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PDL 4071

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4071



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BARBIERI, GHIZZONI, GOISIS, CAPITANIO SANTOLINI, MARIO PEPE (IR), GRANATA, ZAZZERA, LATTERI

Disposizioni per la conservazione, il restauro, il recupero e la valorizzazione di monumenti e per la celebrazione di eventi storici di rilevanza nazionale

Presentata l'11 febbraio 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge prevede un complesso di interventi volti alla conservazione, al restauro e alla valorizzazione – anche mediante la promozione di connesse attività di studio e di ricerca – di alcuni monumenti e luoghi significativi per la memoria civile e storica dell'Italia, in diverse parti del territorio nazionale.
      Nella vastità del patrimonio archeologico e artistico che la nostra nazione conserva, quest'iniziativa ha il fine, limitato ma significativo, di integrare l'attività svolta dal Ministero per i beni e le attività culturali e dalle amministrazioni preposte, nonché, ai rispettivi livelli territoriali, dalle regioni e dagli enti locali, con alcuni interventi specifici riguardanti singoli luoghi e monumenti che, per ragioni diverse, sembrano meritare una particolare attenzione e richiedere un intervento immediato.
      Per la disciplina di ciascun intervento si sono previste le regole più appropriate in ragione della natura del bene interessato e delle caratteristiche del soggetto destinatario del contributo, con modalità uniformi nei casi in cui ciò apparisse possibile e opportuno per una migliore gestione delle procedure di attuazione.
      L'articolo 1 autorizza la spesa annua di 4.600.000 euro per ciascuno degli anni
 

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2012 e 2013 per la realizzazione di interventi di manutenzione e conservazione dell'edificio del Duomo di Milano e delle sue pertinenze. Gli interventi sono attuati dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano sulla base di un programma che essa comunica al Ministero per i beni e le attività culturali per il tramite della competente soprintendenza. Nelle stesse forme è trasmessa al Ministero la relazione annuale sugli interventi realizzati e sull'impiego del finanziamento.
      A questo riguardo, è opportuno ricordare che nel 1998, con l'articolo 6 della legge 15 dicembre 1998, n. 444, lo Stato si era impegnato fino al 2008 a corrispondere la somma di 10 miliardi di lire annue per opere di ordinaria e straordinaria manutenzione del Duomo di Milano, cogliendo l'eccezionale importanza della conservazione del monumento.
      La norma non è stata più prorogata né rifinanziata: nel frattempo il bilancio dei costi della Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano, che si occupa del restauro, è passato da 18 miliardi di lire a 15 milioni di euro dal 1999 ad oggi.
      Il contributo dello Stato, che nei dieci anni passati è risultato fondamentale, ha origini lontane: nel 1805 Napoleone obbligò a vendere tutto il patrimonio della Veneranda Fabbrica per completare la facciata del Duomo garantendo comunque il reddito di tale patrimonio. Tali disposizioni sono state poi riprese dal Governo austriaco e dal Regno d'Italia mediante il riconoscimento di una dotazione perpetua in favore della Veneranda Fabbrica.
      La delicatezza della conservazione del monumento e la necessità di manutenzione impongono interventi non più differibili, quali il restauro della grande guglia e di tutta la parte alta del tiburio, di altre 11 guglie, 15 falconature, 16 archi rampanti e del pavimento intarsiato, l'allestimento del Museo, oltre agli scavi archeologici nell'area sottostante il sagrato per il recupero della Milano antica e alla sistemazione del deposito di cantiere per liberare gran parte del lato sud del Duomo dalle baracche provvisorie. Queste attività si sommano alle normali esigenze di ammodernamento e di gestione dell'archivio e della sua informatizzazione, nonché della conservazione della Cappella musicale: tutte voci culturali importanti, cui la Veneranda Fabbrica è statutariamente obbligata a provvedere.
      Le gravi esigenze elencate e il naturale invecchiamento del monumento accentuano i motivi di preoccupazione. Senza una risorsa stabile, quale quella erogata fino a tutto l'anno 2008, la Veneranda Fabbrica si vedrebbe costretta a ridurre drasticamente i cantieri compromettendo il futuro del Duomo, che accoglie ogni giorno più di 10.000 visitatori. Non si tratta quindi soltanto di un problema di Milano: l'indotto è internazionale così come vasto è l'interesse a mantenere uno dei luoghi di culto più importanti in Italia per fede, cultura e arte.
      L'articolo 2 autorizza la spesa annua di 800.000 euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013 per la realizzazione di interventi di conservazione, di restauro e di valorizzazione dell'area archeologica di Paestum. La programmazione e l'attuazione di tali interventi sono demandate alla Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta.
      È nota l'importanza del grande e suggestivo complesso archeologico di Paestum, costituito dai resti della ricca città della Magna Grecia fondata verso la fine del VII secolo avanti Cristo, con il nome di Poseidonia, da coloni greci provenienti da Sibari. La sua fioritura si colloca nel cuore del periodo classico, tra il VI e il V secolo, epoca alla quale risalgono i grandi templi ancor oggi ergentisi in prossimità del mare Tirreno.
      Nel V secolo la città fu conquistata dalle popolazioni lucane dell'entroterra, che le diedero il nome di Paistom, corrispondente al nome latino di Paestum con il quale, nel 273 avanti Cristo, divenne colonia romana di diritto latino.
      La città venne declinando fra il IV e il VII secolo della nostra era, probabilmente a causa di fenomeni d'impaludamento. Dopo le distruzioni portate dai saraceni nel IX secolo e dai normanni nell'XI, il sito
 

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fu abbandonato durante il medioevo, quando i suoi abitanti fondarono Capaccio.
      I tre grandi templi che caratterizzano il panorama di Paestum sono il tempio di Hera (il più antico, noto anche come la «basilica di Herathos»), il tempio cosiddetto di Nettuno e il tempio di Atena (già noto come tempio di Cerere): di stile dorico i primi due, misto dorico e ionico il terzo.
      Gli altri monumenti sono l'anfiteatro, il foro, il comitium, il tempio della Pace, la basilica (detta Curia) e l'anfiteatro romano. È altresì ancora visibile la cinta muraria con torri e quattro porte d'età romana. Fuori della cinta muraria sono state rinvenute varie necropoli.
      Il Museo archeologico nazionale di Paestum, inaugurato nel 1952, conserva un'importante collezione di materiale archeologico delle culture greca e lucana, tra cui gli importanti dipinti provenienti dalla Tomba del tuffatore (480-470 avanti Cristo).
      L'articolo 3 disciplina l'istituzione della «Fondazione del Museo nazionale di psichiatria del San Lazzaro di Reggio Emilia». Essa verrà promossa dal Ministero per i beni e le attività culturali, d'intesa con la regione Emilia-Romagna, con le province e i comuni di Modena e di Reggio Emilia e con gli altri comuni delle medesime province che deliberino di partecipare all'iniziativa, nonché con l'azienda sanitaria locale di Reggio Emilia.
      Lo scopo della Fondazione è la conservazione e la valorizzare del patrimonio architettonico, storico e documentale degli ex «Istituti psichiatrici San Lazzaro di Reggio Emilia» mediante l'istituzione di un museo e la promozione di ricerche sulla storia della psichiatria e degli istituti di cura.
      Alla Fondazione è concesso un contributo annuo di 1.100.000 euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013, oltre ai contributi che essa potrà ricevere da amministrazioni statali, regioni, enti locali e altri soggetti pubblici o privati.
      Nella città di Reggio Emilia, intorno a un'istituzione sociale, sviluppata dalla sensibilità degli Estensi del ducato di Modena, denominata «Istituti psichiatrici di San Lazzaro», si è stratificato nei secoli un singolare patrimonio di documentazione medica, di architettura sanitaria, di testimonianze umane, iconografiche, artistiche e artigianali, infine una struttura civile autonoma e distinta dall'organizzazione della vita della città, unica nel suo genere e per questo oggetto di attenzione, di studio e di ricerca di storici e di esperti, nelle scienze mediche e sociali, di ogni parte d'Europa e del mondo.
      Gli istituti manicomiali, sorti nella visione della separatezza e della segregazione del malato di mente dalla famiglia e dalla società fino alla riforma sanitaria, con la loro storia plurisecolare, sono rimasti integri nel loro aspetto architettonico complessivo, con i vetusti «padiglioni» di ricovero e contenzione dei malati, le officine, le cucine, le sedi dei servizi amministrativi, la chiesa, le strutture di ritrovo per conferenze e iniziative didattiche, scientifiche, culturali e ricreative, la biblioteca, la casa colonica, l'immensa area destinata a giardini, verde e parco.
      Nel loro interno è custodita una documentazione tecnico-scientifica e sociale di valore incommensurabile, rappresentata da:

          a) 13.500 volumi, molti dei quali integranti il «Fondo antico protetto», di eccezionale valore storico e bibliografico, del XVIII e XIX secolo, già biblioteca «Carlo Livi»;

          b) un'emeroteca specialistica di psichiatria, che raccoglie testi pubblicati negli ultimi due secoli, fra i quali la Rivista sperimentale di freniatria, curata dagli Istituti San Lazzaro, fondata nel 1875 e considerata la più importante rivista dell'epoca;

          c) una raccolta di oltre centomila cartelle cliniche, che contengono, a decorrere dal 1854, le analisi mediche, le terapie praticate e – documenti umani di valore inestimabile – le testimonianze scritte o semplicemente grafiche degli ammalati;

          d) tutta la documentazione archivistica relativa alla gestione degli Istituti;

 

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          e) un'imponente mole di documentazione iconografica, artistica e artigianale, connessa soprattutto alla cosiddetta «ergoterapia» e cioè all'attività lavorativa manuale e artistica dei malati;

          f) un'ampia raccolta di documentazione fotografica sulle attività degli Istituti, i sistemi di cura, i singoli ricoverati, gli arredi degli edifici, le manifestazioni pubbliche connesse alla funzione svolta;

          g) un archivio video composto da un insieme di più di cinquecento film e documentari sulla follia;

          h) un'imponente raccolta di oggetti di cura e di contenzione dei ricoverati, di arredi, compresi quelli dei laboratori scientifici, di strumenti di ricerca e di oggetti di uso comune per i malati;

          i) il complesso monumentale, composto da ben trentadue edifici vincolati dalla sovrintendenza ai beni ambientali e monumentali, oggi adibiti ad altre attività di carattere scolastico e universitario, oltre che di amministrazione dell'azienda sanitaria locale;

          l) la documentazione dell'attività svolta dai centri di igiene mentale dopo il superamento dell'istituzione manicomiale.

      Fin dagli anni ’70 dello scorso secolo si sono adottate iniziative per dare vita in questa sede a un museo che, per le sue dimensioni e per la complessità dei materiali a disposizione, opportunamente conservati, si ritiene possa assumere un valore nazionale.
      Tale museo avrà il compito di essere altresì un importante centro promotore di iniziative di ricerca e di studio sulle malattie mentali e, in collaborazione con le università, di formazione del personale occorrente per assicurare una migliore e sempre più qualificata attività di assistenza e di cura delle malattie mentali sul territorio, nonché un punto importante di riferimento e di confronto a livello europeo sullo studio e sulla cura delle malattie mentali e sul superamento dei manicomi.
      L'articolo 4 è volto alla conservazione della memoria degli eventi tragici di cui è testimonianza il Campo di concentramento di Fossoli, prevedendo che esso sia dichiarato monumento nazionale e assegnando alla Fondazione ex campo di Fossoli un contributo annuo di euro 300.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013, per interventi di recupero e conservazione del Campo di concentramento di Fossoli nonché per la promozione di attività di ricerca storica sulle diverse fasi di utilizzazione del Campo dall'anno 1942 all'anno 1970.
      Il Campo di Fossoli, a circa 6 chilometri da Carpi (Modena), fu istituito nel 1942, in pieno conflitto mondiale, e rimase attivo con diversi usi fino al 1970, quando ormai il boom economico aveva trasformato il volto dell'Italia. Esso racchiude nella sua lunga storia la complessità delle vicende che investirono il Novecento, vicende che hanno concentrato in quel sito una pluralità di memorie e che mantengono una traccia tangibile nelle strutture superstiti del Campo, ancora oggi visibili e percorribili.
      Il Campo di Fossoli nasce nell'estate del 1942 come campo per prigionieri militari dell'esercito nemico (PG 73) nel quadro delle convenzioni internazionali.
      Quando nel luglio cominciano ad arrivare i primi prigionieri, le baracche in muratura non sono ancora ultimate e nell'area che affaccia su via Remesina viene predisposto un campo attendato che raccoglie fino a 3.000 militari, in prevalenza soldati e sottufficiali inglesi, neozelandesi, africani e australiani. Al completamento della struttura (93 baracche nel Campo vecchio su via Grilli e 15 nel Campo nuovo su via Remesina), il numero dei prigionieri arriva fino a 5.000.
      Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, l'esercito tedesco occupa con durezza il Campo, disarma il presidio italiano e trasferisce i prigionieri nei campi di prigionia in Germania. Esso diviene allora il principale campo italiano di polizia e di transito per deportati politici e razziali: da qui, tra l'inverno del 1943 e l'estate del 1944, partirono oltre 2.843 ebrei (più di un terzo dei deportati ebrei italiani) e circa 3.000

 

