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PDL 4069

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4069



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato GARAGNANI

Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di responsabilità civile dei magistrati, disposizioni in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei medesimi, nonché delega al Governo per la separazione delle carriere della magistratura ordinaria giudicante e requirente

Presentata il 10 febbraio 2011


      

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Onorevoli Colleghi! — La presente proposta di legge affronta complessivamente alcuni temi di grande attualità, relativi allo status dei magistrati, con il fine precipuo di risolvere in maniera equilibrata e rispettosa dei princìpi costituzionali problemi che attengono, in ultima istanza, alla necessità di assicurare – sia sul piano sostanziale, sia su quello della percezione esterna da parte dei cittadini – la terzietà nell'esercizio della funzione giurisdizionale. Il fine delle misure proposte è quello di contemperare le prerogative e le guarentigie costituzionali dell'ordine giudiziario e i diritti individuali dei magistrati che lo compongono con le aspettative dei cittadini rispetto alla responsabilità, all'imparzialità e alla professionalità nello svolgimento di questa fondamentale funzione dello Stato democratico.
      Il primo aspetto, di cui si occupa il capo I, composto del solo articolo 1, riguarda la disciplina della responsabilità civile dei magistrati, attualmente regolata dalla legge 13 aprile 1988, n. 117.
      La legge n. 117 del 1988 definisce i limiti della responsabilità civile per fatto illecito commesso nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, il risarcimento – posto a carico dello Stato con l'obbligo di rivalsa, entro limiti massimi ragguagliati alla retribuzione, nei confronti del responsabile
 

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– e le forme procedurali per l'esercizio dell'azione risarcitoria da parte dei soggetti danneggiati.
      Questa legge, prendendo atto del risultato del referendum celebrato l'anno precedente, affrontò il difficile compito di stabilire un'equilibrata composizione tra valori, tutti di rilevanza costituzionale, attinenti alla tutela del diritto soggettivo del danneggiato, alla guarentigia dell'indipendenza del magistrato nello svolgimento delle sue funzioni e al corretto esercizio della giurisdizione (in questo senso, più ampiamente, si veda la sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 19 gennaio 1989).
      Vi sono tuttavia alcuni aspetti di tale disciplina e della sua pratica applicazione che appaiono meritevoli di riflessione, a partire dalla scelta di stabilire che l'azione del soggetto danneggiato – al di fuori dei casi di reato, per i quali si applicano le norme generali sulla responsabilità dei pubblici dipendenti – possa rivolgersi esclusivamente nei confronti dello Stato, prevedendo soltanto in seguito l'esercizio della rivalsa in sede civile da parte di quest'ultimo nei confronti del magistrato responsabile (oltre, ovviamente, all'azione disciplinare, ove questa non sia stata già autonomamente esperita).
      Tale scelta, infatti, si distacca significativamente dal regime generale della responsabilità civile dei pubblici impiegati, fondato sul disposto dell'articolo 28 della Costituzione, ai sensi del quale i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti, estendendosi in tali casi la responsabilità civile allo Stato o all'ente pubblico da cui l'impiegato dipende. Questo regime è stato specificato dagli articoli 22 e 23 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3. L'articolo 22 stabilisce che l'impiegato che, nell'esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti, cagioni ad altri un danno ingiusto – nei limiti specificati dall'articolo 23 – è personalmente obbligato a risarcirlo. L'azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con l'azione diretta nei confronti dell'amministrazione qualora, in base alle norme e ai princìpi vigenti dell'ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato. L'amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente è tenuta a rivalersi contro quest'ultimo (spettando in tal caso la competenza alla Corte dei conti). L'articolo 23 limita la responsabilità per danno ingiusto alle condotte – attive, omissive o dilatorie – poste in essere dall'impiegato per dolo o per colpa grave, le quali, con violazione dei diritti dei terzi, abbiano ad essi determinato un danno. La limitazione della responsabilità ai casi di dolo o di colpa grave è stata confermata ed estesa a tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica dall'articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni.
      La presente proposta di legge tende quindi ad avvicinare la disciplina riguardante i magistrati alla disciplina generale, prevista per tutti i pubblici dipendenti, in materia di responsabilità per il danno ingiusto arrecato a terzi nell'esercizio delle funzioni. Vengono perciò conservate soltanto alcune limitazioni di ordine procedurale e sostanziale ritenute opportune per garantire, rispetto alla specificità della funzione giurisdizionale, il principio costituzionale dell'indipendenza del giudice.
      In particolare, è introdotto nella legge n. 117 del 1988 l'articolo 1-bis, che estende ai magistrati il principio generale della responsabilità solidale fra il pubblico dipendente e lo Stato e regola il diritto di azione civile del danneggiato nei casi di responsabilità per dolo o per colpa grave ovvero per diniego di giustizia (il caso di responsabilità civile per fatti costituenti reato rimane disciplinato dall'articolo 13 della medesima legge, che fa integrale rinvio alle norme ordinarie relative a tutti i pubblici dipendenti). In tutti questi casi il diritto al risarcimento sussiste nei confronti
 

