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PDL 4886

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4886



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MORASSUT, AGOSTINI, ARGENTIN, BACHELET, BARETTA, BENAMATI, BOCCIA, BRAGA, BRANDOLINI, BURTONE, CAPODICASA, CARELLA, MARCO CARRA, COSCIA, FEDI, GASBARRA, GRASSI, LARATTA, LENZI, LOSACCO, LOVELLI, MADIA, MARANTELLI, MARTELLA, MASTROMAURO, META, MIOTTO, PELUFFO, MARIO PEPE (PD), PES, RIGONI, SCHIRRU, FEDERICO TESTA, TIDEI, TOUADI

Modifica all'articolo 2449 del codice civile, concernente la scelta dei membri degli organi di amministrazione e di controllo nominati dallo Stato o dagli enti pubblici nelle società da essi partecipate

Presentata il 16 gennaio 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — L'efficienza della pubblica amministrazione rappresenta un tema centrale per la solidità dello Stato e per la sua credibilità nei confronti dei cittadini.
      In particolare in Italia questo aspetto della vita nazionale, dell'organizzazione dello Stato e degli enti di rilevanza e di emanazione pubblica ha ricoperto uno specifico significato, in parte per le particolari circostanze storiche che hanno condotto, centocinquanta anni or sono, alla costituzione dello Stato unitario, in parte per le influenze che la politica e i partiti, soprattutto nel dopoguerra, hanno esercitato sulle strutture pubbliche – Stato, enti locali, società partecipate, enti pubblici – sovrapponendo troppo spesso le convenienze o le priorità di parte all'autonomia e alla terzietà degli organi pubblici.
      In determinati momenti tale influenza ha assunto le forme di una vera e propria
 

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occupazione che ha piegato la funzione sovrana e autonoma dell'amministrazione pubblica agli interessi di gruppi e di correnti celati in seno ai partiti politici.
      Tale costume e tale metodo di appropriazione non sono stati costanti bensì contrastati nel tempo e non sono mancate reazioni, all'interno del mondo politico e dell'opinione pubblica e degli stessi partiti, che hanno consentito di denunciare storture e abusi e di far crescere nel senso comune e nelle stesse istituzioni una coscienza civica più elevata e più consapevole del fatto che lo Stato è più forte e più efficiente se si fonda su regole collettive riconosciute che hanno le loro radici nella concezione liberale dello Stato di diritto.
      Espressioni come «questione morale» – riferita al distorto uso della cosa pubblica a ogni livello – dai primi anni Ottanta del secolo scorso sono entrate nel linguaggio comune e sono diventate anche il riferimento dei sentimenti di indignazione che si generano nei momenti di maggiore degrado della vita pubblica da parte dei cittadini.
      Occorre sottolineare, peraltro, che l'occupazione del potere e dell'amministrazione pubblica a fini di parte non ha riguardato solo i partiti politici ma si è spesso manifestata come un fenomeno in cui agiscono organizzazioni di interesse, parti di mondi economici, gruppi di pressione vari, apparati lobbistici fino ad arrivare, nei casi più estremi ma non poco diffusi, a vere e proprie organizzazioni criminali o apparati occulti che costruiscono reti di potere capaci di condizionare le scelte e le decisioni degli stessi partiti asservendo lo Stato attraverso lo snaturamento dei partiti stessi.
      Nel corso del tempo la vita politica nazionale si è misurata con questo problema nella crescente consapevolezza che il processo di globalizzazione mondiale e il percorso di integrazione europea impongono di superare antichi retaggi e di raggiungere standard di efficienza adeguati alla nuova epoca storica.
      L'efficienza dello Stato e il pieno dispiegamento di una pubblica amministrazione rigorosa e credibile costituiscono una componente essenziale per la crescita e lo sviluppo economico e per una maggiore equità e giustizia sociale.
      A partire dagli anni Novanta del secolo scorso la dinamica politica nazionale ha ruotato intorno a questo tema e, anche se non sempre in modo produttivo e con immancabili trasformismi, si è fatto strada un sentire comune che spinge verso la separazione, con misure sempre più precise e chiare, tra la «gestione» della cosa pubblica e l’«indirizzo politico», che deve necessariamente restare prerogativa della sfera politica organizzata in forze politiche, partiti, organizzazioni del sistema degli interessi, sindacati e nel Parlamento, che costituisce il fulcro vitale delle istituzioni democratiche.
      In Italia la sovrapposizione tra il ruolo di indirizzo e di elaborazione politica e strategica che compete alle forze politiche e il ruolo di gestione che spetta alle strutture dell'amministrazione pubblica è un problema che si presenta periodicamente e in forme sempre più gravi.
      I partiti politici tendono spesso a smarrire il loro naturale e insostituibile ruolo di promozione democratica di idee e di visione generale della società proiettando la loro azione quasi completamente sul campo della gestione, condizionando le scelte del personale e dei ruoli gestionali sulla base di criteri di pura spartizione di potere tra correnti e apparati interni che lasciano ben poco spazio al merito e alla competenza delle figure prescelte.
      In tempi recenti gli effetti negativi di questa situazione si sono chiaramente manifestati e hanno accentuato un distacco grave tra i cittadini e la politica, coinvolgendo la dignità stessa delle massime istituzioni e del Parlamento.
      Numerose e recenti indagini della magistratura hanno fatto emergere ciò che viene percepito direttamente dalla maggioranza dei cittadini: un sistema di gestione di settori molto importanti della macchina pubblica sulla base di criteri di fedeltà a lobby o a gruppi di potere ristretto interno o esterno ai partiti politici, che nulla hanno a che fare con gli interessi generali.
 

