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CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 2937-A-bis
N. 2936-A-bis |
1. Dalla Finanziaria «light» a quella «una tantum»
2. La crisi non è finita
3. Come il Governo ha affrontato la crisi - la sua «filosofia» e gli interventi
4. Le osservazioni critiche di istituti e delle parti sociali
5. La manovra licenziata dal Senato
6. Alcune questioni problematiche:
Difesa SpA
La mafia ringrazia
Il Mezzogiorno nella Finanziaria 2010
La Banca per il Mezzogiorno
La riduzione dell'Irap
Le risorse per la banda larga
Le risorse per il rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici
I tagli alla sicurezza
Togliere le agevolazioni CIP 6 alle fonti «assimilate»
L'assunzione dei ricercatori universitari
7. Una diversa politica economica per superare la crisi
I. DALLA FINANZIARIA «LIGHT» A QUELLA «UNA TANTUM».
Con il passaggio in Commissione Bilancio la Finanziaria da leggera è diventata relativamente più pesante, ma con misure una tantum. Molte misure, infatti, sia di spesa che di "copertura" sono previste solo per l'anno 2010 o nei migliori dei casi per il triennio. Diversi interventi significativi sono di fatto rinviati ad altri provvedimenti.
Certo, hanno pesato i malumori interni alla maggioranza a partire dalla vera e propria contro-finanziaria presentata dal Senatore Baldassari, peraltro ex sottosegretario proprio all'economia.
Qualche modesto provvedimento è stato inserito, insieme a misure dovute ed altre non ben calibrate e contraddittorie.
Dopo il maxi-emendamento presentato dal Relatore, il testo è diventato più corposo, e la manovra assomma a 8,88 miliardi. Basti ricordare che la manovra approvata dal Senato in prima lettura valeva 3,4 miliardi.
Il grosso delle nuove spese è coperto con il gettito dello scudo fiscale valutato provvisoriamente pari a 3,7 miliardi; il resto deriva dall'accordo con le Province di Trento e Bolzano, accordo che ha consentito il risparmio di circa un miliardo di euro e dalla proroga dell'utilizzo del TFR accantonato presso l'INPS di 3 miliardi per il 2010.
Qualche risorsa viene recuperata con il taglio dei costi della politica anche se il centrodestra si rifiuta di affrontare il problema fino in fondo, non sopprimendo ad esempio, le Province ed altri enti intermedi inutili.
Osserviamo come l'accordo con le due Province autonome è sì vantaggioso per lo Stato nell'immediato, ma in cambio si è consentito alla due Province di non partecipare al Fondo perequativo previsto dalla legge sul federalismo fiscale, oltre ad altre disposizioni (non rispetto del Patto di stabilità interno, ecc...). Dunque, anche in questo caso, si rinviano i problemi nel prossimo futuro: questo miliardo sarà tolto al fondo perequativo a detrimento delle risorse per le Regioni meno «ricche» che avranno più difficoltà nel garantire ai cittadini i livelli essenziali di assistenza, oppure se ne dovranno fare carico le regioni che dispongono di maggiori risorse.
L'utilizzo del TFR era stato introdotto dal Governo Prodi con la Finanziaria per il 2007, ma il suo utilizzo era previsto solo per 3 anni (2007-2009) e per investimenti in opere pubbliche. Ora si proroga di tre anni tale disposizione e per lo più per coprire spese di natura corrente come quelle relative al Patto per la salute. Una misura che rinvia i problemi di copertura nel futuro in quanto il TFR va man mano rimborsato ai lavoratori mentre le spese
la partecipazione a banche e fondi internazionali (130 milioni),
la proroga del 5 per mille (400 milioni),
il rifinanziamento per la gratuità parziale dei libri scolastici (103 milioni),
un parziale recupero dei tagli al Fondo ordinario per il finanziamento delle università (400 milioni),
perfino il rifinanziamento delle scuole non statali (130 milioni),
la proroga delle agevolazioni per l'autotrasporto (400 milioni),
la proroga delle agevolazioni per il settore agricolo (100 milioni),
la proroga degli interventi per gli LSU (370 milioni).
Ai quali si aggiungono interventi vari anch'essi adottati per prorogare misure già in essere da svariati anni o per rimediare almeno in parte ai tagli di bilancio.
Altri 750 milioni sono destinati a coprire il costo nel 2010 delle cosidette «missioni di pace».
Tra le spese dovute e non deliberate, i 2.400 milioni che mancano all'accordo faticosamente raggiunto con le Regioni sulla sanità ai quali - sostiene il Governo - si provvederà «con successivi provvedimenti legislativi» in rispetto del Patto appena firmato con i Presidenti delle Regioni.
Valutiamo positivamente il piccolo aumento (200 milioni ) accordato per finanziare il credito d'imposta riservato alle imprese che investono in ricerca ed innovazione. Ma non c'è ancora nessuna certezza sulle risorse necessarie (800 milioni) per completare l'introduzione della banda larga in tutta la penisola.
Sono stati previsti 975 milioni per il cosidetto «Pacchetto Lavoro», ma di questi i due terzi invece di focalizzarsi sugli ammortizzatori sociali sono destinati alla proroga della detassazione dei contratti di produttività, contratti - è bene ricordarlo - che coinvolgono solo una piccola minoranza di lavoratori. Niente, inoltre, è previsto per restituire il drenaggio fiscale ai lavoratori.
Per le modalità di recupero dei versamento fiscali e contributi sospesi per il periodo 6 aprile-30 novembre 2009 a seguito del terremoto in Abruzzo, viene portato da 24 a 60 il numero delle rate per la restituzione del debito, e si proroga il termine del pagamento della prima rata: da gennaio 2010 a giugno 2010. Ma dobbiamo ricordare che le modalità previste per gli eventi sismici avvenuti nelle regioni Marche ed Umbria del 1997 e quelli nelle province di Campobasso e Foggia del 2002, furono ben altre: si prevedeva, infatti, una restituzione pari al 40 per cento dell'ammontare dovuto e in 120 rate mensili.
Si prevede poi, in via sperimentale, l'applicazione di un'aliquota secca al 20 per cento per i proprietari di case ubicate nella provincia de L'Aquila ma solo ai canoni agevolati che sono una ristretta
II. LA CRISI NON È FINITA.
Dall'inizio della crisi (settembre 2008) si è assistito ad un forte peggioramento del debito pubblico dovuto alla diminuzione delle entrate ed all'aumento incontrollato delle spese correnti senza alcun effetto positivo sull'economia reale.
I segnali di ripresa registrati nelle ultime settimane corrispondono in larga misura ad una ripresa «drogata» soprattutto negli Usa. La ripresa vera, senza gli stimoli finanziari immessi sul mercato da molti governi, non potrà essere veloce e rapida.
L'entusiasmo da parte dell'attuale Governo per i dati OCSE indica solo una scarsa capacità di leggere gli indici: il cosiddetto superindice, il CLI (Composite leading indicators), è uno strumento che aggrega diversi dati disponibili in tempi rapidi per elaborare delle stime a breve termine, sei mesi al massimo, sull'andamento delle economie nazionali.
Ma esso presenta vari ordini di problemi di cui il principale è il rischio di sopravvalutare fattori congiunturali sul brevissimo periodo. Si tratta, insomma, di uno strumento molto tecnico, che non dice nulla sullo stato strutturale dell'economia ma si limita a cercare di prevedere la performance a breve, indicando l'attesa di fasi di espansione o di recessione, indipendentemente dai fattori scatenanti.
Sembra decisamente fuori luogo, insomma, esultare per i dati lusinghieri di queste stime per l'Italia. Del resto, anche la precedente rilevazione aveva predetto un buon andamento per l'economia italiana, senza che si siano poi visti grandi effetti.
Nel caso specifico, poi, è la stessa OCSE a invitare alla cautela, visto che l'attesa di miglioramento della situazione economica per l'Italia, «può essere in parte attribuito a un calo degli stessi potenziali di crescita e non solamente a un miglioramento della stessa attività economica».
Traducendo: risulta che, se è vero che il superindice per l'Italia è cresciuto di 10,3 punti su base annua e che questa crescita è la più elevata tra i Paesi indicati, questa stima non indica tanto un'attesa di crescita del PIL, quanto una valutazione della performance sulla base di parametri più ridotti, vale a dire una crescita all'interno di uno scenario più contratto.
Se l'indice indica davvero qualcosa, allora, quello che viene indicato è un contesto di sostanziale stagnazione, in cui è difficile attendersi una buona performance economica in assoluto, ma nel quale è possibile che l'andamento a breve dell'economia italiana, possa essere di consolidamento invece che di ulteriore sprofondamento.
Le stesse statistiche dell'OCSE ci mettono in coda e in ritardo sulle medie europee non solo in materia di PIL pro capite ma anche in materia di istruzione, di ricerca, di tasso di attività, di occupazione giovanile e femminile, di diseguaglianze distributive, ecc...
È lo stesso Centro studi di Confindustria (1) ha sostenerlo: tra la fine dell'anno e l'inizio del 2010, la ripresa dell'economia mondiale è destinata a consolidarsi. Ma, questo non significa che la crisi sia terminata perché ci vorrà molto tempo prima che la crescita del PIL e della produzione
Abbiamo di fronte, dunque, una ripresa debole, con un incremento del tasso di disoccupazione e con livelli contenuti della domanda internazionale. Ci vorranno almeno 5 anni - secondo Confindustria - per ritornare ai livelli pre-crisi ed ancora di più per quanto concerne la produzione industriale.
Il crollo del PIL italiano è stato più marcato rispetto alla media dei paesi OCSE e di quelli dell'euro: in Italia abbiamo avuto siamo calati del 4,5 per cento, contro rispettivamente - 3,5 e - 4 per cento.
L'occupazione continuerà a calare. Non a caso, nel secondo trimestre dell'anno in corso sono saltati quasi 690 mila posti di lavoro.
L'attuale Governo non ha fatto nulla per le piccole imprese ma ha fatto molto per salvare una grande impresa come l'Alitalia, usando un fiume di soldi pubblici. Non ha fatto nulla per le piccole imprese ma ha fatto un condono fiscale/amnistia a tutela dei grandi evasori che hanno portato all'estero milioni di euro e commesso reati penali come il falso in bilancio.
Così oggi il piccolo commerciante che per la terza volta venga colto in fragrante per non aver emesso uno scontrino fiscale di pochi euro deve subire la chiusura del proprio negozio mentre il grande evasore, che ha evaso il fisco per milioni di euro, può mantenere l'anonimato e pagare una piccola somma per mettersi in regola.
Ancora non ha fatto nulla per assicurare il credito alle piccole imprese visto che i Tremonti-Bonds sono stati un flop clamoroso. Non ha fatto nulla per creare un sistema di ammortizzatori sociali universale che si applicasse a tutti i lavoratori, non ha fatto nulla per le piccole imprese ma ha concesso incentivi per la rottamazione delle autovetture e si accinge a rinnovare il provvedimento.
A fronte di questo immobilismo il Governo è stato capace però di far crescere il debito pubblico italiano di oltre 10 punti di PIL. Siamo passati, infatti, da un rapporto debito/PIL che era 105 nel 2008 a un rapporto di 115 nel 2009. La Commissione europea ha, da poco, aperto una procedura d'infrazione per eccesso di disavanzo pubblico contro il Governo italiano. Quindi non è vero che si è rimasti fermi perché si volevano mettere al sicuro i conti pubblici.
Se la crisi «è alle spalle» - come dice il nostro Governo - essa è, forse, alle spalle di qualche istituto finanziario. Ma Confindustria e Confcommercio sono preoccupate e le organizzazioni sindacali mobilitano i loro iscritti; la disoccupazione aumenta, i livelli di povertà anche, le sperequazioni dei redditi pure e le prospettive sono per ulteriori chiusure di fabbriche e di perdita di posti di lavoro.
Inoltre, a soli 12 mesi dall'inizio della crisi è ripartita sui mercati finanziari quella che molti economisti hanno definito una «nuova bolla». I meccanismi speculativi sono identici e nulla sembra cambiato malgrado le promesse di molti governi di mettere ordine ed imporre regole.
Notevoli finanziamenti ottenuti sotto forma di prestiti, garanzie, tassi di interesse al minimo, sono a disposizione degli operatori. Le risorse finanziarie, negate a imprese e famiglie, vengono convogliate su transazioni speculative sulle materie prime e sui derivati.
La borsa di Wall Street da quota 7.000 di un anno fa, oggi oscilla intorno a 10.000 e molti ritengono possibile che l'indice Dow Jones tocchi presto quota 11 mila. Questa tendenza al rialzo agisce contemporaneamente sui diversi mercati e può innestare un processo molto pericoloso.
Le manovre speculative, infatti, sono facilitate dalla costante discesa del valore del dollaro che consente alle banche di indebitarsi a breve a tasso zero in dollari per poi reinvestirli sui mercati internazionali. Grazie alla contemporanea svalutazione della moneta americana, esse godono di tassi negativi anche del 10-20 per cento, visto che poi dovranno restituire dollari che valgono meno. Esiste dunque un incentivo per indebitarsi sempre di più e per investimenti sempre più arrischiati.
Quando la FED dovrà aumentare i tassi le bolle speculative - sostiene l'economista Roubini, l'unico ad avere previsto con largo anticipo la crisi attuale - si sgonfieranno tutte contemporaneamente.
La crisi che sta allentando la presa del PIL, pesa ora soprattutto sul mondo del
III. COME IL GOVERNO HA AFFRONTATO LA CRISI
La «filosofia» della politica economica del Governo è obsoleta.
