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PDL 4328

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4328



 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

MANTINI, GIORGIO CONTE, LAMORTE, PISICCHIO

Modifiche agli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione, concernenti la libertà dell'attività economica privata e l'esercizio delle pubbliche funzioni dello Stato, delle regioni e degli enti locali

Presentata il 3 maggio 2011


      

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Onorevoli Colleghi! – La presente proposta di legge costituzionale ha il dichiarato intento di contribuire costruttivamente al confronto originato dal disegno di legge costituzionale del Governo (atto Camera n. 4144) di modifica agli articoli 41, 97 e 118 della Costituzione in materia di libertà di attività economica, semplificazione amministrativa e sussidiarietà. Si tratta di temi di grande rilievo che tuttavia non esauriscono il perimetro di ciò che viene usualmente definita la «Costituzione economica» del Paese.
      Occorre chiarire che, nel disegno di legge costituzionale del Governo, ci si pone l'obiettivo di valorizzare i princìpi sociali e liberali che sono a fondamento della responsabilità economica, nel solco tracciato dal diritto dell'Unione europea in materia di concorrenza e nel contesto nuovo costituito dalla globalizzazione dei mercati. Per il vero, nel Documento di economia e finanza 2011 il Governo attribuisce a queste modifiche costituzionali un rilevante significato di «scossa» positiva all'economia, con un eccesso di ottimismo, anche con riguardo agli effetti e ai tempi necessariamente lunghi delle riforme costituzionali, a fronte dell'urgenza di forti misure per il contenimento della spesa e del debito pubblico e per la crescita del Paese.
      Le riforme costituzionali non devono avere carattere contingente, strumentale o, peggio, propagandistico. Come invitava a fare Piero Calamandrei «occorre essere presbiti», guardare bene lontano, non essere miopi. Abbiamo in altre sedi avanzato efficaci proposte per politiche economiche di risanamento e di crescita, per riforme urgenti che possono e devono essere realizzate
 

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con priorità e con larghe intese nel Paese. Non ci sembra in tal senso adeguato il Piano nazionale delle riforme proposto dal Governo, nell'ambito della «Strategia 2020», che risulta peraltro carente proprio in materia di concorrenza e di liberalizzazioni.
      Con queste premesse, rifuggendo dunque dai limiti della contingenza, avanziamo le nostre proposte di revisione costituzionale sulla stessa materia su cui insiste il disegno di legge costituzionale del Governo.
      L'articolo 41 della Costituzione è tipica espressione, nella genesi ricavabile dai lavori dell'Assemblea costituente, dell'incontro tra la cultura liberale azionista e quella cattolica e socialista. Si volle infine privilegiare un modello di economia mista, coerentemente con le altre Costituzioni europee del secondo dopoguerra, nel quale iniziativa economica privata e pubblica cooperano al fine, statuito dal secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno svolgimento dello sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
      In tal senso devono essere considerati, oltre quanto si dirà, gli articoli 39 e 40 della stessa Costituzione, in materia di lavoro e diritto di sciopero, l'articolo 42, in materia di disciplina della funzione sociale della proprietà e dell'espropriazione di essa per motivi di interesse generale, nonché l'articolo 43 che consente l'espropriazione o la riserva per legge di «determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».
      Come comunemente riconosciuto in dottrina, la Costituzione non si limita a garantire ai singoli la tutela di una determinata sfera di autonomia, ma prevede e disciplina tutta una serie di istituti, attraverso i quali prende corpo, in questo decisivo settore, l'impegno dei pubblici poteri a ridurre le diseguaglianze, di ordine economico e sociale, esistenti di fatto tra i cittadini: in questo senso devono essere interpretate non solo la previsione di un'iniziativa economica pubblica e di una proprietà pubblica accanto all'iniziativa e alla proprietà privata, nonché la previsione di appositi istituti volti a controllare e a indirizzare l'una e l'altra verso il conseguimento di fini sociali, ma anche la previsione di un impegno diretto dello Stato volto a favorire un più diffuso ed effettivo esercizio delle libertà economiche (si pensi all'articolo 45, relativo alla tutela e alla promozione della cooperazione, all'articolo 46, relativo al diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi previsti dalle leggi, alla gestione delle aziende, all'articolo 47, relativo alla tutela del risparmio e all'accesso alla proprietà dell'abitazione).
      Il riparto dei poteri decisionali per realizzare questo disegno di economia mista ruota intorno all'istituto della riserva di legge. È infatti al Parlamento che spettano tutte le scelte di carattere generale in materia, al fine di garantire la democraticità delle stesse e di evitare possibili abusi della pubblica amministrazione. È alla legge che fanno costante riferimento non solo le disposizioni contenute negli articoli da 41 a 47 della Costituzione, ma anche tutte quelle altre disposizioni che toccano questo tema (si vedano gli articoli 23 e 25, in materia di potestà impositiva dello Stato, nonché l'articolo 81, in materia di decisioni di bilancio).
      Questi sommari richiami sono sufficienti per affermare la nostra convinzione dell'inopportunità di modifiche parziali della «Costituzione economica», che andrebbe considerata nel suo complesso ove si pretenda di mutarne la cultura di fondo e ciò anche in considerazione del fatto che, pur alla luce delle più recenti esperienze dell'Unione europea e della globalizzazione dei mercati, il modello dell'economia mista di mercato non appare affatto depotenziato o superato, sebbene con fattori nuovi che tuttavia non inficiano il modello costituzionale o dei princìpi.
 

