Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 2684

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2684



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

MANTINI, TASSONE

Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di acquisto della cittadinanza

Presentata il 10 settembre 2009


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Gli ultimi anni sono stati quanto mai significativi per quanto riguarda il fenomeno della mobilità migratoria.
      A partire dal secondo dopoguerra ad oggi è possibile individuare e distinguere almeno tre grandi fasi del fenomeno migratorio mondiale, ciascuna delle quali legata indissolubilmente a differenti congiunture economiche e a diverse circostanze politiche e sociali. La prima fase è quella che, partendo dall'immediato dopoguerra, termina intorno alla fine degli anni sessanta: essa appare caratterizzata da ciò che è stato definito «liberismo migratorio», ovvero dallo spostamento di consistenti gruppi di migranti da una nazione all'altra (spesso a causa della difficile ricostruzione post-bellica, incoraggiati alla partenza dai loro stessi Paesi d'origine), senza alcuna regolamentazione dei flussi sul piano normativo. In questo periodo i principali «esportatori» sono stati i Paesi europei del Mediterraneo e in particolare proprio l'Italia.
      La seconda fase è compresa tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni settanta.
      Nell'ultima fase, che dagli inizi degli anni ottanta arriva fino ai nostri giorni, il fenomeno migratorio è venuto facendosi molto più complesso e articolato rispetto alle epoche passate, sia perché è andato rapidamente interessando un maggior numero di Paesi di provenienza e di approdo, sia perché ha continuamente coinvolto organismi e fattori della vita comune sempre più numerosi.
 

Pag. 2


      L'ondata migratoria è pertanto ormai divenuta un fenomeno mondiale che sembra destinato a ridisegnare in modo più variegato, grazie a un nuovo scenario di etnie e di culture, la struttura sociale e occupazionale.
      In ogni modo sono andate delineandosi alcune tendenze di rilevante significato sociale:

          1) l'immigrazione è un fenomeno di mobilità ma con tendenza al radicamento nel Paese, salvo gli spostamenti da una provincia all'altra;

          2) la percentuale dei residenti di lunga durata è più alta di quanto si potesse immaginare;

          3) il radicamento in atto è destinato a far aumentare i ricongiungimenti familiari, i matrimoni e quindi anche il numero dei minori;

          4) in un contesto simile è fondamentale un'adeguata politica di integrazione.

      Le grandi trasformazioni sociali del nostro tempo e la crescente realtà cosmopolita delle nostre società inducono a considerare la necessità di politiche di integrazione che favoriscano, in modo equilibrato, l'acquisizione dei diritti di cittadinanza, nel rispetto della coesione sociale.
      Da questo punto di vista, quindi, bisogna adoperarsi per promuovere una molteplicità di iniziative che consentano di recuperare i ritardi e di rispondere adeguatamente alla voglia di convivenza degli immigrati, assicurando anche la disponibilità a ritornare sulle disposizioni vigenti in materia di cittadinanza. Nel diritto, la cittadinanza è una posizione soggettiva, importante in quanto presupposto di diritti e di doveri civili e politici.
      Nel nostro Paese sono sempre più numerosi gli stranieri che diventano italiani «per acquisizione di cittadinanza».
      Il fenomeno, tuttavia, è ancora relativamente limitato. In base ai dati del Ministero dell'interno e della rilevazione sulla popolazione straniera residente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) si stima che fino al 2007 un totale di 261.000 cittadini stranieri ha ottenuto la cittadinanza italiana (in base ai dati disponibili del Ministero dell'interno si possono stimare le concessioni di cittadinanza complessivamente accordate fino all'anno 1995 pari a circa 33.600). La maggior parte delle acquisizioni di cittadinanza italiana avviene ancora oggi per matrimonio. A titolo di esempio si consideri che in Francia nei soli anni 2005 e 2006 sono state concesse complessivamente 303.000 cittadinanze.
      La nostra legge sulla nazionalità è del 1992 (legge 5 febbraio 1992, n. 91), ma è arretrata rispetto alle nuove realtà nate con l'immigrazione. Essa è da un lato, troppo restrittiva, in quanto dieci anni di attesa prima di vedersi riconosciuti tutti i diritti di cittadinanza sono decisamente troppi. Dall'altro lato, è troppo legata e condizionata dal vecchio jus sanguinis e dalla tutela della discendenza. Il criterio dello jus sanguinis attribuisce, infatti, la cittadinanza sulla sola base della situazione giuridica di filiazione.
      Essendo le esigenze di maggiore integrazione e di una più diffusa e responsabile cittadinanza assai avvertite e in larga misura condivise, a noi sembra più opportuna una linea di riforma legislativa che, senza modificare la Costituzione al fine di estendere i soli diritti politici, agisca invece, con legge ordinaria, riducendo il termine per l'acquisto del diritto di cittadinanza, esattamente dai dieci anni oggi previsti a sei anni.
      In tale modo si estendono, entro un arco di tempo ragionevole e con i rigorosi requisiti soggettivi vigenti, tutti i diritti di cittadinanza, e non solo quelli politici, senza modificare la Costituzione.
      I tempi sono d'altronde maturi per una riduzione del termine per l'acquisto della cittadinanza, sulla base delle prevalenti esperienze europee.
      In Italia, fino al 1992, la cittadinanza, e quindi il diritto di voto, potevano essere ottenuti dopo cinque anni di residenza continuativa nel territorio dello Stato, periodo