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del magistrato e dello Stato – giusta il disposto dell'articolo 28 della Costituzione – e l'azione civile può essere quindi esercitata nei confronti di entrambi i soggetti secondo le norme ordinarie, salvo quanto previsto nei successivi articoli.
      Viene conservata (trasposta nel nuovo articolo 1-bis come principio generale) l'eccezione secondo cui nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità civile l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, in quanto ritenuta necessaria per assicurare l'indipendenza nell'esercizio della giurisdizione secondo il principio del libero convincimento del giudice.
      Rimane inalterata la nozione di diniego di giustizia, enunciata nell'articolo 3 della legge n. 117 del 1988, mentre l'articolo 2 viene riservato all'esplicitazione della nozione di colpa grave.
      Nella formulazione sostitutiva proposta per l'articolo 2, l'elenco delle fattispecie viene integrato – rispetto al testo vigente – mediante l'inserimento della nuova ipotesi costituita dall’«affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto rilevante per la decisione o per l'esercizio dell'azione penale, in mancanza di elementi pertinenti negli atti del procedimento ovvero sulla base di elementi manifestamente non pertinenti».
      S'intende così ovviare a un'apparente lacuna evidenziata dalla giurisprudenza, secondo cui la vigente formulazione dell'articolo 2, comma 3, della legge n. 117 del 1988, alla lettera b) considera il caso in cui il giudice affermi un fatto incontrastabilmente escluso dagli atti del procedimento e, quindi, attribuisce rilevanza (sempre che sia determinato da inescusabile negligenza) all'errore «revocatorio» consistente nella supposizione di una circostanza fattuale la cui inesistenza sia chiaramente evidenziata dalle risultanze acquisite: pertanto, non può – allo stato – farsi valere la responsabilità del giudice il quale affermi il verificarsi di una determinata situazione di fatto senza elementi pertinenti (Cassazione, sezione I, sentenza n. 6950 del 26 luglio 1994).
      Non si è ritenuto, invece, di formulare un'espressa eccezione per il caso in cui l'attività interpretativa sia svolta in manifesto contrasto con l'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, in quanto tale specificazione sarebbe risultata limitativa rispetto al novero delle «gravi violazioni di legge» eventualmente possibili nell'esercizio dell'attività d'interpretazione, che sono come tali sanzionabili a norma della lettera a) del comma 3 (nella riformulazione qui proposta: comma 1) dell'articolo 2 della legge n. 117 del 1988.
      Le disposizioni degli articoli 4 e 5 sono oggetto di mere modifiche di coordinamento rispetto ai princìpi statuiti nel nuovo articolo 1-bis della legge n. 117 del 1988. Rimangono immutate le norme relative alla competenza – che resta attribuita alla giurisdizione ordinaria – nonché alle condizioni e ai termini per la proposizione dell'azione civile e alla preliminare delibazione in camera di consiglio sull'ammissibilità della domanda, che appare un utile strumento deflattivo di un contenzioso su materia particolarmente delicata, che potrebbe altrimenti prestarsi anche ad usi strumentali. Rimangono ovviamente fermi i rimedi per l'impugnazione della pronuncia sull'ammissibilità, a tutela dei diritti dell'attore.
      È abrogato l'articolo 6, che attualmente reca disposizioni speciali sull'intervento del magistrato nel procedimento promosso nei riguardi dello Stato, rimanendo tale materia disciplinata dalle norme ordinarie.
      All'articolo 7 viene soppresso il riferimento ai giudici conciliatori, non più esistenti. Resta confermato che il giudice di pace è soggetto all'applicazione delle disposizioni generali sulla responsabilità civile dei magistrati, in quanto la legge richiede ad esso il possesso di specifiche conoscenze giuridiche, che giustificano l'assoggettamento a un regime di più ampia responsabilità rispetto a quella stabilita per i giudici popolari (conformemente a quanto affermato dalla Corte costituzionale, citata sentenza n. 18 del 19 gennaio
 

