Frontespizio Relazione Progetto di Legge

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PDL 4308

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4308



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

FARINA COSCIONI, MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, MECACCI, ZAMPARUTTI, MURER, SBROLLINI

Norme in materia di donazione degli embrioni a fini di nascita e di destinazione dei medesimi a fini di ricerca scientifica

Presentata il 22 aprile 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge si propone di modificare alcuni degli aspetti più critici della legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante «Norme in materia di procreazione medicalmente assistita» e di intervenire su alcuni temi della stessa legge, per rendere l'assetto della legge più coerente e insieme più aperto ad esigenze che erano già emerse dal dibattito parlamentare e successivamente dal confronto apertosi nel Paese, anche in occasione dei referendum del 12 e 13 giugno 2005, per i quali non fu raggiunto il quorum dei voti necessari. Ci auguriamo si possa aprire un confronto diverso e costruttivo che vada oltre gli schieramenti che si sono delineati nelle passate legislature. Vorremmo invitare tutti a meditare sulle parole del cardinale Carlo Maria Martini contenute in un articolo su L'Espresso del 27 aprile 2006 dal titolo «Dialogo sulla vita»: «Là dove c’è un conflitto di valori, mi parrebbe eticamente più significativo propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che si ci scontrasse sulla base di princìpi astratti e generali là dove invece siamo in una di quelle zone grigie dove è doveroso non entrare con giudizi apodittici».
      Il Comitato nazionale per la bioetica è intervenuto con un parere su una delle questioni più delicate poste dall'esecuzione delle tecniche di fecondazione artificiale extracorporea, rimasta priva di regolamentazione anche dopo l'entrata in vigore
 

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della legge n. 40 del 2004: la sorte degli embrioni comunemente definiti come «soprannumerari» – o anche «abbandonati», «avanzati», «residuali» – che le tecniche di crioconservazione consentono di mantenere in vita per alcuni anni in vista di successivi utilizzi. Si tratta di materiale genetico di natura embrionale prodotto attraverso il concepimento in vitro e non utilizzato, per una pluralità di ragioni, nel procedimento di fecondazione. La pratica di produrre un numero di embrioni superiore a quello indispensabile per consentire l'impianto risultava funzionale, da una parte, a incrementare le possibilità di successo dell'intervento consentendo al medico di scegliere tra più embrioni quello che presentava caratteri di maggiore «vitalità»; dall'altra a tutelare l'integrità psico-fisica della paziente, evitando che nell'ipotesi di insuccesso dell'intervento fecondativo la medesima fosse sottoposta di nuovo al trattamento di stimolazione follicolare e di prelievo ovocitario, una pratica particolarmente invasiva, stressante e con un elevato rischio di compromissione della salute.
      La valenza bioetica della scelta sulla destinazione degli embrioni crioconservati residuali è indubbia. Tre le possibili opzioni: distruzione, destinazione a fini di ricerca, destinazione allo sviluppo con utilizzo nel procedimento procreativo da parte di terzi richiedenti.
      Proprio con riguardo a questa terza possibilità il Comitato nazionale per la bioetica, richiamando il proprio parere del 12 luglio 1996 in materia di identità e statuto dell'embrione umano, sottolineava la preminenza della «necessità di garantire loro una possibilità di vita e di sviluppo» prospettando la soluzione che essi fossero messi a disposizione di soggetti estranei alla coppia, singoli o coppie, intenzionati ad assicurare, ricorrendo alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la loro nascita. Si tratta di un'indicazione assolutamente condivisibile, a cui la presente proposta di legge intende dare concreta possibilità di attuazione giuridica, e che rende ancora più incomprensibile il divieto posto dalla legge n. 40 del 2004 alla donazione di gameti finalizzata a consentire la cosiddetta «fecondazione eterologa». Proprio per questo, nel disciplinare le ipotesi di donazione di embrioni, gameti e cellule staminali embrionali, posta l'evidente antinomia normativa che verrebbe a determinarsi, la presente proposta di legge intende rimuovere anche quel divieto.
      A tale proposito, si osserva che il fenomeno qualificato nel parere di maggioranza del Comitato nazionale per la bioetica come «adozione per la nascita» (APN), a un attento esame piuttosto che a un tipo di adozione appare riconducibile al fenomeno della donazione, risultando dunque più corretta la definizione espressa nel parere di minoranza dello stesso Comitato di «donazione a fini di nascita». E ciò per una serie di ragioni.
      Innanzitutto, nel caso di specie, vi è un'assoluta carenza dei presupposti soggettivi e oggettivi per ricomprendere la fattispecie nell'istituto dell'adozione, di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, poiché il ricorso all'analogia non risulterebbe giuridicamente corretto. Infatti, sotto il profilo della legittimazione passiva, affermare l'equivalenza fra minore e concepito è, prima che giuridicamente infondato, ontologicamente scorretto. Anche ove si ritenga che l'embrione debba qualificarsi come soggetto, si tratterà pur tuttavia di una soggettività necessariamente parziale sul piano giuridico, cioè dei diritti e degli obblighi riferibili, atteso che sempre di una «vita in formazione» e quindi di persona «solo potenziale» si tratta fino alla nascita (articolo 1 del codice civile). Ben diversamente deve argomentarsi per il minore, inteso correttamente come soggetto-persona dotato di capacità giuridica generale che, in relazione alla propria condizione di età, di soggezione alla potestà dei genitori e di incapacità di agire, in quanto soggetto debole, si trova in una condizione ritenuta dall'ordinamento particolarmente bisognosa di tutela e di protezione anche sul piano giuridico, perché lo stato di abbandono del minore determina assistenza minorile. Con riguardo ai profili di legittimazione attiva, si sottolinea
 

