Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 5009

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5009



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato GARAGNANI

Modifica all'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di limiti alla concessione dei benefìci penitenziari ai condannati per gravi delitti

Presentata il 28 febbraio 2012


      

torna su
Onorevoli Colleghi! — L'ordinamento giuridico, in un incessante processo di adattamento alla realtà umana che ad esso spetta di regolare, riflette le idealità, le esigenze e la sensibilità del corpo sociale dal quale nasce e al quale è diretto. La legge non può infatti distaccarsi dal sentimento comune dei consociati senza perdere con ciò la propria effettività e la propria stessa ragion d'essere.
      Nell'adeguare le norme allo sviluppo della società e ai concetti in essa prevalenti, occorre tuttavia discernere le necessità vere e profonde dalle inclinazioni subitanee, indotte da una qualche emozione incontrollata della pubblica opinione, spesso tanto estrema nella sua espressione quanto effimera nella sua durata. È compito del legislatore cogliere, interpretare e mediare le istanze dei cittadini, comporle in una forma che abbia la dignità della norma giuridica, dotata della chiarezza logica e dell'ordine sistematico necessari affinché la sua applicazione sia efficace, uniforme e durevole.
      Questo dovere è particolarmente grave nell'ambito del diritto penale e della connessa disciplina dell'esecuzione delle pene. Infatti, l'instabilità delle norme, l'oscillazione tra gli estremi cui sovente indulge l'emotività popolare sono particolarmente nocivi in una materia che è tanto intimamente connessa all'esercizio della sovranità dello Stato e tanto profondamente incide sulla libertà personale e sulla vita stessa degli uomini. In tutti i settori, ma soprattutto in questo, sono dunque da evitarsi gli interventi estemporanei, non ben meditati, non regolati dal severo esame della ragione, che il legislatore si induce a compiere sotto la spinta dell'emozione popolare, per corrispondere a
 

Pag. 2

un sentimento sempre comprensibile, spesso giustificabile, raramente saggio. Troppe volte e con troppa rapidità si è visto oscillare il pendolo della legislazione penale tra la clemenza e il rigore, per non temere i danni che la scarsa ponderazione può provocare in siffatte materie.
      Ciò non deve tuttavia indurre a commettere l'errore opposto, quello cioè di adottare, quasi programmaticamente, massime lontane e difformi dal comune sentire della società.
      È ben vero che vi sono alcuni princìpi immutabili, inscritti nella coscienza dell'uomo, ai quali la legge positiva non potrebbe derogare senza far violenza alla stessa natura umana e alla retta ragione della collettività alla quale si rivolge. È tuttavia altrettanto vero che il sistema del diritto penale, nel determinare le fattispecie dei reati e più ancora nel commisurare alla gravità di questi le pene, si fonda su un giudizio di valore e di disvalore che, nella sua espressione concreta, è legato al modo in cui la società percepisce l'intensità del danno che ciascuna condotta illecita reca alla collettività e agli individui che la compongono.
      Il legislatore che volesse distaccarsi da questo generale sentire, per affermare princìpi magari astrattamente coerenti, magari anche informati a un più avanzato senso morale, ma lontani dal sentimento della società e inadeguati alla sua realtà concreta e attuale, conformerebbe le proprie leggi ad una società che non esiste, le condannerebbe all'inefficacia e al discredito e minerebbe con ciò il senso stesso della legalità presso i cittadini.
      Queste considerazioni valgono per introdurre un tema tante volte discusso nelle aule parlamentari e fuori di esse, quello della disciplina dell'esecuzione delle pene, nella quale concorrono aspetti molteplici di diritto e di fatto, che devono trovare un ragionevole equilibrio: esigenze di tutela sociale e di punizione dei reati; emenda e riabilitazione dei rei in vista del loro reinserimento nella comunità; efficacia deterrente delle pene e certezza nella loro commisurazione e applicazione; ordinata gestione degli istituti di pena e limiti delle risorse che possono venire destinate – nell'attuale congiuntura – al loro adeguamento e alla dotazione di personale di custodia.
      Ad alcune di queste esigenze rispondono gli istituti introdotti nel tempo per alleviare la condizione del condannato: essi tuttavia – se non ne siano attentamente ponderate le condizioni di applicazione – rischiano di infirmare un principio fondamentale e irrinunziabile, la certezza della pena, provocando quell'alterazione che in tempi lontani un autorevole studioso prefigurò come il trapasso «dal diritto penale al diritto premiale». Infatti, gli istituti introdotti – permessi premio, semilibertà, liberazione anticipata – nella loro interazione con le norme sanzionatorie rischiano di oscurare e di squilibrare profondamente il rapporto tra la pena comminata e inflitta e quella effettivamente applicata. Poco vale minacciare sanzioni draconiane accrescendo la misura delle pene edittali, mentre nell'esecuzione si interpongono fattori che sembrano rendere aleatoria l'effettività di queste punizioni.
      Non si vuol dire con ciò che il sistema delle misure premiali, volte ad agevolare il reinserimento sociale e a valorizzare la buona condotta del condannato, non sia fondato su alte e condivisibili motivazioni ideali e su innegabili esigenze fattuali. Occorre tuttavia che le regole che ne informano l'applicazione discriminino le diverse situazioni dei soggetti che possono esserne destinatari, sulla base della pericolosità sociale data dalla loro personalità criminale, ma anche dell'oggettiva gravità del reato commesso e della durata dell'espiazione che per esso impone il volere collettivo, espresso sia attraverso il contenuto della norma penale, sia nel sentimento sociale che la sostiene.
      La legge 26 luglio 1975, n. 354, nell'ambito della disciplina dell'ordinamento penitenziario e dell'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, prevede un complesso di misure e istituti volti sia a dare attuazione al principio costituzionale della funzione rieducativa delle pene, sia ad alleggerire la pressione
 

