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PDL 3525

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3525



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MURER, AMICI, BOSSA, BRESSA, CENNI, DAMIANO, FARINA COSCIONI, GATTI, GNECCHI, POLLASTRINI, PORTA, SAMPERI, SCHIRRU, LIVIA TURCO, VELO, VERINI

Disciplina della professione di mediatore interculturale

Presentata il 3 giugno 2010


      

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Onorevoli Colleghi! — I movimenti migratori sempre più rilevanti e l'accentuata mobilità della vita moderna rendono inevitabilmente più elevati i tassi di intreccio interetnici, interculturali, interreligiosi e interlinguistici in tutte le parti del mondo. L'interdipendenza fra aree del pianeta caratterizzate da diversi livelli di sviluppo si è andata accentuando. L'aumento del divario economico e sociale, acuito dalle ricorrenti crisi economiche mondiali, il permanere di aree di grande instabilità dovuta al proliferare di conflitti bellici e a situazioni fortemente carenziali sul piano dei diritti umani e civili, hanno portato ad un intensificarsi negli ultimi vent'anni dei flussi migratori, il cui movimento attraversa confini e continenti a tutte le latitudini. In questo quadro è indubbio che l'Europa, per il suo elevato livello di sviluppo economico, ha costituito uno dei maggiori poli di attrazione del mondo, e al suo interno l'Italia per la sua conformazione geografica costituisce una delle principali «porte di ingresso» per tutto il continente.
      Quei flussi migratori che si affacciavano in Italia verso la fine degli anni ’80 e prendevano consistenza negli anni ’90, oggi si configurano come un fenomeno costante in progressivo aumento. Tale aumento riscontrabile sia nella dimensione di «emergenza» determinata dai nuovi ingressi, sia nella dimensione di «stabilità e integrazione», modifica il tessuto sociale ed economico della nostra società, che si
 

