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PDL 2870

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2870



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato CAVALLARO

Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e altre disposizioni concernenti la disciplina delle procedure concorsuali in aiuto delle piccole e medie imprese in difficoltà

Presentata il 30 ottobre 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - Anche se sotto l'aspetto finanziario l'attuale crisi ha subito un qualche rallentamento, il dissesto economico è ben lungi dall'essere superato.
      Nelle analisi della situazione congiunturale, effettuate dai maggiori organismi pubblici e privati, fra cui: Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, Banca d'Italia, associazioni degli industriali, sindacati, Confederazione italiana della piccola e media industria privata, Confcommercio e, più recentemente, dalla Commissione nazionale per le società e la borsa, sono state rappresentate situazioni completamente negative, caratterizzate da una «recessione forte».
      Nel frattempo si intensifica e si sussegue la chiusura delle imprese, mentre si prevedono ancora 500.000 ulteriori licenziamenti nei prossimi mesi. Tutto ciò nel tempo in cui i fallimenti, specie dei complessi di piccole e medie dimensioni, stanno aumentando, come emerge chiaramente dai dati forniti dai vari tribunali italiani: basti pensare che solo nel 2008 sono stati dichiarati circa 7.330 fallimenti e che nel primo semestre dell'anno in corso ne sono stati già dichiarati 5.376.
      La presente proposta di legge, tenendo conto di questo stato di profonda regressione e di evidente difficoltà soprattutto per le piccole e medie imprese, interviene a sostegno delle stesse in un duplice verso e senza che ciò comporti in alcun modo oneri per lo Stato: nel capo I, infatti, si prevede l'istituzione della «procedura di prevenzione», mentre nel capo II si apportano
 

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alcune modifiche al regio decreto n. 267 del 1942, di seguito «legge fallimentare».

      L'articolo 32 del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, cosiddetto «decreto anticrisi», si è limitato a modificare l'articolo 182-ter della legge fallimentare introducendo la possibilità del pagamento dei «contributi assicurativi» in modo dilazionato, ma per il loro totale ammontare. C'è da dire che in tal modo nulla è stato praticamente aggiunto, se si tiene conto del fatto che questa possibilità è già prevista dal secondo comma dell'articolo 160 della legge fallimentare. Si esclude, invece, il pagamento parziale dell'imposta sul valore aggiunto, la quale costituirebbe (in aperta contraddizione con quanto era stato precedentemente affermato dagli stessi organi istituzionali) «risorse proprie dell'Unione europea».
      Nessun reale beneficio arrecherà, inoltre, la detassazione degli utili reinvestiti in macchinari in quanto è puramente accademico parlare di utili, dato che le piccole imprese si trovano in stato di crisi e quindi, semmai, sarebbe opportuno occuparsi di perdite.
      Una delle vie utili è da ricercare proprio nell'area delle procedure concorsuali, facendo ricorso a provvedimenti incisivi che, nello stesso tempo, abbiano la possibilità di una facile e immediata attuazione e che non siano basati su presupposti astratti o troppo complicati.
      Bisogna introdurre gli «istituti di allerta e di prevenzione» che non costituiscono una novità in quanto già previsti dalla «Commissione Trevisanato» nel 2004 con lo schema del disegno di legge recante «Delega al Governo per la riforma organica della disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza».
      Tali istituti non hanno avuto poi applicazione nel dettato normativo ma possono costituire, come riconosciuto dalla dottrina in materia, una valida misura di prevenzione al fine di evitare che l'impresa venga coinvolta in una procedura concorsuale.
      Questo risultato può essere raggiunto facendo emergere in maniera tempestiva la situazione di crisi dell'imprenditore con la conseguente adozione di misure idonee alla sua gestione.
      La conservazione dell'impresa come attività produttiva potrebbe così avvenire con il risanamento della stessa in capo all'imprenditore, con interventi di sostegno e di finanziamento, con ristrutturazioni aziendali, e con operazioni di ricapitalizzazione oppure attraverso la cessione dell'azienda a terzi con il mantenimento, però, degli organismi produttivi.
      Mentre i grandi complessi (quelli con più di cinquecento dipendenti e con debiti superiori a 300 milioni di euro secondo il decreto-legge n. 347 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 39 del 2004, e quelli con più di duecento dipendenti e con debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi del totale dell'attivo dello stato patrimoniale e dei ricavi secondo il decreto legislativo n. 270 del 1999) possono usufruire dell'amministrazione straordinaria, le altre imprese minori, in questa situazione, non possono aspettarsi alcunché se non la chiusura, seguita, quasi sicuramente, dal fallimento.
      Gli «istituti» della «Commissione Trevisanato» servirebbero invece a far emergere tempestivamente la situazione di crisi di ogni singola impresa e permetterebbero di adottare, per la stessa, idonee misure per la sua gestione, senza sottovalutare il fatto che le piccole e medie imprese avrebbero a loro disposizione una procedura confacente alle loro dimensioni.
      In questo caso non interverrebbe il commissario nominato dal potere esecutivo come succede attualmente nei casi di amministrazione straordinaria, che è diventata una procedura di salvataggio di singole e specifiche aziende, ma sarebbe l'autorità giudiziaria ad agire e a consentire al giudice di «entrare» nelle imprese per conoscere lo stato della crisi e per approntare le regole per il loro possibile recupero.
      L'obiettivo è quello di salvare non solo l'azienda, ma anche l'immagine, conquistata
 