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1989, in relazione alla posizione dei vicepretori onorari).
      All'articolo 8 sono eliminati i limiti relativi all'importo per il quale può essere esercitata l'azione di regresso da parte dello Stato, mentre viene conservato – in quanto espressione del principio generale contenuto nell'articolo 2 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180 – il limite del quinto per l'esecuzione della rivalsa effettuata mediante trattenuta sullo stipendio.
      Dall'abrogazione dei commi 1 e 2 dell'articolo 8, che disciplinano la proposizione dell'azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato dinnanzi al giudice ordinario, consegue il trasferimento della competenza per il giudizio sull'azione di regresso alla giurisdizione contabile. A questo riguardo, giova ricordare quanto ebbe ad affermare la Corte costituzionale nella sentenza n. 385 del 5 novembre 1996, sulla base di una ricostruzione della propria precedente giurisprudenza, secondo cui «già nella sentenza n. 2 del 1968, in sede di interpretazione dell'articolo 28 della Costituzione relativamente alla disciplina della responsabilità civile dei magistrati (...), si era chiarito che la “diretta responsabilità” secondo le leggi penali, civili e amministrative, ivi prevista a carico dei funzionari e dipendenti dello Stato per gli atti compiuti in violazione di diritti, riguarda anche gli appartenenti all'ordine giudiziario, l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e del giudice non ponendo l'una al di là dello Stato, quasi legibus soluta, né l'altro fuori dell'organizzazione statale». Tale principio era stato riaffermato, «relativamente tanto alla diretta responsabilità verso i terzi danneggiati in caso di reato, quanto alla soggezione all'azione di rivalsa dello Stato», nella sentenza n. 18 del 1989, nella quale veniva ribadito «con nettezza che il magistrato deve essere indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione, ma è “soggetto alla legge”: alla Costituzione innanzi tutto, che sancisce, ad un tempo, il principio d'indipendenza (articoli 101, 104 e 108) e quello di responsabilità (articolo 28) al fine di assicurare che la posizione super partes del magistrato non sia mai disgiunta dal corretto esercizio della sua alta funzione». Affermata «la conciliabilità in linea di principio dell'indipendenza della funzione giudiziaria con la responsabilità nel suo esercizio, non solo con quella civile, oltre che penale, ma anche amministrativa, nelle sue diverse forme», la Corte costituzionale concludeva quindi che da nessuna norma della Costituzione può dedursi che alla Corte dei conti sia «preclusa – si ribadisce: preclusa per ragioni di costituzionalità – la giurisdizione sulla responsabilità dei magistrati per danno erariale». Dall'affermazione della competenza del giudice contabile deriva l'applicabilità di tutte le disposizioni ordinariamente previste in tale giurisdizione, compreso il potere di riduzione dell'addebito, previsto dall'articolo 83 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440.
      Dall'unificazione delle forme di azione dello Stato nei riguardi del responsabile – con il passaggio della competenza giurisdizionale alla Corte dei conti – discende infine il proposto adeguamento della formulazione, che sostituisce, ovunque ricorra, la dizione di «regresso» a quella di «rivalsa», conforme alla tradizionale nozione dei due istituti, secondo cui la «rivalsa» presuppone l'obbligazione di un solo soggetto, legittimato a rivalersi successivamente sull'autore del danno, mentre in caso di originaria obbligazione solidale tra due soggetti, la regolazione dei rapporti fra essi avviene mediante l'istituto del «regresso».
      Nel capo II della presente proposta di legge si è inteso affrontare il tema, non meno complesso e delicato, dell'ineleggibilità e dell'incompatibilità dei magistrati rispetto alle cariche politiche. È infatti evidente che, anche in questo caso, vengono in rilievo diritti e valori fondamentali garantiti dalla Costituzione: il diritto di ciascun cittadino, e quindi anche di colui che eserciti le funzioni di magistrato, ad
 

