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PDL 4083

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4083



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

LAURA MOLTENI, RONDINI, TORAZZI, VOLPI, ALLASIA, BONINO, BUONANNO, CROSIO, DESIDERATI, FOLLEGOT, GRIMOLDI, MOLGORA, RAINIERI, RIVOLTA

Istituzione e disciplina dell'indagine farmacogenetica

Presentata il 15 febbraio 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — L'ultimo rapporto relativo agli Obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM) dell'Istituto superiore di sanità ha rivelato che negli ultimi dieci anni il consumo di farmaci da parte degli italiani è aumentato del 60 per cento, con un incremento annuo pari al 5 per cento. Sempre nello stesso rapporto si legge che il mercato farmaceutico totale, comprensivo sia della prescrizione territoriale sia di quella erogata attraverso le strutture pubbliche, è stato di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75 per cento a carico del Servizio sanitario nazionale.
      È esperienza comune, nella pratica medica, che lo stesso farmaco somministrato alla stessa dose possa essere efficace nella maggioranza dei pazienti, ma scarsamente efficace o indurre reazioni avverse (Adverse Drug Reaction - ADR) – a volte anche gravi – in alcuni dei soggetti trattati. Si stima, infatti, che i farmaci di maggiore consumo (per esempio antipertensivi, ipolipemizzanti e antidepressivi) siano pienamente efficaci solo nel 25-50 per cento dei pazienti. A fronte di un'efficacia limitata, negli ultimi anni si è osservato un progressivo e preoccupante aumento di reazioni avverse ai farmaci che rappresentano la quinta causa di morte nei Paesi occidentali, dopo l'infarto del miocardio, i tumori e l’ictus. Tra il 1998 e il 2005 le segnalazioni di ADR gravi raccolte dalla Food and Drug Administration (FDA) sono aumentate di 2,6 volte e il loro incremento è stato quattro volte più rapido di quello del numero totale di prescrizioni. Analogamente, la rete nazionale di farmacovigilanza dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) registra in Italia ogni anno circa 20.000 reazioni avverse da farmaci, con centinaia di eventi fatali.
 

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      L'aspetto speculare di questo scenario sono i fallimenti terapeutici, che rientrano nel quadro delle ADR, dove il paziente viene esposto alle sole reazioni avverse del trattamento, senza alcun beneficio. Questo fenomeno coinvolge categorie di pazienti importanti e numericamente rilevanti, tra cui coloro che sono affetti da patologie neurologiche e psichiatriche, oncologiche, metaboliche e cardiologiche, con fallimenti che superano il 30-40 per cento.
      Sebbene i costi diretti e indiretti delle ADR siano difficili da stimare, si è valutato che negli Stati Uniti d'America il costo sia compreso tra 30 e 130 miliardi di dollari all'anno.

Le basi genetiche della variabilità individuale nella risposta ai farmaci.

      Una delle più importanti cause che predispongono all'insorgenza di ADR è l'assetto genetico del paziente. Si ritiene che circa il 90 per cento dei geni nell'uomo contenga variazioni di sequenza nucleotidica, denominate polimorfismi, che possono modificare qualitativamente o quantitativamente il prodotto proteico codificato da un determinato gene e che possono causare variabilità di risposta ai farmaci. Ogni singolo polimorfismo, per essere definito tale, deve essere presente in una popolazione almeno nell'1 per cento dei soggetti, con punte che possono raggiungere per un certo polimorfismo, in alcune popolazioni, il 30-40 per cento.
      I geni che determinano la risposta ai farmaci possono essere distinti in due grandi classi: quelli che codificano per il bersaglio terapeutico primario, come per esempio recettori ed enzimi, o le proteine coinvolte nell'assorbimento, nella distribuzione, nel metabolismo e nell'escrezione del farmaco. Polimorfismi a carico di geni appartenenti a queste due classi possono pertanto determinare modificazioni nell'azione di un farmaco provocando l'assenza di risposta clinica a un determinato trattamento o la comparsa di reazioni avverse.
      Le moderne tecniche di biologia molecolare consentono oggi di identificare agevolmente questi polimorfismi, a costi spesso inferiori rispetto ai comuni esami diagnostici. L'identificazione di un particolare polimorfismo, associato a reazioni avverse, prima che il farmaco venga somministrato, permetterebbe la scelta di strategie terapeutiche alternative che potrebbero prevedere: 1) l'impiego di un farmaco della stessa classe non influenzato nella sua azione dal polimorfismo; 2) la riduzione della dose del farmaco inizialmente prescelto; 3) un più approfondito e prolungato monitoraggio del farmaco e del paziente; 4) l'impiego di un farmaco alternativo.
      In questo contesto è nata la farmacogenetica, disciplina che studia come l'azione dei farmaci possa essere influenzata dall'assetto genetico dei pazienti, permettendo una personalizzazione del trattamento su basi razionali.