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magari con grossi sacrifici, nonché la capacità occupazionale della stessa.
      Ciò può essere conseguito facendo emergere le situazioni di difficoltà e adottando gli interventi che il giudice riterrà più opportuni, al fine di risanare l'impresa ancora vitale, sia in capo allo stesso imprenditore, con l'acquisizione di nuovi mezzi finanziari, facendo ricorso al credito o all'aumento del capitale sociale, sia attraverso la cessione dell'azienda, nel suo complesso, conservando, così, gli stessi livelli occupazionali.
      Le piccole e medie aziende impossibilitate, per la loro dimensione, a ricorrere all'amministrazione straordinaria sono tuttora governate dalle banche, le quali sono le sole a decidere della loro sopravvivenza o della loro scomparsa.
      A differenza di altri Paesi non esiste nel diritto italiano una forma preventiva che possa salvare la piccola e media azienda, come previsto invece negli Stati Uniti d'America con il chapter 11, nell'Inghilterra con il floating charge, in Francia con la procedura introdotta dalla riforma del 1985 e in Spagna con la proposta anticipata di «convenio».
      Un altro importante strumento-rimedio può essere l'introduzione della procedura di prevenzione.
      Solamente quando l'autorità giudiziaria avrà accertato la presenza di una situazione di insolvenza di carattere irreversibile si dovrà accedere ad una procedura di carattere concorsuale, che non sia quella fallimentare e che potrebbe essere idonea per conservare ancora l'azienda.
      Il concordato preventivo rimane, allora, la procedura migliore.
      Ma anche in questo caso dovrebbe intervenire il legislatore per modificare alcune norme che ora impediscono o rendono difficile l'accesso alla procedura. Molto è stato già fatto al riguardo con le leggi di riforma che hanno rafforzato l'aspetto privatistico del concordato rispetto a quello pubblicistico, ma l'ultimo provvedimento (il decreto legislativo n. 169 del 2007, cosiddetto «decreto correttivo») ha complicato alquanto la situazione.
      Il concordato dovrà rappresentare un accordo fra debitore e creditori, ridimensionato in ordine al potere giudiziario, con il giudice in funzione di garante del rispetto della legge e degli obblighi assunti dal debitore: solo così sarà possibile sottrarre diverse piccole e medie aziende dalla grossa selezione che senza alcun dubbio si verificherà.
      Il concordato preventivo, da procedura quasi esclusivamente di carattere liquidatorio, dovrà trasformarsi in una procedura prevalentemente conservativa.
      Nulla è impossibile: gli Stati Uniti d'America hanno inventato la «bancarotta pilotata» per evitare e guidare i fallimenti delle case automobilistiche Chrysler e General Motors, che avrebbero avuto conseguenze disastrose per moltissimi americani, mentre da noi è sufficiente modificare alcuni articoli della legge fallimentare per salvare migliaia di aziende, anche se di più piccole dimensioni.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
PROCEDURA DI PREVENZIONE

Art. 1.
(Disposizioni generali).