Secondo il Governo, la ripresa internazionale quando verrà consentirà una ripartenza dei consumi all'interno dell'economia globale. Essendo un Paese produttore di beni e servizi di alta qualità e in larga misura esportatore e la ripresa dei consumi alla dimensione globale consentirà finalmente alle nostre imprese, manifatturiere in particolare, di riprendere la produzione a pieno ritmo e le esportazioni risaliranno. Per questa via, torneremo su di un sentiero di crescita stabile e duraturo, a condizione di non fare scelte di bilancio eccessivamente espansive che allarghino troppo il debito che rimane molto alto per il nostro Paese.
Ma, l'economia del debito, che ha caratterizzato la fase degli ultimi 10-13 anni, aveva un elemento di traino nei consumi delle famiglie degli Stati Uniti d'America. Oggi, ci si chiede chi sostituirà nel mondo i consumatori americani come consumatori globali.
Incombe anche l'exit strategy: i Governi dei principali Paesi dovranno cominciare a rientrare da quelle politiche monetarie e da quelle politiche di bilancio espansive che hanno consentito di fronteggiare la crisi finanziaria.
Quindi, non è attraverso l'approccio del Governo che possiamo sperare di avere una soluzione positiva alla crisi.
Abbiamo bisogno, dunque, di interventi che correggano la politica economica e la politica fiscale, per ottenere un insieme di misure adatte a sostenere la domanda interna e nel contempo prevedere politiche per qualificare ed innovare l'offerta del nostro Sistema-Paese.
Dobbiamo guardare, sì, all'andamento della domanda mondiale non solo nei nostri mercati tradizionali ma anche nei mercati dei Paesi emergenti. Dobbiamo essere attenti, quindi, all'andamento delle nostre esportazioni, ma non potremo contare, per il rilancio della nostra economia, soltanto sulle esportazioni.
Ci vorrà più domanda interna, più domanda non soltanto a livello nazionale, ma anche a livello europeo. Riteniamo, perciò, che il Governo italiano debba insistere in tutte le sedi affinché la politica economica europea sia espansiva utilizzando - come è stato proposto da più parte - gli eurobond. Ma qualcosa in più possiamo e dobbiamo fare per rilanciare la domanda interna.
Dobbiamo dunque prevedere nell'immediato una vera manovra di almeno un punto di PIL che vada a sostegno dei redditi, della domanda, dell'innovazione e delle piccole imprese.
LE POLITICHE DEL GOVERNO PER FRONTEGGIARE LA CRISI
A - Interventi per affrontare la crisi finanziaria.
La grave crisi dei mercati finanziari, che ha portato all'estero anche al fallimento di banche e intermediari finanziari, ha determinato l'adozione, da parte del Governo, innanzitutto di misure a tutela
1. Un primo gruppo di disposizioni relative al settore creditizio è stato inserito nel decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155 e nel decreto-legge 13 ottobre 2008, n. 157, poi accorpati nel corso dell'esame in sede referente del decreto-legge n. 155.
Con questo provvedimento sono state adottate alcune misure al fine di garantire la stabilità del sistema bancario e la tutela del risparmio, in linea con le conclusioni in sede europea. I diversi interventi riguardano:
misure di ricapitalizzazione delle banche, attraverso la sottoscrizione o la garanzia di aumenti del capitale sociale;
garanzia statale sulle passività bancarie e possibilità di scambio tra titoli di Stato e strumenti finanziari detenuti dalle banche;
estensione delle procedure di amministrazione straordinaria e gestione provvisoria alle banche con problemi di liquidità;
garanzie sui depositi bancari. Sono state integrate le vigenti disposizioni italiane in tema di garanzia sui depositi, aggiungendo ai sistemi di natura privatistica già presenti nell'ordinamento la possibilità di rilascio, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di una garanzia statale a favore dei depositanti delle banche italiane;
Quanto ha speso il Paese per salvare le banche.
L'Italia è l'unico Paese a non dichiarare apertamente quale sia l'onere per lo Stato del salvataggio degli istituti bancari e delle grandi imprese che rischiano di fallire.
Negli altri Paesi: Germania: 480 miliardi di euro; Francia: 320 miliardi; Spagna 150 miliardi.
All'articolo 1, commi 8 e 9, del decreto legge 9 ottobre 2008, n. 155 - al fine di finanziare eventuali interventi di sostegno pubblico alle ricapitalizzazioni bancarie previsti dal decreto medesimo, si prevede infatti che le risorse necessarie per finanziare la sottoscrizione di obbligazioni bancarie siano individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, ed iscritte in un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze. I suddetti decreti del Presidente del Consiglio e i correlati decreti di variazione di bilancio devono essere trasmessi con immediatezza al Parlamento e comunicati alla Corte dei conti.
Tali risorse - il cui importo non è stato quantificato - sono individuate, in relazione ad ogni operazione, mediante:
a) la riduzione lineare delle dotazioni finanziarie, a legislazione vigente, delle missioni di spesa di ciascun Ministero, con esclusione di alcune categorie di spesa assimilabili in larga parte a spese di carattere obbligatorio o aventi natura obbligatoria, cui si aggiungono altre specifiche spese ritenute "indisponibili". Si tratta, in particolare, delle dotazioni di ciascuna missione connesse a: - stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse; - spese per interessi; - poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili con le regioni; - trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria; - le risorse destinate al fondo ordinario delle università; alla ricerca; al finanziamento del 5 per mille dell'imposta sui redditi delle persone fisiche, nonché, in generale, le spese dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali;
b) la riduzione di singole autorizzazioni legislative di spesa.
c) l'utilizzo mediante versamento in entrata di disponibilità esistenti sulle contabilità speciali, nonché sui conti di tesoreria intestati ad Amministrazioni pubbliche ed enti pubblici nazionali, con esclusione di quelli intestati alle Amministrazioni territoriali, nonché di quelli riguardanti i flussi finanziari intercorrenti con l'Unione europea ed i connessi cofinanziamenti nazionali, con corrispondente riduzione delle relative autorizzazioni di spesa e contestuale riassegnazione ad un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze;
d) l'emissione di titoli del debito pubblico (in particolare solo questa ipotesi è stata utilizzata).
Un secondo gruppo di interventi sul settore è stato poi recato dal decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (cosiddetto decreto «anti-crisi», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 2009, n. 2), che ha introdotto altresì misure di sostegno dell'economia.
Con questo provvedimento sono state adottate ulteriori misure per il sistema creditizio, fra le quali:
l'autorizzazione al Ministero dell'economia e delle finanze, fino al 31 dicembre 2009 a sottoscrivere, su richiesta delle banche interessate obbligazioni (i cosiddetti «Tremonti Bond»);
le modifiche alla disciplina della Cassa depositi e prestiti S.p.a. Tali modifiche hanno esteso le competenze della Cassa, prevedendosi che i fondi derivanti dalla raccolta del risparmio postale possano essere utilizzati anche per il compimento di ogni operazione di "interesse pubblico" prevista dallo statuto sociale della CDP S.p.a..
Le misure tese alla ricapitalizzazione delle banche, anche a mezzo di prestazione di garanzia, non risulta siano state ancora utilizzate, mentre un relativo interesse hanno riscosso i cosiddetti Tremonti bond. In questo caso, il rischio assunto dallo Stato ottiene quale contropartita l'impegno dei soggetti finanziati ad assicurare un migliore accesso al credito alle famiglie, alle Pmi e alle amministrazioni pubbliche, nonché ad adottare un codice etico con il quale imporre, fra l'altro, un tetto agli stipendi dei manager. Hanno emesso tali obbligazioni solo due banche (Banco Popolare Società Coperativa e Banco Popolare di Milano) L'acquisto di queste obbligazioni è stato finanziato con l'emissione di titoli debito pubblico pari complessivamente a 2 miliardi di euro.
B - Ulteriori misure di politica economica.
2. Dopo la presentazione del disegno di legge finanziaria per il 2009, in presenza dell'aggravarsi dei segnali di crisi economica che si manifestavano nel corso degli ultimi mesi del 2008, e che avevano dato luogo ad una revisione peggiorativa delle previsioni per il 2009 da parte di alcune istituzioni economiche internazionali (a novembre 2008 il PIL italiano 2009 veniva stimato con segno negativo da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI), con un -0,6 per cento), viene effettuato un secondo intervento d'urgenza - il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 che reca una serie di interventi di sostegno all'economia.
In relazione alla composizione ed all'ammontare della manovra, l'intervento di sostegno ammonta complessivamente, sia per nuove spese che per riduzioni di entrate, a circa 7,4 miliardi di euro per il 2009, utilizzati principalmente mediante le seguenti disposizioni:
bonus straordinario per le famiglie, lavoratori e pensionati a basso reddito. A tali soggetti viene assegnato per l'anno 2009, un importo variabile dai 200 ai 1.000 euro, in relazione ai requisiti reddituali e di composizione del nucleo familiare (2,4 miliardi);
contributi statali a favore dei mutui per la prima casa. Si dispone che l'importo dei mutui a tasso non fisso da corrispondere nel 2009 debba calcolarsi sulla base di un saggio non superiore al 4 per cento, con assunzione a carico dello Stato della
integrazione del fondo per l'occupazione, mediante risorse pari a circa 300 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2009-2011, nonché previsione di indennizzi per le aziende commerciali in crisi (254 milioni);
finanziamento degli investimenti del Gruppo Ferrovie dello Stato, mediante l'istituzione di un apposito Fondo presso lo stato di previsione del Ministero dell'economia (dotato di 960 milioni per il 2009) e finanziamento (per 480 milioni annui nel triennio 2009-2011) per i contratti di servizio con Trenitalia;
rifinanziamento della legge obiettivo per le infrastrutture strategiche, per 60 e 150 milioni annui a decorrere rispettivamente dal 2009 e dal 2010;
proroga delle attività dei lavoratori socialmente utili nel settore scolastico (110 milioni per il 2009);
ulteriori maggiori spese sono, inoltre, riferibili alla sospensione temporanea dei sovrapprezzi per i pedaggi autostradali, alle agevolazioni tariffarie per le utenze gas a favore dei soggetti economicamente svantaggiati, alle procedure di stipula di convenzioni per assicurare i collegamenti marittimi essenziali.
Nell'intervento di sostegno rientrano altresì riduzioni fiscali connesse:
alla deducibilità, per un importo pari al 10 per cento, della quota di IRAP relativa al costo del lavoro e degli interessi dalle imposte sui redditi (1,085 miliardi);
al pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo (188 milioni) per i soggetti che nell'anno solare precedente hanno realizzato un volume d'affari non superiore a duecentomila euro;
a misure di detassazione di alcuni trattamenti economici accessori dei lavoratori pubblici e sui contratti aziendali relativi ai premi di produttività (400 milioni).
Il Governo ha inoltre varato tre interventi di natura finanziaria:
Piano infrastrutturale (17,8 miliardi, di cui 8 miliardi di investimenti privati e 9,8 di risorse pubbliche del Fondo per le Aree sottoutilizzate nazionale e della Legge obiettivo).
Fondo ammortizzatori sociali (8 miliardi, di cui 4 miliardi dal FAS nazionale, 2,6 da Fondo Sociale Europeo regionale e 1,4 stanziato dalla legge finanziaria 2009).
Fondo economia reale (9 miliardi dal FAS nazionale).
I tre fondi non sono stanziamenti aggiuntivi, ma esclusivamente una riprogrammazione di risorse statali (i 25,4 miliardi della quota nazionale del FAS) e regionali (2,6 miliardi del FSE) già esistenti, e di investimenti privati già previsti (8 miliardi).
3. All'inizio del 2009 tutti gli indicatori economici evidenziavano un accentuarsi della crisi economica, emergeva infatti un quadro connotato da peggioramenti sia della situazione macroeconomica (la previsione era per il 2009 di un PIL in diminuzione del 2 per cento) sia, conseguentemente, degli indicatori di finanza pubblica, con riguardo in particolare alla crescita della spesa corrente primaria, alla riduzione delle entrate tributarie ed all'aumento dell'indebitamento.
Viene emanato un terzo provvedimento d'urgenza, il decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5.
L'intervento ammonta a 2,2 miliardi per il 2009, interamente finanziati da 0,7 miliardi di maggiori entrate e 1,5 miliardi di tagli di spesa.
L'intervento si attua principalmente attraverso le seguenti misure:
incentivi per l'acquisto di autoveicoli e veicoli commerciali leggeri; rottamazione motocicli o ciclomotori pari a 1,063 miliardi;
contributi per l'installazione di impianti GPL o metano (per importi pari rispettivamente a 550 ed a 650 euro);
detrazioni per l'acquisto di mobili ed elettrodomestici ad alta efficienza energetica. La detrazione è pari al 20 per cento delle spese sostenute, nel limite massimo di 10.000 euro pari a 24 milioni;
strumenti di tassazione agevolata per le imprese operanti nei distretti produttivi, nonché in favore delle imprese che realizzano operazioni di aggregazione aziendale;
estensione dell'utilizzo di strumenti di tutela del reddito in favore delle categorie colpite dalla crisi occupazionale, intensificando l'applicabilità degli ammortizzatori sociali (in particolare la cassa integrazione, sia ordinaria che straordinaria, l'indennità di mobilità e l'indennità di disoccupazione), pari a 400 milioni.
Va precisato che gli oneri derivanti dal provvedimento risultano coperti mediante alcune riduzioni di spesa (utilizzo di residui di bilancio concernenti agevolazioni non dovute) e maggiori entrate (da intensificazione dell'attività di controllo fiscale).
Restringendo l'analisi ai soli provvedimenti finanziati al sostegno dell'economia - decreto-legge n. 185 del 2008 e decreto- legge n. 5 del 2009 - la sommatoria delle risorse stanziate dal Governo è pari a 7, 4 miliardi nel 2009 (0,55 del PIL), di cui 2,2 miliardi di sgravi fiscali, 3,7 di maggiori spese correnti e 1,6 di maggiori spese in conto capitale.