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      Gli argomenti a suffragio di tale tesi sono molti, basti pensare al ruolo svolto dai cosiddetti «fondi sovrani» e, per altro verso, alla ricerca di legal standard per l'economia globale.
      Non occorre piegare la Costituzione alle tendenze iperliberiste della lex mercatoria ma piuttosto riaffermare ed estendere il modello dell'economia sociale di mercato che si basa sulla libertà privata e sull'intervento pubblico, prevalentemente di natura regolatoria.
      Nel disegno di legge costituzionale del Governo si sottopone a critica l'espressione «iniziativa economica», che costituisce l’«incipit» dell'articolo 41 della Costituzione, perché limitativa della più complessiva «attività economica» che deve parimenti essere «libera», non solo nella sua fase iniziale. La critica dell'espressione, che ha origini storiche anche sotto il profilo della semantica e della cultura politica del tempo, può essere condivisa perché in effetti il principio della libertà economica è più ampio di quello relativo alla sola fase dell’«iniziativa».
      Tale riconosciuto favor libertatis non può tuttavia spingersi fino alle conseguenze proposte nel disegno di legge costituzionale del Governo secondo cui «è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge». Se tale principio ben si adatta al diritto penale («nullum crimen sine lege») non può certo ritenersi condivisibile né applicabile tout court nel campo delle attività economiche, soggette per natura a regolazioni pubbliche o di parte terza (si pensi, fin dalle origini storiche, alle misure metriche, come la moneta, il tempo-calendario, i pesi e le misure, fino alle più recenti regole della borsa e della finanza o della tutela dell'ambiente).
      D'altronde l'uso dell'avverbio «espressamente» spingerebbe a delineare un'ipertrofia normativa della legislazione, un effetto certamente indesiderato anche dai proponenti, allo scopo di eliminare gli atti dell'amministrazione (autorizzazioni, permessi, concessioni, regolamenti, piani, sovvenzioni eccetera), ma una tale concentrazione di «espressi divieti nella legge», oltre che risolversi nell'antistorica pretesa di una «legislazione senza amministrazione», tipica dei regimi assoluti, finirebbe per favorire un modello di governo centralista, con gli enti locali vincolati dalla legge, e per ridurre le garanzie degli stessi operatori economici nei confronti degli abusi del potere, non potendosi ricorrere nei confronti dei divieti di legge, se non per i profili di incostituzionalità.
      A noi sembra invece che, ove si voglia riformare il testo dell'articolo 41 della Costituzione per meglio adattarlo alle più recenti esigenze dell'attuale fase storica, ciò possa essere fatto facendo emergere e affermando i princìpi di «concorrenza e di responsabilità sociale» accanto alla libertà dell'attività economica privata e aggiungendo ai compiti che costituiscono riserva di legge il rispetto del principio di «semplificazione amministrativa».
      In effetti, con la riforma costituzionale del 2001, la materia della «tutela della concorrenza» è stata per la prima volta considerata nella Costituzione italiana sotto il profilo dell'attribuzione alla competenza legislativa esclusiva dello Stato [articolo 117, secondo comma, lettera e)]. Ma, proprio per questo, è utile e opportuno che il principio di concorrenza sia affermato anche nell'articolo 41, come condizione ordinaria, salve eccezioni stabilite per legge, dello svolgimento delle attività economiche. È un principio costitutivo dell'originario Trattato istitutivo della Comunità europea e ribadito nei successivi trattati e nelle politiche dell'Unione europea, espressione cardine di una moderna cultura liberale che vede nella par condicio concorsuale le condizioni migliori per l'efficienza dei mercati e per lo sviluppo della libertà e del benessere sociali.
      A ben vedere, libertà di attività economica e responsabilità sociale di essa, intesa come orientamento al bene comune, costituiscono un binomio inscindibile del modello europeo, le radici stesse della cultura liberaldemocratica e dell'umanesimo cristiano che coniugano libertà e solidarietà. La letteratura è assai vasta e le trasformazioni dell'età della globalizzazione
 