      1. Le amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, sono obbligate a iscrivere in un apposito registro, aggiornato periodicamente, i crediti di importo superiore ad euro 20.000, per i quali sussiste una mora nei pagamenti per un periodo di almeno sei mesi. Il registro è pubblico.
      2. Gli organi di controllo, i revisori contabili e le società di revisione dell'impresa esercitata in forma societaria o collettiva hanno l'obbligo di comunicare tempestivamente all'organo di amministrazione ogni circostanza idonea a pregiudicare la continuità dell'impresa con l'invito ad adottare o a promuovere l'adozione delle misure necessarie al superamento della crisi e, in mancanza di iniziative idonee, di convocare l'assemblea dei soci per le opportune deliberazioni. I medesimi soggetti, esperite senza esito le iniziative di cui al periodo precedente, hanno l'obbligo di riferire al tribunale i fatti rivelatori di uno stato di crisi.

Art. 2.
(Procedure di allerta e di prevenzione).

      1. Qualsiasi imprenditore, individuale o collettivo, iscritto nel registro delle imprese, anche se non in possesso dei requisiti di cui all'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, come da ultimo modificato dall'articolo 7 della presente

 

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legge, può di sua iniziativa informare il tribunale ove ha sede la propria impresa dello stato di crisi della medesima impresa.
      2. Sono esclusi dall'applicazione delle disposizioni del comma 1:

          a) gli enti pubblici e le imprese che, per i loro requisiti e per le loro dimensioni, hanno la possibilità di accedere alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, o al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39;

          b) gli imprenditori individuali e collettivi qualora sia trascorso un anno dalla cessazione dell'attività ai sensi degli articoli 10 ed 11 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni;

          c) i soggetti che nell'ultimo triennio hanno fatto ricorso alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 160 o all'accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni.

Art. 3.
(Apertura della procedura di prevenzione).

      1. Ai fini dell'apertura della procedura di prevenzione, il tribunale ordina la comparizione dell'imprenditore, al fine di ottenere dallo stesso notizie ed informazioni sul suo stato di crisi.
      2. Qualora ne sussistano le condizioni il tribunale, in composizione collegiale e con le modalità dei procedimenti in camera di consiglio, dichiara aperta la procedura di prevenzione, con sentenza soggetta a registrazione a tassa fissa, con la quale:

          a) nomina il giudice delegato che ha funzioni di controllo sugli atti del commissario giudiziale di cui alla lettera b);

          b) nomina un commissario giudiziale con il compito di controllare la legittimità dell'amministrazione del patrimonio e di riferire al giudice delegato;

 

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          c) ordina all'imprenditore di depositare, entro il termine di trenta giorni, un piano di composizione della crisi di seguito denominato «piano», sottoscritto anche da un professionista di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, contenente, altresì, una relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, finanziaria ed economica dell'impresa, un elenco dei creditori e la previsione del trattamento riservato a ciascuno di essi e accompagnata dalla ricevuta di versamento della somma fissata per le spese;

          d) stabilisce che il debitore, entro il termine di sei mesi, depositi le accettazioni del piano sottoscritte dai creditori.

Art. 4.
(Obblighi del commissario giudiziale).