3. L'andamento economico sfavorevole in corso nel 2009 persiste per tutto il primo semestre dell'anno, peggiorando, pur in presenza dei due decreti legge anti-crisi n. 185 del 2008 e n. 5 del 2009 già intervenuti, le previsioni sui conti pubblici per l'anno 2009 medesimo e per quello successivo.
Viene varato un quarto provvedimento decreto anti-crisi - il decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78.
Il decreto-legge 78 del 2009 prevede un impiego di risorse pari a 1.236 milioni nel 2009, 3.785 milioni nel 2010 e 3.412 milioni nel 2011, interamente coperto - almeno formalmente - da maggiori entrate (1.084 milioni nel 2009, 2.689 milioni nel 2010 e 2.527 milioni nel 2011) e, in misura minore, da riduzioni di spesa (154 milioni nel 2009, 1.099 milioni nel 2010 e 889 milioni nel 2011).
Restringendo l'analisi ai soli provvedimenti finalizzati ad affrontare la crisi economica e sociale:
la detassazione degli utili reinvestiti in macchinari (1.833 milioni nel 2010 e 2.390 milioni nel 2011);
l'incremento della svalutazione fiscale crediti in sofferenza (39 milioni nel 2010 e 79 milioni nel 2011);
la flessibilità nell'utilizzo degli ammortizzatori sociali per progetti di formazione e lavoro (20 milioni nel 2009 e 150 milioni nel 2010);
le proroghe biennali del trattamento straordinario di integrazione salariale per le crisi aziendali (25 milioni nel 2009);
i fondi per i contratti di solidarietà per riduzione dell'orario di lavoro (40 milioni nel 2009 e 80 milioni nel 2010).
Conclusioni
L'azione di sostegno alla domanda è limitata dal debito pubblico del passato. Gli interventi attuati finora per attenuare i costi sociali della recessione hanno soprattutto utilizzato risorse già stanziate per altri impieghi.
Nel 2009 gli interventi anti-crisi del Governo hanno un impatto praticamente nullo in termini di manovra netta (effetto sull'indebitamento netto), e pertanto non segnano alcuna inversione di rotta rispetto all'impostazione fortemente restrittiva del decreto-legge n. 112 del 2008.
Sotto il profilo quantitativo, secondo l'OCSE il Governo Italiano ha stanziato in funzione anti crisi risorse nette pari praticamente a zero nel triennio 2008-2010,
Non è dunque sorprendente dovere registrare numerose critiche sulla politica economica del Governo non solo delle parti sociali ma anche di organismi di garanzia o di studio.
IV. LE OSSERVAZIONI CRITICHE DI ISTITUTI E DELLE PARTI SOCIALI
Corte dei conti.
In occasione delle audizioni sui documenti programmatici economico-finanziari e sulla decisione di bilancio, la Corte ha sollevato la questione di inadeguatezza dell'impianto informativo di tali documenti. Una inadeguatezza che determina una difficoltà dei dati, soprattutto ai fini della valutazione (che è quella richiesta alla Corte) sulla congruità delle stime di finanza pubblica e delle manovre correttive proposte.
Con il DPEF 2008-2011, presentato nel luglio 2007, un parziale miglioramento sul piano conoscitivo era stato apprezzato dalla Corte, soprattutto per la scelta di presentare i conti tendenziali e programmatici dei sottosettori istituzionali (Stato, Enti territoriali, enti di previdenza).
Gli ostacoli ad una piena comprensione del percorso «previsioni tendenziali - obiettivi programmatici-manovra correttiva» si sono, successivamente, riproposti puntualmente, tanto che, in occasione dell'audizione sul DPEF 2010-2013, resa il 21 luglio 2009 presso le commissioni riunite, bilancio Camera e Senato, la Corte richiamava ancora una volta l'attenzione sulla difficoltà di valutare la fattibilità della manovra di correzione dei conti pubblici in assenza di informazioni (anche tecniche) su quadro programmatico di medio termine della finanza pubblica.
Per quanto concerne il nuovo quadro macroeconomico, la nuova relazione previsionale e programmatica il Governo apporta alcune modifiche alle stime di crescita che sottendono all'elaborazione del quadro programmatico della finanza pubblica. Per la prima volta dal Giugno 2008 (DPEF 2009-2012) le previsioni hanno segno migliorativo.
Il pre-consuntivo 2009 limita ora il decremento del PIL al 4,8 per cento, a fronte del 5,2 indicato nel DPEF 2010-2013.
Per il 2010 si prevede un aumento del prodotto dello 0,7 per cento, due decimi in più rispetto alla precedente quantificazione. Rimane immutato il quadro di medio periodo, che ipotizza una crescita del PIL del 2 per cento, sostenuta da una variazione dello stesso ordine di grandezza della spesa delle famiglie.
Le valutazioni delle organizzazioni internazionali e della nostra autorità monetaria concordano, nel segnalare l'esaurimento della fase acuta della recessione, che ha toccato il punto massimo nel primo trimestre del 2009. Alla stabilizzazione del secondo periodo, sembra ora susseguire un rialzo dei livelli di attività, accompagnato da un recupero del clima di fiducia.
Inoltre, sono diffusi i segnali rasserenamento sui mercati finanziari, che si avviano a superare la fase di illiquidità che ne ha caratterizzato il funzionamento dal settembre 2008 fino a marzo 2009. Il fondo monetario internazionale, ha elevato di quasi un punto la previsione di crescita dell'economia mondiale nel biennio 2009-2010, rispetto alla quantificazione proposta nello scorso mese di luglio.
Per l'Italia il miglioramento della previsione è per altro, limitato a tre decimi di punto e interamente attribuito al 2010. Da questo punto di vista, le valutazioni governative appaiono, dunque, improntate a
il primo aspetto riguarda l'utilizzo, a copertura delle maggiori spese e delle minori entrate, di risorse rivenienti da talune misure introdotte con la legge n.102 del 2009 (decreto legge n. 78). In primis si tratta del maggior gettito atteso dai provvedimenti di contrasto all'evasione fiscale, destinato ad incrementare la dotazione del fondo per interventi strutturali. In secondo luogo le maggiori entrate (non quantificate, derivanti dalle disposizioni concernenti il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato (scudo fiscale). Il ricorso a forme di copertura tuttora indefinite o incerte ripropone il rischio di coprire maggiori spese o minori entrate strutturali con maggior gettito frutto di quantificazioni ex ante inadeguate e poco trasparenti e non verificabili a consuntivo;
il secondo aspetto da segnalare attiene alla disposizione di destinare le maggiori disponibilità di finanza pubblica che si realizzassero nell'anno 2010 rispetto alle previsioni del DPEF per gli anni 2010-2013, alla riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie con figli e dei percettori di reddito medio-basso, con priorità per i lavoratori dipendenti e i pensionati. Tale disposizione evoca impegni
Banca d'Italia.
Il disegno di legge presentato al parlamento contestualmente alla relazione previsionale programmatica, prevede un numero limitato di interventi con un effetto nullo sull'indebitamento netto. La sostanziale assenza di contenuti innovativi nel disegno di legge finanziaria è in linea con quanto già accaduto lo scorso anno, per effetto della manovra triennale varata nell'estate 2008.
Le misure anticrisi del Governo hanno mirato a prevenire l'interruzione del rapporto di lavoro e hanno introdotto interventi a sostegno del reddito di una parte dei lavoratori meno protetti. Rimangono carenze nel nostro sistema di ammortizzatori sociali, quali la frammentazione delle tutele. Occorre impegnarsi per modernizzare il sistema e renderlo adeguato a un mercato del lavoro più flessibile.
Un ridisegno del sistema degli ammortizzatori sociali per coloro che sono attivi nella ricerca del lavoro - purché accompagnato da un potenziamento dei meccanismi di verifica - rafforzerebbe la tutela dei lavoratori, aumenterebbe l'equità sociale e migliorerebbe il funzionamento del mercato del lavoro, favorendo la mobilità dei lavoratori tra settori e imprese. L'economia italiana sta affrontando una recessione profonda, che fa seguito a un lungo periodo di crescita modesta. L'intensità e i tempi della ripresa sono incerti.
Occorre mantenere il sostegno alle famiglie e alle imprese, evitando un indebolimento strutturale del sistema produttivo. L'uscita dal mercato di un gran numero di imprese ridurrebbe il potenziale produttivo del Paese con costi rilevanti anche in termini di capitale umano.
La posizione della CGIL.
Per la CGIL non è condivisibile la politica economica perseguita dal Governo per due principali motivi:
1. La cautela imposta dallo stato dei conti pubblici italiani non basta a giustificare l'esigua quantità di risorse messe in atto contro la crisi che stiamo attraversando. La crisi ha necessità di veri interventi anti-ciclici orientati al sostegno dell'occupazione, del reddito di lavoratori e pensionati, degli investimenti. Eppure il nostro Paese risulta l'ultimo tra quelli del G20 in termini di risorse impiegate in misura antirecessive in termini di stimolo fiscale, con appena l'1 per cento sul totale della spesa.
2. Nel disegno del Governo non rientra nessuna riforma di sistema che porti il nostro Paese su livelli di crescita quantitativa e qualitativa più alti. Nonostante venga più volte suggerito da autorevoli fonti internazionali - prima tra tutte l'OCSE - nei documenti di bilancio 2010-2012, come in tutti i provvedimenti varati finora, risulta assente qualsiasi progetto di riforma organica degli ammortizzatori sociali, del fisco, del sistema produttivo o del sistema infrastrutturale.
Lo stato dei conti pubblici risente senza dubbio della crisi in atto, ma non solo. Il Governo prima che la crisi invadesse i bastioni dell'economia reale, con il decreto legge n. 112 del 2008 aveva ipotizzato di raggiungere il pareggio in bilancio e una razionalizzazione della spesa pubblica agendo sul versante delle spese finali, soprattutto con "tagli lineari", al netto degli interessi (spesa primaria). Ad un anno di distanza, le nuove stime di finanza
Le priorità da seguire sono:
l'istituzione di una task force a Palazzo Chigi per le crisi aziendali e settoriali e per difendere l'occupazione, anche con l'obiettivo di realizzare l'impegno ad evitare licenziamenti.
L'allargamento e l'estensione degli ammortizzatori sociali a chi oggi ne è escluso, nel quadro di una riforma organica degli stessi, a partire dal passaggio da 52 a 104 settimane nell'utilizzo della Cassa integrazione guadagni ordinaria e dall'aumento dei massimali previsti e dal prolungamento dell'indennità di disoccupazione a chi sta esaurendo il periodo.
La riduzione immediata delle tasse sul lavoro e sulle pensioni da collocare all'interno di una riforma strutturale del fisco ripristinando una vera e piena progressività dell'intero sistema fiscale.
Un rinnovato impegno per il mezzogiorno, particolarmente penalizzato dalla crisi e dal sostanziale azzeramento degli interventi destinati alla riduzione degli squilibri territoriali, che si incentri su nuovi investimenti a partire dalle infrastrutture che sostengono l'occupazione e lo sviluppo anche attraverso agevolazioni fiscali.
Una politica industriale che, nel sostenere il sistema manifatturiero italiano, sia incentrata su produzioni, ricerca e sviluppo delle tecnologie verso l'ambiente(green economy e green-job), verso la salute (biotecnologie, macchinari specializzati, etc.) e, più in generale, verso tutte le innovazioni di prodotto e di processo fondate sulla valorizzazione dei saperi e della conoscenza. La ridefinizione del finanziamento sanitario che le stesse Regioni valutano sottostimato di oltre 7 miliardi per il 2010-2011, ricostituendo il Fondo nazionale per la non autosufficienza.
Confindustria.
La legge finanziaria 2010 non contiene nuove misure di politica economica e industriale, se non per piccoli aggiustamenti, come il prolungamento al 2012 delle agevolazioni alle ristrutturazioni edilizie.
L'andamento programmatico dei principali aggregati di finanza pubblica, rispetto a quello tendenziale, per gli anni
Il credito serve alle imprese per sopravvivere e recuperare competitività finanziando nuovi investimenti.
Proroga del bonus per le aggregazioni d'impresa (decreto-legge n. 5 del 2009) per almeno un biennio (scade il 31 dicembre del 2009). La misura andrebbe poi rafforzata, ad esempio rimuovendo il limite del vincolo partecipativo non superiore al 20 per cento ed innalzando, in caso di aggregazioni tra 3 o più imprese, il tetto massimo dei 5 milioni di euro.
Bisogna far crescere l'investimento pubblico e privato in Ricerca e Sviluppo e in prospettiva raggiungere almeno il 2 per cento del PIL. Il credito d'imposta in Ricerca e Sviluppo è uno strumento efficace per consolidare e far crescere gli investimenti in Ricerca e innovazione delle imprese e per sviluppare la collaborazione con il sistema pubblico di ricerca. In particolare, la misura agevolativa maggiore prevista per le commesse di ricerca delle imprese a centri pubblici di ricerca è importante per le PMI che potrebbero non avere al loro interno competenze e/o attrezzature di ricerca e quindi essere spinte da una collaborazione con il sistema pubblico.
Per quanto concerne la Banda larga, manca una quantificazione precisa (su base annua) degli stanziamenti (previsti complessivamente «fino a 800 milioni di euro» entro il 2012. Per la loro attivazione è necessaria una delibera CIPE di riparto). Si tratta di infrastrutture e tecnologie abilitanti con un chiaro effetto, diretto e indiretto, sullo sviluppo economico complessivo. In particolare, da uno studio della Commissione europea emerge che il contributo alla crescita del PIL nei Paesi con una maggiore diffusione della banda larga (crescita media del 0,89 per cento) è stato il doppio rispetto ai paesi con una minore diffusione (0,47 per cento).