La farmacogenetica nella pratica clinica: la situazione attuale.

      L'Agenzia europea dei medicinali (EMEA) e la FDA hanno recentemente approvato l'utilizzo di indagini farmacogenetiche in relazione all'impiego terapeutico di alcuni farmaci: il warfarin, il più importante anticoagulante orale attualmente in uso, e l'irinotecano, chemioterapico antitumorale largamente impiegato per il trattamento dei tumori del colon-retto. L'indagine non è obbligatoria ma, nella scheda tecnica, è suggerita esplicitamente l'opportunità di eseguirla per prevenire le ADR su base genetica che, nel caso del warfarin, costituiscono il 30 per cento delle ADR totali, ma probabilmente questa percentuale è più alta, potendo raggiungere il 60-70 per cento. In campo oncoematologico e reumatologico viene spesso utilizzato il test della tiopurina metiltransferasi per accertare le cause di reazioni avverse gravi alle tiopurine citotossiche (6-mercaptopurina, 6-tioguanina) e immunosoppressive (azatioprina). Ancora in campo oncologico è

 

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molto noto il caso delle fluoropirimidine (5-fluorouracile e analoghi), la cui somministrazione, molto diffusa nella pratica medica, può essere associata a reazioni avverse molto gravi e talvolta letali per deficit enzimatico, geneticamente determinato, dell'enzima diidropirimidina deidrogenasi, responsabile dell'eliminazione metabolica del farmaco.
      Molto significativo è il caso dell'abacavir, un antiretrovirale utilizzato nella terapia dell’Human immodeficiency virus (HIV). Studi clinici hanno infatti dimostrato inequivocabilmente come la comparsa di una grave forma di ipersensibilità, in circa il 5 per cento dei pazienti trattati e che può avere esito fatale, poteva essere facilmente predetta da un'indagine farmacogenetica, eseguita presso i laboratori immuno-trasfusionali, per l'identificazione del genotipo HLA-B*5701. Queste evidenze hanno determinato da parte dell'AIFA una modifica nella scheda tecnica del farmaco in cui viene esplicitamente richiesta l'esecuzione dell'indagine farmacogenetica prima di iniziare il trattamento con l'antiretrovirale. Infine, l'introduzione del farmaco gefitinib per il trattamento di adenocarcinomi polmonari con mutazioni attivanti del recettore del fattore di crescita dell'epidermide (EGFR) e del cetuximab/panitumumab per il trattamento di carcinomi del colon-retto con gene k-Ras non mutato, ha reso di routine l'esecuzione di indagini farmacogenetiche da parte dei laboratori di patologia.
      Nell'immediato futuro ci si aspetta, da parte delle autorità regolatorie, l'approvazione di nuove indagini farmacogenetiche per ulteriori farmaci e un forte impulso alla multidisciplinarietà, come già avviene nella pratica clinica.

I vantaggi delle indagini farmacogenetiche per la popolazione e per il Servizio sanitario nazionale.