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l'importanza della proposta assunta dal Comitato nazionale per la bioetica di consentire anche a coppie non sterili e a single di «adottare» l'embrione. Questa scelta evidenzia ancora più chiaramente la contraddittorietà e l'insostenibilità della disciplina della legge n. 40 del 2004, che limita l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle sole coppie infertili/sterili. La presente proposta di legge si propone di superare questo vincolo posto nella legge n. 40 del 2004, al fine di rendere possibile l'accesso alle tecniche di procreazione assistita anche a coppie portatrici di gravi patologie genetiche o virali trasmissibili alla prole.
      Con riguardo alla carenza dei presupposti oggettivi si rileva poi che il presupposto per il provvedimento giudiziale di dichiarazione dello stato di adottabilità del minore – condizione di abbandono morale e materiale non transitorio – comporta valutazioni, indagini e sussistenza di requisiti e condizioni oggettive (e soggettive) dei genitori biologici del tutto diverse rispetto a quelle ipotizzabili per i genitori cui è riconducibile biologicamente l'embrione crioconservato. Sul punto ci si limita a osservare la profonda differenza fra le esigenze e le questioni connesse all'accoglimento di un minore nell'ambito della propria famiglia – qualunque sia la sua condizione di età, salute eccetera – e l'accoglimento di un embrione nel proprio corpo per almeno nove mesi. Nel primo caso la scelta è della coppia, nel secondo è innanzitutto della donna. Nell'adozione il minore non si può scegliere. In caso di impianto di embrione, al fine di tutelare l'integrità psico-fisica della donna, sussiste un vero e proprio diritto in capo a questa di acquisire tutte le informazioni utili, fra le quali anche quella relativa alle condizioni bio-genetiche del materiale da trasferire, e di decidere di conseguenza.
      Tali valutazioni trovano un'importante conferma anche sotto il profilo pratico-applicativo. Ci si chiede infatti quale dovrebbe essere la disciplina applicabile nell'ipotesi in cui l'intervento di procreazione assistita avesse successo e conducesse alla nascita di un bambino. I diritti e gli obblighi (reciproci e verso i terzi) del nato, dei genitori «sociali», dei genitori biologici dovrebbero essere regolati secondo le norme codicistiche sulla filiazione legittima/naturale, secondo quelle sull'adozione speciale ai sensi della legge n. 184 del 1983, ovvero, in forza delle norme in materia di stato giuridico del nato e di divieto di disconoscimento in caso di fecondazione di tipo eterologo di cui agli articoli 8 e 9 della legge n. 40 del 2004?
      L'ultima ipotesi prospettata non solo risulta preferibile, ma è da ritenere sostanzialmente obbligata attesa la piena aderenza sul piano assiologico e pratico (soggettivo e oggettivo) di tali disposizioni al caso in esame.
      Da tale complesso di motivazioni emerge come la qualificazione in termini di adozione o di donazione a fini di nascita o di ricerca scientifica non sia una questione nominalistica, ma sostanziale. In tale prospettiva si osserva che gli elementi essenziali che connotano la fattispecie devono rinvenirsi innanzitutto nei genitori biologici che in quanto titolari dell'embrione soprannumerario compiono in piene scienza e coscienza l'atto dispositivo, atto che costituisce l'esercizio di un fondamentale dovere di solidarietà sociale costituzionalmente tutelato. La natura liberale, gratuita, spontanea e non vincolante della destinazione comporta la riconducibilità del fenomeno all'ambito della generale categoria della donazione. Tale atto potrà senz'altro tradursi in una scelta di destinazione dell'embrione per una futura nascita. Ma anche, come prevede l'articolo 1, comma 3, della presente proposta di legge, la destinazione a fini di ricerca scientifica, qualora l'embrione risulti inutilizzabile a fini riproduttivi.
      Qualunque sia la scelta dei titolari, attesa la rilevanza della stessa e la sua natura personalissima, mai lo Stato potrà sostituirsi alla coppia e compiere per suo conto una tale decisione, se non nei casi di embrioni abbandonati dai legittimi titolari. Parimenti rilevante sarà il contributo dei genitori cosiddetti «sociali», cui pertiene il progetto parentale e quindi incombono
 