 

Pag. 3

che, con la citata legge 5 febbraio 1992, n. 91, è stato innalzato a dieci anni, al contrario di ciò che hanno fatto gli altri Paesi europei.
      Alcuni Paesi europei hanno già ammesso gli immigrati alle elezioni amministrative, sostituendo come criterio per il riconoscimento dei diritti politici la residenza alla cittadinanza.
      Svezia, Danimarca, Olanda, Irlanda, Norvegia e Spagna rappresentano infatti l'esempio concreto di Paesi europei che hanno scelto la strada maestra dell'integrazione e della partecipazione, attraverso il voto, almeno alle elezioni amministrative. Più precisamente, in Svezia dal 1975, dopo tre anni di continuata permanenza, gli stranieri possono votare per le elezioni comunali, regionali e per i referendum; in Danimarca, già dal 1981, per le elezioni comunali e provinciali; in Olanda, dal 1985, e in Irlanda, dal 1963, per le elezioni comunali.
      In Portogallo possono votare i peruviani, i brasiliani, gli argentini, gli uruguaiani, i norvegesi e gli israeliani. Dal 1993, la Norvegia riconosce il diritto al voto per le elezioni amministrative a tutti gli stranieri, così come i cantoni di Jura e di Neuchatel in Svizzera, mentre l'Islanda lo riconosce solo ai cittadini dei Paesi dell'area nordica.
      In Gran Bretagna, infine, votano a tutte le elezioni, incluse le politiche, oltre ai cittadini di tutti i Paesi del Commonwealth, anche gli irlandesi e i pakistani. La partecipazione elettorale si configura quindi come l'ammissione ufficiale degli immigrati nella vita pubblica del luogo in cui lavorano e risiedono.
      Vi è dunque in tutta Europa un vasto favor verso la partecipazione, a determinate condizioni, degli stranieri alla vita pubblica, anche sulla base della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992, e resa esecutiva, limitatamente ai capitoli A e B, dalla legge 8 marzo 1994, n. 203.
      Il riconoscimento della cittadinanza allo straniero che risiede «legalmente» in Italia da almeno sei anni, anziché dieci, secondo la presente proposta di legge, consente di fare sì che la condotta e lo status del richiedente debbano essere conformi a tutte le disposizioni di legge vigenti, rimuovendo ogni possibile ragione di allarme sociale.
      La presente proposta di legge prevede inoltre, in modo innovativo, che il riconoscimento della cittadinanza debba essere preceduto dalla dimostrazione della buona conoscenza della lingua italiana e dal giuramento di essere fedele alla Repubblica, di osservare la Costituzione e le leggi e di rispettare i diritti delle donne. Una condizione, questa, tesa a promuovere un'integrazione sociale responsabile.
      Di qui l'esigenza di regole nuove, che rendano più agevole l'accesso allo status di cittadino italiano. Occorre aprirsi a forme di cittadinanza più moderne, basate sulla condivisione dei valori culturali e costituzionali di un Paese e non sull'etnia, stabilendo il diritto alla cittadinanza in base al luogo dove si nasce, ovvero allo jus soli e non più solo allo jus sanguinis. In base a tale criterio la cittadinanza è attribuita a colui che nasce nel territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori.
      Attualmente la citata legge n. 91 del 1992, all'articolo 1, stabilisce che è cittadino italiano per nascita: a) chi è nato da un genitore cittadino italiano; b) chi è nato nel territorio della Repubblica italiana se entrambi i genitori sono apolidi o ignoti, oppure se la legge sulla cittadinanza dei genitori non prevede che il figlio nato in territorio straniero possa acquisire la loro cittadinanza.
      È necessario però considerare che i cittadini stranieri residenti in Italia al 1o gennaio 2008 erano 3.432.651 (fonte dati ISTAT); di questi circa 457.000 residenti di cittadinanza straniera sono nati in Italia (64.049 nel solo anno 2007, +10,9 per cento rispetto all'anno precedente), dato che corrisponde all'11,4 per cento del totale dei nati in Italia.
      Essi costituiscono la componente più rilevante dell'aumento complessivo dei minori di cittadinanza straniera. Al 1o gennaio
 