L'ANCI
Il quadro finanziario dei Comuni si inserisce in un contesto di finanza pubblica sensibilmente destabilizzato e indebolito dalla crisi economica.
Sul fronte delle entrate, dal 2007 si sono susseguite una serie di novità che hanno avuto come effetto la significativa riduzione dei trasferimenti erariali, senza consentire così una gestione delle entrate libera e consapevole ed anzi prevedendo il blocco delle aliquote dei tributi locali fino alla completa attuazione del Federalismo fiscale (decreto-legge n. 93 del 2009).
Il mancato rimborso del minor gettito ICI abitazione principale si stima pari a circa 952 milioni di euro considerando l'aumento naturale del gettito ICI pari al 3 per cento annuo.
In sintesi, per l'anno 2008 la somma che manca nelle casse comunali è pari a 682 milioni di euro (536 ICI prima casa + 146 risparmi costi politica). Per il 2009, l'importo della minore entrata sale a 1 miliardo e 222 milioni di euro (796 ICI prima casa + 226 risparmi costi politica + 200 riduzione Fondo ordinario). Per il 2010 la perdita per i Comuni è stimata
L'ANCE (l'associazione dei costruttori)
La crisi economica finanziaria continua a colpire il settore delle costruzioni, gli indicatori disponibili non evidenziano segnali di ripresa.
Gli ultimi dati di Banca d'Italia fotografano una situazione difficile per i finanziamenti al settore delle costruzioni.
I dati confermano l'esistenza di un vero e proprio duplice credit crunch nei confronti delle imprese di costruzioni: il primo, diretto, costituito da un calo sensibile dei finanziamenti per gli investimenti in costruzioni. Il secondo, di tipo indiretto, rappresentato da una restrizione assai forte nelle erogazioni di mutui a favore delle famiglie per l'acquisto di abitazioni
Dall'analisi del disegno di legge finanziaria 2010 emerge una riduzione delle risorse per nuove infrastrutture nel 2010 del 7,8 per cento in termini reali rispetto all'anno precedente.
Questa diminuzione di risorse si somma a quella già osservata lo scorso anno, che aveva raggiunto il 13,4 per cento rispetto all'anno precedente. Complessivamente nel 2010 le risorse per nuovi investimenti infrastrutturali subiscono una contrazione del 20 per cento rispetto al 2008.
Tale andamento è il risultato della manovra di finanza pubblica per il 2009, anticipata nel decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, che ha visto un consistente taglio delle dotazioni di spesa di ciascun Ministero nel triennio 2009-2011 (-8.435 milioni di euro nel 2009, -8.929 nel 2010 e -15.611 milioni di euro nel 2011).
Il disegno di legge finanziaria 2010 non modifica quanto previsto dalla manovra del 2009 per il 2010 e il 2011, limitandosi ad aggiornare il 2012. Il risultato è di un ulteriore taglio delle risorse e mancanza di stanziamenti per l'ANAS per il 2010. L'assenza nel 2010 del consueto contributo annuale in conto capitale provocherà il blocco della regolare attività dell'Ente con conseguenze negative sullo sviluppo e la manutenzione di tutta la rete stradale, venendo così meno quella continuità di stanziamenti necessari alla prosecuzione della programmazione prevista nel Piano investimenti Anas 2007-2011 che, come riportato nell'Allegato infrastrutture al DPEF 2010-2013, prevedeva per il 2010 un fabbisogno finanziario pari a 1.660 milioni di euro.
La definizione immediata di interventi strutturali che nel medio termine assicurino il contenimento della spesa e del debito pubblico ridurrebbe l'incertezza di famiglie, imprese e mercati.
Una strategia organica di riforme strutturali, alcune delle quali già in corso di attuazione o elaborazione, può creare le condizioni affinché il sistema produttivo si porti su un sentiero di crescita più elevata, cogliendo le opportunità che saranno offerte dalla ripresa economica mondiale.
V. LA MANOVRA LICENZIATA DAL SENATO
Una finanziaria che non c'era.
Nell'ascoltare gli interventi di Tremonti e di altri esponenti del Governo si ha la sensazione di vivere in un mondo diverso di quello che risulta a molti di noi che abbiamo dovuto constatare come una larga parte del nostro Paese stia soffrendo le conseguenze della grave crisi economica e finanziaria globale, che ha portato alla chiusura di molte imprese, con conseguente perdita di numerosi posti di lavoro.
In questo difficile contesto, il Governo ha presentato al Parlamento una "finanziaria che non c'è", che reca disposizioni assolutamente inadeguate e insufficienti ad affrontare la grave situazione di crisi. Si costituisce così un ponte tra quanto non si è fatto in passato e quanto non si sa o non si ha il coraggio di fare in futuro.
Alla sostanziale inazione dell'Esecutivo sul terreno del contrasto degli effetti della
Una Finanziaria né carne né pesce
Dopo la presentazione degli emendamenti del Governo, poi ricompresi nel maxi-emendamento del Relatore sono ormai chiari i contenuti della Finanziaria 2010 (2).
Non sarà leggera perché prevede una manovra lorda di 8 miliardi. Non sarà di sviluppo perché è priva di idee. Non affronta i problemi strutturali del paese e non sostiene la domanda interna.
Né sarà di rigore perché apre nuovi rubinetti che sarà difficilissimo chiudere, alimentati peraltro da entrate una tantum, che pregiudicano entrate future, come quelle dello scudo fiscale.
Ma non sarà nemmeno una Finanziaria di equità perché non interviene per ampliare la platea dei beneficiari dei modestissimi interventi di contrasto alla povertà varati nel mezzo della peggior crisi del Dopoguerra. Insomma, sarà una Finanziaria né carne né pesce.
C'è chi sostiene, come il Ministro Sacconi, che questa è una Finanziaria sociale, di grande equità. Ci accontenteremmo di una Finanziaria che fosse almeno una di queste cose: di rigore o di sviluppo (perché i due termini non sono affatto antitetici) oppure di equità (perché ce n'è tanto bisogno, soprattutto dopo la crisi). Ma non sarà nessuna di queste tre cose, purtroppo.
Come volevasi dimostrare, la Finanziaria di due articoli ha creato le condizioni per la presentazione di oltre 2.400 emendamenti, molti dei quali provenienti dalle fila della maggioranza. Spaziano su tutto lo spendibile umano. C'era da aspettarselo: quando manca un progetto, una definizione di priorità, ognuno si sente legittimato a chiedere qualcosa per il gruppo che rappresenta, anche quando si è nel mezzo di una grande crisi e non c'è, come si usa dire «trippa per gatti».
Totale spesa primaria | 694.032 | 728.539 |
Interessi | 80.891 | 74.013 |
Entrate tributarie | 457.424 | 444.064 |
Contributi sociali | 214.718 | 213.910 |
Altre entrate | 59.802 | 63.633 |
Totale entrate | 731.944 | 721.607 |
saldo primario | 37.912 | -6.932 |
Indebitamento | -42.979 | -80.945 |
Non ci sono nella Finanziaria né provvedimenti di riduzione delle tasse per rilanciare i consumi, né interventi che siano in grado di rilanciare l'offerta. Solo un lungo elenco di interventi, ciascuno di piccola entità: dagli sgravi alle banche che concedono moratorie sui debiti alle piccole imprese (adesso sappiamo che non erano certo un segno di buona volontà) ai finanziamenti delle spese per i processi immobiliari.
Insomma, lo sviluppo non si vede.
Prima di illustrare la manovra alternativa proposta dall'Italia dei Valori riteniamo di dover riportare in estrema sintesi l'elenco dei contenuti della proposta di legge finanziaria per il 2010 presentata dal Governo, nel testo approvato dal Senato. Questa premessa, qui solo descrittiva dei dati che in finanziaria si rinvengono e priva di commenti, che si riservano ai prossimi paragrafi, evidenzia già da sola il segno positivo della proposta avanzata dall'Italia dei Valori per superare la crisi e facilita la comprensione della validità di scelte operate per dare al Paese una seria ed efficace azione di politica economica che guarda in prospettiva e costruisce le premesse per una vera crescita e uno stabile sviluppo.
E da questi semplici dati emerge che la finanziaria per il 2010 elaborata dal Governo è ridottissima, sia nel numero di articoli di cui si compone (si tratta di 3 soli articoli), sia per l'ammontare delle risorse messe in campo: mobilita nel triennio 2010-2013, solo 3 miliardi interamente coperti. Non si prevede alcun intervento sui saldi, ma solo un leggero ritocco per il 2010, anno che vedrà il saldo in leggero miglioramento per 12 milioni di euro. Si deve attendere di quantificare il reale aumento di gettito derivante dallo scudo fiscale "allargato" per sapere quante risorse il Governo metterà in campo e soprattutto per quali interventi; di sicuro il Governo dovrà pensare alle risorse necessarie
VI. ALCUNE QUESTIONI PROBLEMATICHE
DIFESA SERVIZI SPA
Articolo 2, commi 23, 24, 28, 29, 30, 31, 32.
I commi 23, 24, 28, 39, 30, 31 e 32 dell'articolo 2, introdotti durante l'esame presso la Commissione bilancio del Senato, recano la costituzione di una società per azioni denominata "Difesa Servizi Spa", con capitale iniziale di un milione di euro e sede in Roma.
Le attività affidate a "Difesa Servizi Spa", indicate dal comma 23, consistono, da un lato, nello svolgimento dell'attività negoziale diretta all'acquisizione di beni mobili, servizi e connesse prestazioni strettamente correlate allo svolgimento dei compiti istituzionali dell'Amministrazione della Difesa e non direttamente correlate all'attività operativa delle Forze Armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, da individuare con decreto del Ministro della difesa di concerto con il Ministro dell'economia
Rilievi critici
La nuova società gestirà gli acquisti ed i terreni della Difesa. Inizialmente erano inclusi anche gli immobili poi espunti dal testo perché il ministero dell'economia ha sollevato obiezioni riguardo alla gestione di immobili di fatto di proprietà del demanio.
La gestione ordinaria si aggira intorno ai 3-5 miliardi l'anno, ma il potenziale è molto più alto. Basti pensare a quelle aree militari su cui poter installare impianti energetici, tra l'altro uno dei punti questo su cui l'opposizione ha sollevato maggiori obiezioni. Teoricamente la nuova società potrebbe consentire l'installazione anche di centrali nucleari o di termovalorizzatori inquinanti, aggirando tutti i controlli. Di fatto si tolgono di mezzo tutte le attuali segreterie titolari della spesa militare: esercito, marina, aeronautica, carabinieri. La nuova società avrà un amministratore delegato, un consiglio di amministrazione e un consiglio dei revisori tutti di nomina ministeriale; avrà quindi un potere enorme, che potrà gestire in regime privatistico, senza i consueti controlli normalmente previsti dalle strutture statali. L'opposizione aveva chiesto maggiori garanzie circa la composizione del consiglio della società (per esempio la presenza di un magistrato della Corte dei Conti), ma, nonostante un dibattito serrato, non ha ottenuto nulla.
LA MAFIA RINGRAZIA (3)
Il Governo vuole fare cassa con i beni confiscati alla mafia: il comma 47 approvato dal Senato prevede che possano essere venduti i beni immobili di cui non sia possibile effettuare la destinazione entro i termini previsti dalla legge, cioè entro novanta giorni dalla proposta dell'Agenzia del demanio, che possono diventare centottanta in casi particolarmente complessi.
Viste le difficoltà a portare a termine le procedure di destinazione, la norma abolisce di fatto l'uso sociale dei beni confiscati e ne impedisce la restituzione alle collettività. Anzi, la prevista vendita rischia di favorire la restituzione del patrimonio "alle organizzazioni criminali, capaci di mettere in campo ingegnosi sistemi di intermediari e prestanome e già pronte per riacquistarli, come risulta da molteplici segnali arrivati dai territori più esposti all'influenza dei clan".
In sintesi, l'emendamento ignora, anzi penalizza, gli sforzi messi in atto negli ultimi anni per accelerare l'utilizzo a fini sociali dei beni confiscati e apre la strada alla vendita alle organizzazioni criminali dei beni a loro sottratti.
Don Ciotti ha subito lanciato un appello a tutte le forze politiche perché la proposta, "che rischia di tradursi in un ulteriore regalo alle mafie, venga abolita nel passaggio alla Camera".
Impoverire le mafie attraverso la confisca
Impoverire le mafie attraverso la confisca dei loro patrimoni è una strategia che aveva già capito bene più di venti anni fa, Pio La Torre, parlamentare ucciso a Palermo nel 1982. Non a caso, la legge che introduce la confisca dei beni mafiosi porta il suo nome, insieme a quello dell'allora ministro dell'Interno, Virginio Rognoni (4).
Successivamente, le norme introdotte nel 1996, con la legge 109 di iniziativa popolare, sostenuta dalla raccolta di oltre un milione di firme, e nel 2007 con la Finanziaria, prevedono la destinazione a finalità istituzionali o sociali dei beni confiscati.
Che cosa prevedono le norme in vigore
La legge attuale prevede che i beni e le aziende dei quali sia stata accertata la proprietà da parte di soggetti appartenenti a organizzazioni mafiose vengano confiscati, cioè sottratti definitivamente ai proprietari, e possano essere destinati a finalità di carattere sociale.
Ciò si realizza attraverso l'assegnazione dei beni immobili confiscati a comuni, province, regioni, associazioni di volontariato, cooperative sociali, e cos via per realizzare scuole, comunità di recupero, case per anziani, centri per rifugiati politici, e altro ancora. Frequenti sono anche i casi di terreni destinati a cooperative sociali di giovani, che hanno così modo di avviare una attività lavorativa, di produzione di prodotti agricoli, in territori dove la prossimità fra disoccupazione e criminalità è fattore di rischio per le giovani generazioni.
