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PDL 2671

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2671



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CAZZOLA, MOFFA, BELTRANDI, BERNARDINI, COLANINNO, DELFINO, DELLA VEDOVA, DI BIAGIO, FARINA COSCIONI, CALEARO CIMAN, GOLFO, MAZZUCA, MECACCI, MAURIZIO TURCO, ZAMPARUTTI, VIGNALI, BARANI, BONINO, CALDERISI, CALDORO, CECCACCI RUBINO, DE NICHILO RIZZOLI, VINCENZO ANTONIO FONTANA, MOSCA, RAISI

Modifiche all'articolo 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108, concernenti l'introduzione, in via sperimentale, di norme per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti di età per il pensionamento di vecchiaia

Presentata il 31 luglio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - L'aumento della speranza di vita, il calo demografico e il conseguente invecchiamento della popolazione sempre più rapido determinano in tutto il mondo industrializzato un difficile problema di sostenibilità dei sistemi pensionistici e, in generale, del welfare. Le riforme dei sistemi pensionistici in atto in tutti i Paesi con l'innalzamento dell'età di uscita dal mercato del lavoro saranno, infatti, efficaci soltanto se saranno accompagnate da un prolungamento significativo della vita attiva, sicuramente nella fascia fino ai 65 anni di età, ma anche ben oltre questo livello. L'aumento delle persone che lavorano anche nelle fasce più alte di età permetterà una maggiore accumulazione di diritti previdenziali e dei livelli delle pensioni in rapporto ai salari, migliorando le condizioni di vita degli anziani, ma consentirà anche di finanziare e di rendere
 

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sostenibile l'intero sistema di assistenza sempre più orientato alla protezione sociale delle persone non autosufficienti a causa dell'invecchiamento progressivo della popolazione.
      Sulla base di queste considerazioni, l'Unione europea, con l'Agenda di Lisbona, ha raccomandato a tutti i Paesi l'obiettivo di aumentare il tasso di occupazione nella fascia di età tra 55 e 64 anni almeno al 50 per cento nel 2010. Questo è solo un primo passo perché, alla luce dell'ulteriore invecchiamento della popolazione previsto fino al 2050, sarà sempre più difficile, da una parte, fare fronte alle spese sociali crescenti per la cura delle persone anziane e, dall'altra parte, reperire le forze lavoro necessarie per sostenere il sistema economico, se non con afflussi sempre crescenti di manodopera extracomunitaria.
      In Italia la situazione è aggravata da un invecchiamento della popolazione ancora più accentuato rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea, determinato dal calo dei tassi di natalità e dall'incremento della speranza di vita.
      L'allungamento della vita lavorativa in Italia è, di conseguenza, accanto all'aumento del tasso di occupazione dei giovani e delle donne, la condizione per rendere sostenibile lo Stato sociale, ma anche per creare maggiore crescita economica e per non aggravare, oltre i livelli sostenibili, i problemi dell'integrazione degli immigrati.
      Va considerato inoltre che il divieto generalizzato di continuare a lavorare, nella misura consentita dalle proprie condizioni psicofisiche e previo accordo della parte datoriale, pone delicate questioni di costituzionalità. Proprio a fronte dell'aumento della speranza di vita, del calo demografico e del conseguente invecchiamento della popolazione, i limiti e i divieti posti dalla normativa vigente si traducono oggi nella negazione degli interessi, dei diritti e delle facoltà che gli stessi intendevano invece tutelare, al punto da porsi oggi in contrasto con il principio di eguaglianza posto dall'articolo 3 della Costituzione; con il diritto al lavoro, che ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della stessa Costituzione, deve essere reso effettivo; con il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, stabilito dal medesimo articolo 4, secondo comma, della Costituzione.
      Non si può poi dimenticare che obbligare le persone ad andare in pensione entro i 65 anni di età, alimenta in modo considerevole il lavoro nero perché sono sempre meno le persone di questa età che accettano di passare il resto della loro vita «in panchina» e sono sempre più numerose quelle hanno bisogno di integrare la loro pensione con un lavoro.
      Da tutte queste considerazioni emerge la necessità di prevedere la facoltà per i lavoratori, e in particolare per la grande maggioranza di essi che presta mansioni non usuranti, di poter continuare a lavorare, se lo ritengono possibile e utile, oltre l'età in cui potrebbero andare in pensione. A fronte di questo diritto c'è un interesse obiettivo della società di aumentare il tasso di attività della popolazione e quindi la sostenibilità del sistema di welfare. A questo proposito occorre osservare che solo da poco in Italia si è compreso che le politiche che incoraggiavano l'uscita dal lavoro dei dipendenti più anziani per lasciare il posto ai giovani erano controproducenti. Le conseguenze di queste politiche sono state, infatti, deleterie: basso tasso di partecipazione al lavoro, in particolare per le donne, forti differenze regionali e larga presenza di lavoro nero.
      Non si può non rilevare che la proposta di abolire l'età massima lavorativa troverà resistenze anche da una parte, seppure piccola, delle imprese che sono, spesso, riluttanti ad assumere o a mantenere i lavoratori più anziani principalmente per tre ragioni:

          1) alcuni datori di lavoro italiani hanno una percezione negativa delle capacità professionali dei lavoratori anziani e per questo li discriminano a favore dei lavoratori più giovani. È evidente che in Italia esiste un serio problema di discriminazione basata sull'età, anche se è difficile definirne l'ampiezza;

 

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          2) i salari negoziati dalle parti sociali normalmente aumentano in funzione dell'età e dell'anzianità, a prescindere dallo sviluppo della produttività. In questo modo si pensa di legare i dipendenti più anziani all'azienda e di premiare la loro fedeltà e la loro maggiore esperienza. Ma quando i costi divengono eccessivi rispetto alla produttività sono proprio i lavoratori più anziani che sono incoraggiati ad andarsene perché costano di più. In altri Paesi come la Svizzera e la Germania la remunerazione all'anzianità ha, invece, perduto importanza a favore della competenza e della produttività di ogni lavoratore;

          3) lunghi orari di lavoro possono essere particolarmente onerosi per i lavoratori più anziani. Solo poche imprese prevedono una fase di transizione verso la pensione adattando le condizioni di lavoro alle esigenze dei dipendenti più anziani e prevedendo per questi dei part-time graduali.

      È utile analizzare anche l'opinione degli interessati sul prolungamento dell'attività lavorativa dopo i 65 anni di età: secondo una ricerca realizzata nel 2006 dall'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL) e dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con il dipartimento di scienze demografiche dell'università «La Sapienza» di Roma, sette lavoratori su dieci tra i 60 e i 64 anni di età si ritenevano in grado di lavorare anche dopo i 65 anni, mentre il desiderio di andare in pensione era molto più forte nelle classi giovanili e si attenuava fortemente in quelle più anziane. Allo stesso tempo, la volontà di permanenza nel mercato del lavoro aumentava al crescere del titolo di studio. Ma sono soprattutto le aziende ad apprezzare di più le qualità dei lavoratori più maturi: esperienza, leadership, fedeltà all'azienda, attaccamento al lavoro.
      Il prolungamento dell'età massima lavorativa risponde anche a una esigenza sociale e culturale legata alla necessità di spostare la percezione dei lavoratori anziani da «problema e criticità» a «preziosa risorsa» per tutta la collettività.
      È utile, infine, analizzare le dimensioni dell'occupazione degli over 65 in Italia e in Europa e le proiezioni demografiche. Come si può vedere nella tabella 1, in Italia le forze lavoro (occupati più persone in cerca di lavoro) erano, nel 2006, 375.000, con una crescita di 24.000 lavoratori rispetto al 2004. Balza agli occhi il differenziale di genere: gli uomini che lavorano dopo i 65 anni di età superano di tre volte le donne. Questo fenomeno è stato determinato probabilmente sia dalle norme che prevedono una diversa età pensionabile per le donne (60 anni, con la possibilità di prolungamento a 65) e per gli uomini (65 anni), che dai costumi italiani che assegnano alle donne il compito di cura nei confronti dei parenti anziani.

Tabella 1 - FORZE DI LAVORO CON
65 ANNI E OLTRE DI ETÀ (x1.000)

 
Maschi
Femmine
Totale
2004 273 78 351
2005 281 72 353
2006 295 80 375
    Fonte: Istat

      Se si analizza il tasso di attività (rapporto tra forze di lavoro e corrispondente platea di popolazione) dopo i 65 anni di età in Europa (Tabella 2), rileviamo che in Italia i valori di questo indicatore si attestavano sul 3 per cento, con una crescita dello 0,5 per cento nel 2004. Rispetto alla media dei Paesi dell'Unione europea a venticinque, il tasso di occupazione degli over 65 italiani nel 2006 era inferiore di meno di un punto percentuale e superiore di due punti rispetto alla Francia. Percentuali più alte di forze di lavoro anziane si registravano in Svezia (5 per cento) e nel Regno Unito (7 per cento), con una forte crescita rispetto al 2000.