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configura quindi per i suoi tratti di crescente pluralismo etnico, culturale, linguistico e religioso. L'importanza del tema migrazione è ben evidenziata dai dati che raffigurano l'ampiezza e la complessità del fenomeno sul nostro territorio. Infatti, fra i 4.500.000 immigrati presenti sul territorio italiano, che rappresentano circa il 7 per cento della popolazione totale, oltre ai tradizionali migranti «economici», si possono oggi individuare categorie sempre più eterogenee e diversificate e sono in considerevole aumento le categorie vulnerabili, come i richiedenti asilo e protezione umanitaria, i minori e le donne vittime di tratta, i minori non accompagnati. Inoltre il carattere sempre più multietnico e multiculturale della società italiana è evidenziato dalla pluralità dei Paesi di provenienza (circa 200, di cui 53,6 per cento europei, 22,4 per cento africani, 15,9 per cento asiatici, 8,1 per cento delle Americhe). Le lingue parlate sono circa 70. Gli immigrati sono per il 51,7 per cento cristiani, per il 33,2 per cento musulmani e per il restante 15,2 per cento appartenenti a religioni asiatiche e ad altre religioni minori.
      Ai fini della coesione sociale di un mondo così complesso – premessa indispensabile per lo sviluppo dell'economia della conoscenza prevista per i Paesi dell'Unione europea in base alla strategia di Lisbona – grande valenza assumono quelle persone, comunità e gruppi istituzionali che, contribuendo a garantire le pari opportunità e la non discriminazione, favoriscono il dialogo, l'interscambio e l'interazione tra le diverse culture. I più elevati tassi di contiguità, contatto, intreccio, scambio, dialogo o conflittualità fra tali differenze, rendono necessari dispositivi di mediazione interculturale al fine di favorire processi virtuosi di coesione sociale, di integrazione e di tutela delle pari opportunità nel godimento dei diritti e nella possibilità di accesso ai servizi di cittadinanza. Da qui la nascita di un profilo che più di altri si pone sul versante dell'integrazione e che in stretta collaborazione con altre figure del sociale può avvicinare alla comprensione e alla pratica di questo obiettivo. Tale profilo non è nuovo nel nostro Paese, ma ha all'attivo un'esperienza di oltre quindici anni, iniziata prima in maniera pionieristica e via via consolidatasi in esperienze puntuali e professionali di considerevole qualità, che costituiscono oggi un ricco patrimonio di esperienze lavorative e di formazione, non solo in aula ma anche sul campo. Molte regioni hanno individuato un profilo professionale e uno standard formativo specifico per il mediatore interculturale, ma le certificazioni e gli attestati oggi esistenti acquisiscono validità solo in riferimento agli specifici contesti regionali e non sono quindi spendibili all'interno dell'intero territorio nazionale. Sull'universo dei mediatori attualmente attivi è difficile reperire dati certi. Da stime effettuate dai principali progetti nel settore e da interlocutori delle istituzioni committenti di formazione e servizio si valuta che siano attivi una media di 200/250 mediatori per regione e conseguentemente circa 4.000/4.500 su scala nazionale. Infine va sottolineato come in questo universo il 70 per cento siano donne di età superiore ai trenta anni e per lo più madri di famiglia. Dato questo molto significativo per un'analisi degli elementi motivazionali e vocazionali che orientano verso questa professione, che molto spesso fornisce una fonte non primaria ma integrativa del reddito familiare.
      L'eterogeneità della realtà italiana di oggi, sia in riferimento alla attività, che alla promozione del dispositivo di mediazione interculturale, rende dunque necessario individuare alcuni standard di qualità formativa, professionale e deontologica per definirne la figura, e conseguentemente per accreditare gli enti preposti a formarla, attivarne il servizio e attestarne le competenze.
      Questo processo, oltre a fornire forme di garanzia sulla qualità del dispositivo, può consolidare la visibilità, il riconoscimento e la dignità del ruolo di mediatore in primo luogo nella autopercezione dei mediatori stessi, ma anche nella percezione degli operatori dei servizi e della loro stessa utenza immigrata. Infine una percezione collettiva nell'opinione pubblica,
 

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agevolata dal riconoscimento ufficiale del ruolo del mediatore, visto come agente virtuoso ed esempio personale di integrazione positiva, può contribuire a contrastare quegli stereotipi negativi sulla popolazione immigrata, che sono alla base di fenomeni di razzismo e di comportamenti discriminatori.
      La presente proposta di legge si propone, quindi, di superare la carenza normativa nazionale sulla figura del mediatore interculturale, fissando indirizzi comuni. Nel formulare questa proposta sono state tenute presenti alcune priorità, contenute e indicate sia nel documento della Conferenza delle regioni e delle province autonome dell'8 aprile 2009 dal titolo «Riconoscimento della figura professionale del mediatore interculturale» sia nelle «Linee di indirizzo per il riconoscimento della figura professionale del mediatore interculturale» elaborate il 21 dicembre 2009 dal gruppo di lavoro istituzionale per la promozione della mediazione interculturale per iniziativa del Ministero dell'interno. Sono state inoltre valutate altre attività istituzionali importanti come quella del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), che, a seguito di svariate consultazioni con i soggetti del settore, ha proposto nel 2009 il documento «Mediazione e mediatori culturali: indicazioni operative» che aggiorna quello proposto nel 2000 e dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL), che, su commissione del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ha effettuato la ricerca esplorativa e conoscitiva «Il mediatore culturale in sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Grecia, Regno Unito e Spagna): ambiti di intervento, percorsi di accesso e competenze».
      I criteri a cui si attiene la presente proposta di legge sono: l'esigenza di riconoscimento del patrimonio di esperienza pregressa accumulato dalla fine degli anni ’80 ad oggi, sia dei singoli mediatori che degli attori che ne hanno promosso e realizzato le attività (Ministeri, regioni, province e comuni, ma anche e soprattutto associazioni private che operano in ambito sociale, primari agenti di formazione e di servizio); le differenze di contesto, che insieme al rigore degli indirizzi esigono flessibilità e adattamento quando sono determinate dai differenti scenari dell'emergenza e dell'integrazione, dai primari bisogni di mediazione espressi dal territorio, dal tipo di utenza dei servizi, dall'esigenza di governance della conflittualità sociale; la chiarezza dei ruoli fra gli indirizzi centrali con finalità di orientamento a livello nazionale e le competenze territoriali preposte all'attuazione di tali indirizzi nella definizione del profilo e dei percorsi formativi di accesso, della figura professionale, dell'applicazione in termini di formazione e servizio degli indirizzi e delle normative.
      La proposta di legge contiene all'articolo 1 le finalità e l'oggetto della stessa, all'articolo 2 definisce la figura del mediatore interculturale come professione sociale, delineandone competenze e attitudini, all'articolo 3 fissa le funzioni e i requisiti della professione. La proposta contiene, all'articolo 4, una delega al Governo ad adottare, entro sessanta giorni, uno o più decreti legislativi che fissino i contenuti, le modalità di svolgimento, la durata e l'attivazione dei corsi formativi di base per i mediatori interculturali per acquisizione di altre conoscenze nell'ambito dell'esercizio della medesima professione nonché disposizioni volte a riconoscere valore legale dei titoli di studio. All'articolo 5 sono definiti, infine, gli ambiti di intervento e, a seguire, la copertura finanziaria e l'entrata in vigore.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità e oggetto).