I beni mobili e le aziende confiscate vengono per lo più trasformati in denaro contante e il ricavato viene versato nel Fondo unico per la giustizia.
Che cosa è stato fatto fino ad oggi
Grazie all'attività del commissario straordinario per la gestione e la destinazione dei beni confiscati alla mafia, reintrodotto dal Governo Prodi nel 2007 dopo che il Governo Berlusconi l'aveva soppresso nel 2003, è possibile oggi avere un quadro sufficientemente chiaro delle dimensioni del fenomeno. I dati sono aggiornati al 30 giugno 2009.
Il valore economico dei beni confiscati è molto elevato. Complessivamente, si stima che siano stati destinati beni per un valore di 725 milioni di euro, di cui ben 225 negli ultimi diciotto mesi, grazie all'attività del commissario straordinario, e solo 500 nei dodici anni precedenti.
I beni immobili confiscati sono 8.933, di cui ben 46 per cento in Sicilia, 15 per cento in Campania e 15 per cento in Calabria. Di tutti i beni immobili confiscati, il 60 per cento ha già trovato una destinazione: la maggior parte è stata consegnata agli enti locali per finalità sociali, il restante è stato mantenuto allo Stato per fini istituzionali.
Le aziende confiscate alla criminalità sono 1.185, di cui 38 per cento in Sicilia, 19 per cento in Campania e 14 per cento in Lombardia. Operano principalmente nel settore delle costruzioni, della ristorazione e del turismo. Di tutte le aziende confiscate, solo il 33 per cento ha trovato una destinazione: attraverso la vendita o l'affitto e, più frequentemente, attraverso la liquidazione (una azienda su tre risulta infatti già in liquidazione prima della confisca definitiva).
I dati indicano la difficoltà a procedere alla destinazione dei beni confiscati, difficoltà particolarmente rilevanti fino al 2007, mentre in epoca successiva l'azione di coordinamento del commissario straordinario di Governo ha notevolmente accelerato la consegna agli enti locali degli immobili confiscati (vedi grafico). I problemi sono, ancora oggi, legati alla complessità delle procedure (per esempio, inagibilità, ipoteche o procedure giudiziarie in corso, occupazioni, contenziosi causati dalle impugnazioni delle ordinanze di sgombero) e alla carenza di risorse finanziarie per la ristrutturazione dei beni. Al superamento di tali ostacoli dovrebbero in primo luogo essere orientate le azioni del Governo. Ma l'emendamento va nella direzione opposta.
FINANZIARIA 2010 E MEZZOGIORNO
La manovra finanziaria per il 2010 non contiene nessuna misura di sviluppo in
LA BANCA PER IL MEZZOGIORNO
1. I Precedenti:
A. La Cassa del Mezzogiorno e la scomparsa delle banche meridionali;
B. Il primo tentativo di istituire la Banca del Sud;
2. La nuova Banca del Mezzogiorno.
3. Luci e ombre della nuova Banca.
Premessa
Il Consiglio dei Ministri del 15 ottobre ha approvato il disegno di Legge che istituisce la Banca del Mezzogiorno, i dettagli non sono chiari ed è possibile fare solo delle valutazioni preliminari ripercorrendo una realtà già vissuta.
La nuova banca di secondo livello che il Governo si appresta a varare è focalizzata soprattutto sul credito a medio e lungo termine a favore delle PMI. Ma i contrasti rimangono, addirittura all'interno della stessa maggioranza di Governo: i ministri Fitto e Prestigiacomo non hanno trovato le giuste convinzioni circa la funzionalità del progetto nel rilanciare l'economia del Mezzogiorno, dato che si andrebbero a sottrarre risorse cospicue agli interventi. I ministri temono che l'approvazione del progetto per la banca possa essere sganciato da quello più generale per il meridione (il cosiddetto Piano Berlusconi).
Il sud del nostro paese non ha bisogno di questo, né di annunci circa nuove banche e nuove opere, ma d'intervenenti sul vero male che impedisce un reale progresso del Mezzogiorno, la criminalità, la quale sarà senz'altro interessata a mettere al più presto le mani sui fondi che cominceranno a circolare.
1. I PRECEDENTI
A. La Cassa del Mezzogiorno e la scomparsa delle banche meridionali
Nel 1950 fu istituita, per opera dell'esecutivo guidato allora da Alcide De Gasperi, la Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse per il Mezzogiorno; tale ente, operativo fino al 1992, ha ottenuto risultati quantomeno discutibili in materia di utilizzo dei capitali pubblici. Già nella sua fase di avvio, infatti, la Cassa per il Mezzogiorno, concentrata come fu sul settore agricolo e sulle infrastrutture civili, assunse più che altro i contorni di una struttura assistenziale e non molto propulsiva. La discutibilità dei risultati deriva anche dal fatto che si verificarono diffusi fenomeni di illegalità, legati alle principali opere per il sud e agli interventi relativi alle risorse idriche e viarie.
Il fallimento parziale delle politiche e dei finanziamenti della Cassa non ha certo giovato al Mezzogiorno; ma ancora peggiore è stata l'interruzione improvvisa di questa stessa politica di intervento, visto che il ritardo nell'applicazione della nuova legge ha determinato l'attuale situazione generale di crisi nel Sud, una crisi che ha coinvolto imprese, banche ed enti locali.
Il Sud ha perso negli anni '90 la propria identità territoriale bancaria con l'assorbimento del Banco di Sicilia da parte del Gruppo Unicredit e del Banco di Napoli da parte del Gruppo S. Paolo IMI. L'identità economica del Sud, viene così inglobata nei gruppi più estesi e rappresentativi del nostro sistema bancario.
Il Mezzogiorno, rimane un'area molto importante del nostro Paese, che da sempre subisce però le storture di un sistema socio economico che non ha mai consentito uno sviluppo omogeneo del territorio, lasciando che molte regioni camminassero come su un binario parallelo pur nell'ambito dello stesso territorio nazionale.
Non si è mai fatto nulla di realmente concreto al fine di sviluppare ad esempio, il turismo, le risorse agroalimentari del Sud, o lo sviluppo del settore artigianale,
B. Il primo tentativo di istituire la Banca del Sud
La Banca del Mezzogiorno è una vecchia idea del ministro Tremonti. Poco dopo la sua burrascosa uscita dal secondo Governo Berlusconi nell'estate del 2004, in seguito ad un duro scontro politico che lo vide opposto a Gianfranco Fini, ne espose i contenuti in un articolo apparso sul «Corriere della Sera». Il ragionamento di Tremonti era il seguente: da quando ha perso i suoi più importanti istituti di credito a seguito del processo di concentrazione bancaria che ha portato il Banco di Napoli nell'orbita di Intesa Sanpaolo e il Banco di Sicilia in quella di Unicredit, il Mezzogiorno è l'unico territorio «debancarizzato» d'Europa; e, poiché nessun territorio può svilupparsi senza una banca che abbia i suoi centri decisionali all'interno del territorio stesso, occorre costituirne una nuova con le caratteristiche descritte.
Nella Finanziaria del 2006 al comma 377, il Ministro Tremonti aveva previsto una Banca del Mezzogiorno. Tale comma stabiliva: «Con l'obiettivo di sostenere lo sviluppo economico del Mezzogiorno è costituita, in forma di società per azioni, la Banca del Mezzogiorno, di seguito denominata "Banca". Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con il decreto di cui al comma 377, è istituito il comitato promotore con il compito di dare attuazione a quanto previsto dal presente comma.» È in quel «è costituita» che si perde il senso della realtà dei fatti. È in quel «entro trenta giorni dalla presente è costituito il comitato promotore» che ci si comincia a perdere in un reticolato di informazioni che si perdono per poi, in maniera del tutto atipica, ritrovarle in dichiarazioni che non vengono ancor oggi - siamo nel 2009 - supportate dai fatti.
Nella Finanziaria del 2006, il Ministro Tremonti indicava in «Banca del Mezzogiorno» quella che, attraverso il comitato promotore della stessa viene invece chiamata «Banca del Sud». L'inghippo: lo stesso comitato promotore, peraltro designato dal Governo in carica, aveva registrato il marchio non più come «Banca del Mezzogiorno» ma come «Banca del Sud».
2. LA NUOVA BANCA DEL MEZZOGIORNO
Il disegno di legge, non è ancora stato depositato in Parlamento,dai comunicati stampa si hanno notizie in merito.
La nuova banca che il Governo italiano si appresta a varare si chiamerà Banca del Mezzogiorno si baserà sull'esperienza del modello francese del Crédit Agricole (5) che nasce dal territorio ma poi confluisce in una struttura unica. Lo stato sarà socio promotore per poi lasciare il passo alle banche di credito cooperativo ed a quelle popolari che vorranno aderire all'iniziativa.
Con il disegno di legge, approvato dal Consiglio dei ministri del 15 ottobre, viene istituito il Comitato promotore della «Banca del Mezzogiorno s.p.a.» in attuazione a quanto previsto dall'articolo 6-ter del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito in legge con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133.
1. Al fine di assicurare la presenza nelle regioni meridionali d'Italia di un
a) i criteri per la redazione dello statuto, nel quale è previsto che la Banca abbia necessariamente sede in una regione del Mezzogiorno d'Italia;
b) le modalità di composizione dell'azionariato della Banca, in maggioranza privato e aperto all'azionariato popolare diffuso, e il riconoscimento della funzione di soci fondatori allo Stato, alle regioni, alle province, ai comuni, alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e agli altri enti e organismi pubblici, aventi sede nelle regioni meridionali, che conferiscono una quota di capitale sociale;
c) le modalità per provvedere, attraverso trasparenti offerte pubbliche, all'acquisizione di marchi e di denominazioni, entro i limiti delle necessità operative della Banca, di rami di azienda già appartenuti ai banchi meridionali e insulari;
d) le modalità di accesso della Banca ai fondi e ai finanziamenti internazionali, con particolare riferimento alle risorse prestate da organismi sopranazionali per lo sviluppo delle aree geografiche sottoutilizzate.
4. È autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2008 per l'apporto al capitale della Banca da parte dello Stato, quale soggetto fondatore. Entro cinque anni dall'inizio dell'operatività della Banca tale importo è restituito allo Stato, il quale cede alla Banca stessa tutte le azioni ad esso intestate ad eccezione di una.
5. All'onere di cui al comma 4 si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Ministero per i beni e le attività culturali e, quanto a 2,5 milioni di euro, l'accantonamento relativo al Ministero della salute. 6. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Al Senato in questi giorni durante l'esame della Finanziaria 2010 è stato presentato un emendamento del Relatore che detta le regole della Banca del Mezzogiorno, dichiarato inammissibile dal presidente del Senato, Renato Schifani. Il presidente della commissione Bilancio, Antonio Azzollini (Pdl), ha riferito che l'opposizione ha sollevato una questione pregiudiziale di inammissibilità della norma, in quanto l'argomento della Banca del Sud non è stato mai affrontato nel corso dell'esame della Finanziaria in commissione Bilancio. L'emendamento potrebbe invece essere ripresentato alla Camera.
L'emendamento aggiuntivo composto da 22 commi ripreso dal disegno di legge presentato al Consiglio dei Ministri, rafforza una serie di strumenti tradizionali, dal finanziamento bancario alla garanzia dello Stato e delle Poste sul territorio, all'emissione di obbligazioni «di scopo» con interessi tassati al 5 per cento.
La filosofia di questo intervento si basa su tre direttrici fondamentali:
1. incrementare la capacità di offerta del sistema bancario e finanziario del Mezzogiorno;
Viene affidato al Comitato promotore il compito di avviare le iniziative necessarie al concretizzarsi dell'intervento ed a riferire al Ministro dell'economia circa modi e fattibilità dell'iniziativa.
Poste italiane farà parte del Comitato promotore della Banca, composto da un massimo di 15 membri nominati dal Presidente del Consiglio su proposta del Mef (Ministero dell'economia e finanze).
La Banca rappresenterà una rete di banche locali che aderiranno all'iniziativa acquistando le azioni della nuova banca e potrà anche avvalersi della rete delle Poste italiane. In cambio affiancheranno il marchio della Banca del Mezzogiorno a quello proprio. Per quanto riguarda i tempi, entro tre mesi il Comitato promotore presenterà una relazione al Ministro dell'economia e delle finanze sullo stato dell'arte dell'iniziativa. Il Ministro potrà, con proprio decreto, revocare il finanziamento e di conseguenza escludere lo Stato dai soci fondatori della Banca.
Lo Stato, in questo progetto, assume il ruolo di facilitatore di processi e dell'iniziativa privata. Lo Stato resta socio fondatore dell'istituto non oltre un quinquennio, ma, si precisa, con un inciso inserito all'ultima ora, che «la partecipazione pubblica non può in nessun caso e in nessun momento rappresentare la maggioranza delle azioni sottoscritte».
Viene puntualizzato che la Banca del Mezzogiorno promuoverà il credito alle Pmi «anche con il supporto di intermediari finanziari con adeguato livello di patrimonializzazione». La norma prevede, per le nuove banche di credito cooperativo di nuova costituzione, la patrimonializzazione rappresentata dalla partecipazione dei soci finanziatori.
Il testo che reca le misure per il credito nel Mezzogiorno, ossia per la nascita della banca del Sud, incentiva i risparmiatori a investire in titoli o strumenti finanziari "di scopo", in quanto le risorse raccolte con i bond per il Sud dovranno necessariamente essere indirizzate a investimenti di medio e lungo periodo nel mezzogiorno. In cambio saranno tassati con un'aliquota agevolata del 5 per cento, contro il 12,5 per cento delle altre obbligazioni.