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assumere le cariche pubbliche elettive, e il principio della terzietà del giudice, che – al pari della moglie di Cesare – etiam suspicione vacare debet: non solo essere libero da ogni pregiudizio, sia pure di appartenenza o di schieramento politico, ma anche apparire tale a chiunque si trovi sottoposto al suo potere di giurisdizione.
      In questo spirito, l'articolo 3, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, e successive modificazioni, configura quale illecito disciplinare l'iscrizione o la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 224 del 17 luglio 2009, ha ritenuto tale disposizione attuativa dell'articolo 98, terzo comma, della Costituzione, che conferisce al legislatore ordinario la facoltà di stabilire «limitazioni al diritto d'iscriversi ai partiti politici per i magistrati» (nonché per altre particolari categorie di funzionari pubblici), come risultato del «bilanciamento tra la libertà di associarsi in partiti, tutelata dall'articolo 49 della Costituzione, e l'esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l'immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo». Infatti – come la Corte stessa ha osservato – «nel disegno costituzionale, l'estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l'indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l'attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica».
      Al medesimo fine, oltre che a prevenire la possibilità di abuso della funzione, tendono le limitazioni al diritto di elettorato passivo poste dal diritto vigente, fra gli altri, a carico dei magistrati.
      Per altro, come riconosciuto dagli stessi organismi rappresentativi della magistratura, queste disposizioni non risultano attualmente più sufficienti a conseguire il fine e a tutelare i valori a presidio dei quali sono state introdotte: appare quindi necessario rimeditare la materia.
      A questo scopo, in vista dei necessari approfondimenti che potranno provenire da un prudente e vasto confronto in sede parlamentare e pubblica, si ripropone qui – in forma opportunamente semplificata – il testo unificato delle proposte di legge in materia di ineleggibilità e di incompatibilità dei magistrati, approvato dalla Camera dei deputati nella XIV legislatura (atto Senato n. 3410).
      In particolare, l'articolo 2 della presente proposta di legge modifica l'articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, prevedendo l'ineleggibilità dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari nelle circoscrizioni il cui territorio, in tutto o in parte, sia compreso nelle circoscrizioni giudiziarie in cui hanno esercitato le funzioni nei due anni antecedenti la data di accettazione della candidatura.
      La medesima disciplina è introdotta per gli enti locali dall'articolo 3, che introduce a quest'effetto il nuovo articolo 60-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, mentre con il nuovo articolo 66-bis del medesimo testo unico si stabilisce che gli stessi magistrati non possono ricoprire la carica di assessore comunale o provinciale presso un comune o una provincia il cui territorio sia compreso nelle circoscrizioni in cui hanno esercitato le funzioni nei due anni antecedenti la data di accettazione della nomina.
      Dalla disciplina introdotta dagli articoli 2 e 3 sono esclusi i magistrati in servizio presso le giurisdizioni superiori o comunque presso uffici giudiziari aventi competenza sull'intero territorio nazionale, poiché in mancanza di tale esclusione i suddetti magistrati verrebbero ad essere colpiti da una previsione di assoluta ineleggibilità. D'altronde, tale competenza appare meno legata a uno specifico territorio e comporta minori rischi di impropria utilizzazione dei poteri inerenti alle funzioni giudiziarie.
 