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prigionieri politici diretti ai campi di concentramento e di sterminio nazisti. Come ricorda Primo Levi, «al momento del mio arrivo, e cioè alla fine di dicembre 1943, gli ebrei italiani nel campo erano centocinquanta circa, ma entro poche settimane il loro numero giunse a oltre seicento».
      Dal gennaio 1944, il Campo nuovo, su via Remesina, diventa Polizei-und Durchgangslager (Dulag 152), campo di polizia e di transito per oppositori politici ed ebrei gestito dal comando di polizia di sicurezza nazista con sede a Verona, presente nella gestione del Campo già da febbraio. Nel marzo del 1944 le competenze e l'amministrazione del Campo sono nel complesso definite. Il Campo vecchio, su via Grilli, assume la denominazione di campo di concentramento per internati civili ed è diretto dalla questura di Modena. In esso vengono rinchiusi anche per un breve periodo antifascisti, partigiani, genitori di renitenti alla leva, cittadini di nazionalità nemiche e detenuti comuni. Poco si conosce circa il modo in cui le autorità italiane gestivano quest'area del Campo che fu demolita nel 1946.
      Diversi carteggi e testimonianze ci restituiscono condizioni di vita che sembrano accettabili. Tuttavia, la disciplina interna diventa via via più dura; ai due episodi più clamorosi che avvengono nell'estate del 1944 – l'assassinio di Leopoldo Gasparotto, dirigente del Partito d'azione, e la strage del poligono di tiro Cibeno, dove furono assassinati 67 internati del Campo – vanno aggiunti i maltrattamenti e le violenze gratuite che sempre più frequentemente si abbattevano sui prigionieri.
      L'avanzata del fronte, il pericolo dei bombardamenti e l'intensificarsi della lotta partigiana rendono difficile il controllo e la sicurezza del Campo. Alla fine del luglio 1944 i comandi tedeschi ne decidono la chiusura e il trasferimento degli internati nel Lager di Gries, un sobborgo di Bolzano. Ma il Campo resta ancora sotto l'autorità tedesca che lo utilizza fino a novembre come campo di transito per trasferire forza lavoro nel Reich: Fossoli diventa uno dei principali centri italiani per lavoratori coatti – rastrellati, partigiani, oppositori – da cui si ipotizza siano transitate intorno alle 10.000 persone.
      Molti testimoni riferiscono che gli internati potevano contare sulla complicità di chi aveva accesso al Campo per sottrarre alla censura le lettere e per far giungere cibo, vestiario, pacchi e anche denaro. A queste persone, che sfidano le perquisizioni delle guardie, bisogna aggiungere chi fuori si adopera per procurare aiuti di ogni genere. In tal senso vanno segnalati l'impegno del vescovo Dalla Zanna, di sacerdoti e di associazioni cattoliche e l'attività assidua di don Venturelli, parroco di Fossoli, che ha cercato di soccorrere in ogni modo gli internati. In particolare, l'azione di soccorso della diocesi di Carpi diventa efficace verso i lavoratori coatti (agosto-novembre 1944), molti dei quali, dichiarati non idonei al lavoro, sono messi in libertà e vengono assistiti dalla diocesi stessa. In questo contesto Odoardo Focherini e don Dante Sala rappresentano le figure emergenti di quella rete e portano una testimonianza forte di solidarietà e di resistenza. Odoardo Focherini si era formato e aveva lungamente lavorato nell'associazionismo cattolico. Insieme all'amico don Sala organizza un'efficace rete di salvataggio che riuscirà a condurre in Svizzera oltre cento ebrei. Nonostante l'assoluta segretezza delle operazioni, don Dante Sala è arrestato, ma riesce a evitare la pena per insufficienza di prove. Diversa è la sorte di Focherini. Arrestato nel marzo del 1944, probabilmente per una delazione, è incarcerato a Bologna, successivamente internato a Fossoli, poi trasferito a Gries e quindi deportato a Flossenburg. Morirà nel dicembre 1944 nel sottocampo di Hersbruck. Entrambi hanno ottenuto dallo Yad Vashem di Gerusalemme (l'ente nazionale per la memoria della Shoah) il riconoscimento di «giusto tra le genti» e la medaglia.
      L'attività del Campo di Fossoli si prolunga ben oltre la conclusione del conflitto, fino agli anni settanta del secolo scorso, attraversa l'epoca della difficile transizione
 

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del dopoguerra e s'interseca con fenomeni cruciali della storia, non solo nazionale, di quegli anni.
      Il periodo sicuramente meno conosciuto è quello in cui fu centro di raccolta dei profughi (1945-1947). Scarsi sono i documenti relativi a quella gestione e molto labili le testimonianze. Sappiamo che una parte del Campo fu usata dalle forze di liberazione e di pubblica sicurezza come prigione per soldati nazisti, collaborazionisti e fascisti; successivamente le autorità alleate iniziarono a inviarvi gli «stranieri indesiderabili», una moltitudine di profughi con destini e storie individuali diversi e distanti, che le ragioni della guerra avevano costretto a vagare per l'Europa per poi concentrarsi nei centri di accoglienza, in precaria situazione igienica, condizioni climatiche rigide, sopraffazioni dei gruppi più numerosi (ex soldati tedeschi e ustascia croati) che rendevano difficile la vita a molti profughi, in particolar modo alle donne e ai bambini. Gli stessi abitanti del territorio vivevano come minaccia la presenza del centro.
      Quando il centro fu sgomberato, nelle strutture lasciate libere don Zeno Saltini trasferì la sua «Opera piccoli apostoli» fondando la comunità di Nomadelfia, alla ricerca di nuove forme di sostegno e tutela per i tanti orfani, grazie all'aiuto delle «mamme di vocazione», che accettavano come missione di accudire e crescere i bambini. In questa fase furono demoliti i segni più evidenti della reclusione che il Campo di Fossoli aveva mostrato per tutti quegli anni: muri, filo spinato, torrette di guardia e reticolati cadono sotto la spinta dei giovani guidati da don Zeno per fare spazio a orti, scuole e botteghe. Nella «città dove giustizia è legge», come definì Nomadelfia il suo fondatore, trovarono rifugio oltre 800 persone. L'esperienza si concluse nel 1953.
      L'anno successivo l'Opera assistenza profughi giuliano-dalmati prende in affitto l'area per destinarla ai profughi italiani provenienti dall'Istria: nasce il Villaggio San Marco. La vicenda del Villaggio San Marco, la fase più lunga di occupazione del Campo (1954-1970), è rimasta a lungo in un cono d'ombra, rimossa insieme al fenomeno dell'esodo giuliano dalla memoria collettiva e dall'indagine storiografica che solo recentemente ha cominciato a indagarne la storia. Le famiglie, che giungono a Carpi e trovano alloggio nelle strutture di un ex campo di concentramento dopo aver lasciato affetti e cose, incontrano la diffidenza e la chiusura che accompagnano esperienze analoghe. «Al nostro arrivo c’è chi non ha capito il senso del nostro dolore, del nostro disagio, tacciandoci con aggettivi che non riporto e che fiduciosi abbiamo dimenticato»: così racconta a distanza di tempo un istriano di Carpi. Nonostante le difficoltà, all'interno del campo si ricostituisce una particolare forma di vita comunitaria, un microcosmo autosufficiente: del campo si mantiene tuttavia la struttura chiusa, che rimarca la separazione, ma all'interno vi sono spazi verdi pubblici e privati, strutture ricreative, una scuola, esercizi commerciali e attività produttive. Le baracche dell'ex campo di concentramento prendono l'aspetto di abitazioni accettabili e gli interventi di adattamento delle strutture esistenti migliorano nel suo complesso il luogo e lo trasformano sempre più in vero e proprio villaggio, che arriva a ospitare fino a 400 abitanti. Nel 1970, quando le ultime famiglie giuliane hanno trovato sistemazione in un contesto abitativo stabile, il Villaggio San Marco è chiuso.
      Successivamente all'esperienza del Villaggio San Marco, il Campo di Fossoli resta in totale abbandono fino al 1984, quando il comune di Carpi ne diviene proprietario.
      In questi ultimi anni la Fondazione ex campo di Fossoli – costituita nel gennaio 1996 dal comune di Carpi e dall'associazione Amici del Museo monumento al deportato – si è impegnata tenacemente in attività di ricerca e di documentazione. Le numerose attività didattiche svolte ogni anno con i giovani e le visite sempre più numerose ci danno conferma della funzione culturale, pedagogica e civile che i luoghi originari, teatro di eventi tragici, possono esercitare: con la loro concretezza testimoniano del passato, ma gettano un ponte
 