 

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Tabella 2 - TASSO DI ATTIVITÀ DELLA POPOLAZIONE
CON 65 ANNI E OLTRE DI ETÀ IN EUROPA (%)

 
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
EU-25 3,7 3,7 3,7 3,7 3,7 3,9 4,1
Germania
2,6 2,8 2,8 2,8 2,9 3,4 3,5
Spagna
1,6 1,6 1,5 1,6 1,7 2 2,1
Francia
1,1 1 1,1 1,2 1,1 1,2 1,1
Italia
3,2 3,2 3,3 3,3 3,5 3,1 3,3
Svezia
5 4,9 5 4,8 4,6 4,9 5
UK
5,3 4,8 5,5 5,9 6,1 6,4 7
    Fonte: Eurostat

      È utile rilevare che anche nell'Europa a venticinque vi sono, in questa fascia di età, forti differenze di genere, perché il tasso di attività degli over 65 maschi raggiunge il 6,2 per cento, mentre quello delle donne si attesta al 2,5 per cento.
      In conclusione, il problema dell'allungamento dell'attività lavorativa ben oltre i 65 anni di età, si presenta con caratteristiche abbastanza simili nell'Europa continentale, mentre nel nord del continente si registrano le performance migliori.
      Il grafico successivo mostra la crescita prevista della popolazione italiana con 65 anni di età dal 2006 e, con intervalli di dieci anni, fino al 2051. L'aumento della popolazione di questa fascia di età nei quarantacinque anni considerati sarà di oltre 6 milioni di persone. Se si esaminano solo le persone da 65 a 75 anni di età, che sicuramente potranno svolgere un'attività lavorativa, anche ridotta, registriamo una presenza sostanzialmente costante, con un picco nel penultimo decennio, di circa 7 milioni di persone, con una crescita dal 2006 al 2051 di quasi 700.000 persone. Si può concludere, sulla base di questi dati, che la presente proposta di legge interesserà almeno 7 milioni di lavoratori che potranno optare o per la pensione o per la continuazione dell'attività lavorativa.

PREVISIONE DELLA POPOLAZIONE RESIDENTE CON 65 ANNI
E OLTRE DI ETÀ E CON 65-75 ANNI DI ETÀ

 

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      Tutto ciò premesso, la presente proposta di legge è volta ad ampliare per tutti i lavoratori il diritto di optare per la prosecuzione del lavoro oltre il vecchio limite del collocamento a riposo.
      La normativa vigente, prevista dall'articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, come da ultimo modificato dall'articolo 72, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, riconosce infatti ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici la facoltà di «permanere in servizio (...) per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti per il collocamento a riposo». È data tuttavia «facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali, di accogliere la richiesta in relazione alla particolare esperienza acquisita dal richiedente in determinati o specifici ambiti ed in funzione dell'efficiente andamento dei servizi».
      Per alcune categorie di dipendenti pubblici, come i magistrati e i docenti universitari, è peraltro prevista la possibilità di proseguire nell'attività lavorativa più a lungo. Per quanto riguarda i professori universitari (ordinari e associati), l'articolo 1, comma 17, della legge 4 novembre 2005, n. 230, abolendo il collocamento fuori ruolo per limiti di età, ha stabilito che «il limite massimo di età per il collocamento a riposo è determinato al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età». Per quanto riguarda i magistrati, il termine per il collocamento a riposo, inizialmente fissato al compimento del settantesimo anno di età dall'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, è stato successivamente innalzato a 75 anni di età dal citato articolo 16, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 503 del 1992, introdotto dall'articolo 34, comma 12, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
      La prosecuzione dell'attività lavorativa oltre il compimento del sessantacinquesimo anno è disciplinata in termini in parte diversi nel settore privato. In tale ambito, infatti, al raggiungimento dell'età per il collocamento al riposo (65 anni di età per gli uomini), il rapporto di lavoro non cessa automaticamente, in quanto il lavoratore può, con il consenso del datore di lavoro e fino a quando esso permane, proseguire nella propria attività. Il datore di lavoro, infatti, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108, può avvalersi della possibilità di recedere ad nutum (ossia senza giusta causa o giustificato motivo e, quindi, senza le tutele previste dall'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, cosiddetto «Statuto dei lavoratori») dal rapporto di lavoro. Diversamente dal settore pubblico, tuttavia, il rapporto di lavoro può proseguire anche oltre un biennio. In altri termini, se nel settore pubblico (escludendo magistrati e professori universitari) non è in nessun caso consentito di prolungare l'attività lavorativa oltre il compimento del sessantasettesimo anno di età, nel settore privato è possibile prolungare l'attività lavorativa senza limiti di età con il consenso del datore di lavoro.
      La presente proposta di legge, composta di due articoli, interviene attraverso modifiche al citato articolo 4 della legge n. 108 del 1990, introducendo tre nuovi commi.
      Il comma 2-bis prevede, in via sperimentale per un triennio, che il lavoratore debba comunicare al datore di lavoro la propria decisione di prolungare l'attività lavorativa con congruo anticipo (sei mesi).
      Il comma 2-ter prevede la riduzione di due terzi dell'obbligo contributivo relativo all'assicurazione pensionistica generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché alle forme sostitutive della medesima. La contribuzione ridotta è destinata a produrre la provvista necessaria per una pensione supplementare, che si aggiungerà alla pensione principale maturata fino alla data originariamente prevista per il collocamento a riposo.
      Il comma 2-quater prevede che, quando si tratti di rapporto di lavoro di diritto privato, decorso il termine originariamente previsto per il collocamento in quiescenza, il datore di lavoro abbia la facoltà di risolvere il rapporto di lavoro per soppressione del posto o per sostituzione con