      Si ritiene che nel medio-lungo termine l'utilizzo di indagini farmacogenetiche nella pratica clinica quotidiana non soltanto porterà evidenti vantaggi per i pazienti che potranno, per alcuni farmaci, evitare reazioni avverse ed essere curati con farmaci più adatti alla loro costituzione e alla patologia di cui sono portatori, ma avrà anche importanti conseguenze sui costi a carico dei sistemi sanitari.
      In uno studio condotto nel 1995 dall'ospedale San Carlo Borromeo di Milano si è evidenziato che circa il 5 per cento di 5.500 pazienti visitati in pronto soccorso presentava una ADR. In un altro studio condotto in ventuno strutture ospedaliere di pronto soccorso distribuite sul territorio nazionale si è rilevato che il 3,3 per cento dei ricoveri era dovuto a una ADR. Considerando l'elevata incidenza delle ADR sui costi sanitari, se semplicemente una parte potesse essere prevenuta da un'indagine farmacogenetica i risparmi effettivi per il Servizio sanitario nazionale (SSN) sarebbero considerevoli. A titolo indicativo, la regione Lombardia ha speso circa 5 milioni di euro nel 2007 di costi di pronto soccorso per la gestione di eventi avversi di tipo iatrogeno, a cui si sommano circa 15 milioni di euro di costi per l'ospedalizzazione dei pazienti che hanno avuto tali eventi. La maggior parte degli eventi avversi è stata causata dal warfarin, un farmaco per il quale sono oggi disponibili due test farmacogenetici. L'applicazione di tali indagini avrebbe quindi permesso un risparmio per la regione Lombardia di oltre 20 milioni di euro.
      In Europa, diversi Paesi (Olanda, Inghilterra e Francia solo per citarne alcuni) hanno inserito già da qualche anno le indagini farmacogenetiche all'interno dei servizi diagnostici forniti dalle strutture sanitarie pubbliche. L'implementazione di questi servizi anche nello scenario italiano potrebbe quindi favorire una personalizzazione della terapia farmacologica, in casi selezionati, con enormi vantaggi sia per il paziente che per il SSN.

La farmacogenetica in Italia: un vuoto normativo da colmare.

      La farmacogenetica non è ancora entrata in maniera diffusa nella pratica clinica

 

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quotidiana, sebbene una buona parte delle sperimentazioni farmacologiche contempli uno studio farmacogenetico associato, proprio nell'auspicio di poter identificare fin dall'inizio i soggetti che potrebbero avere vantaggi o meno dallo specifico trattamento farmacologico. Inoltre, per alcuni farmaci già in commercio è previsto il suggerimento all'esecuzione di indagini farmacogenetiche per ottimizzarne l'impiego. L'aspetto sicuramente preoccupante che accompagna la diffusione della farmacogenetica sono le informazioni ottenibili su internet e accessibili a tutti; sono presenti sul mercato almeno dodici aziende che vendono direttamente ai privati indagini farmacogenetiche, sicuramente al di fuori di ogni contesto clinico e terapeutico controllato, ma probabilmente anche di dubbia applicabilità anche perché non inserite in un contesto di linee guida e di controlli di qualità.
      Questa situazione è paradossalmente in aperto contrasto con gli atteggiamenti restrittivi di molti comitati etici che limitano fortemente gli studi di farmacogenetica. Questo in larga misura dipende dal vuoto legislativo presente in Italia in materia di farmacogenetica.
      Attualmente la voce «test farmacogenetico» si ritrova, da un punto di vista legislativo, unicamente nel provvedimento riguardante l'autorizzazione generale al trattamento dei dati genetici del Garante per la protezione dei dati personali 22 febbraio 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2007, autorizzazione poi prorogata fino al 31 dicembre 2009. Il Garante ha successivamente deliberato di differire ulteriormente fino al 30 giugno 2010 l'efficacia dell'autorizzazione al trattamento dei dati genetici rilasciata il 22 febbraio 2007 (deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali 27 aprile 2010, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 108 dell'11 maggio 2010). Inoltre il documento della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 15 luglio 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 224 del 23 settembre 2004, reca l'accordo tra il Ministro della salute, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano sulle «Linee-guida per le attività di genetica medica». In tale documento si dice che «per tests genetici si intendono comunemente le analisi di specifici geni, del loro prodotto o della loro funzione, nonché ogni altro tipo di indagine del DNA, dell'RNA o dei cromosomi, finalizzata ad individuare o escludere mutazioni associate a patologie genetiche». In questo contesto sembrerebbero comprese, tra le attività di genetica medica, anche le indagini funzionali sui prodotti dei geni, intendendo con questo le proteine, che è un ambito di attività di laboratorio (fenotipizzazione) di farmacologia clinica oltre che di biochimica clinica. Inoltre, al punto 3.6, tale documento inserisce i test farmacogenetici, che vengono definiti come «analisi finalizzate alla identificazione di variazioni di sequenza del DNA in grado di predire la risposta individuale ai farmaci, in termini di efficacia e di rischio relativo di eventi avversi». Sebbene si faccia riferimento alla terapia farmacologica, anche in questo caso non è citato il ruolo della figura professionale del farmacologo e non si tiene in dovuta considerazione che le unità operative di anatomia e istologia patologica, di immunoematologia e di biochimica-patologia clinica eseguono già test predittivi per la selezione del paziente candidato alla terapia con farmaci specifici, specialmente in campo oncologico.
      Questa carenza legislativa ha fatto sì che le indagini farmacogenetiche nel nostro Paese venissero gestite unicamente dal genetista, il quale manca della competenza necessaria per affrontare un problema che in buona sostanza è farmacologico e non semplicemente genetico.
      Si deve infatti considerare che la farmacogenetica studia le possibili relazioni esistenti tra caratteristiche dei geni e la risposta individuale ad una terapia farmacologica sia in termini di efficacia che di tollerabilità. Essa ha dunque come oggetto principale il farmaco, il che la rende concettualmente e sostanzialmente diversa
 