Il Governo ha calcolato che la provvista necessaria per finanziare le piccole e medie imprese del Sud è pari a 13,5 miliardi all'anno. Di questi, il Governo stima che circa il 50 per cento (6,75 miliardi) possono essere effettivamente richiesti.
Altro particolare: i nuovi Bond per il sud dovrebbero produrre un reddito di circa 155,3 milioni di euro e dunque indurre una perdita di gettito (rispetto alla tassazione al 12,5 per cento) di 9,2 milioni di euro.
L'ultimo comma dell'articolo, prevede una modifica alla normativa relativa alla destinazione dei fondi provenienti dalla raccolta effettuata da Poste Italiane per l'attività di Bancoposta presso la clientela finale. Si prevede che Poste Italiane possa acquistare titoli diversi dai titoli governativi dell'area dell'euro per una quota pari al massimo il cinque per cento dei fondi. Tale acquisto potrà esercitarsi solo nei casi in cui i suddetti titoli siano assistiti dalla garanzia dello Stato.
3. LUCI ED OMBRE DELLA NUOVA BANCA
Da qualsiasi parte la si guardi, la Banca del Mezzogiorno rappresenta una scommessa.
Secondo la relazione del Ministro dell'economia e delle finanze, l'iniziativa pubblica dovrebbe servire a mitigare due problemi:
la mancanza di istituti bancari aventi la sede principale nel mezzogiorno, a causa dei processi di aggregazione degli ultimi anni;
il costo del credito nel mezzogiorno strutturalmente più alto rispetto a quello che si riscontra al Nord.
I due aspetti sarebbero legati tra loro: la mancanza di intermediari basati nel Mezzogiorno avrebbe portato all'utilizzo della raccolta effettuata al Sud per aumentare i finanziamenti a imprese del Nord; la distanza fra i vertici decisionali dell'azienda bancaria e l'impresa finanziata avrebbe reso più complicato e costoso l'accesso al credito per le imprese localizzate al Sud.
L'auspicio è che tramite operazioni di piccolo e medio credito alle imprese si assista a un rilancio delle attività produttive del Mezzogiorno, con la creazione di nuovi distretti industriali in aree sottoutilizzate. Il rischio è che finisca per essere una banca che non fa la banca, tentata dal riproporre vecchi schemi e pericolose derive clientelari, producendo disavanzi e costi a carico della collettività. Il timore è anche che finisca per essere un veicolo di gestione politica degli aiuti all'economia.
Al Meridione, dal punto di vista delle strutture bancarie purtroppo non mancano i precedenti negativi (dopo una gestione schizofrenica del credito e delle risorse, il Banco di Napoli e quello di Sicilia sono sprofondati sotto il peso di una cattiva gestione e di conti in profondo rosso) e neppure sono mancati i finanziamenti (La Cassa del Mezzogiorno e i fondi FAS, l'hanno ricoperto di soldi). Il denaro, insomma, è arrivato ma non ci sono state e non ci sono ancora oggi le condizioni giuste per farlo fruttare.
Se investire al Sud è più rischioso rispetto al Nord è perché le mafie veicolano gli investimenti, non esiste un tessuto socio economico adeguato in quanto la carenza di infrastrutture rallenta la circolazione delle merci e delle persone e affossa l'attività imprenditoriale e la Pubblica Amministrazione (lo sa bene il ministro Brunetta) è in larga parte inefficiente e caratterizzata da sprechi.
Attraverso la nascita della Banca del Mezzogiorno (la Banca), il Governo intende ridurre il divario tra le regioni del Centro-Nord e del Sud in merito al costo e alla disponibilità del credito bancario. Il tema è importante, ma per valutare il provvedimento occorre rispondere a una domanda preliminare. Perché le imprese del Sud incontrano maggiori difficoltà nell'accesso al credito? Trascurando l'ipotesi che tutte le banche (quelle che operano nelle regioni meridionali e quelle che potrebbero operarvi) commettano l'errore di lasciar correre preziose occasioni di profitto, non resta che una possibile risposta: prestare denari a queste imprese non conviene. La non convenienza può essere generalizzata per il sistema bancario oppure specifica di alcune banche. Nel primo caso, molte imprese del Sud non sarebbero capaci di fare fronte ai propri debiti con una probabilità sufficientemente elevata da assicurare alle banche profitti attesi superiori a quelli di altre forme di impiego della raccolta. Ciò può essere dovuto alle scarse capacità imprenditoriali che esprime il Sud, alla fragilità del sistema economico e sociale meridionale o a fattori istituzionali come il cattivo funzionamento del sistema giudiziario che impone a chi fa banca nel Sud costi più alti per recuperare i crediti incagliati e in sofferenza. In un simile contesto, nel rispetto della normativa comunitaria sugli di aiuti di stato, le forme di intervento pubblico in favore del credito nel Mezzogiorno dovrebbero avere carattere generale, volte alla riduzione del costo della raccolta per le banche che impiegano al Sud e all'aumento dei ricavi attesi sui prestiti in favore delle imprese del Sud (ad esempio, attraverso la detassazione degli utili derivanti dagli impieghi alle piccole e medie imprese del Mezzogiorno, oppure a programmi per la concessione di garanzie pubbliche a copertura dei prestiti concessi a imprese meridionali). Ben poco, invece, potrebbe fare la nascita di una nuova istituzione bancaria che, a ben operare, dovrebbe incontrare le stesse difficoltà delle altre banche nel finanziare le imprese del Sud. La non convenienza a erogare credito al Sud può però essere dovuta a fattori specifici legati agli obiettivi che una banca si pone e alla propria struttura organizzativa e di costi. Così, per una banca funzionalmente distante dalle regioni del Sud (ossia con i centri direttivi e strategici fisicamente e culturalmente lontani da
La nuova banca del Sud creata dallo Stato sarà costituita da una federazione delle banche di credito cooperativo presenti sul territorio e si avvarrà della collaborazione di Poste. Ora, che il Sud abbia bisogno di una fiscalità di vantaggio è una certezza, ma questo è un obiettivo raggiungibile anche con le strutture di credito già esistenti. Perché non spingere le banche a operare meglio e con più dinamismo piuttosto che crearne una nuova? E perché creare un ibrido tra pubblico e privato? Se è pubblica che sia pubblica fino in fondo, con tutto ciò che questo comporta. Se è privata, perché a crearla, deve essere lo Stato? Forse i privati intravedendo un vantaggio economico non avrebbero già centrato l'obiettivo? Difficile crederlo.
La nuova banca dovrà infatti operare con gli stessi vincoli e gli stessi criteri applicati agli altri istituti di credito e con le stesse condizioni di mercato. Come potrà, allora, praticare tassi più bassi delle
altre banche e concedere prestiti con minori garanzie? «Ci riuscirebbe - spiega l'economista Francesco Forte - solo se fosse più efficiente delle banche che già operano, ma è assurdo supporlo dato che essa dovrebbe competere con Istituti che già operano e che conoscono la situazione meglio di chi comincia solo adesso».
Se la nuova creatura per il Sud dovesse vivere grazie a sussidi dallo Stato, finirebbe giustamente nel mirino dell'Ue perché diventerebbe un elemento distorsivo alla concorrenza (fermo restando che una nuova banca può aumentare la concorrenza nel sistema finanziario). E siccome lo stesso Tremonti s'è affrettato a spiegare che no, non si tratterà dell'ennesimo carrozzone, conviene a tutti che l'attività
creditizia di questa nuova Banca non finisca per diventare il nuovo monumento allo Statalismo.
Passando alle forme di intervento, osserviamo che si agisce sul mercato creando una segmentazione dello stesso e vincolando l'azione di alcuni operatori di mercato. La segmentazione del mercato coinvolge diversi aspetti:
1) gli strumenti per la raccolta emessi dalla Banca del Mezzogiorno godono di un regime fiscale di favore (l'imposta sugli interessi è pari al 5 per cento, contro quella del 12,5 per cento applicata agli interessi delle obbligazioni bancarie e dei titoli del debito pubblico);
2) gli strumenti possono essere sottoscritti solo da persone fisiche con un limite di 100 mila euro per godere del vantaggio fiscale e con il vincolo di detenere gli stessi per dodici mesi;
3) questi titoli possono godere della garanzia dello Stato.
L'agire del privato è vincolato in due direzioni:
1) la Banca del Mezzogiorno deve investire i fondi raccolti con agevolazione fiscale in finanziamenti a PMI del mezzogiorno, può anche acquisire mutui a medio termine da piccole imprese situate sempre al Sud;
2) le Poste possono acquistare titoli non emessi dallo Stato, ma assistiti dalla sua garanzia, nella misura del 5 per cento dei fondi provenienti dalla raccolta effettuata per attività di bancoposta.
Gli effetti di queste misure possono essere sulla carta assai significativi. Nell'ipotesi
spiazzamento degli intermediari privati che sono chiamati a rincorrere la Banca del Mezzogiorno fuori dai confini della gestione efficiente dell'attività di intermediazione;
questa nuova banca rischia inoltre di finanziare attività economiche dalla bassa qualità con problemi per la finanza pubblica visto che lo Stato con ogni probabilità fornirà una garanzia. A questi si aggiunge il privilegio fiscale dei titoli che davvero ricorda altri tempi.
Proprio l'intervento dello Stato, attraverso l'incentivo fiscale sulla raccolta e via garanzia pubblica - concessa a cuor leggero e con una delega al privato - rappresenta il pericolo maggiore.
Il rischio non è di una crisi mondiale come nel caso delle due agenzie governative statunitensi, quanto di rinverdire, se pur in forme operative diverse, l'esperienza del credito agevolato degli anni settanta del secolo scorso che ha portato ad una cattiva allocazione del credito, riducendo gli incentivi a svolgere in maniera corretta la valutazione del merito creditizio delle iniziative economiche.
C'è anche un altro rischio, legato anch'esso all'Europa. Riguarda il debito pubblico. Lo Stato ha infatti deciso di creare obbligazioni di scopo destinate a finanziare progetti meridionali. Queste obbligazioni, che potranno essere sottoscritte da tutti i risparmiatori italiani, potranno essere emessi anche da altri intermediari finanziari. Ma se questi titoli saranno effettivamente garantiti dallo Stato saranno del tutto assimilati a debito pubblico (ad agosto ha toccato quota 1.757,534 miliardi di euro) e in questo caso, l'Europa non sarebbe tenera.
Di certo, qualsiasi iniziativa che si propone di risollevare il Sud senza entrare nel vortice dell'assistenzialismo e del clientelismo politico è da guardare con favore. I dubbi ci sono e davanti a un progetto ancora poco chiaro probabilmente sono legittimi.
IL TAGLIO DELL'IRAP
La crisi ha riportato alla ribalta il tema della tassazione delle imprese. È in corso da qualche giorno un dibattito sull'opportunità di abolire l'Irap o ridurla per contenere il costo del lavoro e per attenuare i problemi di liquidità delle imprese.
Una spinta in questa direzione viene dalla notizia con cui titolava, ad esempio, Il Sole 24Ore del 1o ottobre: «Imprese francesi più leggere senza Irap». Se lo fa la Francia, perché non farlo anche noi?
Cosa ha fatto davvero la Francia:
Si dà il caso, però, che Nicolas Sarkozy abbia proposto una riforma dell'imposizione locale e una sua riduzione, e di introdurre al suo posto l'Irap. Si prevede infatti l'introduzione di una imposta progressiva (e non proporzionale, come l'Irap) sul valore aggiunto delle imprese, più un prelievo fondiario sugli immobili posseduti, il tutto con la condizione che la somma delle due componenti non superi il 3 per cento del valore aggiunto aziendale. In sostanza, sia pure in modo un po' contorto, in Francia vogliono introdurre un'imposta locale sul valore aggiunto, come è per l'appunto l'Irap.
Il percorso dell'abolizione della taxe professionelle francese è tutt'altro che scontato: si tratta infatti di un'imposta condivisa fra più enti decentrati. La nuova imposta che la sostituisce è in grado di fornire un gettito molto più contenuto (11,7 miliardi di euro in meno nel 2010, 5,8 miliardi in meno in seguito) e lascia quindi aperto il problema di come risarcire gli enti beneficiari. Le soluzioni proposte dalla legge finanziaria francese sono temporanee e lasciano ampiamente irrisolto il problema del finanziamento di alcuni enti, le camere di commercio prima di tutto. Questo stesso problema si porrebbe in Italia, per il ruolo fondamentale che l'Irap esercita nel finanziamento delle Regioni.
Al Senato il primo tentativo diminuire l'Irap:
Con un emendamento presentato al Senato, durante l'esame della finanziaria 2010, c'è stato il primo tentativo di diminuire l'IRAP.
L'economista Mario Baldassarri, presidente della Commissione Finanze del Senato, con una nota alla stampa ha annunciato la presentazione di un emendamento concordato con la Lega e firmato anche dal Relatore Saia, finalizzato al taglio dell'IRAP per un costo di 4 miliardi.
La soluzione IRAP nell'emendamento presentato, prevede una sorta di «franchigia»: le imprese sotto i 50 dipendenti possono totalmente detrarre il costo del lavoro da IVA, IRPEF e IRES; le imprese sopra i 50 dipendenti potranno invece detrarre il costo del lavoro in misura pari alla percentuale tra il loro numero di dipendenti e i 50 addetti. Le risorse, circa 4 miliardi, verrebbero trovate con la soppressione dei trasferimenti alle imprese. La nota di Lega e Pdl sottolinea che il taglio dell'IRAP con la detrazione da tasse «nazionali» come IVA, IRPEF e IRE, non modificherebbe le condizioni finanziarie delle Regioni che con la tassa alimentano la Sanità.