      1. Il commissario giudiziale ha il compito, oltre a quello di verificare che il patrimonio del debitore non subisca riduzioni illegittime e non giustificate, di promuovere soluzioni negoziali di sistemazione del debito.
      2. Il commissario giudiziale, nel termine di sei mesi di cui all'articolo 3, comma 2, lettera d), deposita una propria relazione attestante la soluzione della crisi in conseguenza dell'intervenuto accordo fra impresa e creditori, anche con modalità e termini diversi dal trattamento previsto, oppure l'impossibilità del raggiungimento dell'accordo stesso, spiegandone i motivi.

Art. 5.
(Effetti della sentenza).

      1. Gli effetti nei confronti del debitore e dei creditori, nonché, in quanto compatibili, dei soci illimitatamente responsabili, conseguenti all'apertura della procedura di prevenzione e fino alla sua conclusione sono disciplinati dai seguenti criteri:

 

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          a) è vietato l'inizio o la continuazione delle azioni esecutive e cautelari, anche speciali, e dei mezzi di autotutela esecutiva;

          b) sono inefficienti gli atti costitutivi di diritti di prelazione;

          c) sono sospesi i termini e le decadenze per la dichiarazione dell'insolvenza;

          d) sono inapplicabili le disposizioni relative alla riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite;

          e) è conservata in capo al debitore la gestione dell'impresa e del patrimonio, salvo il potere del tribunale di nominare un commissario in sua sostituzione in caso di necessità;

          f) non sono soggetti all'azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere nel corso della procedura e debitamente autorizzati;

          g) sono proseguibili i contratti in corso, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, fatta salva la possibilità di scioglimento per evidente opportunità ai fini dell'attuazione del piano;

          h) non sono soggette a tassazione le sopravvenienze attive derivanti dalle rinunzie parziali ai crediti;

          i) nel caso di cessione dell'intera azienda o di rami della stessa è corrisposta l'imposta di registro a tassa fissa a condizione del mantenimento dei livelli occupazionali esistenti da parte dell'acquirente o del cessionario per un periodo non inferiore a due anni.

Art. 6.
(Chiusura della procedura).

      1. Decorsi sei mesi dalla sentenza di ammissione il tribunale, in base alle dichiarazioni di accettazione del piano sottoscritte dai creditori e sulla base della relazione del commissario giudiziale, omologa o meno la procedura di prevenzione.

 

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      2. Nel caso in cui il tribunale ritenga che non ricorrano le condizioni per l'omologazione, lo stesso dichiara il fallimento dell'impresa e degli eventuali soci illimitatamente responsabili, a meno che l'imprenditore dichiari di voler accedere alla procedura di concordato preventivo.
      3. Il tribunale può omologare la procedura di prevenzione anche in mancanza di accettazione del piano da parte di tutti i creditori, purché risulti salvaguardato l'ordine di priorità dei crediti e sia assicurato ai creditori che non hanno dato il loro assenso un trattamento non inferiore rispetto a quello conseguibile in caso di fallimento.
      4. Il Ministero dello sviluppo economico ha l'obbligo di intervenire per prestare garanzia alla banca sul mutuo bancario che il debitore deve contrarre per salvare l'impresa.

Capo II
FALLIMENTO

Art. 7.
(Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa).

      1. All'articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, come da ultimo sostituito dall'articolo 1 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) nella rubrica le parole: «e al concordato preventivo» sono soppresse;

          b) ai commi primo e secondo, alinea, le parole: «e sul concordato preventivo» sono soppresse.

      2. Al secondo comma dell'articolo 162 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, come sostituito dall'articolo 12, comma 4, del decreto legislativo 12 settembre 2007,

 

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n. 169, le parole: «Il tribunale, se all'esito del procedimento verifica che non ricorrono i presupposti di cui agli articoli 160, commi primo e secondo, e 167» sono sostituite dalle seguenti: «Il tribunale, se, all'esito del procedimento del controllo di legalità sul contenuto del piano, rileva la carenza o l'insufficienza dei documenti prodotti oppure l'inadeguatezza della motivazione adottata dall'esperto».
      3. Al terzo comma dell'articolo 173 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, come sostituito dall'articolo 14 del decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169, le parole: «, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato» sono soppresse.


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