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dalla genetica che invece ha come oggetto la malattia.
      L'interpretazione dell'indagine farmacogenetica richiede quindi conoscenze specifiche e dettagliate nel campo della farmacologia relative a:

          1) meccanismi fisiopatologici coinvolti nei processi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del farmaco;

          2) leggi e modelli matematici che descrivono gli eventi conseguenti all'interazione del farmaco con i bersagli molecolari;

          3) interpretazione degli eventi che possono portare alla comparsa di tossicità legata a un trattamento farmacologico;

          4) conferma del significato funzionale della variante genetica per mezzo di test di fenotipizzazione (ad esempio attività degli enzimi di metabolismo su campioni biologici).

      Tali competenze sono peculiari e identificano unicamente la figura del farmacologo.
      Le indagini genetiche sono giustamente normate da regole rigide volte alla tutela del paziente e della sua privacy. L'applicazione di tali regole alle indagini farmacogenetiche non è giustificata in quanto l'indagine farmacogenetica non predice la comparsa di una malattia ma informa il medico prescrivente sulla terapia migliore da somministrare per ogni paziente; tali regole limitano la diffusione dell'indagine farmacogenetica privando il medico di uno strumento terapeutico importante per l'ottimizzazione della terapia in ogni paziente. La diffusione limitata delle indagini farmacogenetiche nella pratica clinica ha ripercussioni importanti in materia di salute pubblica in quanto:

          1) l'uso non ottimale del farmaco contribuisce in parte al progressivo aumento della spesa farmaceutica (la mancata applicazione dell'indagine farmacogenetica limita all'empirismo la scelta terapeutica e aumenta i fallimenti terapeutici che richiedono nuove terapie e nuove prescrizioni a carico del SSN);

          2) l'uso non ottimale del farmaco è una delle concause responsabili del progressivo aumento delle reazioni avverse di tipo iatrogeno osservate negli ultimi anni (le stime attuali ci dicono, infatti, che il cattivo uso di farmaci è tra le prime cause di morte o di invalidità permanente nel mondo), con ripercussioni sulla salute del paziente e con un aumento dei costi per il SSN (per la cura degli eventi avversi).

      È opportuno sottolineare che l'indagine farmacogenetica fornisce informazioni a priori sulla possibilità di usare un determinato farmaco o sulle modalità del suo impiego in sicurezza (per esempio modificazione della dose), con un vantaggio spesso immediato per il paziente e senza nessuna interferenza con altri aspetti e aspettative della vita del paziente. Per tale motivo gli studi clinici farmacogenetici dovrebbero contemplare livelli di anonimizzazione compatibili con la divulgazione controllata delle informazioni per studi successivi che aggiungessero nuove informazioni genetiche o farmacologiche su un determinato farmaco.
      La legislazione in vigore nel nostro Paese, equiparando l'indagine farmacogenetica all'indagine genetica, demanda al genetista il compito di attuare e di interpretare l'indagine farmacogenetica, non contemplando alcuna formazione farmacologica specifica, assolutamente indispensabile per il «counselling» del clinico che dovrà alla fine adottare le strategie terapeutiche più idonee.
      È inoltre importante sottolineare che le indagini farmacogenetiche sono fondate su tecniche di biologia molecolare che sono alla base delle biotecnologie farmacologiche, le quali hanno prodotto i risultati più esaltanti tra tutte le discipline biotecnologiche considerabili e che sono ampiamente diffuse tra i farmacologi. Pertanto anche l'argomentazione metodologica in favore di un esclusivo coinvolgimento del genetista nell'indagine farmacogenetica è destituita di ogni fondamento.

