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PDL 4134

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4134



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato BIANCONI

Modifiche al codice di procedura penale in materia di intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni

Presentata il 3 marzo 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — Desidero esplicitare, prima di entrare in medias res, che questa proposta di legge si connette direttamente a quanto dichiarai in sede di discussione generale del disegno di legge d'iniziativa governativa in materia di intercettazioni (atto Camera n. 1415-B) in terza lettura alla Camera dei deputati lo scorso 30 luglio 2010. In quella sede, in un intervento critico sull'orientamento del gruppo del Popolo della Libertà a sostenere il disegno di legge, dissi testualmente: «L'idea è di collocare il tema nel codice di procedura penale all'interno delle fonti di investigazione semplice, cassandolo dalla collocazione nel testo vigente dei mezzi di ricerca di prova. Oltre ad eliminare del tutto la polemica sul concreto utilizzo che oggi si effettua nelle fasi processuali, nei provvedimenti e nel provvedimento decisorio delle intercettazioni, sulla loro veridicità ai fini della formazione della prova e della loro attendibilità, con tale spostamento si taglierebbero alla radice altri problemi, oltre a quello dell'utilizzo distorto delle intercettazioni in fase processuale decisoria: uso, come si è detto, distorto, facilitato anche dall'ontologia del mezzo. Si taglierebbe dunque alla radice anche il problema della privacy, giacché, le intercettazioni non potrebbero mai e poi mai far parte di fascicoli contenenti atti pubblicabili. Ma si risolverebbe anche un altro annoso problema: l'utilità delle intercettazioni ai fini di indagine. Ve ne sarebbe così un utilizzo ampio, riservato, efficace; ma servirebbe anche a migliorare la qualità dell'attività investigativa, e la ricerca più accurata della prova. Si migliorerebbe la qualità della produzione giuridica, la professionalità di quanti si occupano del settore, e si eviterebbe per
 

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sempre che le intercettazioni, prese a pezzi poi utilizzati con il copia e incolla, divengano clave da utilizzare per emettere sentenze di condanna anticipata, o strumenti per montare processi popolari di discredito della stampa, dove le tesi dei pubblici ministeri si trasformano in sentenze, e i pubblici ministeri in giudici anziché, in titolari dell'accusa. Quando ero all'inizio della professione forense i rapporti di polizia giudiziaria iniziavano spesso con la dizione: da fonte confidenziale si è appreso. Ecco, le intercettazioni dovrebbero essere le fonti confidenziali del XXI secolo. Fanno scoprire reati, i collegamenti, danno gli strumenti perché, l'attività investigativa fornisca le fonti di prova, sanando le problematiche della privacy, dei limiti fattuali e temporali dell'esercizio delle captazioni. Le intercettazioni devono essere praticamente libere, ma non costituiscono mai prova e non vengono depositate davanti al giudice, sono strumenti di indagine e di prevenzione, non trasformandosi mai in incartamento processuale, non sono mai pubbliche, sicché, non possono mai essere pubblicate; ove questo avvenga vuol dire che c’è un funzionario, non un giudice, infedele, una volta individuato e condannato il quale si può condannare anche il giornalista suo complice».
      Desidero anche chiarire che questa iniziativa legislativa è prettamente personale, tant’è vero che non ho richiesto sottoscrizioni a collega alcuno; non coinvolge il gruppo del Popolo della Libertà e rimane l'esplicitazione di un mio convincimento, che può sostanziarsi nel principio che talvolta le soluzioni appaiono più semplici e vicine di quanto le emergenze dei fatti, l'improvvisazione, le esigenze mediatiche e di lotta politica farebbero apparire.
      Chiarito questo, la presente proposta di legge in materia di intercettazioni nasce, dunque dall'esigenza, più volte espressa non solo dalla maggioranza di Governo, ma anche da parte dell'attuale opposizione (si ricorda, infatti, che nel corso della XV legislatura la Camera dei deputati ha approvato pressoché all'unanimità un testo sulla stessa materia presentato dall'allora Ministro della giustizia del Governo Prodi, Clemente Mastella, l'atto Camera n. 1638, perfino più restrittivo rispetto al provvedimento esaminato dalle Camere nel corso della presente legislatura), di contemperare le necessità investigative con il diritto dei cittadini a vedere tutelata la loro riservatezza, soprattutto quando estranei al procedimento.
      Il diritto all'intangibilità della vita privata e familiare e la libertà di ricevere e di comunicare informazioni o idee costituiscono, infatti, valori fondamentali della persona, espressamente tutelati sia nella Costituzione (articoli 13 e 15), sia nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955 (articoli 8 e 10).
      Il nostro ordinamento infatti riconosce e tutela il principio della libertà e della segretezza di ogni forma di comunicazione: l'articolo 15 della Costituzione al primo comma afferma che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili».
      La disposizione costituzionale citata va letta insieme all'articolo 14, primo comma, della Costituzione («Il domicilio è inviolabile») e insieme a quanto dispone l'articolo 13, primo comma, della Costituzione («La libertà personale è inviolabile»). Tali disposizioni concorrono alla definizione del più generale principio della inviolabilità della persona umana.
      È evidente, come più volte la dottrina ha avuto modo di sottolineare, che questo impianto, ai fini di una effettiva tutela della libertà personale, non possa essere esclusivamente riconducibile nell'ambito della libertà di manifestazione del pensiero (sancita dall'articolo 21 della Costituzione) della quale non ne costituisce affatto una sottospecie.
      La portata della garanzia di cui al citato articolo 15, primo comma, della Costituzione è assoluta e copre, pertanto, ogni forma di comunicazione che dovesse essere resa possibile dal processo tecnologico. La garanzia di libertà e di segretezza delle comunicazioni di cui all'articolo
 