      1. Allo scopo di agevolare il processo di integrazione degli immigrati e favorire l'educazione interculturale, ai sensi degli articoli 38, comma 7, lettera b), e 42, comma 1, lettera d), del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, la presente legge disciplina la figura professionale del mediatore interculturale, definendone altresì il ruolo, le funzioni, le competenze professionali, i requisiti, i percorsi formativi, il riconoscimento legale e gli ambiti di impiego.
      2. La mediazione interculturale è riconosciuta come attività indispensabile al processo di integrazione. A tale fine, lo Stato, le regioni, le province e i comuni, nell'ambito delle proprie competenze, promuovono e programmano progetti volti all'inserimento sociale, educativo e culturale degli stranieri immigrati e all'inclusione delle differenze, valorizzando il ruolo del mediatore interculturale.

Art. 2.
(Definizione di mediatore interculturale).

      1. Ai fini della presente legge, per mediatore interculturale s'intende l'operatore sociale che, in possesso di determinate competenze e attitudini, favorisce i contatti degli stranieri immigrati, extracomunitari, rom e sinti, di seguito denominati «stranieri», con le istituzioni pubbliche e private, nonché interagisce come interprete delle esigenze e delle necessità degli stranieri, agevolando i

 

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rapporti interindividuali, favorendo la parità di accesso ai servizi pubblici e privati e fornendo assistenza nel collegamento con i settori dell'istruzione, della formazione culturale e professionale e con il mondo del lavoro.

Art. 3.
(Funzioni e requisiti del mediatore interculturale).

      1. Il mediatore interculturale svolge funzioni di orientamento, d'informazione, di accoglienza, di traduzione, di interpretariato, di mediazione linguistico-culturale e di sensibilizzazione in un'ottica di pari opportunità fra stranieri e cittadini autoctoni. L'attività del mediatore interculturale è finalizzata alla facilitazione, alla governance e al cambiamento. Il mediatore interculturale svolge ruoli complessi nell'ambito della comunicazione, dell'informazione, dell'orientamento, della gestione dei conflitti, dell'accompagnamento, dell'assistenza, della formazione, della consulenza, della progettazione e della ricerca.
      2. L'attività del mediatore interculturale è finalizzata a:

          a) mediare tra la cultura d'origine e quella della società di accoglienza o fra le diverse culture dei migranti;

          b) favorire processi di integrazione degli immigrati;

          c) contrastare fenomeni di razzismo e xenofobia;

          d) contribuire a migliorare la comprensione tra gli stranieri e gli autoctoni;

          e) valorizzare le differenze e le similitudini;

          f) favorire le pari opportunità nel godimento dei diritti e nell'accesso ai servizi pubblici;

          g) favorire la comunicazione fra gli autoctoni e stranieri sia di carattere interpersonale che collettiva.