Pag. 3

su un sistema carcerario alla cui insufficienza non si è ancora riusciti a porre strutturale rimedio.
      Alcune di tali misure (ad esempio lo svolgimento di lavoro all'esterno) si riferiscono più strettamente alle modalità di esecuzione delle pene o (come nel caso dei permessi, delle visite e dell'assistenza ai figli minori) al soddisfacimento di doveri familiari o di istanze umane del condannato. Altre hanno invece lo scopo di favorirne e di accompagnarne il reinserimento sociale, anche attraverso l'instaurazione di rapporti e attività all'esterno dell'istituto di pena, in condizioni di sicurezza e per periodi limitati: si tratta, in particolare, dei permessi premio, destinati a consentire al condannato di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro, e, soprattutto, delle misure alternative alla detenzione in carcere: l'affidamento in prova al servizio sociale, consentito, previa osservazione della personalità in istituto per almeno un mese, nei casi in cui la pena detentiva inflitta non supera tre anni; la detenzione domiciliare, ammessa per particolari categorie di soggetti; la semilibertà, che permette al condannato o all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale, entro determinati limiti di pena irrogata o residua. Infine, l'ordinamento prevede che al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ciascun semestre di pena scontata (cosiddetta «liberazione anticipata»).
      Questi benefìci – tranne la liberazione anticipata, ove ne sussistano le condizioni – sono subordinati, secondo un'articolata casistica, a particolari accertamenti, relativi alla pericolosità del soggetto o alla permanenza di legami con organizzazioni criminali, ovvero condizionati alla collaborazione con la giustizia o all'espiazione di una quota variabile della pena irrogata, nel caso di condannati per taluni reati particolarmente gravi o per la partecipazione ad associazioni criminali, e comunque limitati in caso di recidiva reiterata o, ancora, qualora il soggetto sia stato condannato per evasione.
      Un limite particolare è poi previsto dal vigente comma 4 dell'articolo 58-quater della citata legge n. 354 del 1975. Esso subordina, infatti, all'effettiva espiazione di almeno due terzi della pena irrogata, ovvero di ventisei anni nel caso dell'ergastolo, la concessione dei benefìci penitenziari (assegnazione al lavoro all'esterno, permessi premio e misure alternative alla detenzione, esclusa la liberazione anticipata) ai condannati per sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione (articolo 630 del codice penale) ovvero per sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione (articolo 289-bis del codice penale), qualora abbiano cagionato la morte della persona sequestrata.
      La disposizione è stata introdotta dall'articolo 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, con l'evidente finalità di scriminare alcune condotte particolarmente gravi, sia per la pericolosità dei rei, sia per l'allarme sociale prodotto dalle condotte criminose alle quali si riferisce, privilegiando le finalità di prevenzione generale e di sicurezza della collettività nei riguardi di soggetti resisi colpevoli di crimini particolarmente efferati.
      Se il fondamento della disposizione è chiaro e condivisibile, è vero tuttavia che essa, nella forma in cui attualmente si presenta, appare incompleta e per alcuni versi poco coerente con la sistematica complessiva dell'ordinamento penale e penitenziario: sembra infatti che nella scelta delle fattispecie si sia avuto prevalentemente riguardo a contingenti esigenze di politica criminale, mirando in particolare a colpire un reato la cui recrudescenza, in un determinato periodo storico, suscitava elevato allarme sociale e indignazione della pubblica opinione. Si tratta di un difetto al quale solo parzialmente pone rimedio la novella recata alla medesima disposizione dall'articolo 1, comma 8, della
 