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15 della Costituzione è volta a tutelare l'estrinsecazione del pensiero nell'ambito delle comunicazioni private, mentre le disposizioni dell'articolo 21 della Costituzione tutelano e disciplinano quelle estrinsecazioni che si intendono, invece, rendere pubbliche.
      Non può dunque essere sostenuta nessuna strumentalità né tanto meno subordinazione delle garanzie dell'articolo 15 nei confronti di quelle prescritte dall'articolo 21. Tra l'altro, la consequenzialità delle disposizioni all'interno del titolo I (rapporti civili) della parte prima della Costituzione (diritti e doveri dei cittadini), che vede la libertà delle comunicazioni collocata prima della libertà di stampa dimostrerebbe forse proprio il contrario.
      Al riguardo credo valga la pena ricordare che l'articolo 15 utilizza, con riferimento alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, l'aggettivo «inviolabili». Un aggettivo questo qualificante, che fu usato con molta parsimonia dai Costituenti: oltre che nell'articolo 15, lo si ritrova a sostegno della libertà personale, della libertà di domicilio e del diritto di difesa in giudizio.
      Non solo, ma la segretezza delle comunicazioni entra poi a far parte di una più ampia area di protezione dell'insieme di dati e di notizie attinenti alla sfera dell'intimità personale e privata delle persone fisiche, delle formazioni sociali e delle persone giuridiche, riconducibile a quella coperta dal cosiddetto «diritto alla riservatezza», cui viene generalmente riconosciuto rilievo costituzionale, variamente individuandone il fondamento negli articoli 2 e 3 ovvero nell'articolo 15 (isolatamente o in connessione con l'articolo 8 della citata Convenzione) ovvero negli articoli 13, 14 e 15 della Costituzione nel loro combinato disposto con altre norme costituzionali.
      E, dunque, non si può difendere l'articolo 21, accusando un qualsiasi intervento in materia di intercettazioni di essere una legge bavaglio, e dimenticare l'articolo 15 e tutti gli altri articoli a questo collegati. Quanto sia delicata la materia e degna di tutela lo dimostra anche il fatto che la limitazione del principio della libertà e dell'inviolabilità delle diverse forme di comunicazione «può avvenire – ai sensi dell'articolo 15, secondo comma, della Costituzione – soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge».
      Tale norma pone dunque a garanzia della libertà e della segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sia una riserva di giurisdizione, attraverso l'espressa previsione che solo l'autorità giudiziaria (e non altri) può porre in essere atti limitativi della libertà in questione, riserva rinforzata peraltro dall'indicato obbligo per l'autorità giudiziaria di motivazione dell'atto limitativo emanato; sia una riserva di legge («con le garanzie stabilite dalla legge»), cosicché, mentre, da un lato, nessuna fonte normativa di grado inferiore alla legge ordinaria può disciplinare la materia, dall'altro lato, è fatto obbligo al legislatore di disciplinare, a garanzia della libertà del cittadino, l'area del legittimo intervento limitativo dell'autorità giudiziaria.
      La tutela dei princìpi richiamati è affidata anzitutto alle norme che sanzionano penalmente i delitti di cognizione, rivelazione e divulgazione del contenuto della corrispondenza e di comunicazioni telefoniche, informatiche o telematiche a opera di estranei (articoli da 615-bis a 623-bis del codice penale). Ma a parte la disciplina che opera sul piano penale, un'articolata tutela opera sul piano più strettamente processuale.
      La strumentalità con cui si è voluto affrontare questo tema nel corso della presente legislatura evidenzia come di fatto di fronte a quanto disposto dalla Costituzione si è cercato, da parte di alcune forze politiche, di affermare un vero e proprio capovolgimento della realtà. Rischia di passare l'idea che qualsiasi intervento sulle intercettazioni sia lesivo niente meno che della «libertà investigativa» e della «libertà d'intercettare».
      Certamente le intercettazioni sono un importante strumento investigativo, in alcuni casi meritorio e decisivo: ma farle
 