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      In un momento di grave crisi economica e finanziaria appare evidente a tutti che nessun Paese può sopravvivere se ogni anno si disperdono circa 60 miliardi di euro a causa della corruzione e altrettanti milioni di euro a causa dell'evasione fiscale, secondo i dati emersi dalle rilevazioni annuali della procura della Repubblica presso la Corte dei conti.
      Tutto ciò dipende in buona parte dall'intreccio inestricabile tra politica e amministrazione, che umilia le competenze e che sta progressivamente consolidando la sensazione di vivere in un Paese oppresso da troppe oligarchie di carattere politico, economico e professionale, che non lasciano spazio al merito e alle competenze e che rendono meno libera la società.
      La presente proposta di legge intende quindi, attraverso una misura semplice ma radicale, intervenire sul tema decisivo della selezione degli amministratori nelle società di capitale a partecipazione pubblica totale o parziale, nella convinzione che sia necessario promuovere le migliori professionalità reperibili sul mercato per un'ottimale gestione del patrimonio pubblico rappresentato dalle società e dagli enti con organi di amministrazione di nomina pubblica; che l'efficienza della gestione di queste realtà costituisca un problema centrale sia per una corretta conduzione economica e tutela delle risorse collettive sia per un rafforzamento del rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni; che, anche per questa via, separando con ancor maggiore chiarezza di quanto già non preveda il vigente ordinamento la gestione e l'indirizzo politico-strategico delle scelte pubbliche, sia possibile restituire i partiti politici e le organizzazioni che rappresentano interessi economico-sociali e professionali alle loro naturali e insostituibili funzioni di promotori di idee e di elaborazione generale; che una sana e corretta gestione, in particolare delle società di capitale a partecipazione pubblica totale o parziale di livello nazionale o locale, sia particolarmente importante in questo frangente storico e politico nel quale si renderà necessaria una nuova fase delle politica di liberalizzazione di ampi settori di servizio pubblico attualmente esercitato da aziende pubbliche; che tale politica di liberalizzazioni non può che essere affrontata con il massimo rigore e con la massima attenzione a un'effettiva operazione di mercato e, al contempo, di reale convenienza dell'interesse pubblico. La presente proposta di legge modifica, pertanto, l'articolo 2449 del codice civile stabilendo a carico dello Stato e degli enti pubblici che hanno partecipazioni in una società per azioni l'obbligo di nominare gli amministratori o i sindaci ovvero i componenti del consiglio di sorveglianza all'interno di terne di nomi selezionate attraverso bandi di evidenza pubblica, a pena di nullità delle nomine stesse.
      In questo modo si restringerebbe il campo ora lasciato alla totale discrezionalità della scelta degli amministratori delle società e degli enti pubblici, ampliando, per converso, il campo del merito e della competenza e conservando in ogni caso integra, sulla base delle disposizioni vigenti, la possibilità di scelta degli organi politici e della tutela del necessario rapporto fiduciario tra questi ultimi e gli amministratori nominati.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo il primo comma dell'articolo 2449 del codice civile è inserito il seguente:
      «Lo Stato e gli enti pubblici che hanno partecipazioni in una società per azioni indicano gli amministratori, i sindaci e i componenti dei consigli di sorveglianza scegliendoli all'interno di terne di nomi selezionate attraverso procedure di evidenza pubblica, a pena di nullità delle nomine».

      2. Il Governo, con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, provvede a disciplinare le procedure di evidenza pubblica previste dal secondo comma dell'articolo 2449 del codice civile, introdotto dal comma 1 del presente articolo, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.


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