 

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      3. Il mediatore interculturale svolge le seguenti funzioni:

          a) interpretariato sociale, linguistico meta-linguistico e culturale;

          b) diffusione delle informazioni e orientamento;

          c) sostegno nella prevenzione e risoluzione del conflitto;

          d) accompagnamento;

          e) promozione di rapporti di rete;

          f) sensibilizzazione degli autoctoni alle tematiche dell'intercultura;

          g) sostegno nella formazione di competenze interculturali di operatori italiani;

          h) consulenza agli operatori per il miglioramento dei servizi;

          i) collaborazione alla formazione di altri mediatori;

          l) collaborazione ad attività di ricerca sulle tematiche attinenti al target sociale ed economico degli stranieri;

          m) collaborazione alla progettazione degli interventi in favore degli immigrati;

          n) collaborazione alla formazione di altri stranieri per ciò che concerne i requisiti di base dei processi di integrazione.

      4. In particolare, il mediatore interculturale:

          a) orienta e favorisce l'accesso degli stranieri ai servizi territoriali, informandoli sui loro diritti fondamentali, attraverso l'ascolto e il dialogo, promuovendo la loro autonomia;

          b) facilita la comunicazione, l'informazione e lo scambio culturali tra gli stranieri e gli autoctoni;

          c) previene potenziali occasioni di conflitto, favorendo le condizioni per l'integrazione sociale, e promuove le pari opportunità nell'accesso ai servizi pubblici e nel godimento dei diritti, valorizzando

 

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altresì le culture e i valori propri degli stranieri;

          d) agevola l'inserimento degli stranieri nella società italiana, informandoli sui loro diritti e sui loro doveri e stimolando le istituzioni a diffondere informazioni precise utili a tal fine;

          e) assiste gli stranieri nei loro rapporti con le istituzioni pubbliche, quali le istituzioni educative, sanitarie, amministrative e giudiziarie, e con le istituzioni private;

          f) favorisce l'incontro tra gli stranieri e gli autoctoni nonché tra gli stessi stranieri attraverso la funzione di mediazione linguistico-culturale, che si esprime nella capacità di tradurre i diversi codici comunicativi dei soggetti e di metterli in grado di comprendersi reciprocamente;

          g) promuove e valorizza il ruolo degli stranieri come risorsa e opportunità per la realtà socio-economica nella quale essi vivono;

          h) promuove azioni d'informazione rivolte agli autoctoni e agli operatori dei servizi dei sistemi culturali e religiosi ai quali gli stranieri fanno riferimento.

Art. 4.
(Delega al Governo in materia di formazione del mediatore interculturale e di riconoscimento del valore legale del titolo).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, uno o più decreti legislativi aventi per oggetto contenuti, modalità di svolgimento, durata e attivazione dei corsi formativi di base e di livello avanzato per i mediatori interculturali,

 

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nonché disposizioni volte a riconoscere valore legale dei titoli di studio.
      2. I decreti legislativi di cui al comma 1 sono informati ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) i corsi formativi mirano a conseguire competenze culturali, pedagogiche, legali e linguistiche idonee per poter operare in contesti interculturali;

          b) la diversa durata dei corsi formativi è commisurata ai diversi livelli, nonché ai differenti indirizzi specialistici e alla complessità dei compiti e degli ambiti in cui il mediatore interculturale è chiamato a operare;

          c) la formazione dei mediatori interculturali è attuata, in particolare, attraverso:

              1) corsi formativi di base per l'acquisto della qualifica di mediatore interculturale, realizzati dalle istituzioni scolastiche, dalle regioni o da enti da esse accreditati, nell'ambito dei piani regionali adottati in materia di formazione professionale, che hanno una durata media pari a 400 ore circa oltre a tirocini o stage nelle materie oggetto del corso della durata di almeno un terzo della durata complessiva. Il corso si conclude con un esame finale. Per l'accesso a tali corsi è necessario aver compiuto diciotto anni ed essere in possesso di un diploma d'istruzione secondaria di secondo grado o equiparato. Nel caso si tratti di stranieri, per l'accesso ai corsi è necessario inoltre dimostrare: una buona conoscenza del sistema istituzionale italiano; una competenza linguistica di livello C1 secondo il Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (CEFR) della propria lingua madre; la conoscenza di livello A1 di almeno una lingua veicolare (inglese o francese) nonché conoscenza della lingua italiana di livello B1; attitudini relazionali; pregresse esperienze nel settore sociale e nel campo dell'immigrazione; aver vissuto un'esperienza di immigrazione costituisce titolo preferenziale. Nei corsi sono utilizzati, oltre ai metodi didattici tradizionali con insegnamento

 

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di tipo frontale, anche giochi di ruolo e simulazioni, attività pratiche con affiancamento di tutor e supervisori. Il personale docente è selezionato tra i docenti universitari, i gestori di servizi di mediazione, i funzionari pubblici anche delle regioni e degli enti locali;

              2) corsi di formazione di secondo livello consistenti nel conseguimento di una laurea triennale o di un master universitario e specificamente indirizzati alla formazione interculturale e all'esercizio della professione di mediatore interculturale. I corsi di secondo livello sono finalizzati in particolare all'apprendimento del funzionamento dei servizi, della normativa e dei codici, dei linguaggi e della modulistica di settore, delle tecniche di mediazione orientata ai bisogni del settore specifico e degli utenti beneficiari del settore. I corsi hanno una durata minima di 20 ore e massima di 200 ore di cui la metà almeno di tirocinio pratico. Per accedere ai corsi di secondo livello sono previsti gli stessi requisiti necessari per i corsi di base ed è necessario aver completato un corso formativo di base. Sono utilizzati gli stessi metodi didattici in uso per i corsi di base con un maggiore apporto di operatori di settore e con un maggiore utilizzo di simulazioni e giochi di ruolo;

              3) corsi di aggiornamento realizzati in Italia o all'estero;

          d) i corsi formativi di base di cui alla lettera c), numero 1), sono strutturati nelle seguenti aree:

              1) area della comunicazione e delle relazioni interculturali: psicologia del sé e psicologia relazionale; antropologia culturale e sociale; teorie e tecniche della comunicazione verbale analogica; tecniche di interpretariato;

              2) area normativa: Unione europea e diritti umani; Costituzione italiana; organizzazione sociale e assetti istituzionali dello Stato italiano; legislazione italiana in materia di immigrazione con elementi di diritto del lavoro e di legislazione sociale;

 

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              3) area dell'organizzazione e dei servizi: modelli di organizzazione dei servizi e delle istituzioni pubblici e privati; conoscenze informatiche di base;

          e) il percorso formativo di secondo livello di cui alla lettera c), numero 2), prevede un'articolazione in moduli disciplinari divisi per settori, secondo gli ambiti d'impiego del mediatore interculturale, tra cui sono individuate, in particolare, le seguenti aree:

              1) area socio-sanitaria;

              2) area educativo-scolastica;

              3) area della sicurezza e della giustizia;

              4) area dell'emergenza e della prima accoglienza;

              5) area del lavoro;

          f) con riferimento al percorso formativo di base e a quello di secondo livello, sono previste esperienze alternate di tirocinio o stage presso enti, istituzioni scolastiche pubbliche e private, nonché presso organizzazioni del terzo settore, tra cui le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, le imprese sociali, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, gli organismi della cooperazione sociale, le fondazioni, gli enti di patronato e gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato italiano ha stipulato patti, accordi o intese e operanti nel campo di applicazione della presente legge.