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diventare una «libertà» è l'ultima delle inversioni logiche cui ci tocca di assistere. Una vera e propria contraddizione rispetto a quanto disposto proprio dalla Costituzione.
      L'attività investigativa non è una libertà, ma una modalità attraverso la quale si manifesta un potere suscettibile di comprimere la libertà delle persone, ovviamente a tutela dell'ordinamento e sulla base di princìpi costituzionali egualmente meritevoli di rilievo. Essa quindi trova spazio in Costituzione, certamente, laddove si affermano, ad esempio, l'obbligatorietà e quindi l'indipendenza dell'azione penale. Ma qui non si garantiscono «libertà», ma si precostituiscono strumenti regolati di repressione dei reati, a disposizione dell'autorità giudiziaria, che dovrebbero convivere nel mondo liberale cui ancora dovremmo appartenere con i diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione.
      Se poi, comunque, parliamo di «attività investigativa», dobbiamo tener presente che le intercettazioni per gli investigatori (ossia per coloro che effettivamente compiono le indagini sul campo) sono una vera e propria «sciagura». Perché hanno bisogno di verifiche, di controlli e di molto personale levato alla strada. Un investigatore intercetta solo quando c’è la quasi certezza dei reati. Per un investigatore le intercettazioni sono di ausilio alle indagini e non lo strumento principale. Non si individuano i colpevoli solo attraverso le intercettazioni.
      Oggi invece è il contrario: si intercetta, si arrestano e si mettono alla gogna i cittadini senza un riscontro oggettivo; cittadini che poi magari vengono scarcerati. Ma dalla «condanna» mediatica non si torna indietro.
      Si tratta quindi di una battaglia che rappresenta un atto di civiltà democratica, una scelta a difesa della nostra Costituzione, una scelta a difesa della dignità e della libertà dei nostri concittadini.
      È necessario garantire il rispetto per la dignità della persona e del cittadino, tutelare al massimo grado il doveroso rispetto per la sua libertà individuale e, al contempo, garantire la certezza della pena; rompere il meccanismo per cui gli stralci di intercettazioni pubblicate con sconcertante puntualità dai giornali diventano un'arma per discreditare e per indebolire l'avversario, un meccanismo nefasto nel quale la vita dei cittadini come quella delle istituzioni, può venire stravolta. In una cultura, in una civiltà di questo genere non c’è spazio per confondere gli avvisi di garanzia con le condanne, non c’è spazio per trasformare all'occorrenza, e solo all'occorrenza, il sospetto in prova di colpevolezza, non è ammissibile utilizzare il pettegolezzo, e le fughe di notizie come armi per discriminare l'avversario politico.
      Una nuova legge sulle intercettazioni potrebbe essere il primo passo verso un'importante riforma del sistema giudiziario che il nostro Paese attende da tempo.
      La presente proposta di legge si inserisce quindi nel quadro della tutela della privacy, del rispetto delle esigenze investigative, nonché, nell'ambito della riforma del processo penale in discussione al Senato della repubblica, riforma che comunque va nella direzione della ridefinizione dei poteri del pubblico ministero e della polizia giudiziaria, che si pone in maniera fortemente garantista nei confronti del cittadino e dei suoi diritti di difesa.
      Nella sostanza, con le modifiche proposte si conciliano le rispettive esigenze di tutela dell'attività investigativa e di difesa del diritto dei cittadini a vedere tutelata la loro riservatezza, entrambe con reciproche sofferenze, ma con un punto di equilibrio che consente il progresso e la coerenza dei princìpi costituzionalmente garantiti.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il capo IV del titolo III del libro terzo del codice di procedura penale è abrogato.