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tutti i diritti e gli obblighi derivanti dalla nascita.
      L'embrione, comunque lo si voglia definire, risulterà naturalmente ricompreso entro le coordinate della richiamata relazione donante-donatario, in un quadro di norme che apprestino tutele e garanzie da un lato della libertà, spontaneità e non vincolatività dell'atto di disposizione, dall'altro del diritto alla salute della donna e dei princìpi del consenso informato presupposto necessario di qualsiasi trattamento sanitario.
      A questo proposito è utile precisare che ai donatari dovrà essere comunque riconosciuto il diritto di conoscere le condizioni biogenetiche dell'embrione ovvero del materiale genetico oggetto della donazione, ricorrendo alle tecniche mediche disponibili più avanzate in grado di garantire una adeguata tutela dell'integrità del materiale analizzato.
      Nello stesso senso, un uguale diritto non potrà non essere riconosciuto a tutti i soggetti che ricorrono alla procreazione assistita e in particolare alle coppie portatrici di patologie genetiche o virali trasmissibili, sterili e non, che ricorrono alle tecniche di procreazione assistita proprio per evitare la trasmissione della patologia di cui sono portatrici alla prole. Il divieto della diagnosi genetica pre-impianto esplicitato nel decreto del Ministro della salute 11 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 101 del 30 aprile 2008, recante le linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita, deve dunque essere superato. Tale divieto è stato peraltro dichiarato illegittimo con sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio n. 398 del 21 gennaio 2008.
      Escluso dunque che possa trattarsi di adozione, al di là del nomen juris, il tema di cui si discute rappresenta, nella sostanza, una vera e propria ipotesi di fecondazione di tipo eterologo, nella specie caratterizzata da un'estraneità genetica assoluta della coppia rispetto al concepito. L'affermazione risulta fondata nella misura in cui si ritenga che non è tanto l'estraneità genetica di uno o di entrambi i membri della coppia a definire il fenomeno, quanto l'identità biologica della madre-gestante che corrisponde alla donna cui, per quanto geneticamente terza, oltre alla prestazione della funzione di gestazione, è riferibile l'interesse all'avvio del procedimento sanitario, alla procreazione di un figlio e quindi all'assunzione delle connesse responsabilità sul piano giuridico.
      L'originaria volontà di utilizzare l'embrione per scopi propri – procreazione medicalmente assistita realizzata dalla coppia – perde rilevanza insieme al connesso progetto parentale, risultando assorbita nel successivo atto donativo dell'embrione destinato alla soddisfazione di un progetto altrui, per la cui realizzazione lo svolgimento della complessa funzione biologica di gestazione costituisce un dato imprescindibile. Da qui la qualificazione in termini solidaristico-donativi dell'interesse proprio dei genitori biologici e di piena meritevolezza dell'interesse dei genitori cosiddetti «sociali» titolari, attuali, del nuovo progetto parentale.
      Con l'applicazione della Carta europea dei diritti dell'uomo, così come interpretata con la sentenza del 1o aprile 2010, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il divieto assoluto di fecondazione eterologa in vitro non è compatibile con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). La Corte ha riconosciuto che l'impossibilità totale di ricorrere alla fecondazione eterologa infrange il diritto alla vita familiare e il divieto di discriminazione.
      La Corte europea dei diritti dell'uomo – in accoglimento dei ricorsi presentati contro l'Austria – per la violazione dell'articolo 14 in combinato disposto con l'articolo 8 della CEDU ha condannato lo Stato austriaco, in ragione della discriminazione tra coppie operata da norme di legge che proibiscono il ricorso alla donazione di gameti per la fertilizzazione in vitro.
      Tali disposizioni, prevedono:

      «Art. 14. – (Divieto di discriminazione) – Il godimento dei diritti e delle libertà

 

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riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche, o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione».

      «Art. 8. – (Diritto al rispetto della vita privata e familiare). – 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...).
      2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui».

      La Corte applicando l'articolo 8 della CEDU al caso di specie ha affermato «(...) il diritto di una coppia di concepire un figlio e di fare uso di procreazione medicalmente assistita per questo fine rientra nella sfera di applicazione dell'articolo 8, in quanto tale scelta è chiaramente un'espressione della vita privata e familiare. La Corte ha ricordato che la nozione di «vita privata», ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione, è un concetto ampio che comprende, tra l'altro, il diritto di stabilire e sviluppare relazioni con altri esseri umani e il diritto al rispetto per le decisioni, sia di avere e non avere un figlio (confronta Evans c. Regno Unito, n. 6339/05, paragrafo 71, CEDU 2007-IV). In riferimento all'applicazione e al rispetto dell'articolo 14 della CEDU la Corte ricorda che una differenza di trattamento è discriminatoria se non ha alcuna giustificazione obiettiva e ragionevole, il che significa che non persegue uno «scopo legittimo» o che non vi è «ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito». È stato precisato che la Convenzione è uno strumento vivo, da interpretare alla luce delle condizioni attuali, ed è stato ribadito altresì che gli Stati contraenti godono di un margine di valutazione per valutare se e in quale misura le differenze in situazioni altrimenti simili possono giustificare un trattamento diverso. L'applicazione dell'articolo 14 della CEDU, presuppone necessariamente la violazione di uno dei diritti sostanziali tutelati dalla Convenzione.
      I giudici di Strasburgo nel riconoscere agli Stati un chiaro margine di discrezionalità in materia specifica, precisano che nel legiferare essi devono vietare trattamenti discriminatori e sono tenuti a rispettare la Convenzione europea come interpretata da Strasburgo. Pertanto, persone che si trovano in una stessa situazione di infertilità non possono essere trattate diversamente solo in ragione della diversa tecnica di fecondazione utilizzata. Non risulta giustificato, quindi, il divieto della fecondazione eterologa se è ammessa quella omologa. Questo divieto assoluto operato dalla legge austriaca, non trova neppure idonea difesa del Governo in atti di causa, la norma in questione prevede divieti netti e non disciplina né previene abusi potenziali con misure di salvaguardia proporzionali, raggiungendo lo stesso obiettivo. Il Governo vietando l'eterologa vuole difendere l'esigenza di salvaguardare la certezza nelle relazioni familiari. Su questo punto i giudici di Strasburgo osservano che da tempo nei vari Stati sono previsti con norme specifiche rapporti familiari inusuali, non fondati su un diretto legame biologico, tra questi rientrano i rapporti derivanti dalla fecondazione eterologa nel diritto di famiglia.
      A seguito di tale pronuncia in tema di rapporto tra principio di uguaglianza e procreazione medicalmente assistita si apre ora un nuovo fronte che inevitabilmente avrà effetti anche in Italia. La Corte costituzionale, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, ha rilevato che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell'articolo 117, primo comma, della Costituzione.