Pag. 4

proposta di legge atto Camera n. 668-B, approvata dalla Camera dei deputati, modificata dal Senato della Repubblica e attualmente all'esame della Commissione giustizia della Camera dei deputati.
      Ragionando, invece, sulla condivisa ratio della norma, appare evidente l'opportunità che la sua applicazione non rimanga limitata alla sola fattispecie del sequestro di persona da cui consegua la morte dell'ostaggio, ma debba essere estesa alle ipotesi di condanna per altri gravissimi delitti. È questa la finalità della presente proposta di legge, che individua questi ultimi nei casi in cui il reo abbia cagionato la morte di una o più persone, con dolo specifico o eventuale, ma con modalità comunque denotanti particolare ferocia, insensibilità o dispregio della vita umana. Si ritiene che, in tali casi, le esigenze di espiazione della pena e di protezione della comunità, sia mediante la separazione del reo sia attraverso l'intensificazione dell'efficacia deterrente della sanzione, debbano incontrare un più ampio riconoscimento anche attraverso la previsione di più rigidi vincoli alla fruizione degli istituti di carattere premiale.
      Si propone quindi di sottoporre alla medesima condizione la concessione dei benefìci penitenziari, oltre che nei casi già previsti dalla norma citata, anche nei riguardi dei soggetti condannati per i seguenti delitti:

          a) attentato alla vita o all'incolumità di una persona, commesso per finalità terroristica, nel caso in cui derivi la morte della persona (articolo 280, quarto comma, del codice penale): reato punito con l'ergastolo o la reclusione di anni trenta;

          b) strage, nel caso in cui derivi la morte di una o più persone (articoli 285 e 422 del codice penale): reato punito con l'ergastolo;

          c) epidemia (articolo 438 del codice penale) e avvelenamento di acque o sostanze alimentari (articolo 439 del codice penale), nel caso in cui derivi la morte di una o più persone: reati puniti con l'ergastolo;

          d) omicidio aggravato ai sensi degli articoli 576 e 577, primo comma, del codice penale: reato punito con l'ergastolo; si tratta, riassuntivamente, dei seguenti casi:

              1) omicidio commesso per eseguirne od occultarne un altro, per conseguirne il profitto o per assicurarsi l'impunità di altro reato;

              2) omicidio commesso dal latitante per sottrarsi alla cattura o per procurarsi i mezzi di sussistenza durante la latitanza;

              3) omicidio commesso dall'associato per delinquere per sottrarsi alla cattura;

              4) omicidio commesso con premeditazione;

              5) omicidio commesso mediante sostanze venefiche o altro mezzo insidioso;

              6) omicidio commesso per motivi abbietti o futili ovvero con sevizie o crudeltà verso le persone;