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      In ogni caso, per l'elezione o la nomina, il magistrato deve avere richiesto il collocamento in aspettativa.
      L'articolo 5 qualifica le disposizioni introdotte come princìpi fondamentali in materia di ineleggibilità nelle elezioni regionali e di incompatibilità tra la funzione di magistrato e le cariche di presidente della regione, di componente della giunta e di consigliere regionale, prescrivendo l'adeguamento della legislazione regionale entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge. Decorso inutilmente tale termine troveranno applicazione le disposizioni dell'articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, come sostituito dall'articolo 2 della presente proposta di legge.
      Infine, l'articolo 4 disciplina il ricollocamento dei magistrati candidati a cariche elettive e non eletti, nonché il rientro nei ruoli di magistratura dopo la cessazione del mandato politico esercitato.
      Si prevede che i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari candidati e non eletti siano ricollocati nel ruolo di provenienza ma non possano, ad esclusione di quelli che prestavano servizio presso le giurisdizioni superiori o presso uffici aventi competenza nazionale, nei cinque anni successivi alle elezioni, esercitare le funzioni in un ufficio giudiziario ubicato nella circoscrizione giudiziaria in cui sono compresi, in tutto o in parte, la circoscrizione elettorale, il comune o la provincia per i quali si sono svolte le elezioni. In ogni caso, per almeno due anni non possono ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi.
      Invece, per i magistrati cessati dalle cariche politiche, in aggiunta al divieto di assegnazione a un ufficio della circoscrizione giudiziaria in cui si sono svolte le elezioni, si prevede il vincolo dell'esercizio di funzioni collegiali per almeno cinque anni, se provenienti dalla funzione giudicante. Essi non possono altresì ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per almeno due anni.
      Il capo III della presente proposta di legge, infine, affronta il nodo forse più difficile dell'attuale dibattito sull'organizzazione della magistratura ordinaria, quello relativo alla distinzione dei ruoli tra i magistrati giudicanti e requirenti.
      Gli argomenti addotti nella discussione sono sicuramente di grande rilievo e meritevoli di attenta considerazione.
      Si osserva infatti, da un lato, che l'unicità della carriera dei magistrati, con la possibilità di rivestire gli incarichi sia di giudice, sia di magistrato del pubblico ministero, conferisce un habitus di terzietà necessario anche per l'esercizio delle funzioni requirenti. Ciò è confermato del resto dall'articolo 358 del codice di procedura penale, che, nel disciplinare le attività di indagine del pubblico ministero, fa ad esso obbligo di svolgere anche «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini». L'interesse pubblico che egli rappresenta, infatti, a differenza delle parti private, esige che si adoperi per la raccolta degli elementi necessari a una piena e compiuta ricostruzione e valutazione della condotta del reo in tutti gli aspetti, anche ad esso favorevoli, rilevanti per la determinazione della pena da irrogare.
      Per altro verso, si rileva come una vera posizione di terzietà e di imparzialità del giudice e una condizione di parità tra le parti nel contraddittorio, a norma dell'articolo 111, secondo comma, della Costituzione, presuppongano una compiuta separazione tra i ruoli del magistrato giudicante e di quello incaricato di sostenere l'accusa. Da ciò si fa discendere la necessità di rendere separate e non comunicanti le carriere degli uni e degli altri.
      Tale impostazione – salva l'unità dell'ordine giudiziario, conforme al disegno costituzionale – sembra idonea a rafforzare le garanzie per il cittadino sottoposto a un procedimento penale, assicurando la piena attuazione dei princìpi del giusto processo delineato dalla Costituzione.
      Un passo in tale senso era stato attuato con gli articoli da 13 a 15 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, che limitava ad una sola volta la possibilità di
 

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passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa, su domanda da presentare entro il terzo anno di esercizio delle funzioni assunte al termine del periodo di tirocinio.
Su quella disciplina è tuttavia intervenuta la legge 30 luglio 2007, n. 111, che ha modificato l'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 del 2006, abrogandone gli articoli 14 e 15. Essa, pur prescrivendo il cambio di sede, ha consentito tale passaggio, mediante procedura concorsuale, per non più di quattro volte nell'arco dell'intera carriera, dopo almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione precedentemente esercitata e previa partecipazione a un corso di qualificazione professionale e giudizio di idoneità espresso dal Consiglio superiore della magistratura, sentito il parere del consiglio giudiziario.
      Poiché tuttavia l'esigenza di separazione non appare soddisfatta dalla norma descritta, si propone ora, mediante il conferimento di delega legislativa al Governo, di procedere a un'effettiva separazione delle carriere dei magistrati, prevedendo l'istituzione di due distinti ruoli dei magistrati ordinari, rispettivamente, per l'esercizio della funzione giudicante e della funzione requirente.
      La scelta sarà operata dall'interessato fin dall'inizio: ciascun bando di concorso per l'ammissione alla magistratura ordinaria dovrà infatti prevedere il numero dei posti destinati, rispettivamente, alla funzione giudicante e a quella requirente, e il candidato dovrà indicare, nella domanda di partecipazione, a quale funzione intenda accedere. Non è ammesso, nel corso della carriera, il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, né viceversa, con una sola eccezione in favore dei magistrati i quali esercitano le funzioni di legittimità, per una volta soltanto, dopo almeno tre anni di servizio continuativo nella funzione esercitata: tale eccezione viene prevista sia per agevolare l'organizzazione della giurisdizione superiore, sia perché l'esercizio delle funzioni di legittimità non coinvolge la valutazione di elementi di merito, che sollevano le maggiori criticità sul piano della parità tra le parti, e costituisce invece una posizione in cui più opportunamente possono risultare valorizzate le competenze acquisite nell'una e nell'altra carriera.
      Viene contestualmente conferito al Governo il compito di coordinare le disposizioni del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e le altre disposizioni vigenti in materia di ordinamento giudiziario, in conseguenza dell'attuazione dei princìpi esposti, di determinare la data di decorrenza dell'applicazione delle nuove norme e di definire le norme transitorie necessarie per la ripartizione dei magistrati in servizio a tale data tra i due ruoli così istituiti, sulla base delle funzioni esercitate alla medesima data e, ove possibile, delle domande di passaggio ad altra funzione presentate entro un termine a questo fine stabilito. In tal modo verranno salvaguardate le aspettative dei magistrati che – sulla base del regime previgente – abbiano chiesto il passaggio ad altre funzioni e potranno essere realizzati gli equilibri nella consistenza delle dotazioni dei due ruoli sulla base delle necessità verificate in sede attuativa.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI

Art. 1.
(Modifiche alla legge 13 aprile 1988, n. 117, in materia di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati).