Alcune critiche all'Irap:
1. Una diffusa obiezione all'Irap riguarda la sua indeducibilità. Oggi la questione è teoricamente superata dalla previsione di una deducibilità forfettaria del 10 per cento, prevista dall'articolo 6 del decreto legge, 29 novembre 2008, n. 185, convertito in Legge 28 gennaio 2009, n. 2 (7). Ma anche questo è un falso problema: si comprende perfettamente che, a parità di gettito, è irrilevante avere un'aliquota del 4 per cento indeducibile o un'aliquota dell'8-10 per cento deducibile. Inoltre, da sempre gli esperti di finanza pubblica e federalismo fiscale ritengono che le imposte locali non dovrebbero essere deducibili da quelle statali, per evitare che decisioni relative alle imposte locali autonomamente prese dai governi locali, si traducano in un costo indebito (perdita di gettito) per il Governo centrale.
2. Analogamente si lamenta che un'impresa in perdita è tenuta a pagare l'Irap. Ma chi versa un'imposta non è necessariamente lo stesso che la paga: i salari dei
Esistono alternative all'Irap?
Naturalmente ridurre le imposte è un obiettivo condivisibile, e dunque anche ridurre l'Irap. Ciò è stato fatto recentemente dal Governo Prodi che ha diminuito sia l'aliquota dell'Irap, passata dal 4,25 al 3,9 per cento, sia la base imponibile relativa al costo del lavoro, escludendo dalla stessa i contributi sociali. In mancanza di risorse sufficienti a coprire poco meno di 40 miliardi di gettito (di cui oltre 27 prelevati dal settore privato), la domanda - retorica - cui rispondere è: esistono altre forme di prelievo alternative, più efficienti e meno distorsive?
Giavazzi propone di ricorrere ai soldi stanziati per i Tremonti bond, in realtà si tratta di una stanziamento una tantum, e una posta finanziaria non utilizzabile per la finalità indicata. Infatti, non si può dare seguito alla proposta di finanziare la riduzione dell'Irap con la quota dei 12 miliardi non spesi per la mancata sottoscrizione dei Tremonti bond emessi dalle banche. Quei 12 miliardi sarebbero stati solo un investimento finanziario, per giunta ben remunerato, che, come tale, non avrebbe inciso sul disavanzo pubblico, tanto più che si sarebbe trattato di una somma una tantum.
Tabellini propone di aumentare l'Iva per ridurre l'Irap, ritenendo che ciò riduca le distorsioni. In verità l'Irap è neutrale, mentre l'Iva è l'imposta più evasa del sistema tributario italiano, e quindi inefficiente e distorsiva: le aliquote Iva in Italia sono infatti tra le più elevate d'Europa e il gettito uno dei più bassi.
Cipolletta sostiene che bisognerebbe sostituire l'Irap con un aumento dell'Irpef, previo un incremento dei salari; dimentica però che l'Irpef è essenzialmente un'imposta sui soli redditi da lavoro e in particolare su quelli da lavoro dipendente e pensione, quindi ciò che in realtà viene proposto è un aumento del cuneo fiscale sul lavoro.
Cosa fare?
Queste considerazioni non impediscono che l'Irap possa essere oggetto d'intervento. Ma andrebbe chiarito quale è l'obiettivo che si vuole raggiungere.
Se l'obiettivo è quello di sostenere le imprese in crisi di liquidità, la riduzione del prelievo fiscale, a prescindere dal fatto che sia realizzata intervenendo sull'Irap o sulle imposte sui profitti, potrebbe rivelarsi inutilmente costosa, in quanto rivolta in modo indifferenziato a tutte indistintamente.
Altre misure sarebbero preferibili, quali la restituzione dei crediti che le aziende vantano nei confronti delle amministrazioni pubbliche, che hanno come ricaduta l'allungamento dei termini di pagamento reciproco fra le imprese stesse, o il rafforzamento dei fondi di garanzia sul rischio di credito, in modo da ridurre l'esposizione a tale rischio da parte delle banche.
Se si volesse proprio far ricorso alla leva fiscale, si potrebbe pensare a una riduzione della tassazione condizionata al fatto che gli imprenditori mettano i propri capitali nelle imprese o ve li lascino, come più volte auspicato da Confindustria. Ma se il rafforzamento patrimoniale delle imprese fosse l'obiettivo, è evidente che sarebbe poco opportuno ridurre, in via permanente, proprio l'unica imposta che non favorisce il ricorso all'indebitamento. Meglio sarebbe rendere permanente il cosiddetto «bonus ricapitalizzazioni» (una deduzione temporanea, limitata a cinque esercizi, pari al 3 per cento dell'aumento di capitale effettuato dai soci persone fisiche fino al 5 febbraio 2010, entro 500 mila euro), estendendolo al reinvestimento degli utili.
Insomma, meglio sarebbe rendere l'Ires più neutrale rispetto alle scelte finanziarie, favorendo il finanziamento con capitale proprio.
Se l'obiettivo fosse invece quello di ridurre o eliminare la componente dell'Irap
LE RISORSE PER LA BANDA LARGA
Nell'articolato del disegno di legge finanziaria non risultano disposizioni rilevanti in materia di comunicazioni.
Nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico (Tabella n. 3), per la parte di competenza relativa alla missione Comunicazioni, a legislazione vigente, si prevede una spesa per complessivi 141 milioni di euro, con un decremento, rispetto alle previsioni assestate 2009, di 75 milioni di euro.
Un aspetto particolarmente grave riguarda l'assenza di risorse per l'infrastrutturazione in banda larga del Paese e la lotta al «digital divide» con la scomparsa dell'impegno di destinare 800 milioni di euro alle nuove reti tecnologiche.
Per tali ragioni si ritiene quanto mai urgente prevedere adeguati investimenti sulla banda larga, ripristinando lo stanziamento di 800 milioni di euro previsti dal decreto anticrisi varato la scorsa estate per:
1) sostenere e attuare le applicazioni e i servizi di interesse pubblico per i quali sia necessario l'utilizzo della banda larga, nonché di facilitare l'uso sociale delle nuove tecnologie:
2) avviare interventi volti a superare la disomogenea distribuzione sul territorio delle possibilità di accesso alle infrastrutture a banda larga con particolare riguardo alle aree caratterizzate da una bassa densità abitativa o da vincoli morfologici del territorio, ovvero dall'assenza di condizioni economiche favorevoli.
Per la modernizzazione del Paese è fondamentale garantire una dotazione adeguata di infrastrutture di comunicazione avanzata su tutto il territorio nazionale puntando a superare il digital divide esistente ed anche ad assicurare connessioni ad alta velocità a territori a più alta densità di imprese come ad esempio i distretti industriali.
Si tratta di infrastrutture e tecnologie abilitanti con un chiaro effetto, diretto e indiretto, sullo sviluppo economico complessivo.
In particolare da un recente studio della Commissione europea emerge che il contributo alla crescita del PIL nei Paesi con una maggiore diffusione della banda Larga (crescita media del 0, 89 per cento) è stato il doppio rispetto ai Paesi con una minore diffusione (0,47 per cento);
Si impone, dunque, la necessità di sbloccare in tempi rapidi l'iter autorizzativo del Piano per la Banda Larga attualmente fermo al CIPE, confermando l'impegno di 800 milioni di euro e ripristinare lo stanziamento di 30 milioni di euro per sostenere lo sviluppo del digitale terrestre, al fine di non far gravare sulle famiglie povere il peso della innovazione del sistema radiotelevisivo.
BOX: IL PIANO DEL VICEMINISTRO ROMANI BLOCCATO PER MANCANZA DEGLI 800 MILIONI NECESSARI
Da tema per i tecno-specialisti la banda larga è diventata argomento di dibattito politico. Il risultato che decine di convegni avevano rincorso invano è stato ottenuto da una semplice, netta dichiarazione del vicepresidente del Consiglio Gianni Letta il cui senso era: "Gli 800 milioni previsti dal
E. Segantini - Corriere della Sera - 11 novembre 2009.
LE RISORSE CHE MANCANO PER I RINNOVI DEI CONTRATTI PUBBLICI
Di fatto, a favore dell'intero Pubblico Impiego, nel triennio contrattuale 2010-2012 il Governo stanzia con la presente finanziaria, 693 milioni di euro per il 2010, 1.087 milioni di euro per il 2011 e 1.680 milioni di euro per il 2012. In parole povere, le risorse stanziate dalla presente finanziaria bastano appena per la sola indennità di vacanza contrattuale. Ci si limita a dire che per i contratti pubblici verranno mantenuti gli impegni presi con le parti sociali, tuttavia, non figura alcuna cifra specifica riferita ai rinnovi contrattuali. Tutto dipenderà da quanto lo Stato incasserà con lo scudo fiscale.
In sostanza, con i fondi fino ad ora previsti dalla finanziaria, i dipendenti pubblici avrebbero diritto ad un aumento di 9 euro lordi, a partire dal prossimo aprile. Che diventerebbero circa 20 euro, con successive tranche dal 2012. Una cifra chiaramente troppo esigua. Sono del resto i soldi che servono per la «vacanza contrattuale», cioè quell'indennità che si paga quando i contratti non si rinnovano. Una sorta di anticipo sugli aumenti futuri.
In sostanza il testo della finanziaria si può tradurre così: per adesso i contratti del pubblico impiego non li rinnoviamo perché non ci sono i fondi, ne parleremo più avanti, quando sapremo di quanta disponibilità finanziaria il Governo potrà disporre, una volta acquisite le entrate derivanti dallo scudo fiscale. Infatti, al comma 16 dell'articolo 2, si trova un impegno esplicito alla «individuazione di risorse finanziarie occorrenti». Risorse che al momento non vengono quantificate.
Il Governo ha disatteso l'accordo firmato a febbraio con CISL, UIL, CONFSAL (ma non dalla CGIL) sul nuovo modello contrattuale. Per applicare alla lettera quella intesa il Governo avrebbe dovuto stanziare qualcosa come 7 miliardi di euro. Una somma che a quanto emerge dalla finanziaria al nostro esame, il Ministro Tremonti non ha alcuna intenzione di destinare agli stipendi del personale pubblico.
I TAGLI ALLE RISORSE PER LA SICUREZZA
La missione «Ordine Pubblico e Sicurezza» - che dovrebbe rappresentare un tema assai caro alla compagine governativa -
Il gioco delle tre carte sui finanziamenti per la sicurezza
Assistiamo ancora una volta da parte di questa maggioranza ad un atteggiamento alquanto ambiguo, se non addirittura schizofrenico, in relazione ai fondi da assegnare alle forze dell'ordine.
Infatti, in seguito al gran clamore sollevato sia dai rappresentati della categoria del comparto sicurezza, sia anche dal Ministro Maroni, il relatore ha assegnato, al comma 38, la somma di 100 milioni di euro a decorrere dal 2010, al personale appartenente al comparto sicurezza-difesa.
Si tratta solo di un minimo ristoro dei fondi già sottratti dal Governo in carica al suddetto personale. Abbiamo infatti presentato un subemendamento al testo del relatore, almeno per raddoppiare i fondi a disposizione del personale delle forze dell'ordine.
Si deve tuttavia rilevare con rammarico, che l'intento, nobile, anche se molto risicato, del relatore, viene contraddetto proprio dallo stesso articolo 2, comma 55, nel quale figura, insieme alla citata assegnazione dei 100 milioni a decorrere dal 2010, una riduzione, di analogo importo, quindi sempre di 100 milioni di euro a carico del fondo istituito ai sensi del comma 17 dell'articolo 61 del decreto-legge n. 112 del 2008, che, in parte - cito il testo della norma - deve «essere destinata alla tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, inclusa l'assunzione di personale in deroga ai limiti stabiliti dalla legislazione vigente».
Ci appare chiaro ancora una volta il gioco di questa maggioranza, che da un lato, solo per tenere buoni alcuni ministri gli dà un contentino, e dall'altra, per far quadrare i conti insiste nell'operare scelte dannose, che recano un grave pregiudizio a settori strategici ed importanti della nostra società, quale l'intero comparto preposto alla sicurezza, che ormai opera con una grave carenza di fondi a disposizione al punto da metterne seriamente in discussione l'operatività.
TOGLIERE LE AGEVOLAZIONI CIP 6 ALLE FONTI ENERGETICHE «ASSIMILATE»
Proponiamo una riduzione del CIP 6 destinato alle fonti energetiche assimilate, ossia una diminuzione progressiva negli anni della componente finalizzata al sostegno delle fonti assimilate, e quindi a
LA QUESTIONE DEI RICERCATORI UNIVERSITARI
Il tema della ricerca è finito al centro di una dura polemica tra il Governo e la sua maggioranza e l'opposizione nell'ambito dell'esame della finanziaria al Senato.
Il Senato, dove la manovra finanziaria ha ottenuto venerdì 13 novembre il primo via libera, ha bocciato un emendamento bipartisan per sbloccare risorse per 80 milioni, stanziati dalla finanziaria 2007, da destinare all'assunzione di 4200 ricercatori presso le università.
L'emendamento presentato dal presidente della commissione Cultura, Antonio Possa (Pdl) era frutto di un'iniziativa comune, ma poi il senatore Possa è stato costretto a togliere la firma, mentre il secondo firmatario Sciutti, capogruppo Pdl in commissione Cultura, ha chiesto che l'emendamento venisse trasformato in ordine del giorno.
Gli 80 milioni stanziati dalla Finanziaria nel 2007 facevano parte di un finanziamento più ampio triennale: 20 milioni per il primo anno, 40 per il secondo, 80 per il terzo. La terza tranche era più sostanziosa perché sarebbe servita al pagamento degli stipendi anche dei ricercatori assunti con i due concorsi precedenti. Il che significa che se i fondi dovessero essere «stornati», per gli atenei ci sarebbe un doppio problema: oltre alle mancate nuove assunzioni, bisognerebbe anche far fronte agli stipendi dei neoassunti e verrebbero a mancare le risorse necessarie.