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confermano la necessità di questo modello.
      Per attenuare i rischi dell’«eccesso burocratico» della regolazione riteniamo utile introdurre nell'articolo 41, terzo comma, il rispetto del principio di «semplificazione amministrativa». L'elevazione al rango costituzionale di un principio che, soprattutto dalla legge n. 241 del 1990 in poi, ha avuto notevole diffusione nella legislazione ordinaria e nelle politiche delle amministrazioni pubbliche, ha un significato non trascurabile sotto il profilo politico-culturale e pratico. Il peso della burocrazia, le inefficienze e i ritardi nel provvedere, spesso aggravati dai costi della transazione politica, costituiscono un freno oggettivo all'economia e anche un'insopportabile ingiustizia. Di ciò si dirà anche in seguito in materia di modifiche agli articoli 97 e 118 della Costituzione, ma è bene riesaminare ora funditus il tema della semplificazione amministrativa.
      L'intera storia nazionale, da Zanardelli ai nostri giorni, è costellata da tentativi di semplificazione della nostra pubblica amministrazione. Negli ultimi decenni gli sforzi sono stati ripetuti e perfino ossessivi e dovrebbe apparire paradossale, nell'epoca della complessità, l'asserita passione per la semplificazione: quasi un rifiuto del proprio status, una ribellione concettuale ed esistenziale, una pulsione regressiva verso lo stato di natura come se il «fanciullo» di Rousseau non incontrasse anche lui, nella foresta, «lacci e lacciuoli».
      Tuttavia la retorica «semplificazionista» è fortissima: non vale per la finanza, ove è impossibile capire qualcosa, né per le scienze, le tecnologie e le professioni, sempre più sofisticate, e neppure per la giustizia o la politica, a molti incomprensibile, ma deve valere per le pubbliche amministrazioni, causa di tutti problemi. È una retorica così forte, non solo nel nord del Paese, che è più «semplice» arrendersi ad essa.
      Poiché dopo decine di leggi di semplificazione siamo sempre al punto di partenza, occorrerebbe quindi riflettere meglio su come intervenire. Il Governo propone la riforma costituzionale dell'articolo 41 ma il problema è diverso e riguarda il rapporto tra legge e pubbliche amministrazioni. Con la legge n. 241 del 1990, dopo un intenso dibattito in dottrina, si è pervenuti a fissare i princìpi generali per tutte le amministrazioni pubbliche. Disciplina dei termini, responsabilità, trasparenza e partecipazione, semplificazioni organizzative, autocertificazioni, moduli negoziali: princìpi chiari e uguali per tutte le amministrazioni pubbliche. Una logica moderna, che ha creato vantaggi concreti ed efficienza, un passo in avanti significativo. Anziché migliaia di procedimenti diversi, uno per ciascun settore (scuola, ambiente, commercio, sanità eccetera), princìpi comuni, per una cultura nuova e comune al servizio dei cittadini e delle imprese. Ma ecco che, anziché andare avanti su questa strada, si è deciso di sabotarla e poi di abbandonarla, di tornare al passato, al procedimento «fai da te», in nome del federalismo e della politica che prevale sull'amministrazione professionale, dell'insofferenza nei confronti dei princìpi di legge. Un po’ per volta la legge n. 241 del 1990 è stata depotenziata e aggirata, da ultimo anche dalla riforma Brunetta che l'ha annegata nel mare magnum di una carta dei doveri delle pubbliche amministrazioni.
      Si dovrebbe invece attuare di più e meglio quella riforma, non abbandonarla.
      Ad esempio, come proposto dall'Unione di Centro, stabilire il termine massimo di sessanta giorni (per i certificati un termine inferiore) per il rilascio di autorizzazioni, permessi, o atti per tutte le pubbliche amministrazioni, comunali, regionali, statali. E, in caso di inadempimento, consentire l'avvio delle attività tramite atti di «autoamministrazione», certificando la conformità e il rispetto di leggi e atti amministrativi. Se la pubblica amministrazione è reticente o troppo lenta, la responsabilità passa al privato, con attestazioni professionali della correttezza del proprio agire, ovunque, in tutta Italia, nei Ministeri come nei piccoli comuni. Ecco una riforma audace, un «taglia-termini» vero, una nuova responsabilità civile e sociale, che rispetta i princìpi dello Stato
 