Art. 2.

      1. Al titolo IV del libro quinto del codice di procedura penale, dopo l'articolo 357 è aggiunto il seguente:
      «Art. 357-bis. – (Intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni). – 1. Il Ministro dell'interno o, su sua delega, i responsabili dei servizi centrali di cui all'articolo 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonché, il questore o il comandante provinciale dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui sono emerse le esigenze di prevenzione, l'autorizzazione all'intercettazione di comunicazioni o di conversazioni, anche per via telematica, quando sia necessario per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione dei seguenti reati:

          a) delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;

          b) delitti contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni determinata a norma dell'articolo 4;

 

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          c) delitti concernenti sostanze stupefacenti o psicotrope;

          d) delitti concernenti le armi e le sostanze esplosive;

          e) delitti di contrabbando;

          f) reati di ingiuria, minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, abuso di informazioni privilegiate, manipolazione del mercato, molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, atti persecutori;

          g) delitti previsti dall'articolo 600-ter, terzo comma, del codice penale, anche se relativi al materiale pornografico di cui all'articolo 600-quater.1 del medesimo codice.

      2. Nei casi di cui al comma 1 è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.
      3. Il Ministro dell'interno può altresì delegare il direttore della Direzione investigativa antimafia limitatamente ai delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis.
      4. Il procuratore della Repubblica, qualora vi siano elementi investigativi che giustifichino l'attività di prevenzione e lo ritenga necessario, autorizza l'intercettazione per la durata massima di quaranta giorni prorogabile per periodi successivi di venti giorni ove permangono i presupposti di legge. L'autorizzazione alla prosecuzione delle operazioni è data dal pubblico ministero con decreto motivato, nel quale deve essere dato chiaramente atto dei motivi che rendono necessaria la prosecuzione delle operazioni.
      5. Delle operazioni svolte e dei contenuti intercettati è redatto verbale sintetico che, unitamente ai supporti utilizzati, è depositato presso il procuratore che ha autorizzato le attività entro cinque giorni dal termine delle stesse. Il procuratore della Repubblica, verificata la conformità delle attività compiute all'autorizzazione, dispone l'immediata distribuzione dei supporti e dei verbali.

 

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      6. Con le modalità e nei casi di cui ai commi 1 e 3, possono essere autorizzati il tracciamento delle comunicazioni telefoniche e telematiche, nonché, l'acquisizione dei dati esterni relativi alle comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse e l'acquisizione di ogni altra informazione utile in possesso degli operatori di telecomunicazioni.
      7. In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva di cui al presente articolo, e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né essere altrimenti divulgate».

      2. L'articolo 226 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, è abrogato.    


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