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tra l’«allora» e l’«adesso», ci testimoniano che la storia non è lontana o fuori di noi, ma è qui vicino e ha lasciato tracce ancora visibili. Per questo è indispensabile preservarne le strutture ancora visitabili dal preoccupante deterioramento prodotto dal tempo e contemporaneamente lavorare perché la ricerca storico-documentaria e l'azione pedagogica sappiano ricostruire con precisione le tante storie che il luogo contiene e perché vengano riconosciute le memorie plurime cui rimandano.
      L'articolo 5 autorizza la spesa annua di euro 500 mila per ciascuno degli anni 2012 e 2013 per la realizzazione di interventi di recupero, di restauro e di valorizzazione, anche mediante lo sviluppo di connesse attività agricole e artigianali, del complesso monastico di San Giovanni Battista del Monte Venda e del suo patrimonio storico, architettonico, artistico, culturale e religioso, nonché per il censimento e l'inventario del materiale documentario e librario già appartenente all'antica biblioteca del monastero. Tali interventi sono realizzati sulla base di un programma predisposto dalla Fondazione Monte Venda ONLUS e approvato dal Ministero per i beni e le attività culturali, sentito il parere della competente soprintendenza. La suddetta Fondazione trasmette al Ministero per i beni e le attività culturali, per il tramite della competente soprintendenza, una relazione annuale sui lavori svolti nell'anno precedente, asseverata dal direttore dei lavori medesimi, e sull'impiego del relativo finanziamento.
      A poca distanza dalla città di Padova, il complesso vulcanico dei Colli euganei, è dominato al suo centro dal Monte Venda, l'unica vera montagna tra l'Appennino emiliano e i contrafforti alpini, che per questo motivo, attraverso due millenni di storia, ha costituito sede di culto fin dai primordi dell'epoca paleo-veneta, successivamente in quella romana e, poi, in età medievale.
      Secondo i documenti più antichi – il primo dei quali è un lascito testamentario risalente al 3 aprile 1197 – verso l'anno 1100 un monaco benedettino della basilica padovana di Santa Giustina, Adamo da Torreglia, salì sul Monte Venda assieme ad un mite soldato per fondarvi un ascetico romitaggio. In un documento tardo-medievale dell'anno 1427 – riscoperto negli anni ’50 dello scorso secolo grazie ai preziosi studi di un cattedratico dell'ateneo padovano, il professor Paolo Sambin – il vescovo padovano Pietro Marcello narra la storia della fondazione del monastero intrecciandola al più vasto scenario della lotta tra Papato e Impero, sviluppatasi nel ventennio tra il 1160 e il 1180 tra il Pontefice Alessandro III e l'Imperatore Federico Barbarossa. La fama di santità del monaco Adamo attirò sulla cima del Monte Venda altri eremiti, tra i quali il monaco Villano da Maserà – proveniente anch'egli dalla stessa abbazia di Santa Giustina – che costruì, presso la caverna che ospitava le venerate spoglie del primo eremita, una prima rustica chiesetta dedicata all'arcangelo Michele, poi consacrata dal vescovo di Padova Gerardo degli Offreducci agli inizi del 1200, a testimonianza del legame che sempre avrebbe unito, fin dai primordi, Padova e il territorio euganeo al monastero del Monte Venda.
      Nel 1209 l'abate di Santa Giustina Stefano da Tremignon e il presbitero Alberigo da Boccon edificarono la chiesa, da cui si sarebbe poi sviluppato il monastero, che venne solennemente consacrata dal vescovo di Padova Giordano con l'intitolazione a San Giovanni Battista in quanto – dice il racconto tardo-medievale – venne lì collocata la preziosa reliquia del dito indice del santo, donata dal vescovo di Padova Giordano tra il 1214 e il 1228, rimasta nel monastero fino alla sua soppressione, e poi traslata nel duomo di Padova ove è conservata tuttora.
      Divenuto uno dei maggiori centri di spiritualità del Padovano, di estensione notevole e con proprietà derivanti dai lasciti in tutti i Colli euganei, il monastero del Venda ebbe infatti a subire le conseguenze delle prime norme restrittive della vita religiosa, attuate nel territorio veneto, nel pieno dell'epoca illuminista, nella seconda metà del Settecento. Il monastero fu
 

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soppresso nel 1771 con decreto del Senato veneziano, che disponeva la chiusura di tutti i monasteri aventi meno di dodici monaci nazionali.
      Il monastero venne confiscato, i monaci cacciati e il complesso finì quindi venduto all'asta il 26 maggio 1772. Acquirente, per la somma di 68.000 ducati, fu il patrizio veneto Nicolò I Erizzo. Successivamente, il monastero e il circondario divennero proprietà dei conti Maniscalchi di Verona e poi, per via di eredità, dei conti Giusti del Giardino, anch'essi veronesi.
      I nuovi proprietari diedero in affitto a mezzadria i fondi agricoli e i boschi, disinteressandosi dell'edificio monastico a motivo della scomoda posizione in cui sorgeva e per il fatto che non rivestiva alcun interesse, mancando la possibilità di un suo diverso utilizzo.
      Provvidenzialmente, lo stato di abbandono consentì il ritorno di alcuni monaci eremiti. Nel XIX secolo la tradizione ricorda ancora, tra gli altri, padre Elia da Marsiglia e padre Marcel da Tolosa, mentre i padri Cosimo e Massimo risultano gli ultimi monaci a lasciare definitivamente il monastero, per lo stato di estremo degrado in cui versava, alla fine del mese di agosto del 1916.
      Sebbene definitivamente abbandonato e in avanzata rovina, il monastero del Venda ha continuato a mantenere intatto, in modo un po’ misterioso, il suo legame con Padova e con il territorio euganeo, così come testimoniato dal persistere di numerose tradizioni e consuetudini.
      Fino agli anni ’50 del passato secolo, gli abitanti di Boccon di Vo’, alle pendici del Venda, usavano ancora portare i morti fino alle rovine del monastero perché venisse qui impartita l'estrema benedizione, mentre risale a qualche decennio più tardi, per opera di privati, l'ultimo tentativo d'intervento conservativo per il consolidamento delle superstiti opere murarie e della torre campanaria.
      Ai giorni nostri, il richiamo del Venda non è cessato ma si è anzi arricchito a seguito della creazione di un tracciato naturalistico che riproduce parzialmente, per un certo tratto, il vecchio percorso, e che trova il suo apice proprio tra le rovine del monastero, consentendo ad un gran numero di persone di raggiungere la sommità del Venda, in particolare per le due festività di San Giovanni in giugno e in agosto.
      I luoghi si presentano oggi in stato di massimo degrado. Sussistono i muri perimetrali della chiesa, la torre campanaria e, parzialmente, i tracciati dei chiostri.
      L'area – ubicata in un ambito boschivo non particolarmente curato e attigua ad un comprensorio dismesso dell'Aeronautica militare – è di proprietà di un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale avente la natura giuridica di fondazione, regolarmente iscritta nel registro delle persone giuridiche presso la prefettura di Padova, risultando le finalità statutarie in accordo con i requisiti fissati dalla legge in quanto diretta al raggiungimento di finalità socialmente utili.
      La Fondazione Monte Venda ONLUS, atteso l'estremo valore storico e artistico e il legame millenario, di fatto mai cessato, con il territorio, intende recuperare integralmente il complesso monastico di San Giovanni Battista del Venda mediante la ricostruzione, per fasi successive, delle antiche strutture, nel rispetto dei vincoli artistici e architettonici nonché dei criteri fissati dalla competente soprintendenza.
      Il progetto della suddetta Fondazione prevede il restauro e il risanamento conservativo del manufatto attraverso un intervento articolato in tre fasi. Si procederà inizialmente alla realizzazione del primo lotto, riguardante la chiesa, la cripta e la torre campanaria, successivamente a quella del secondo lotto, comprendente i due chiostri del monastero, e del terzo, concernente l'annesso rustico, gli orti e le pertinenze. Il tempo di realizzazione preventivato è di trentasei mesi. Il presente articolo tende dunque a favorire la realizzazione di quest'iniziativa di recupero e di valorizzazione di un luogo che, nella stretta connessione esistente con Padova, il suo territorio, le sue gerarchie civili e religiose, può tornare a svolgere un eminente ruolo culturale e divenire centro di sviluppo economico e turistico.
 