              7) omicidio commesso contro l'ascendente o il discendente;

              8) omicidio commesso contro un ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ovvero un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio;

              9) omicidio commesso in occasione del compimento dei delitti di violenza sessuale, atti sessuali con minorenne o violenza sessuale di gruppo;

              10) omicidio commesso dall'autore degli atti persecutori previsti dall'articolo 612-bis del codice penale;

          e) sequestro di persona minorenne, nel caso in cui derivi la morte del minore sequestrato (articolo 605, quarto comma, del codice penale): reato punito con l'ergastolo; il riferimento a questa fattispecie, recentemente introdotta nell'ordinamento penale, integra necessariamente le analoghe previsioni già contenute nel vigente comma 4 dell'articolo 58-quater della citata legge n. 354 del 1975.

 

Pag. 5

      La presente proposta è completata da una norma transitoria che esclude dall'applicazione della nuova disciplina i condannati che, prima della data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di altri motivi ostativi previsti dall'ordinamento.
      Questa specificazione conforma le modalità di attuazione delle nuove norme proposte ai princìpi enunziati dalla Corte costituzionale, da ultimo, nella sentenza 16-30 dicembre 1997, n. 445.
      In tale sentenza, infatti, il giudice delle leggi, posta la «biunivoca correlazione che deve necessariamente stabilirsi tra la progressione del trattamento rieducativo e la risposta che lo stesso ottiene sul piano comportamentale» ha rilevato come una disciplina penitenziaria più restrittiva derivante da ius superveniens non possa pregiudicare, facendolo regredire, lo status dei condannati il cui percorso rieducativo sia già dimostrato da fatti obiettivi e riconosciuti dall'ammissione a determinati benefìci. «Soltanto postulando, infatti, la piena coerenza della scelta normativa di espungere dal panorama delle opportunità rieducative istituti di fondamentale risalto (...) anche nei confronti dei soggetti che (...) già si trovavano da tempo in fase di espiazione all'atto della entrata in vigore della nuova e più rigorosa disciplina, potrebbe ritenersi non compromesso il principio di uguaglianza e, al tempo stesso, non frustrata la funzione rieducativa della pena. Ma è proprio quella coerenza a risultare gravemente incrinata nelle ipotesi in cui il condannato avesse già maturato a quell'epoca positive esperienze, al punto da essere iscritto in un programma di trattamento fortemente caratterizzato da adesioni comportamentali, in sé sintomatiche di un percorso rieducativo difficilmente regredibile».
      Appare pertanto opportuno – senza pregiudizio per l'efficacia futura delle proposte norme ai fini di prevenzione generale cui sono ispirate – introdurre un'espressa disposizione idonea a prevenire dubbi e contenzioso in sede di applicazione della nuova disciplina.

 

Pag. 6


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifica all'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di limiti alla concessione dei benefìci penitenziari).

      1. Il comma 4 dell'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:
      «4. Non sono ammessi ad alcuno dei benefìci indicati nel comma 1 dell'articolo 4-bis, se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni, i condannati per i delitti previsti dalle seguenti disposizioni:

          a) articolo 280, quarto comma, del codice penale;

          b) articoli 285 e 422 del codice penale, nel caso in cui derivi la morte di una o più persone;

          c) articoli 289-bis, terzo comma, 605, quarto comma, e 630, terzo comma, del codice penale;

          d) articoli 438 e 439 del codice penale, nel caso in cui derivi la morte di una o più persone;

          e) articolo 575 del codice penale, con le aggravanti di cui agli articoli 576 o 577, primo comma, del medesimo codice».

Art. 2.
(Norma transitoria).

      1. Le disposizioni del comma 4 dell'articolo 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354, come sostituito dall'articolo 1 della

 

Pag. 7

presente legge, non si applicano nei confronti dei condannati che, prima della data di entrata in vigore della presente legge, abbiano raggiunto un grado di rieducazione adeguato al beneficio richiesto e per i quali non sia accertata la sussistenza di altri motivi ostativi previsti dall'ordinamento.
Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su