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di diritto e che deve valere in tutto il Paese. Ma per questa semplificazione occorre mantenere e rafforzare una legge di princìpi nazionali, unitaria, che garantisca ovunque cittadini e imprese. Tutto il contrario del caos federalista, dell'amministrazione «fai da te», dei «lacci e dei lacciuoli» creati dalle caste politiche locali, che moltiplicano gli oneri, le norme, i costi e le disuguaglianze.
      Naturalmente quanto rilevato vale come indirizzo per una politica legislativa di semplificazione amministrativa, alla ricerca dell'efficienza e integrata dalla sussidiarietà orizzontale con responsabilità professionale (vedi le modifiche agli articoli 97 e 118 della Costituzione).
      Ma, a livello di principio costituzionale, non sarebbe opportuna una tale disciplina di dettaglio mentre è certamente utile e doveroso affermare il «principio di semplificazione amministrativa» come valore guida.
      Il disegno di legge costituzionale del Governo propone, al primo comma dell'articolo 97 della Costituzione novellato, una nuova formulazione secondo cui «le pubbliche funzioni sono al servizio delle libertà dei cittadini e del bene comune». È una visione che condividiamo perché tende ad affermare la funzione «servente» delle pubbliche amministrazioni, rispetto alla società («libertà» e «bene comune»), e non una concezione autocratica del potere pubblico. Tuttavia riteniamo che tale affermazione di principio debba essere meglio completata con l'esplicitazione del «rispetto dei diritti e dei doveri», posti a fondamento dei princìpi della parte prima della Costituzione. Non solo la libertà dell'individuo, ma la libertà responsabile della persona, fatta di diritti e di doveri nelle relazioni sociali, secondo la pregnante concezione affermata nella Carta costituzionale e nell'umanesimo cristiano.
      Così pure riteniamo utile evidenziare, tra i princìpi di efficienza, efficacia, semplicità e trasparenza dell'agire amministrativo, anche i princìpi di «legalità» e di «partecipazione». In effetti il principio di legalità è innegabile poiché è fondamento dello Stato di diritto e della superiorità della legge sull'amministrazione. Ma anche il principio di partecipazione all'attività amministrativa discrezionale si è ormai affermato nella legislazione nazionale ed europea (vedi encuesta previa in Spagna, enquête publique in Francia, public inquiry ed examination in public nel Regno Unito, partecipazione al procedimento amministrativo in Germania) come strumento di democrazia amministrativa, di prevenzione dei conflitti e di migliore efficienza dell'istruttoria amministrativa.
      Naturalmente il principio è regolato dalla legge allo scopo di garantirne la certezza dei tempi e di evitare il «sovraccarico di manifestazione di interessi», secondo un'espressione in uso nella dottrina giuspubblicistica.
      A nostro avviso, in un'opera di revisione dell'articolo 97 della Costituzione, non deve mancare l'affermazione del principio di «distinzione tra politica e amministrazione». In effetti tale principio si è affermato e consolidato nella legislazione degli anni novanta, con governi diversi, e costituisce un valore coessenziale e complementare a quello d'imparzialità della pubblica amministrazione, ribadito anche nel disegno di legge costituzionale del Governo.
      Avvertiamo la necessità di far emergere con più nettezza la distinzione delle funzioni che appartengono all'amministrazione professionale che deve essere sviluppata (compiti di gestione amministrativa, tecnica e finanziaria), rispetto alle funzioni di indirizzo, di programmazione e di controllo dei risultati, che appartengono ai funzionari politici o elettivi.
      Il principio, secondo cui «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso pubblico, salvi i casi stabiliti dalla legge» deve essere integrato, a nostro avviso, sotto due profili: il principio deve essere esteso anche «alle nomine negli enti pubblici» a garanzia della concorrenza, del merito e dell'efficienza; e l'esclusione del concorso pubblico deve essere ristretta a casi «eccezionali» stabiliti dalla legge. C’è stato, come noto, un abuso della deroga, che deve essere limitata,
 