 

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altro lavoratore o per altro motivo di natura economica od organizzativa, corrispondendogli - in aggiunta al trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile - un'indennità di risoluzione del rapporto di lavoro pari al 25 per cento di una mensilità dell'ultima retribuzione lorda per ogni anno di anzianità di servizio del lavoratore o frazione di anno superiore a sei mesi, fino a un massimo di due mensilità. Decorso un biennio dal termine originariamente previsto per il collocamento in quiescenza, l'indennità prevista nel caso di risoluzione del rapporto di lavoro non è più dovuta e si torna pertanto a un regime di risoluzione del rapporto senza altro onere se non quello del preavviso, rimanendo a sostegno della continuazione del rapporto soltanto l'incentivo economico costituito dalla riduzione dell'onere contributivo, di cui al comma 2-ter.
      L'articolo 2, stante il carattere sperimentale della nuova disciplina, dispone che il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali presenti una relazione al Parlamento al termine di ciascun anno sugli effetti economici e sociali prodotti dalla disciplina stessa.
      Il nuovo regime così delineato appare bilanciare in modo adeguato gli interessi di tutte le parti coinvolte, configurando anche un risparmio per il bilancio pubblico.
      Il lavoratore che intende posticipare il pensionamento può, proseguendo nell'attività lavorativa, godere di un trattamento economico superiore a quello che percepirebbe se andasse subito in pensione.
      Il datore di lavoro può continuare ad avvalersi dell'opera di lavoratori con un elevato livello di esperienza a costi più contenuti, in virtù della riduzione del carico contributivo.
      Per quanto concerne l'erario, infine, il rinvio del trattamento pensionistico si risolve in un risparmio netto sul piano economico.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Introduzione, in via sperimentale, della facoltà di permanere in servizio oltre i limiti di età per il pensionamento di vecchiaia).

      1. Dopo il comma 2 dell'articolo 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108, sono aggiunti i seguenti:

      «2-bis. I lavoratori dipendenti del settore privato che maturano i requisiti per il trattamento di vecchiaia tra il 1o gennaio 2010 e il 31 dicembre 2012 hanno facoltà di optare per la prosecuzione del rapporto oltre i limiti di età di cui al comma 2, dandone preavviso al datore di lavoro entro sei mesi dalla data prevista per il pensionamento di vecchiaia.
      2-ter. Quando è stata esercitata l'opzione per la prosecuzione del rapporto di cui al comma 2-bis, gli obblighi contributivi relativi all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti, nonché alle forme sostitutive della medesima, sono ridotti di due terzi. Il trattamento pensionistico a cui il lavoratore ha diritto al momento del pensionamento è pari a quello che sarebbe stato attivato se non fosse stata esercitata l'opzione per la prosecuzione del rapporto, con la sola aggiunta di quanto spettante a titolo di perequazione automatica, maturato nel frattempo. È altresì erogata una pensione supplementare corrispondente alla sommatoria dei contributi ridotti versati nel periodo di prosecuzione del rapporto.
      2-quater. Decorso il termine previsto per il pensionamento di vecchiaia del dipendente per raggiunti limiti di età, quando questi ha esercitato l'opzione di cui al comma 2-bis il datore di lavoro ha la facoltà di risolvere il rapporto di lavoro, previo preavviso, corrispondendogli, in aggiunta al trattamento di fine

 

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rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile, un'ulteriore indennità pari a un quarto di mensilità dell'ultima retribuzione lorda per ogni anno di anzianità di servizio, fino a un massimo di due mensilità. L'indennità aggiuntiva non è dovuta in caso di risoluzione del rapporto di lavoro dopo il compimento del secondo anno successivo alla scadenza del termine originariamente previsto per il pensionamento del dipendente».

Art. 2.
(Relazione).

      1. Con riferimento a ciascuno dei tre anni di applicazione, in via sperimentale, della disciplina prevista dai commi 2-bis, 2-ter e 2-quater dell'articolo 4 della legge 11 maggio 1990, n. 108, introdotti dall'articolo 1 della presente legge, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali trasmette al Parlamento, entro il primo trimestre dell'anno successivo, una relazione sugli effetti economici e sociali dell'applicazione della disciplina stessa.


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