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PDL N. 3311

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3311



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

SCHIRRU, DAMIANO, BELLANOVA, BOCCUZZI, GNECCHI, GATTI, MADIA, MATTESINI, MIGLIOLI, BERRETTA, SANTAGATA, MOSCA, BOFFA

Esclusione del coniuge uxoricida dal diritto al trattamento pensionistico di reversibilità

Presentata il 15 marzo 2010


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge ha lo scopo di introdurre una modifica alla normativa vigente in materia previdenziale, che si ritiene necessaria e urgente per il superamento dell'iniquità rappresentata dalla non esclusione dal diritto al trattamento pensionistico di reversibilità del coniuge superstite nei casi di uxoricidio, intendendosi per uxoricidio l'omicidio commesso verso il proprio coniuge, sia esso il marito o la moglie.
      Come è noto, la pensione di reversibilità costituisce l'erogazione previdenziale che, alla morte del lavoratore assicurato o pensionato (per vecchiaia, anzianità o inabilità), spetta ai componenti del suo nucleo familiare, ovvero il coniuge, i figli e, in particolari condizioni, anche i nipoti minori, i genitori, i fratelli e le sorelle.
      In particolare, beneficiario è, per esempio, il coniuge separato «per colpa», solo se il tribunale ha stabilito che ha diritto agli alimenti (estendendo la portata applicativa dell'articolo 9 della legge n. 898 del 1970, come da ultimo modificato dalla legge n. 74 del 1987, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 286 del 1987, premettendo che i trattamenti pensionistici di reversibilità trovano fondamento nella «particolare solidarietà che si crea tra persone già legate dal vincolo di coniugio (...) e che continua ad avere effetti rilevanti anche dopo lo scioglimento del matrimonio», ha riconosciuto il diritto a conseguire il trattamento di
 

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reversibilità anche al coniuge superstite separato per sua colpa con sentenza passata in giudicato); il coniuge divorziato, purché il lavoratore deceduto sia stato iscritto all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) prima della sentenza di scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, a condizione che sia titolare di assegno di divorzio e non sia risposato; il coniuge divorziato ha diritto alla pensione anche se il lavoratore deceduto si è risposato dopo il divorzio e il secondo coniuge è ancora in vita. In tal caso, l'INPS paga la pensione soltanto dopo che il tribunale ha emesso una sentenza con la quale stabilisce le quote di pensione spettanti al primo e al secondo coniuge (legge n. 898 del 1970).
      Successivamente, una svolta decisiva intervenne a seguito della sentenza n. 419 del 1999 della Corte costituzionale, con la quale fu stabilito che il criterio della durata temporale dei due matrimoni non è l'unico criterio che il tribunale deve seguire per calcolare la quota proporzionale di pensione spettante al coniuge superstite e all'ex coniuge. Il giudice deve valutare anche altri elementi quali la posizione economica del coniuge divorziato e quella del coniuge superstite. Inoltre, con una recente sentenza, la Corte di cassazione ha stabilito che, per valutare la quota di pensione spettante a ciascuno, occorre tenere conto anche degli eventuali periodi di convivenza prima del matrimonio. Essendo stata chiamata a valutare la legittimità costituzionale dell'articolo 9 della Costituzione, in riferimento agli articoli 3 e 38 della medesima Costituzione, la Corte costituzionale ha stabilito che «Nel disciplinare i rapporti patrimoniali tra coniugi in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il legislatore ha assicurato all'ex coniuge, al quale sia stato attribuito l'assegno di divorzio, la continuità del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare, mediante la reversibilità della pensione che trae origine da un rapporto previdenziale anteriore al divorzio, o di una quota di tale pensione qualora esista un coniuge superstite che abbia anch'esso diritto alla reversibilità».
      Ebbene, per la normativa vigente, di fronte all'uxoricidio, pur essendo drammaticamente evidente la frattura della «solidarietà familiare», il coniuge omicida non è escluso dal diritto di ricevere la pensione di reversibilità, venendo così meno lo stesso principio fondamentale del suddetto trattamento pensionistico, ovvero la sua funzione solidaristica.
      Così è stato in numerosi casi, come è stato denunciato più volte dai mezzi di informazione. Solo per fare qualche esempio, è accaduto nel 1999 nella provincia di Catania e a Perugia, dove un uomo, condannato a trent'anni per aver ucciso nel 2003 la moglie, gode dell'80 per cento della pensione di reversibilità, mentre il figlio minore della vittima solo del 20 per cento, più recentemente è accaduto a Nuoro, un litigio in camera dal letto, il marito, guardia forestale, dopo aver armato la pistola d'ordinanza, appoggia la canna alla testa della moglie e preme il grilletto. La figlia di sei anni era nella stanza vicina. Dopo l'uomo si era pulito, aveva portato la bimba dai nonni ed era andato a costituirsi. Processato con il rito abbreviato era stato condannato a quattordici anni e sei mesi. Indulto e benefìci vari lo hanno rimesso in libertà il 30 novembre 2007. Nove giorni dopo ha chiesto la pensione di reversibilità della moglie che veniva versata su un conto della figlia. Si era anche opposto alle richieste dei tutori della figlia per il possesso della casa del delitto, vuota da allora e la cui procedura di pignoramento è ancora in corso, pur non avendo mai versato neanche la provvisionale di 80 milioni di lire fissata allora dalla corte di assise di Nuoro, al termine del processo, per il risarcimento del danno.
      In tutti questi casi, il coniuge omicida, seppur condannato perchè colpevole di un delitto così atroce, ha diritto, comunque, a ricevere la pensione di reversibilità del coniuge assassinato. Per legge gli spetta l'80 per cento, mentre ai figli, quasi sempre minorenni, solo il 20 per cento. Una situazione
 

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paradossale, un «muro» legislativo contro il quale tutti i percorsi intrapresi dai legali che tutelano i minori, si sono dovuti interrompere. Senza esito sono state anche tutte le richieste avanzate in questi anni all'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (INPDAP), l'ente che deve pagare la pensione di reversibilità della vittima.
      È evidente che l'uxoricidio, oltre a rappresentare un crimine gravissimo, costituisce una profonda ferita per l'intera società, per l'assassinio di un suo componente e in virtù dell'interesse dei figli, che subiscono le conseguenze peggiori di questi drammi familiari in termini psicologici, ritrovandosi all'improvviso doppiamente orfani: di un genitore assassinato e, di fatto, anche dell'altro che si è macchiato del reato di omicidio contro il proprio coniuge.
      È quindi doveroso da parte del legislatore colmare questa lacuna legislativa con l'approvazione della presente proposta di legge, che si compone di due soli articoli, volta a escludere chi si è macchiato di un crimine così grave dal diritto al trattamento pensionistico di reversibilità, nell'interesse del sereno sviluppo dei figli che assistono, da vittime, a queste sciagure.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Nell'ipotesi di uxoricidio e nell'ipotesi in cui il coniuge sia escluso, per indegnità, dalla successione del coniuge defunto, il coniuge superstite non ha diritto al trattamento pensionistico di reversibilità.

Art. 2.

      1. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali sono adottate, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, le disposizioni necessarie per l'attuazione della medesima legge.


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