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poiché il concorso pubblico, che ben può svolgersi in forme moderne ed efficienti, deve davvero costituire la regola se si vuole premiare il merito ed evitare le ricorrenti sanatorie o le forme clientelari di assunzione che penalizzano in genere i più giovani.
      L'articolo 118 della Costituzione, in materia di sussidiarietà orizzontale, è oggetto di una limitata modifica nel disegno di legge costituzionale del Governo che specifica che lo Stato, le regioni, le città metropolitane, le province e i comuni non soltanto «favoriscono», ma «garantiscono (...) l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». A questa formulazione finale riteniamo necessario apportare la seguente modifica inserendo l'espressione «sulla base dei princìpi di sussidiarietà, di concorrenza e di merito».
      La materia, anche per le sue implicazioni culturali, merita un approfondimento.
      Noi siamo favorevoli al principio di sussidiarietà orizzontale e perciò vorremmo curarne una corretta accezione.
      Com’è noto, il principio di sussidiarietà si è affermato nella letteratura giuridica contemporanea in specie con la promulgazione del Trattato di Maastricht (articolo 3B), ma esso non è ignoto, soprattutto nella sua accezione «orizzontale», anche in passato in autori come Humboldt e Tosato (G. Humboldt, Saggio sui limiti dell'attività dello Stato, traduzione italiana, Roma, 1965; E. Tosato, Sul principio di sussidiarietà dell'intervento statale, in Nuova Antologia, 1959). Esso poi è ben presente nella dottrina della Chiesa cattolica, per cui si può ricordare l'enciclica Quadragesimo anno, pubblicata da Pio XI il 15 maggio 1931, ove si legge: «Deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e con l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere ad una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno ed uno sconvolgimento del retto ordine della società, perché l'oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa, è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle o assorbirle».
      Nella enciclica Centesimus Annus, il Papa Giovanni Paolo II affermò che una società, un'organizzazione o un'istituzione di ordine superiore a un'altra, non deve interferire nell'attività di quest'ultima, a essa inferiore, limitandola nelle sue competenze, «ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità, ed aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune».
      Il principio di sussidiarietà e altresì presente nel movimento sindacale, ad esempio nella Carta del lavoro del 1927, dichiarazione IX, ove si afferma che «l'intervento dello Stato nella produzione economica ha luogo soltanto quando manchi o sia insufficiente l'iniziativa privata o quando siano in gioco interessi politici dello Stato. Tale intervento può assumere la forma del controllo, dell'incoraggiamento e della gestione diretta».
      Tali matrici culturali sono peraltro esplicitate nella relazione di accompagnamento della proposta di legge (atto Camera n. 5017 del 24 giugno 1998, XIII legislatura), con cui è stato introdotto nella Costituzione il principio di sussidiarietà, ove si legge che «il principio di sussidiarietà è un incontro tra due culture, quella cattolica e quella liberale, ma solo ampliando il suo ambito, fin qui prettamente territoriale e dunque verticale, si potrà garantire una reale autonomia della società civile. Esso recepisce, contenendole in sé, le istanze federaliste, ma allarga il suo campo di applicazione: il federalismo è sussidiarietà applicata al rapporto fra gli enti locali, ma il concetto di sussidiarietà cui si ispira la presente proposta di legge costituzionale va oltre, andando a regolare anche quei rapporti e quei livelli di autogoverno non territoriale. Dove la libera iniziativa economica è in grado affrontare
 