 

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La Corte costituzionale ha, inoltre, precisato nelle predette sentenze che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme, nell'interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti. La sentenza di Strasburgo in base all'articolo 117 della nostra Costituzione diventa parte del nostro ordinamento, perché l'Italia ha sottoscritto la Convenzione dei diritti dell'uomo cui la sentenza fa riferimento.
      Con la sentenza n. 311 del 2009 la Corte costituzionale ha già affermato che «è precluso di sindacare l'interpretazione della Convenzione europea fornita dalla Corte di Strasburgo, cui tale funzione è stata attribuita dal nostro Paese senza apporre riserve» e che «l'apprezzamento della giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente va operato in modo da rispettare la sostanza di quella giurisprudenza, secondo un criterio già adottato dal giudice comune e dalla Corte europea». Presto i quindici giudici della Corte costituzionale saranno chiamati a ripristinare giusta affermazione di diritti anche per le coppie che per avere un figlio necessitano di utilizzare tecniche eterologhe oggi vietate.
      Sul destino degli embrioni crioconservati si sono espressi in dissenso sulla Relazione finale approvata l'8 gennaio 2010, i membri Amedeo Santosuosso e Carlo Alberto Redì della Commissione di studio degli embrioni crioconservati nel centro di PMA, nominata con decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali 25 giugno 2009: «(...) la Relazione non dice sulla sorte da riservare ai circa 30.000 embrioni criopreservati. Essi sono destinati a sicura morte e avrebbero perciò meritato un suggerimento basato su un approccio scientifico e di “etica della responsabilità”. Questi embrioni esistono e potrebbero partecipare a un processo materio-energetico che chiamiamo vita: una fine migliore e più rispettosa di quella che vede restare sine die nel freddo polare. In questa prospettiva, di fronte agli embrioni congelati, disponiamo di quattro opzioni: 1) l'adozione, che di fatto è impraticabile anche solo considerando il loro numero, oltre che per le ragioni di prudenza sopraesposte; 2) lasciare gli embrioni congelati, per secula seculorum: è una decisione che è sinonimo di morte, seppure lenta; 3) scongelarli e gettarli, di fatto significherebbe accelerare la loro morte; 4) impiegarli per derivare linee cellulari di staminali.
      Di fatto, l'ultima soluzione, sebbene implichi la loro morte come potenziale nuovo individuo (che peraltro le altre opzioni di fatto non scongiurano), è l'unica opzione che implica la loro vita: in una forma diffusa, cellulare, in futuro questi embrioni saranno presenti come cellule in altri individui (come nella donazione di organo da cadavere) e parteciperanno alla vita di altri individui.
      Al di là delle posizioni ideologiche, religiose ed etiche solo la quarta opzione assicura la vita dell'embrione.
      Lo slittamento concettuale che proponiamo deriva dalla consapevolezza che l'idea di individuo umano, quando si spinge fino all'estremo biologistico del momento iniziale dell'incontro dei due gameti, comporta la rinuncia, per noi inaccettabile, a una ricerca scientifica capace di produrre risultati importanti per il bene dell'uomo, una rinuncia all'agire per il bene dinnanzi al dovere di decidere della sorte degli embrioni criopreservati: decidere tra la loro inevitabile morte e la derivazione di cellule staminali».
      Conclusivamente, la presente proposta di legge intende dare una disciplina alle complesse questioni connesse all'utilizzo degli embrioni soprannumerari, coerente con i princìpi generali del sistema. Pertanto, dopo aver inquadrato il fenomeno fra le ipotesi di fecondazione artificiale eterologa, dopo aver riconosciuto il diritto della coppia, non necessariamente sterile, e della donna single di ricorrere alla fecondazione artificiale mediante utilizzo del materiale genetico soprannumerario di terzi donatori e dopo aver affermato il diritto dei soggetti di conoscere le caratteristiche biogenetiche dell'embrione
 