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      L'articolo 6 autorizza la spesa annua di euro 500 mila per ciascuno degli anni 2012 e 2013 per la realizzazione di interventi di conservazione e di restauro degli edifici del Sacro Eremo e del Cenobio di Camaldoli, di adeguamento alla normativa vigente in materia di sicurezza e di abbattimento delle barriere architettoniche, di conservazione e di restauro delle opere d'arte e dei fondi antichi della biblioteca e dell'archivio, nonché per iniziative di valorizzazione culturale, ambientale e turistica del medesimo complesso monastico-eremitico. A questo fine, presso il Ministero per i beni e le attività culturali, viene istituito un apposito comitato, al quale è altresì attribuito il compito di adottare il programma scientifico-culturale per la celebrazione del millenario della fondazione di Camaldoli nell'anno 2012.
      L'Eremo e il Cenobio di Camaldoli, ubicati nel comune di Poppi in provincia di Arezzo, costituiscono, al principio del secolo XI, in forza della loro origine legata all'opera riformatrice di san Romualdo di Ravenna (952-1017), la sintesi tra il cenobitismo benedettino latino e la tradizione anacoretica dei padri del vicino oriente. Essi sorgono sul crinale appenninico tosco-romagnolo, nel cuore del Parco nazionale delle foreste casentinesi, Monte Falterona e Campigna. Al fine di non turbare la solitudine eremitica e garantire l'ospitalità cara alla tradizione benedettina, l'Eremo e il Monastero di Camaldoli furono collocati a 3 chilometri di distanza l'uno dall'altro pur formando un'unica comunità monastica.
      La fondazione di Camaldoli avvenne nel 1012 per iniziativa di san Romualdo, a seguito della donazione del terreno da parte di un nobile casentinese di nome Maldolo, da cui deriva lo stesso nome di Camaldoli (Campus Malduli): la vicenda è narrata nelle costituzioni redatte dal quarto successore di san Romualdo, il beato Rodolfo (1074-1088), recentemente pubblicate nell'Edizione nazionale dei testi mediolatini dallo studioso Pierluigi Licciardello.
      La prima chiesa dell'Eremo di Camaldoli, intitolata a san Salvatore, fu consacrata nel 1027 dal vescovo Teodaldo dei conti di Canossa, a due mesi dalla morte di san Romualdo. Fu ristrutturata e di nuovo consacrata nel 1220 da Ugolino dei conti di Segni, poi eletto al soglio pontificio con il nome di Gregorio IX, alla presenza di san Francesco, proveniente dalla vicina Verna. La chiesa fu trasformata nel secolo XVIII in stile barocco. Il complesso monumentale dell'Eremo è costituito da venti celle eremitiche e da due grandi corpi che ospitano il refettorio monumentale e le foresterie. Le celle dell'Eremo furono realizzate grazie alla munificenza di grandi famiglie: i Medici a cui si deve la cella di san Giovanni Battista (secolo XVI); i Farnese a cui si deve la cella dell'Immacolata concezione (1620), la biblioteca monumentale (1622), e la cella di santa Maria Maddalena (secolo XVII), che custodiva un paliotto del Carracci; i Corsini a cui si deve la cella di sant'Andrea Corsini (1741); i Ricasoli a cui si deve la cella di san Francesco (secolo XVII); i della Rovere a cui si deve la cella di santa Maria di Loreto. Infine la cella fatta costruire dalla famiglia Pichi fu abitata da san Carlo Borromeo.
      Intitolata a san Donato, patrono di Arezzo, la prima chiesa del Cenobio di Camaldoli, collegata all'Eremo nella speciale forma di organizzazione della congregazione romualdina, fu consacrata dal vescovo Teodaldo nel 1033 ed è stata più volte ricostruita tra il secolo XIII e il secolo XVIII. Nel secolo XV la chiesa fu affrescata da Spinello Aretino con scene dalla vita di san Romualdo. Nel XVI secolo fu ricostruita dalle fondamenta dall'allora priore generale Pietro Dolfin, su modello della chiesa veneziana del monastero camaldolese di San Michele di Murano. Le parti pittoriche furono affidate a Giorgio Vasari e sono ancora oggi visibili. Il Monastero di Camaldoli ospitava fin dai suoi inizi un importante ospedale, oggi foresteria, a cui era collegata un'antica farmacia di cui si hanno notizie dal 1044.
      A un secolo dalla fondazione, il 4 novembre 1113, Papa Pasquale II riconosceva Camaldoli come caput et mater di un'estesa congregazione, che contava ventotto
 

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monasteri e quattro eremi, ubicati nel centro Italia (Toscana e Romagna) e in Sardegna (Santa Trinità di Saccargia).
      Il complesso monastico-eremitico di Camaldoli nel corso dei secoli si è arricchito di molte opere d'arte di epoche diverse: edifici, affreschi, quadri, parati liturgici, oggetti preziosi e opere a stampa, tutti tesori che meritano l'attenzione dello Stato e che necessitano della giusta conservazione.
      L'archivio di Camaldoli conserva attualmente 1.791 pergamene dall'XI al XVIII secolo, 1.821 volumi dal XIII al XX secolo, 166 cassette dal XVI al XX secolo.
      Tra i codici conservati presso la biblioteca di Camaldoli si trova il cosiddetto «salterio di san Romualdo» databile tra la fine del IX e il principio del X secolo. Il fondo archivistico e manoscritto del Monastero di San Michele di Murano conservato presso Camaldoli contiene un manoscritto di Raimondo Lullo (XV secolo), il «Libellus ad Leonem decimum» del Giustiniani. La biblioteca monumentale conserva inoltre 21 incunaboli tra cui la traduzione latina delle fiabe di Esopo di Lorenzo Valla (1494), la traduzione in lingua volgare della «Legenda aurea» di Iacopo da Varazze realizzata da Niccolò Malermi (1476), la «Catena aurea» e il commento di san Tommaso ai «Politicorum libri» di Aristotele, il «De civitate Dei» di sant'Agostino del 1479 e il «Decretum» di Graziano. Conserva anche rare edizioni del 1500, la «Biblia Regia», il «Codex» di Giustiniano, la prima stampa del vocabolario Calepino (1502), il salterio poliglotta stampato a Genova da Agostino Giustiniani nel 1512, la «Divina Commedia» stampata da Aldo Manuzio nel 1502 glossata da un autore coevo, il «De historia avium» di Aldovrandini e il «De re metallica» di Agricola nella versione in lingua italiana. Si conserva integra la Biblioteca della Spezieria, composta da oltre duecento volumi tra cui erbari dei secoli XVI-XVIII (l'erbario di Mattioli del 1604 e le «Institutiones rei herbariae» di P. Tournefort, 1719) e libri di chirurgia.
      Oltre a parati e arredi di notevole pregio databili tra il XVII e il XIX secolo, l'Eremo e il Monastero di Camaldoli conservano numerose opere pittoriche di interesse artistico. Sei grandi tavole del Vasari (deposizione, natività, Madonna in trono con santi, san Romualdo e san Benedetto, san Donato e sant'Ilarino, i sacrifici dell'antico e del nuovo Testamento), una Madonna con bambino su tavola della bottega del Verrocchio, una Madonna di Domenico Dolce, il bozzetto del sogno di san Romualdo del Sacchi (la tela si trova presso la Pinacoteca vaticana) e una terracotta dei della Robbia. L'antica farmacia conserva intatto il suo corredo composto da 900 pezzi tra vasi di ceramica (delle migliori botteghe italiane, Montelupo Fiorentino, Deruta, Faenza e Ginori) e vetri contenenti ancora le sostanze, databili tra il XVI e il XIX secolo.
      La foresteria del Monastero di Camaldoli, dalla funzione ospedaliera con cui era sorta, si sviluppò come centro culturale. Dapprima fu infatti il centro di un cenacolo umanistico al quale riportano le «Disputationes Camaldulenses», che espongono in forma di dialogo le discussioni che si tenevano a Camaldoli tra Lorenzo de’ Medici, Leon Battista Alberti, Marsilio Ficino, Pietro e Donato Acciaioli sulla vita contemplativa e attiva. Nel XVI secolo, sotto il priorato del veneziano Pietro Dolfin, vissero come monaci a Camaldoli i due umanisti Paolo Giustiniani (1476-1528) e Pietro Quirini (1479-1514). Dopo le soppressioni del 1866, che vide trasformare i suoi locali in albergo per il corpo diplomatico accreditato presso il giovane Regno d'Italia, nel 1934 la foresteria, recuperata all'uso monastico, fu inaugurata dal cardinale Elia Della Costa, arcivescovo di Firenze, e nell'estate dello stesso anno ebbero inizio le settimane teologiche dei giovani laureati cattolici e poi della Federazione universitari cattolici italiani (FUCI), di cui era assistente ecclesiastico monsignor Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. Durante una delle settimane di formazione teologica per laici, tenutasi a Camaldoli il 18-24 luglio 1943, una trentina di giovani aderenti all'Istituto cattolico di attività sociale, sotto la guida di monsignor Adriano Bernareggi,
 

