto ovvero dei nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica da esso derivanti e dei corrispondenti mezzi di copertura. Nell'ipotesi di nuovi o maggiori oneri, il decreto legislativo può essere emanato solo successivamente alla data di entrata in vigore del provvedimento legislativo che stanzia le occorrenti risorse finanziarie.

Art. 2.
(Modifiche alla legge 8 marzo 2000, n. 53, e al testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, in materia di durata del congedo straordinario per assistenza e lavoro di cura in favore di familiari disabili conviventi).

      1. Al comma 2 dell'articolo 4 della legge 8 marzo 2000, n. 53, le parole: «due anni» sono sostituite delle seguenti: «quattro anni».
      2. Al comma 5-bis dell'articolo 42 del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «due anni» sono sostituite dalle seguenti: «quattro anni».


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