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prima dell'impianto, si rende necessario apportare alcune modifiche sostanziali alla disciplina stabilita dalla legge n. 40 del 2004: in primis superando il divieto della fecondazione artificiale di tipo eterologo, quindi consentendo alla donna single e alle coppie portatrici di patologie genetiche o virali trasmissibili di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a prescindere dalla sussistenza di una condizione di sterilità o di infertilità e, infine, riconoscendo ai soggetti legittimati la possibilità di accedere a tutte le tecniche mediche disponibili che consentano di conoscere le condizioni biogenetiche del materiale genetico da trasferire.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizione. Modalità di utilizzo del materiale genetico).

      1. Per donazione a fini di nascita si intende l'atto di destinazione, compiuto dai soggetti cui è geneticamente riferibile l'embrione soprannumerario o residuato da un trattamento di procreazione medicalmente assistita, in favore di soggetti rientranti nelle categorie di cui all'articolo 2, che si impegnano, ricorrendo a tecniche di procreazione medicalmente assistita, a portare avanti una gravidanza assumendo tutti i diritti e gli obblighi nei confronti del nato. Il nato è considerato figlio legittimo ovvero naturale dei soggetti che hanno assunto tale impegno. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 8 e 9 della legge 19 febbraio 2004, n. 40.
      2. Alle condizioni di cui al comma 1 è inoltre consentita la donazione di gameti e di cellule staminali embrionali.
      3. I soggetti di cui al comma 1 possono altresì consentire, all'atto della prestazione del consenso alla donazione, che qualora il predetto materiale genetico risulti inutilizzabile a fini procreativi esso possa essere destinato alla ricerca scientifica finalizzata al progresso medico.
      4. Nei casi in cui l'embrione si trova in stato di abbandono, per rinuncia espressa o tacita degli originari titolari ovvero per altre cause, il Ministero della salute dispone sulla donazione a fini di nascita o, nel caso di accertata inidoneità a tale scopo, sulla destinazione a fini di ricerca scientifica.

Art. 2.
(Soggetti destinatari della donazione).

      1. Possono essere destinatarie della donazione a fini di nascita di cui alla presente

 

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legge le coppie coniugate o conviventi ovvero la donna non coniugata, né convivente.
      2. La donazione non è vincolata alla presenza di condizioni patologiche di sterilità o di infertilità nei soggetti destinatari.

Art. 3.
(Consenso informato e garanzie).

      1. I soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, prima di sottoporsi a tecniche di procreazione medicalmente assistita, hanno il diritto di conoscere le condizioni biogenetiche dell'embrione ovvero del materiale genetico oggetto della donazione.
      2. Ai fini di cui al comma 1, i donatori possono ricorrere alle tecniche mediche più avanzate che offrono adeguate garanzie di tutela dell'integrità del materiale genetico donato.

Art. 4.
(Disposizioni finali).

      1. La coppia o il soggetto cui sono geneticamente riferibili gli embrioni soprannumerari, residuati al trattamento di procreazione medicalmente assistita, ovvero i gameti o le cellule staminali embrionali, dichiara, alle condizioni stabilite dall'articolo 1, all'atto di prestazione del consenso alla donazione, la propria volontà in ordine alla destinazione del materiale genetico.
      2. I soggetti di cui al comma 1 che hanno prodotto il materiale genetico prima della data di entrata in vigore della presente legge, comunicano, entro tre mesi da tale data, al Ministero della salute la propria intenzione in merito alla destinazione del materiale genetico crioconservato.
      3. Il diritto di conoscere le condizioni biogenetiche dell'embrione mediante le

 

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tecniche più adeguate allo scopo, di cui all'articolo 3, è esteso ai i soggetti legittimati a ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, e in particolare a coloro che risultano portatori di gravi patologie genetiche o virali trasmissibili, per i quali il ricorso a tali tecniche di procreazione è giustificato dall'esigenza di evitare la trasmissione della patologia alla prole.
 

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