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vescovo di Bergamo, redasse a Camaldoli un testo sulle prospettive democratiche dell'Italia post-bellica, chiamato successivamente «Codice di Camaldoli». Tra i collaboratori a vario titolo alla stesura del testo si ricordano: Giulio Andreotti, Aurelia Bobbio, Vittore Branca, Giuseppe Capograssi, Franco Feroldi, Mario Ferrari Aggradi, Guido Gonella, Giorgio La Pira, Giuseppe Medici, Aldo Moro, Ferruccio Pergolesi, Paolo Emilio Taviani e Guido Zappa; al coordinamento del lavoro provvidero Pasquale Saraceno e Sergio Paronetto.
      L'articolo 7 autorizza la spesa annua di 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013 per la realizzazione di interventi di restauro e di valorizzazione architettonica, culturale, paesaggistica e turistica della Rocca di Canossa e dei territori matildici, nonché per la celebrazione, nell'anno 2015, del nono centenario della morte della contessa Matilde di Toscana mediante iniziative di studio sulla sua figura e sui luoghi e territori matildici.
      A questo fine è istituito un comitato, che adotta altresì il programma scientifico-culturale per la celebrazione del nono centenario della morte della contessa Matilde di Toscana nell'anno 2015.
      È nota l'importanza delle vicende storiche connesse alla rocca di Canossa e alla figura della contessa Matilde di Toscana.
      La rocca s'innalza isolata sulla sommità di un'alta rupe rocciosa che domina la Pianura padana, quasi al centro di una vasta distesa di colli situati nell'angolo nord-occidentale della provincia di Reggio Emilia. Il monumento domina un contesto paesaggistico di grande bellezza, che si proietta su un ampio tratto della Pianura padana, caratterizzato da spettacolari anfiteatri calanchivi e aspre rupi vulcaniche e da una suggestiva serie di borghi di origine medievale; tale contesto, in virtù di queste sue peculiarità, è sottoposto a specifica tutela del Ministero per i beni e le attività culturali. La zona è facilmente raggiungibile, essendo servita da un'efficace viabilità, che collega direttamente l'Autostrada del sole con la Val d'Enza, proiettandola direttamente nel contesto turistico-culturale europeo. La Rupe di Canossa è interamente costituita da roccia arenacea particolarmente esposta all'azione demolitrice esercitata dagli agenti atmosferici, fenomeno che negli ultimi decenni si è notevolmente aggravato a causa dell'aumentato potere aggressivo delle piogge. Tutto ciò ha causato il distacco di massi e il principio di dissesti che, qualora non rapidamente affrontati, potranno condurre nel volgere di pochi lustri a un irreversibile dissesto della Rupe, del castello e, conseguentemente, del grande messaggio etico-culturale insito in questo luogo.
      Il 28 gennaio 1077, a Canossa, re Enrico IV ottenne udienza e perdono dal Pontefice Gregorio VII con la mediazione di una grande donna, Matilde di Canossa, cugina del sovrano e alleata del Pontefice. L'immagine del re inginocchiato nella neve di quel duro inverno alle porte del castello di Canossa, residenza di Matilde, sull'Appennino reggiano, tramandata nei secoli resta il simbolo di quell'evento.
      La figura di Matilde di Canossa domina la storia di quel secolo. Affronta con coraggio gravi vicende politiche e militari. Governa per quarant'anni uno Stato di grandi dimensioni che si estendeva dalle Prealpi bresciane al Lazio settentrionale. È stata attratta dalla vita contemplativa, come testimoniano le parole di Anselmo di Aosta. Guerriera e sola, la sua storia è parte importante della costruzione dell'Europa e la sua vicenda è emblematica del ruolo svolto dalle donne nella storia dell'occidente europeo. Morì a san Benedetto Po nel luglio dell'anno 1115. Nel 1644, cinque secoli dopo, le sue spoglie furono traslate da Castel Sant'Angelo nella Basilica di San Pietro a Roma dove tuttora giacciono. Siamo alla vigilia, dunque, del nono centenario della sua morte (2015), che il nostro Paese dovrebbe adeguatamente celebrare valorizzando la sua figura non solo nella storia dell'Italia, ma nell'edificazione della storia moderna e dell'identità culturale dell'Europa.
      Dietrich Bonhoeffer, il pastore protestante impiccato a Flossenburg il 9 aprile 1945, in una delle sue lettere al suo amico Eberhard Bethge,
 