      1. Alla legge 13 aprile 1988, n. 117, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) dopo l'articolo 1 è inserito il seguente:

              «Art. 1-bis. – (Responsabilità civile per dolo o colpa grave o per diniego di giustizia). – 1. Chi ha subìto un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia, ha diritto al risarcimento nei confronti del magistrato e dello Stato. In tali casi, l'azione civile per il risarcimento del danno e il suo esercizio anche nei confronti dello Stato come responsabile civile sono regolati dalle norme ordinarie, salvo quanto previsto dalla presente legge.

              2. Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non possono dar luogo a responsabilità civile l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove»;

          b) l'articolo 2 è sostituito dal seguente:

              «Art. 2. – (Colpa grave). – 1. Agli effetti dell'articolo 1-bis costituiscono colpa grave:

              a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

 

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              b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

              c) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto rilevante per la decisione o per l'esercizio dell'azione penale, in mancanza di elementi pertinenti negli atti del procedimento ovvero sulla base di elementi manifestamente non pertinenti;

              d) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

              e) l'emissione di un provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione»;

          c) all'articolo 4:

              1) il comma 1 è sostituito dal seguente:

              «1. Per l'azione di risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 1-bis è competente il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, determinato ai sensi dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271»;

              2) al comma 2, primo periodo, le parole: «contro lo Stato» sono soppresse;

              3) dopo il comma 2 è inserito il seguente:

                  «2-bis. Qualora sia proposta azione di risarcimento contro lo Stato, essa è esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri»;

          d) all'articolo 5:

              1) al comma 1, le parole: «articolo 2» sono sostituite dalle seguenti: «articolo 1-bis»;

 

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              2) al comma 3, le parole: «articoli 2,» sono sostituite dalle seguenti: «articoli 1-bis,»;

          e) l'articolo 6 è abrogato;

          f) all'articolo 7:

              1) la parola: «rivalsa», ovunque ricorre, è sostituita dalla seguente: «regresso»;

              2) dopo il comma 1 è inserito il seguente:

          «1-bis. All'azione di regresso dello Stato che è tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato si procede secondo le norme ordinarie relative alla responsabilità dei pubblici dipendenti, fatto salvo quanto previsto dal presente articolo e dall'articolo 8»;

              3) al comma 3, le parole: «I giudici conciliatori e» sono soppresse;

          g) all'articolo 8:

              1) i commi 1 e 2 sono abrogati;

              2) al comma 3, il primo e il secondo periodo sono soppressi e, al terzo periodo, le parole: «della rivalsa» sono sostituite dalle seguenti: «del regresso»;

              3) al comma 4, il secondo periodo è soppresso;

              4) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Misura del regresso»;

          h) all'articolo 9, comma 3, le parole: «all'articolo 2» sono sostituite dalle seguenti: «all'articolo 1-bis»;

          i) all'articolo 16:

              1) al comma 4, le parole: «in sede di rivalsa,» sono soppresse;

              2) il comma 5 è sostituito dal seguente:

          «5. Quando è esercitata l'azione di regresso dello Stato ai sensi dell'articolo 7, il plico sigillato contenente la verbalizzazione della decisione alla quale si riferisce la dedotta responsabilità è trasmesso alla Corte dei conti, che ne ordina l'acquisizione agli atti del giudizio».

 

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      2. Le disposizioni della legge 13 aprile 1988, n. 117, come modificata dal comma 1 del presente articolo entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della presente legge nella Gazzetta Ufficiale.
      3. Ai fatti illeciti posti in essere dal magistrato anteriormente alla data di entrata in vigore del presente articolo si applicano le disposizioni della legge 13 aprile 1988, n. 117, nel testo vigente il giorno antecedente la medesima data di entrata in vigore.

Capo II
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI INELEGGIBILITÀ E DI INCOMPATIBILITÀ DEI MAGISTRATI

Art. 2.
(Modifica dell'articolo 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di eleggibilità dei magistrati al mandato parlamentare).