      3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere ai fini dell'espressione dei pareri da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario. I pareri sono resi entro trenta giorni dalla data di trasmissione dei medesimi schemi, decorsi i quali senza che le Commissioni parlamentari abbiano espresso i pareri di rispettiva competenza, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.

 

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Art. 5.
(Ambiti d'impiego dell'intermediazione culturale).

      1. L'intermediazione culturale è svolta nei seguenti contesti:

          a) servizi educativi per l'infanzia;

          b) scuole di ogni ordine e grado;

          c) ospedali e consultori familiari;

          d) servizi sociali;

          e) centri di prima accoglienza per gli immigrati;

          f) comunità alloggio per gli immigrati;

          g) uffici per gli stranieri delle questure;

          h) carceri;

          i) uffici per gli stranieri dei sindacati, degli enti locali e delle organizzazioni di volontariato;

          l) centri per l'impiego;

          m) aziende e servizi commerciali che prevedono la presenza di stranieri.

      2. Il mediatore interculturale esercita la sua attività nei seguenti ambiti:

          a) in ambito sociale:

              1) interpretariato linguistico-culturale;

              2) accoglienza;

              3) informazioni su casa, lavoro, normativa, accesso ai servizi pubblici e privati e scuola;

              4) consulenza;

              5) coinvolgimento in progetti per la protezione delle donne e dei minori;

              6) contatti con le ambasciate, con i consolati e con le questure;

              7) mediazione dei conflitti familiari;

 

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              8) mediazione tra i minori e le loro famiglie e gli organi scolastici;

          b) nella questura:

              1) informazioni sulle carte e sui permessi di soggiorno;

              2) compilazione di documenti;

              3) chiarimenti sulle procedure e sulle richieste avanzate dagli organi di polizia;

          c) nelle scuole:

              1) facilitazione dei rapporti tra gli alunni e con gli insegnanti;

              2) educazione interculturale;

              3) interpretariato linguistico-culturale nei rapporti tra gli insegnanti e i genitori degli alunni;

              4) consulenza sulla storia scolastica, familiare e sociale del minore;

              5) accoglienza e inserimento;

              6) alfabetizzazione in italiano;

              7) intrattenimento di rapporti con gli altri servizi territoriali;

              8) aiuto linguistico agli alunni;

              9) sostegno scolastico ed extra-scolastico;

          d) nelle strutture sanitarie:

              1) accoglienza;

              2) supporto, su richiesta durante le consultazioni ostetrico-ginecologiche, pediatriche e psicoterapeutiche;

              3) informazioni e spiegazioni su prescrizioni di esami, di ecografie e di metodi di contraccezione, nonché in materia di sterilità, di malattie sessualmente trasmissibili e di AIDS-HIV;

              4) informazioni e spiegazioni su allattamento, alimentazione dei lattanti e diete da seguire nel periodo successivo al parto;

 

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              5) informazioni legali, sulla normativa vigente e sull'accesso ai servizi pubblici e privati del territorio;

              6) orientamento ai servizi del territorio;

              7) traduzione dei materiali informativi in altre lingue;

              8) colloqui con i degenti;

              9) specifica attenzione alla comprensione del consenso informato nei casi in cui è richiesto;

              10) visite guidate per donne gravide alle sale parto al fine di consentire loro di prendere contatto con tali strutture;

              11) rapporti con le istituzioni sanitarie del territorio;

              12) interventi di educazione interculturale rivolti agli operatori sanitari e alla cittadinanza.

Art. 6.
(Copertura finanziaria).

      1. Gli oneri per l'attivazione dei corsi di cui all'articolo 4 sono posti a carico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che vi provvede nell'ambito dell'ordinario stanziamento di bilancio.

Art. 7.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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