Pag. 4

2008 questi ultimi ammontavano a 767.060 unità e rappresentavano il 22,3 per cento del totale della popolazione straniera residente alla stessa data.
      Sono una «seconda generazione», poiché non sono immigrati; la cittadinanza straniera, infatti, è dovuta unicamente al fatto di essere figli di genitori stranieri.
      Oltretutto l'Italia non si è creata sulla base del sangue, ma grazie a un mosaico di identità che hanno scelto di unirsi. La cittadinanza deve rispettare questa matrice: infatti non sono un'eccezione i figli di immigrati che parlano esprimendosi nei dialetti locali o che vanno allo stadio per tifare per le squadre di calcio locali. E ora di abbandonare la cultura dell'emergenza nei confronti dell'immigrazione.
      Pertanto la disposizione è volta a favorire l'integrazione, attraverso l'acquisto della cittadinanza italiana, degli immigrati della «seconda generazione», i cui genitori (o anche uno solo di essi) sono residenti in Italia da almeno cinque anni e, risiedendovi al momento della nascita del figlio, dimostrano implicitamente di aver fissato nel nostro Paese la loro stabile dimora e di essere quindi inseriti nel tessuto sociale pur senza essere divenuti, per naturalizzazione, cittadini. Accade spesso, infatti, che lo straniero immigrato rinunci alla possibilità dell'acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione poiché lo Stato di origine ricollega all'acquisto volontario di un altro status civitatis la perdita della cittadinanza originaria.
      La presente proposta di legge di modifica della legge n. 91 del 1992 è quindi volta a rendere più flessibile il sistema per l'acquisto della cittadinanza italiana, nella consapevolezza dei mutamenti intervenuti nell'ultimo decennio, sia nella legislazione vigente in materia di immigrazione, sia in riferimento alle condizioni sociali che rendono necessario il perseguimento di efficaci politiche di integrazione degli stranieri. In tale nuovo contesto la riforma della disciplina della cittadinanza acquista un rilievo primario.
      L'articolo 1 della presente proposta di legge modifica il comma 1 della citata legge n. 91 del 1992, prevedendo l'acquisto per nascita della cittadinanza italiana da parte dei bambini nati in Italia da genitori stranieri. Si tratta di un importante meccanismo di integrazione sociale responsabile, tramite il quale si intende avvicinare l'Italia allo jus soli stabilendo che la nascita sul territorio italiano dà diritto all'acquisto della cittadinanza in presenza di una condizione sostanziale e di una condizione procedimentale:

          a) nascita sul territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è residente legalmente in Italia da almeno cinque anni;

          b) dichiarazione di volontà del genitore nell'atto di nascita.

      Si esclude tramite la prima condizione che la cittadinanza possa essere acquisita per la mera nascita sul territorio nazionale, evitando così la possibilità che possa trattarsi di un evento casuale in un'epoca di spostamenti continui di popolazioni, e si attesta tramite la seconda condizione che la cittadinanza non sia acquisita anche nei casi in cui i genitori non desiderano che il figlio diventi cittadino italiano.
      L'articolo 2 della presente proposta di legge sostituisce la lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della stessa legge n. 91 del 1992, riducendo di quattro anni il periodo per l'acquisizione della cittadinanza italiana.
      Inoltre, lo stesso articolo 2 significativamente lega la concessione della cittadinanza non solo alla sufficiente conoscenza della lingua italiana e della Costituzione che sono fattori essenziali per l'integrazione, ma anche al rispetto delle leggi nonché dei diritti di libertà e di autodeterminazione delle donne, che sono elementi culturali fondamentali per una cittadinanza concretamente coerente con i princìpi fondamentali della Costituzione e con i diritti umani.
      Si tratta dunque di una proposta di legge equilibrata e civile che può meritare il vasto consenso del Parlamento.

 

Pag. 5


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al comma 1 dell'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è aggiunta, in fine, la seguente lettera:

          «b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri di cui almeno uno è residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni».

      2. All'articolo 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato dal comma 1 del presente articolo, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

          «2-bis. Nei casi di cui alla lettera b-bis) del comma 1 la cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tale senso espressa da un genitore e risultante nell'atto di nascita. Entro un anno dal raggiungimento della maggiore età il soggetto può rinunciare, se in possesso di un'altra cittadinanza, alla cittadinanza italiana».

Art. 2.

      1. La lettera f) del comma 1 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituita dalla seguente:

          «f) allo straniero che risiede legalmente da almeno sei anni nel territorio della Repubblica».

      2. L'articolo 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è sostituito dal seguente:

          «Art. 10. - 1. Il decreto di concessione della cittadinanza deve essere preceduto dalla dimostrazione, da parte della persona a cui si riferisce, della buona conoscenza della lingua italiana e dal giuramento di essere fedele alla Repubblica

 

Pag. 6

e di osservare la Costituzione e le leggi nonché i diritti di libertà e di autodeterminazione delle donne».

Art. 3.

      1. La presente legge entra in vigore sei mesi dopo la data della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su