 

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Obiettivi di una regolamentazione legislativa della farmacogenetica.

      Sulla base di quanto brevemente discusso, si può sostenere che un progetto di legge sulla farmacogenetica dovrebbe porsi i seguenti obiettivi fondamentali:

          1) definizione di indagine farmacogenetica;

          2) identificazione delle figure professionali abilitate all'esecuzione, all'interpretazione e alla refertazione dell'indagine farmacogenetica;

          3) definizione delle regole che delimitano i confini di una sperimentazione farmacogenetica nell'uomo, in termini di privacy, di richiesta del consenso informato, di accesso alle informazioni e di riutilizzazione del DNA, in una prospettiva che consideri l'indagine farmacogenetica diversa dall'indagine genetica e che preveda normative specifiche;

          4) istituzione di un osservatorio che controlli e favorisca lo sviluppo della farmacogenetica nel nostro Paese, soprattutto in termini di utilizzazione nelle strutture cliniche.

      È specificamente a queste esigenze che cerca di fornire una risposta la proposta di legge in esame, della quale conseguentemente si auspica un tempestivo esame e una rapida approvazione da parte della Camera dei deputati.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Definizioni).

      1. Per indagine farmacogenetica si intende un'analisi, condotta con metodi di sequenziamento diretto o indiretto del DNA, volta all'identificazione di polimorfismi per i quali è noto o è sospettato un ruolo nel modificare la sensibilità di un individuo a un farmaco, o ad un'associazione di farmaci, in termini di biodisponibilità, attività, resistenza e tossicità. Sono esclusi da tale definizione gli accertamenti e le indagini volti a stabilire una diagnosi o una predisposizione di malattia su base genetica.

Art. 2.
(Soggetti e strutture abilitati).

      1. Sono abilitati a eseguire, interpretare e refertare l'indagine farmacogenetica i laureati in medicina e chirurgia, in chimica e tecnologia farmaceutica e in farmacia e i laureati magistrali in scienze biologiche o in scienze biotecnologiche, in possesso delle specializzazioni in farmacologia e in tossicologia.
      2. Le regioni, nel rispetto dei criteri definiti dal Ministro della salute con proprio decreto, da adottare entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, istituiscono elenchi regionali di soggetti abilitati all'esecuzione, all'interpretazione e alla refertazione delle indagini farmacogenetiche.
      3. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei criteri e delle procedure di cui all'articolo 3, le regioni individuano, sul territorio

 

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di competenza, strutture, di carattere ospedaliero pubbliche o private, che svolgono la funzione di centri per l'esecuzione e per la conseguente refertazione delle indagini farmacogenetiche a scopo diagnostico.

Art. 3.
(Centri autorizzati).

      1. Le linee guida per l'autorizzazione dei centri di cui all'articolo 2, comma 3, sono adottate, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
      2. Sulla base delle linee guida adottate ai sensi del comma 1, le regioni disciplinano i criteri e le procedure per il rilascio dell'autorizzazione. In caso di prolungata inadempienza delle regioni, protratta oltre il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al citato comma 1, i centri che intendono acquisire l'autorizzazione possono presentare la domanda direttamente al Ministero della salute, che provvede al rilascio dell'autorizzazione sulla base delle predette linee guida.

Art. 4.
(Indagine farmacogenetica).

      1. L'indagine farmacogenetica rientra nella categoria degli accertamenti e nelle indagini ematologiche ed ematochimiche di routine e non richiede una preventiva indagine genetica. L'informazione farmacogenetica a scopi esclusivamente diagnostici è codificata in termini di sensibilità di risposta a un dato farmaco o ad un'associazione di farmaci; essa è conservata nel fascicolo unico del paziente, nel rispetto delle disposizioni stabilite dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. In nessun caso è riportato il dato genetico

 

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sottostante. Il campione biologico su cui è stata effettuata l'indagine farmacogenetica a scopi diagnostici è distrutto al termine dell'analisi.
      2. In caso di studi clinico-tossicologici rivolti all'ottimizzazione delle terapie farmacologiche attraverso la definizione di relazioni tra causa e effetto tra farmaci e polimorfismi genetici, si applicano le disposizioni dell'articolo 5.