      1. L'articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:

          «Art. 8. – 1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori o comunque presso uffici giudiziari aventi competenza sull'intero territorio nazionale, non sono eleggibili nelle circoscrizioni il cui territorio, in tutto o in parte, è compreso, rispettivamente, nel distretto di corte d'appello ovvero nella circoscrizione del tribunale amministrativo regionale o della sezione regionale della Corte dei conti o del tribunale militare in cui è ubicato l'ufficio giudiziario al quale sono o sono stati assegnati o nel quale hanno comunque esercitato, a qualsiasi titolo, le funzioni giudiziarie in un periodo compreso nei due anni antecedenti la data di accettazione della candidatura.

 

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      2. Non sono in ogni caso eleggibili i magistrati che, all'atto dell'accettazione della candidatura, non si trovano in aspettativa da almeno sei mesi in caso di scadenza naturale della legislatura, ovvero non si trovano in aspettativa all'atto dell'accettazione della candidatura in caso di scioglimento anticipato della Camera dei deputati».

Art. 3.
(Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di eleggibilità dei magistrati alle cariche di sindaco, di presidente della provincia e di consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale).

      1. Al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 60:

              1) al comma 1, il numero 6) è abrogato;

              2) al comma 3, la parola: «6),» è soppressa;

          b) dopo l'articolo 60 è inserito il seguente:

              «Art. 60-bis. – (Disciplina dell'eleggibilità dei magistrati).1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori o comunque presso uffici giudiziari aventi competenza sull'intero territorio nazionale, non sono eleggibili alle cariche di sindaco, di presidente della provincia e di consigliere comunale, provinciale e circoscrizionale per un comune o per una provincia il cui territorio è compreso, rispettivamente, nel distretto di corte d'appello ovvero nella circoscrizione del tribunale amministrativo regionale o della sezione regionale della Corte dei conti o del tribunale militare in cui è ubicato l'ufficio giudiziario al quale sono o sono stati assegnati o nel quale hanno comunque esercitato, a qualsiasi titolo, le

 

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funzioni giudiziarie in un periodo compreso nei due anni antecedenti la data di accettazione della candidatura.
      2. Non sono in ogni caso eleggibili i magistrati che, all'atto dell'accettazione della candidatura, non si trovano in aspettativa da almeno sei mesi in caso di scadenza naturale del consiglio, ovvero non si trovano in aspettativa all'atto dell'accettazione della candidatura in caso di scioglimento anticipato del consiglio»;

          c) dopo l'articolo 66 è inserito il seguente:

              «Art. 66-bis. – (Incompatibilità dei magistrati).1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori o comunque presso uffici giudiziari aventi competenza sull'intero territorio nazionale, non possono ricoprire la carica di assessore comunale o provinciale presso un comune o una provincia il cui territorio è compreso, rispettivamente, nel distretto di corte d'appello ovvero nella circoscrizione del tribunale amministrativo regionale o della sezione regionale della Corte dei conti o del tribunale militare in cui è ubicato l'ufficio giudiziario al quale sono o sono stati assegnati o nel quale hanno comunque esercitato, a qualsiasi titolo, le funzioni giudiziarie in un periodo compreso nei due anni antecedenti la data di accettazione della nomina.

              2. Non possono in ogni caso ricoprire la carica di assessore comunale o provinciale i magistrati che, all'atto dell'accettazione della nomina, non si trovano in aspettativa».

Art. 4.
(Disposizioni in materia di ricollocamento dei magistrati candidati a cariche elettive e non eletti, nonché di rientro nei ruoli di magistratura dopo la cessazione del mandato).

      1. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari candidati alle cariche di deputato, di senatore, di presidente della regione o di consigliere regionale,

 