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un problema lo Stato deve astenersi dall'intervenire: dobbiamo dare spazio alla libera auto-organizzazione della società, in modo da togliere agli interventi coattivi dello Stato sempre più spazio».
      Anche la dottrina si è incaricata di sottolineare, tramite autorevoli voci, che la sussidiarietà (orizzontale), come valore di fondo dell'ordinamento democratico, è comunque connessa a una «visione del mondo» basata sul primato giuridico della libertà e della società civile nei confronti dell'autorità, presupposto di un assetto dei rapporti tra potere pubblico e gruppo sociale fondato sulla logica dell'integrazione: rectius, la funzione del principio di sussidiarietà è proprio quella della tutela degli interessi sociali, economici e morali degli individui e degli enti privati, nonché delle formazioni sociali, attuata mediante un procedimento di astensione dell'intervento statale, al fine di consentire una piena libertà di iniziativa e di sviluppo delle forze individuali e sociali dotate di autonomia.
      Tutto ciò premesso, occorre a nostro avviso favorire la crescita del principio di sussidiarietà orizzontale non attraverso un'apodittica «garanzia» offerta dai poteri pubblici come si afferma, in modo invero contraddittorio con la sostanza del principio, nel disegno di legge costituzionale del Governo, ma attraverso politiche di promozione nel contesto contemporaneo dei mercati dei servizi alla persona, che coinvolgono i settori fondamentali delle organizzazioni del no-profit e del volontariato.
      La comunità non deve prevalere sulla società, come è già pericolosamente avvenuto nella storia, ma integrarsi a essa nella ricerca del bene comune e dell'interesse generale.
      Per tali ragioni riteniamo opportuno aggiungere al principio di sussidiarietà il rispetto dei «princìpi di concorrenza e di merito» perché è solo in questa dimensione che esso può affermarsi utilmente, superando le logiche asfittiche dell'assistenzialismo e del clientelismo implicite in una «sussidiarietà senza mercato».
      Le motivazioni etiche devono e possono tornare a essere elemento centrale del lavoro e della propensione al bene comune, non per mero tornaconto, ma per una più alta consapevolezza dell'agire umano, in grado di dare risposte attuali a bisogni inevasi nell'orizzonte del welfare pluralism.
      Riteniamo inoltre utile esplicitare, nell'articolo 118 della Costituzione, un principio che si è già molto affermato nel campo della semplificazione amministrativa e della responsabilità crescente delle professioni, chiamate a esercitare funzioni certative in sostituzione delle pubbliche amministrazioni.
      Basti pensare alle dichiarazioni di inizio attività, che sostituiscono i permessi edilizi, alle quotazioni societarie e a molte e diverse attività in cui i professionisti agiscono in luogo delle pubbliche amministrazioni, in funzione sussidiaria di esse, garantendo il rispetto delle leggi e delle regole tecniche.
      Questo fenomeno, integrativo o sostitutivo delle funzioni pubbliche, attraverso certificazioni professionali responsabili, costituisce un modello dinamico di grande rilievo nell'economia della conoscenza, che avvicina la società ai pubblici poteri e offre garanzie spesso di maggiori qualità e snellezza.
      La proposta di legge costituzionale in oggetto è presentata con spirito aperto, come si conviene a ogni progetto di revisione costituzionale, alla ricerca di contributi e di miglioramenti provenienti da tutti i gruppi parlamentari, nello spirito delle larghe intese necessario per le riforme istituzionali e per il governo del Paese.
 

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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.
(Modifiche all'articolo 41 della Costituzione).

      1. All'articolo 41 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) il primo comma è sostituito dal seguente:
      «L'attività economica privata è libera nel rispetto dei principî di concorrenza e di responsabilità sociale»;

          b) al terzo comma sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nel rispetto del principio di semplificazione amministrativa».

Art. 2.
(Modifica dell'articolo 97 della Costituzione).

      1. L'articolo 97 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Art. 97. – Le pubbliche funzioni sono al servizio delle libertà dei cittadini e del bene comune, nel rispetto dei diritti e dei doveri.
      L'esercizio, anche indiretto, delle pubbliche funzioni, è regolato in modo che ne siano assicurate la legalità, l'efficienza, l'efficacia, la semplicità, la trasparenza e la partecipazione.
      Le pubbliche amministrazioni sono organizzate secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
      Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari, nel rispetto del principio di distinzione tra politica e amministrazione.

 

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      Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e alle nomine negli enti pubblici si accede mediante concorso pubblico, salvi i casi eccezionali stabiliti dalla legge.
      La carriera dei pubblici impiegati è regolata in modo da valorizzarne la capacità professionale e il merito».

Art. 3.
(Modifica all'articolo 118 della Costituzione).

      1. Il quarto comma dell'articolo 118 della Costituzione è sostituito dal seguente:
      «Lo Stato, le Regioni, le Città metropolitane, le Province e i Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base dei principî di sussidiarietà, di concorrenza e di merito, e garantiscono atti di autoamministrazione basati sul rispetto della legge e della responsabilità professionale».


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