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pastore protestante in servizio nell'esercito tedesco in Italia, nel novembre 1944 fermo a san Polo in provincia di Reggio Emilia ai piedi della rupe di Canossa, così ricordava l'evento di Canossa: «Sia che si debba considerare l'andata [a Canossa] di Enrico IV un atto sincero oppure diplomatico, la sua immagine nel gennaio 1077 resta indimenticabile e incancellabile per lo spirito dei popoli europei. È più significativa del concordato di Worms del 1122, che ha concluso formalmente il contrasto nei medesimi termini. Noi tutti a scuola abbiamo imparato a considerare questi grandi conflitti come una calamità per l'Europa. Ma in realtà in essi si nasconde l'origine di quella libertà spirituale che ha fatto grande questo continente» (Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, Brescia, ed. Queriniana, 2002).
      Accanto alla valorizzazione della figura di Matilde è quanto mai opportuno operare per la salvaguardia e la valorizzazione culturale, ambientale e turistica dei luoghi e dei territori matildici.
      Le terre matildiche, che comprendevano le brume nebbiose della bassa valle del Po, le città della pianura e la dorsale dell'Appennino, si caratterizzavano per la presenza di un poderoso sistema fortificato costituito da castelli, numerose pievi e molte case a torre. Quel paesaggio, simbolo di un sistema politico, sociale e religioso, ci ha consegnato preziose eredità di quel periodo che è necessario consolidare perché esso sia consegnato ai posteri.
      Il Castello di Canossa, sede di un museo nazionale e patrimonio diretto dello Stato italiano, rappresenta quindi il centro di un territorio dove è scolpita la storia che ha avviato la transizione tra l'Europa medievale e l'Europa moderna, nel quale il carisma della contessa Matilde ha modellato quasi a sua immagine e somiglianza un paesaggio, quello dell'Appennino reggiano, che ancora oggi mostra con orgoglio i mille segni del suo passaggio. In tale territorio, che è stato al centro della storia dell'Europa medievale con il transito di grandi personaggi, da Papa Gregorio VII, agli Imperatori Enrico IV ed Enrico V e a san Francesco, si coniugano natura e spettacolo, storia e cultura, economia e ambiente e, ancora oggi, è presente una forte tradizione culturale radicata nella memoria e nell'identità stessa delle comunità locali. Il Castello di Canossa costituisce, inoltre, il nucleo principale di uno scacchiere difensivo – certamente unico in Europa per il periodo compreso tra il X e il XII secolo – realizzato per assicurare il controllo delle vie di comunicazione padane e transappenniniche e che ha rappresentato l'indispensabile supporto militare per il Papato durante l'intero periodo della lotta per le investiture che lo videro contrapposto, insieme alla contessa Matilde di Toscana, all'Imperatore Enrico IV.
      L'articolo 8 prevede la copertura finanziaria del provvedimento, al cui onere complessivo, pari a euro 9.800.000 annui per ciascuno degli anni 2012 e 2013, si provvede mediante le disponibilità del fondo speciale di parte corrente per i medesimi anni.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Interventi per la manutenzione e la conservazione del Duomo di Milano).

      1. Per la realizzazione di interventi di manutenzione e conservazione dell'edificio del Duomo di Milano e delle sue pertinenze è autorizzata la spesa annua di 4.600.000 euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
      2. Gli interventi di cui al comma 1 sono attuati dalla Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano sulla base di un programma che essa comunica al Ministero per i beni e le attività culturali per il tramite della competente soprintendenza. Nello stesso modo sono comunicati gli eventuali successivi aggiornamenti del programma.
      3. La Veneranda Fabbrica del Duomo di Milano trasmette al Ministero per i beni e le attività culturali, per il tramite della competente soprintendenza, entro il 31 marzo di ciascun anno, una relazione sugli interventi realizzati nell'anno precedente e sull'impiego del relativo finanziamento di cui al comma 1.

Art. 2.
(Interventi per la conservazione, il restauro e la valorizzazione dell'area archeologica di Paestum).

      1. Per la realizzazione di interventi di conservazione, di restauro e di valorizzazione dell'area archeologica di Paestum è autorizzata la spesa annua di 800.000 euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
      2. Gli interventi di cui al comma 1 sono attuati dalla Soprintendenza per i beni archeologici delle province di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta sulla base di un programma da essa predisposto.

 

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Art. 3.
(Istituzione della Fondazione del Museo nazionale di psichiatria del san Lazzaro di Reggio Emilia, per la conservazione e la valorizzazione degli ex Istituti psichiatrici San Lazzaro di Reggio Emilia).

      1. Il Ministero per i beni e le attività culturali, d'intesa con la regione Emilia-Romagna, con le province e i comuni di Modena e di Reggio Emilia e con gli altri comuni delle medesime province che deliberino di partecipare all'iniziativa, nonché con l'azienda sanitaria locale di Reggio Emilia, promuove l'istituzione della «Fondazione del Museo nazionale di psichiatria del san Lazzaro di Reggio Emilia», di seguito denominata «Fondazione», con sede in Reggio Emilia.
      2. Lo scopo della Fondazione è la conservazione e la valorizzazione del patrimonio architettonico, storico e documentario degli ex «Istituti psichiatrici San Lazzaro di Reggio Emilia». In particolare essa:

          a) realizza una struttura museale per la conservazione e la fruizione pubblica del patrimonio storico e documentario degli «Istituti psichiatrici San Lazzaro di Reggio Emilia», costituito dalla biblioteca, dall'archivio, dagli strumenti di contenzione e di terapia, dai laboratori scientifici e iconografici, dai manufatti, dall'archivio video, fotografico e iconografico relativo agli ex ricoverati;

          b) promuove e cura ricerche, pubblicazioni e iniziative culturali relative alla storia della psichiatria e degli istituti di cura, per gli aspetti sia scientifici sia sociali, nonché al loro rapporto con le comunità locali.

      3. Il patrimonio della Fondazione è costituito da un importo di euro 600.000, ricavato dalla prima annualità del contributo previsto dal comma 7, nonché dalle somme e dai beni conferiti dai soggetti di cui al comma 1, determinati dall'atto costitutivo.

 

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      4. La Fondazione ha personalità giuridica di diritto privato ed è disciplinata dalle disposizioni degli articoli 12 e seguenti del codice civile, del presente articolo, nonché dall'atto costitutivo e dallo statuto.
      5. Lo statuto definisce gli organi della Fondazione, tra i quali devono essere compresi:

          a) l'assemblea;

          b) il presidente;

          c) il consiglio di amministrazione;

          d) il collegio dei revisori dei conti.

      6. Lo statuto definisce altresì le funzioni, la composizione e le modalità di nomina degli organi della Fondazione.
      7. Alla Fondazione è concesso un contributo annuo di 1.100.000 euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013. La Fondazione può ricevere altresì contributi da amministrazioni statali, regioni, enti locali e altri soggetti pubblici o privati.

Art. 4.
(Dichiarazione di monumento nazionale del Campo di concentramento di Fossoli e contributo in favore della Fondazione ex campo di Fossoli).

      1. Il Campo di concentramento di Fossoli è dichiarato monumento nazionale.
      2. Alla Fondazione ex campo di Fossoli è assegnato un contributo annuo di euro 300.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013, per interventi di recupero e conservazione del Campo di concentramento di Fossoli nonché per la promozione di attività di ricerca storica sulle diverse fasi di utilizzazione del Campo dall'anno 1942 all'anno 1970.

Art. 5.
(Interventi per il recupero e la valorizzazione del complesso monastico di san Giovanni Battista del Monte Venda).

      1. Per la realizzazione di interventi di recupero, di restauro e di valorizzazione,

 

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anche mediante lo sviluppo di connesse attività agricole e artigianali, del complesso monastico di san Giovanni Battista del Monte Venda e del suo patrimonio storico, architettonico, artistico, culturale e religioso, nonché per il censimento e l'inventario del materiale documentario e librario già appartenente all'antica biblioteca del monastero, è autorizzata la spesa annua di euro 500.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
      2. Gli interventi di cui al comma 1 sono realizzati sulla base di un programma predisposto dalla Fondazione Monte Venda ONLUS e approvato dal Ministero per i beni e le attività culturali, sentito il parere della competente soprintendenza. Nello stesso modo sono approvati gli eventuali successivi aggiornamenti del programma.
      3. La Fondazione Monte Venda ONLUS cura l'attuazione degli interventi approvati ai sensi del comma 2 e trasmette al Ministero per i beni e le attività culturali, per il tramite della competente soprintendenza, entro il 31 marzo di ciascun anno, una relazione sui lavori svolti nell'anno precedente, asseverata dal direttore dei lavori medesimi, nonché sullo stato di avanzamento della realizzazione del programma e sull'impiego del relativo finanziamento.