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ovvero alle cariche di cui all'articolo 60-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, introdotto dall'articolo 3, comma 1, lettera b), della presente legge, e non eletti sono ricollocati nel ruolo di provenienza e non possono, esclusi quelli che prestavano servizio presso le giurisdizioni superiori o comunque presso uffici giudiziari aventi competenza sull'intero territorio nazionale, nei cinque anni successivi alle elezioni, esercitare le loro funzioni né essere assegnati a qualsiasi titolo in un ufficio giudiziario ubicato, rispettivamente, nel distretto di corte d'appello ovvero nella circoscrizione di competenza del tribunale amministrativo regionale o della sezione regionale della Corte dei conti o del tribunale militare in cui sono compresi, in tutto o in parte, la circoscrizione elettorale, il comune o la provincia per i quali si sono svolte le elezioni. All'atto del ricollocamento in ruolo, i magistrati non possono altresì ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per un periodo di due anni.
      2. I magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari cessati dalle cariche di deputato o di senatore, di presidente della regione, di componente della giunta o di consigliere regionale, ovvero da una delle cariche di cui agli articoli 60-bis e 66-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, introdotti dall'articolo 3, comma 1, lettere b) e c), della presente legge, sono ricollocati nel ruolo di provenienza con il vincolo di esercizio di funzioni collegiali per un periodo pari a cinque anni, se provenienti dalla funzione giudicante. Nel corso di tale periodo, i magistrati, esclusi quelli che prestavano servizio presso le giurisdizioni superiori o comunque presso uffici giudiziari aventi competenza sull'intero territorio nazionale, non possono esercitare le loro funzioni né essere assegnati a qualsiasi titolo in un ufficio giudiziario ubicato, rispettivamente, nel distretto di corte d'appello ovvero nella circoscrizione di competenza del tribunale amministrativo regionale o della sezione regionale della Corte dei
 

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conti o del tribunale militare in cui sono compresi, in tutto o in parte, la circoscrizione elettorale, il comune o la provincia per i quali si sono svolte le elezioni. All'atto del ricollocamento in ruolo, i magistrati non possono altresì ricoprire incarichi direttivi o semidirettivi per un periodo di due anni.

Art. 5.
(Princìpi fondamentali in materia di ineleggibilità dei magistrati nelle elezioni regionali e di incompatibilità a ricoprire le cariche di presidente della regione, di componente della giunta e di consigliere regionale).

      1. Le disposizioni di cui al presente capo costituiscono princìpi fondamentali in materia di ineleggibilità nelle elezioni regionali e di incompatibilità tra la funzione di magistrato e le cariche di presidente della regione, di componente della giunta e di consigliere regionale.
      2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni adeguano la loro legislazione ai princìpi di cui al comma 1. Decorso inutilmente tale termine, si applicano le disposizioni dell'articolo 8 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, come da ultimo sostituito dall'articolo 2 della presente legge.

Capo III
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI ORDINARI

Art. 6.
(Delega al Governo in materia di separazione delle carriere dei magistrati ordinari).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di separazione

 

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delle carriere dei magistrati ordinari, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) istituire due ruoli dei magistrati ordinari, rispettivamente, per l'esercizio della funzione giudicante e della funzione requirente;

          b) stabilire che ciascun bando di concorso per l'ammissione alla magistratura ordinaria preveda il numero dei posti destinati, rispettivamente, alla funzione giudicante e a quella requirente, e che, nella domanda di partecipazione, il candidato debba indicare se, in caso di nomina, intenda esercitare la funzione giudicante o quella requirente;

          c) prevedere che, nel corso della carriera dei magistrati ordinari, non è ammesso il passaggio dei magistrati dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti, né viceversa, salvo che per i magistrati i quali esercitano le funzioni di legittimità, per una volta soltanto, dopo almeno tre anni di servizio continuativo nella funzione esercitata;

          d) coordinare le disposizioni del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, e le altre disposizioni vigenti in materia di ordinamento giudiziario, in conseguenza dell'attuazione dei princìpi e criteri direttivi cui al presente comma;

          e) stabilire la data di decorrenza dell'applicazione delle disposizioni dei decreti legislativi di cui all'alinea, nonché le norme transitorie necessarie per la ripartizione dei magistrati ordinari in servizio a tale data tra i due ruoli istituiti ai sensi della lettera a), sulla base delle funzioni esercitate alla medesima data e, ove possibile, delle domande di passaggio ad altra funzione presentate entro il termine a tale fine indicato.

      2. Gli schemi dei decreti legislativi adottati nell'esercizio della delega di cui al comma 1 sono trasmessi alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica per l'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per

 

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materia e per le conseguenze di carattere finanziario, che sono resi entro il termine di trenta giorni. Decorso tale termine, i decreti legislativi possono essere comunque emanati. Qualora il termine per l'espressione del parere parlamentare di cui al presente comma scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dai commi 1 o 3 o successivamente, questi ultimi sono prorogati di novanta giorni.
      3. Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi ivi previsti, il Governo può adottare, con la procedura indicata nel comma 2, disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi del citato comma 1.


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