Questi finanziamenti hanno bisogno di un provvedimento particolare di sblocco perché erano originariamente vincolati all'emissione di un decreto che avrebbe dovuto stabilire nuove norme di trasparenza e imparzialità per i concorsi. Tale decreto è stato bocciato dalla Corte dei Conti, e quindi è necessaria ogni anno una norma speciale che permetta di spendere questi soldi, già nel bilancio del Miur. A questo punto l'unica soluzione possibile sarebbe che il Governo stabilisse ufficialmente che la legge Gelmini si sostituisce al provvedimento bloccato nel 2007, sbloccando automaticamente quest'ultima tranche di 80 milioni.
L'articolo 1, comma 647, della legge finanziaria per il 2007 (legge n. 296 del 2006) ha previsto che, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori
il successivo comma 648 ha previsto che, al fine di consentire il reclutamento straordinario di ricercatori, il decreto di cui al comma 647 definisce un numero aggiuntivo di posti di ricercatore da assegnare alle università e da coprire con concorsi banditi entro il 30 giugno 2008;
il comma 650 ha stabilito che all'onere derivante dalle disposizioni del comma 648 si provvede nel limite di 20 milioni di euro per l'anno 2007, di 40 milioni di euro per l'anno 2008 e di 80 milioni di euro a decorrere dall'anno 2009.
L'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 147 del 2007, convertito dalla legge n. 176 del 2007, e l'articolo 4-bis, comma 17, del decreto-legge n. 97 del 2008, convertito dalla legge n. 129 del 2008, hanno disposto la disapplicazione, rispettivamente per il 2007 e il 2008, del comma 648 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2007 e, al fine di garantire comunque l'attuazione del piano straordinario di assunzione di ricercatori nelle università, hanno previsto che le risorse di cui al comma 650 della medesima legge, limitatamente agli stanziamenti previsti, rispettivamente, per il 2007 e per il 2008, fossero utilizzate per il reclutamento di ricercatori secondo le norme vigenti; i due interventi sono stati determinati dalla volontà di evitare che, a seguito del mancato intervento del decreto ministeriale previsto dal comma 647 della medesima legge finanziaria si disperdessero gli stanziamenti disposti per il 2007 e il 2008.
L'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 180 del 2008, convertito dalla legge n. 1 del 2009, ha previsto che nelle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento di ricercatori bandite successivamente alla data di entrata in vigore del decreto medesimo, la valutazione sia effettuata sulla base dei titoli - illustrati e discussi dinanzi alla commissione - e delle pubblicazioni dei candidati, compresa la tesi di dottorato, e ha rimesso ad un decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di natura non regolamentare - da adottare sentito il CUN -, la definizione dei parametri da utilizzare, riconosciuti anche in ambito internazionale.
Il decreto ministeriale n. 89 del 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 203 del 2 settembre 2009, ha stabilito i parametri di valutazione dei titoli e delle pubblicazioni di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 180 del 2008; sembrerebbe, quindi, essersi realizzata la condizione di cui all'articolo 1, comma 647, della legge finanziaria per il 2007.
Nel bilancio 2009, sul capitolo 1714, Piano di gestione 2, sono disponibili 80 milioni di euro di cui all'autorizzazione di spesa recata dall'articolo 1, comma 650, della medesima legge finanziaria per il 2007.
Secondo il ministro Gelmini non ci sarebbe stato alcun taglio aggiuntivo, forse l'equivoco è nato dal fatto che il presidente della commissione Cultura e Scuola del Senato aveva presentato un emendamento per ripristinare un vecchio taglio che era contenuto nella precedente Finanziaria. Il ministro assicura che i fondi per i nuovi ricercatori ci sono e saranno sbloccati entro 15 giorni da un apposito decreto ministeriale.
Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca assicura che i finanziamenti destinati dalla Finanziaria 2007 all'assunzione di giovani ricercatori universitari non andranno persi e afferma inoltre che entro due settimane emanerà un decreto ministeriale che trasferirà l'intera
VII. UNA DIVERSA POLITICA ECONOMICA PER SUPERARE LA CRISI
Dobbiamo cominciare ad affrontare le radici della crisi finanziaria, economica, ecologica: il non rispetto delle regole, l'affanno del breve termine, la crescita delle diseguaglianze sociale e lo sfruttamento irresponsabile della natura.
Se la crisi «è alle spalle» - come dice il nostro Governo - essa è, forse, alle spalle di qualche istituto finanziario. Ma Confindustria e Confcommercio sono preoccupate e le organizzazioni sindacali mobilitano i loro iscritti; aumentano la disoccupazione, i livelli di povertà, le sperequazioni dei redditi e le prospettive sono per ulteriori chiusure di fabbriche e di perdita di posti di lavoro.
La crisi che sta allentando la presa del PIL, pesa ora soprattutto sul mondo del lavoro: nel nostro Paese il tasso di disoccupazione da gennaio a settembre 2009 è salito dal 6,8 per cento al 7,4 per cento, ed esso continuerà a salire nei prossimi mesi perché la reazione del mercato del lavoro si muove con ritardo rispetto al ciclo economico. La domanda non potrà che restare sotto tono: l'andamento del PIL non basta a definire se la crisi è finita e non può rappresentare l'unica guida per le politiche economiche.
Esiste una tendenza di lungo periodo che penalizza nel nostro Paese i redditi della stragrande maggioranza delle classi medie, lavoratori dipendenti e quanti ad essi assimilabili per condizione di lavoro. L'attuale recessione dimostra che povertà e diseguaglianze non sono state e non sono né un incidente né un'appendice dei processi economici in corso, ma un elemento strutturale.
Poco o niente è previsto in merito dalla legge finanziaria per l'anno 2010, se non qualche timida estensione degli ammortizzatori sociali. Si insiste - e senza neanche troppa convinzione - su una politica volta solo a ridurre i costi di produzione, quando siamo di fronte ovunque ad un crollo dei consumi del settore privato.
La competizione sui costi per tentare di attrarre o di mantenere una parte della domanda su scala internazionale attualmente depressa è una politica illusoria poiché le produzioni labour intensive sono ormai trasferite in altre parti del mondo.
In attesa di una politica europea comune di rilancio dell'economia, il sostegno alla domanda deve partire a livello nazionale.
La cultura, l'educazione e la ricerca non sono delle merci. Il cambiamento radicale del nostro modello di sviluppo deve passare su un più forte programma di investimenti in materia di educazione, di formazione e di ricerca, coerente con il nostro progetto di civiltà.
L'innovazione deve diventare la bussola della nostra politica dal lato dell'offerta.
La mancanza di una guida pubblica o di concertazione impedisce un cambiamento delle aspettative degli operatori privati, che sono diventate di breve respiro, e
1. A favore dei cittadini, dei lavoratori e delle famiglie, anche al fine di sostenere la domanda interna (6.150 milioni di euro):
a) raddoppio dei tempi della Cassa integrazione ordinaria passando da 52 a 104 settimane almeno per i prossimi due anni (500 milioni);
b) alleggerimento del carico Irpef sui redditi bassi e medi da lavoro e da pensione diminuendo l'imposta sulle tredicesime e attraverso il meccanismo delle detrazioni (2.350 milioni a decorrere dal 2010);
c) aumenti delle detrazioni per carichi familiari (un miliardo a decorrere dal 2010);
d) risorse adeguate per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego (800 milioni);
e) aumento delle risorse del Fondo per l'occupazione per estendere e garantire gli ammortizzatori sociali anche ai lavoratori atipici (900 milioni nel 2010, 2.100 nel triennio);
f) adeguati finanziamenti dei Fondi per le politiche sociali (600 milioni nel 2010, 1.800 milioni nel triennio);
g) risorse sufficienti per le forze di polizia e per il funzionamento della giustizia (840 milioni nel triennio).
2. Per favorire l'innovazione, la riconversione ecologica e lo sviluppo delle PMI (9.805 milioni):
a) finanziamento della banda larga (900 milioni nel triennio);
b) credito d'imposta per l'innovazione a favore delle aziende (900 milioni nel triennio);
c) più risorse per la scuola, l'università e la ricerca scientifica e tecnologica (3.141 milioni nel triennio);
d) Ristrutturazione ecologica del nostro sistema produttivo (1.725 milioni; 4.935 milioni nel triennio):
programma per la messa in sicurezza degli edifici scolastici;
ricostruzione Abruzzo;
frana Messina;
Piano per la messa in sicurezza dell'assetto idro-geologico del territorio nazionale;
Attuazione protocollo di Kyoto;
Parchi naturali;
incentivi per le energie rinnovabili ed il risparmio energetico anche attraverso una progressiva riduzione delle agevolazioni derivanti dal cosidetto CIP 6 alle produzioni energetiche "assimilate", ecc...;
Proponiamo inoltre il prolungamento della detrazione del 55 per cento per investimenti in efficienza energetica: 2012: 440 milioni; 2013: 515 milioni; 204: 170 milioni
e) concentrare le risorse per le opere pubbliche su alcune infrastrutture prioritarie, in particolare per quanto concerne le aree meridionali sotto dotate (2.625 milioni);
f) reintegro dei fondi FAS per le aree sottoutilizzate (2.400 milioni nel triennio);
g) allentare il Patto di stabilità interno sulla spesa per investimenti di Comuni e Province (1.100 milioni);
h) maggiori risorse ai Confidi per garantire i prestiti alle PMI (550 milioni);
i) deduzione graduale del costo del lavoro dall'imponibile Irap, in particolare per le PMI, per non penalizzare l'occupazione (500 milioni);
j) Fondo rotativo presso la Cassa Depositi e Prestiti per anticipare i pagamenti ai fornitori delle pubbliche amministrazioni (175 milioni a decorrere dal 2010);
k) difesa e valorizzazione del made in Italy (50 milioni);
l) per la piccola impresa e per l'artigianato, prevedere il pagamento dell'IVA al momento in cui si incassa e non in anticipo (500 milioni).
4. Quali risorse impegnare?:
a) una riduzione delle spese correnti delle pubbliche amministrazioni attraverso un taglio modulabile soprattutto a carico delle amministrazioni centrali ed il rafforzamento del ruolo della Consip (1,5 miliardi di euro);
b) riduzione dei trasferimenti alle imprese ad eccezione dei trasferimenti al settore del trasporto pubblico locale e alle Ferrovie dello Stato spa, risorse da impegnare nella deduzione del costo del lavoro dall'imponibile Irap ed in altre misure a favore delle imprese stesse (2,75 miliardi);
c) tassazione con l'aliquota del 20 per cento delle plusvalenze finanziarie speculative con l'esclusione dei rendimenti dei titoli di Stato per alleggerire l'Irpef sui redditi da lavoro (1,2 miliardi);
d) sanatoria degli immigrati con i criteri utilizzati per la sanatoria delle Colf (1 miliardo);
e) ripristinare le norme di contrasto all'evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi e soppresse dall'attuale Governo (1,9 miliardi);
f) recupero immediato delle somme dovute dai contribuenti che hanno aderito al condono fiscale 2003-2004 e che non hanno pagato tutte le rate secondo quanto denunciato dalla Corte dei conti (3 miliardi);
g) tagli ai costi della politica (550 milioni);
h) utilizzo dei proventi derivanti dalle disposizioni di cui all'articolo 13-bis del decreto legge n. 78 del 2009 (legge n. 102 del 2009) e successive modifiche («Scudo
i) tassa sui superalcolici (200 milioni);
j) soppressione della «legge mancia» (80 milioni di euro per il 2010 e 30 milioni di euro per il 2011).
Il totale delle risorse che si potrebbero attivare è pari a circa 16 miliardi di euro per l'anno 2010.
Segnaliamo che la nostra manovra prevede una riduzione delle tasse di circa 3 miliardi ed una loro migliore e più efficace distribuzione:
Minori imposte
alleggerimento del carico Irpef diminuendo l'imposta sulle tredicesime e attraverso il meccanismo delle detrazioni: 2.350 milioni;
detrazioni per carichi familiari: -1.000 milioni;
riduzione Irap: -500 milioni;
IVA di cassa per le PMI -500 milioni.
Maggiori imposte
tassazione con l'aliquota del 20 per cento delle plusvalenze finanziarie speculative con l'esclusione dei rendimenti dei titoli di Stato + 1.200 milioni;
aumento della tassa sui superalcolici + 200 milioni.
Diminuzione tasse: -2.950 milioni.
In conclusione, possiamo ben dire che il Paese non si merita questa manovra di politica economica e finanziaria.
Si poteva fare meglio. Abbiamo cercato di fare delle proposte alternative. Non c'è stata data la possibilità di avere un reale confronto nelle sedi parlamentari, ed in particolare, è stata del tutto esautorata dai suoi compiti la Commissione Bilancio.
Lo spettacolo è stato indecoroso. Malgrado tutti i proclami del Governo e del Ministro dell'economia e delle finanze, di volere ricondurre la legge finanziaria ai suoi compiti precipui, abbiamo assistito ad un vero e proprio assalto alla diligenza che ha prodotto un testo confuso, senza criteri selettivi, mentre l'Italia annaspa in una crisi che colpisce duramente famiglie ed imprese.
Fino all'ultimo abbiamo cercato un confronto per il bene del Paese. Non è stato possibile. Con ogni probabilità tra poche ore il Governo chiederà la fiducia non certo per inesistenti ostruzionismi delle opposizioni, ma semplicemente per potere controllare la propria maggioranza.
Gli italiani sapranno giudicare se questo è un metodo di Governo all'altezza delle aspettative e delle necessità nazionali.
Antonio BORGHESI,
Relatore di minoranza
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