Art. 6.
(Interventi per la conservazione e il restauro dell'Eremo e del Cenobio di Camaldoli, nonché per la celebrazione del millenario della loro fondazione).

      1. Per la realizzazione di interventi di conservazione e di restauro degli edifici del Sacro Eremo e del Cenobio di Camaldoli, di adeguamento alla normativa vigente in materia di sicurezza e di abbattimento delle barriere architettoniche, di conservazione e di restauro delle opere d'arte e dei fondi antichi della biblioteca e dell'archivio, nonché per iniziative di valorizzazione culturale, ambientale e turistica del medesimo complesso monastico-eremitico,

 

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è autorizzata la spesa annua di euro 500.000 per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
      2. È istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali il comitato per gli interventi relativi all'Eremo e al Cenobio di Camaldoli, composto:

          a) dal presidente, designato dal Presidente del Consiglio dei ministri tra soggetti aventi comprovata esperienza nel campo della valorizzazione dei beni culturali;

          b) da tre rappresentanti, rispettivamente, del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per il turismo;

          c) da un rappresentante della regione Toscana;

          d) da un rappresentante della provincia di Arezzo;

          e) dal sindaco del comune di Poppi o suo delegato;

          f) dal Priore generale della Congregazione camaldolese dell'Ordine di san Benedetto o suo delegato;

          g) da due esperti nel settore della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, scelti dal Ministro per i beni e le attività culturali tra docenti e ricercatori universitari.

      3. Il comitato di cui al comma 2 adotta il programma per la realizzazione degli interventi di cui al comma 1 e i suoi eventuali successivi aggiornamenti, che comunica al Ministero per i beni e le attività culturali, e ne cura l'esecuzione.
      4. Il comitato di cui al comma 2 adotta altresì il programma scientifico-culturale per la celebrazione del millenario della fondazione dell'Eremo e del Cenobio di Camaldoli nell'anno 2012, lo comunica al Ministero per i beni e le attività culturali e ne cura l'esecuzione. A questo fine, esso è integrato da due esperti nelle discipline storiche e letterarie, scelti dal Ministro per

 

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i beni e le attività culturali tra docenti e ricercatori universitari.
      5. I componenti del comitato di cui al comma 2 sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Ad essi non spettano compensi o rimborsi di spese. Alle spese eventualmente necessarie per il funzionamento del comitato si provvede nell'ambito dello stanziamento di cui al comma 1. Il comitato è sciolto all'atto del completamento degli interventi di cui al presente articolo.
      6. Per la realizzazione degli interventi di cui al presente articolo, il comitato di cui al comma 2 può altresì utilizzare le risorse eventualmente conferite ad esso da amministrazioni statali, dalla regione Toscana, dagli enti locali e da altri soggetti pubblici o privati.

Art. 7.
(Interventi per la valorizzazione culturale, ambientale, turistica e architettonica della Rocca di Canossa e per la celebrazione del nono centenario della morte della contessa Matilde di Toscana).

      1. Per la realizzazione di interventi di restauro e di valorizzazione architettonica, culturale, paesaggistica e turistica della Rocca di Canossa e dei territori matildici, nonché per la celebrazione, nell'anno 2015, del nono centenario della morte della contessa Matilde di Toscana mediante iniziative di studio sulla sua figura e sui luoghi e territori matildici, è autorizzata la spesa annua di euro 2 milioni per ciascuno degli anni 2012 e 2013.
      2. Ai fini del presente articolo si intendono come territori matildici il territorio a nord del fiume Po tra i fiumi Adda e Mincio e il lago d'Iseo, le aree situate lungo il corso del fiume Po dalle confluenze dei fiumi Adda e Taro fino alle valli di Comacchio, i territori a sud del fiume Po compresi fra i fiumi Taro e Reno nell'Emilia, il monte Cimino a sud, la costa tirrenica a ovest e la dorsale dell'Appennino tosco-emiliano a est.

 

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      3. È istituito presso il Ministero per i beni e le attività culturali il comitato per gli interventi relativi alla Rocca di Canossa e ai territori matildici, composto:

          a) dal presidente, designato dal Presidente del Consiglio dei ministri tra soggetti aventi comprovata esperienza nel campo della valorizzazione dei beni culturali;

          b) da quattro rappresentanti, rispettivamente, del Ministero per i beni e le attività culturali, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per il turismo;

          c) da quattro rappresentanti, rispettivamente, delle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio;

          d) da un rappresentante della provincia di Reggio Emilia;

          e) dal sindaco del comune di Canossa o suo delegato;

          f) da due esperti nel settore della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, scelti dal Ministro per i beni e le attività culturali tra docenti e ricercatori universitari.

      4. Il comitato di cui al comma 3 adotta il programma per la realizzazione degli interventi di cui al comma 1 e i suoi eventuali successivi aggiornamenti, che comunica al Ministero per i beni e le attività culturali, e ne cura l'esecuzione. Il Ministero per i beni e le attività culturali definisce con le regioni interessate, attraverso specifici accordi di programma quadro, il piano esecutivo degli interventi.
      5. Il comitato di cui al comma 3 adotta altresì il programma scientifico-culturale per la celebrazione del nono centenario della morte della contessa Matilde di Toscana nell'anno 2015, lo comunica al Ministero per i beni e le attività culturali e ne cura l'esecuzione. A questo fine, esso è integrato da un rappresentante della Fondazione Centro italiano di studi sull'alto medioevo e da due esperti nelle discipline

 

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storiche e letterarie, scelti dal Ministro per i beni e le attività culturali tra docenti e ricercatori universitari.
      6. I componenti del comitato di cui al comma 3 sono nominati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Ad essi non spettano compensi o rimborsi di spese. Alle spese eventualmente necessarie per il funzionamento del comitato si provvede nell'ambito dello stanziamento di cui al comma 1. Il comitato è sciolto all'atto del completamento degli interventi di cui al presente articolo.
      7. Per la realizzazione degli interventi di cui al presente articolo, il comitato di cui al comma 3 può altresì utilizzare le risorse eventualmente conferite ad esso da amministrazioni statali, dalle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio, dagli enti locali e da altri soggetti pubblici o privati.
      8. Qualora per le celebrazioni nel nono centenario della morte della contessa Matilde di Toscana sia istituito un comitato nazionale ai sensi dell'articolo 2 della legge 1o dicembre 1997, n. 420, e successive modificazioni, un rappresentante di esso partecipa alle attività del comitato di cui al comma 3 del presente articolo, limitatamente a quanto previsto dal comma 5.

Art. 8.
(Disposizioni finanziarie).

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a euro 9.800.000 annui per ciascuno degli anni 2012 e 2013, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2011-2013, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2011, allo scopo parzialmente utilizzando le proiezioni per gli anni 2012 e 2013 dell'accantonamento relativo al Ministero

 

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dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Frontespizio Relazione Progetto di Legge
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