Art. 5.
(Impiego delle indagini farmacogenetiche per studi scientifici).

      1. Le indagini farmacogenetiche condotte all'interno di studi scientifici rivolti all'ottimizzazione delle terapie sono sottoposte obbligatoriamente al conseguimento preventivo del consenso informato. Nel consenso sono esplicitate le indagini farmacogenetiche alle quali il paziente è sottoposto e le modalità di utilizzazione del campione. Il campione, previo conseguimento di un secondo consenso informato, può essere impiegato in successivi studi clinici per scopi esclusivamente scientifici e di prevenzione e tutela della salute pubblica.
      2. I dati farmacogenetici e il materiale biologico ad essi relativo che derivano da studi clinico-tossicologici possono essere conservati nei centri di riferimento unico, istituiti ai sensi del comma 3, per gli scopi scientifici e di prevenzione e tutela della salute pubblica di cui al comma 1.
      3. Le regioni individuano, sul proprio territorio, un centro di riferimento unico, operante all'interno del servizio sanitario regionale, in cui è presente un'unità operativa di farmacologia clinica. Il centro di riferimento unico, al quale è affidata la conservazione di dati sensibili, ha natura giuridica pubblica e opera quale ente strumentale della regione. I risultati delle indagini farmacogenetiche nonché il materiale biologico a esse relativo sono conservati nel centro di riferimento unico che, nel rispetto delle disposizioni del codice in materia di protezione dei dati personali, di

 

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cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, provvede a istituire una banca dati avente la finalità di centro di documentazione farmacogenetica. Il materiale biologico conservato presso i centri è messo a disposizione per successivi studi di farmacogenetica. I criteri e le procedure per l'utilizzo di tale materiale biologico sono definiti con decreto del Ministro della salute.
      4. I dati conservati presso i centri di riferimento unico regionali di cui al comma 3 devono permettere in ogni caso la collegabilità tra dati farmacogenetici e informazioni, presenti nella cartella clinica del paziente, anche in tempi successivi e per situazioni diagnostiche diverse da quelle che hanno indotto la richiesta dell'indagine farmacogenetica, nonché la tracciabilità dell'identità del paziente. Non sono in ogni caso consentite l'istituzione e la gestione di banche dati di farmacogenetica da parte di strutture diverse dai centri di riferimento unico regionali.

Art. 6.
(Tavolo di lavoro per la farmacogenetica).

      1. Il Ministro della salute promuove la costituzione, presso l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), di un tavolo di lavoro per la farmacogenetica che provvede, nell'ambito degli ordinari stanziamenti di bilancio:

          a) a promuovere campagne di sensibilizzazione per garantire una corretta informazione sul significato e sul ruolo clinico della farmacogenetica;

          b) a predisporre appositi programmi di ricerca multidisciplinari;

          c) a monitorare l'attività dei centri autorizzati all'attività diagnostico-assistenziale di farmacogenetica.

      2. Il tavolo di lavoro è composto da due membri nominati dall'AIFA, da due membri nominati dalla Società italiana di farmacologia e da quattro membri nominati dal Ministro della salute.

 

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      3. Il Ministero della salute, in collaborazione con la Società italiana di farmacologia e con altre società scientifiche di categoria, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le linee guida per l'utilizzo della farmacogenetica nelle strutture assistenziali.
      4. Nell'attuazione dei programmi di formazione continua in medicina di cui all'articolo 16-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, la Commissione nazionale per la formazione continua, di cui all'articolo 16-ter del medesimo decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modificazioni, detta i criteri per il conseguimento, da parte del personale medico e delle professioni sanitarie, dei crediti formativi in materia di farmacogenetica.

Art. 7.
(Copertura finanziaria).

      1. Agli oneri derivanti dall'attuazione degli articoli 2 e 6, pari a 2.200.000 euro annui a decorrere dall'anno 2011, di cui 2.100.000 euro come contributo all'attività dei centri e 100.000 euro per la costituzione del tavolo di lavoro, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011-2013, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2011, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della salute.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
      3. Ulteriori eventuali oneri per il funzionamento dei centri previsti dalla presente legge sono posti a carico dei bilanci delle regioni.


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