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PDL 2426

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2426



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GOLFO, CICCHITTO, SALTAMARTINI, MILANESE, APREA, LA LOGGIA, LORENZIN, BONIVER, CAZZOLA, DELLA VEDOVA, ANTONINO FOTI, GAVA, MISTRELLO DESTRO, SANTELLI, VERSACE, VIGNALI

Modifica all'articolo 147-ter del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, in materia di parità di accesso agli organi di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati

Presentata il 7 maggio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - Negli ultimi anni è aumentata la partecipazione delle donne alla vita economica del Paese. La presenza femminile nei settori produttivi ha costituito e costituisce una straordinaria fonte di vitalità e di innovazione per il «sistema Italia», che ha dimostrato di essere capace di rinnovarsi e di competere sui mercati internazionali in via del tutto spontanea, nonostante l'inadeguatezza o l'assoluta mancanza di strumenti normativi idonei ad assecondarne il rinnovamento. I dati diffusi dalla Cerved, la società che gestisce le banche dati per le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, testimoniano un tessuto imprenditoriale femminile moto vivace e prolifico, che ha retto l'urto della crisi meglio di quello maschile e che ha indotto gli analisti economici a parlare di un vero e proprio «fattore D». Con questa locuzione si è inteso indicare il valore aggiunto apportato dalle donne nella gestione d'impresa. Infatti, tra il 2001 e il 2007, le società femminili comprese nella fascia di fatturato più alta, oltre i 200 milioni di euro annui, hanno incrementato i ricavi a un ritmo medio dell'8,8 per cento annuo, percentuale superiore rispetto a quella delle società maschili, che hanno avuto un
 

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incremento annuo dell'8,6 per cento. Nella fascia di fatturato compresa tra i 50 e i 200 milioni di euro la differenza è ancora più netta: qui i valori, di riferimento sono il 7,7 per cento delle imprese femminili contro il 6,5 per cento di quelle maschili. Infine, nella fascia delle imprese con ricavi compresi tra i 10 e i 50 milioni di euro, i ricavi delle società femminili sono cresciuti a un tasso del 3,6 per cento in ragione d'anno, mentre quelli delle società maschili sono cresciuti a un tasso del 2,7 per cento. Il «fattore D» esplica i suoi effetti anche sul piano dei profitti d'impresa. Le imprese con un capo donna realizzano 6,9 euro di margini operativi lordi ogni 100 euro di fatturato, contro i 6,5 euro di quelle con un capo uomo.
      Questi sono dunque i risultati economici di aziende aperte alla guida femminile. Il problema, in Italia, è che sono pochissime le realtà societarie permeate dalla presenza di donne. Ciò è soprattutto evidente nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa. Secondo le statistiche della Commissione europea, il nostro Paese è ventinovesimo (su 33 Paesi censiti) per numero di donne presenti nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa (con il 4 per cento degli amministratori, contro una media dell'Unione europea a 27 membri dell'11 per cento) seguito solo da Malta, Cipro, Lussemburgo e Portogallo. In questo campo la Norvegia batte tutti, avendo approvato nel 2003 una legge sulle «quote rosa» che impone alle aziende una presenza minima del 40 per cento di donne nei board esecutivi, a pena di scioglimento. Il risultato di questo giro di vite è che la percentuale dei dirigenti donna, in Norvegia, è aumentata dal 6 per cento del 2001 al 33 per cento di oggi.
      Se poi si considerano i consigli di amministrazione delle prime trecento società europee, di cui 23 sono società italiane, la situazione vede il nostro Paese in una posizione ancora peggiore. La European Professional Women Network, che ogni due anni fotografa i consigli di amministrazione delle trecento società maggiori in Europa, annovera l'Italia, insieme al Portogallo, tra i Paesi ritardatari nella promozione di pari opportunità ai vertici aziendali. All'interno delle 23 società italiane censite sono 375 i «seggi» di consiglio di amministrazione disponibili. Di essi, solo 8 sono appannaggio di donne. Ciò spiega il penultimo posto, su 17, occupato dal nostro paese nella classifica relativa alla presenza femminile nei consigli di amministrazione delle grandi imprese europee. Soltanto il Portogallo fa peggio di noi. Una situazione, quella descritta, deleteria anche sotto il profilo dell'internazionalizzazione delle nostre imprese. Infatti, è osservabile che i board direttivi delle società leader del mercato europeo stanno tendenzialmente internazionalizzandosi. Nel 2008 il 23,5 per cento delle cariche di vertice era ricoperto da professionisti di nazionalità diversa da quella della società. Il dato relativo alle donne «straniere» nei consigli di amministrazione è, inoltre, sopra la media, attestandosi al 24,8 per cento del totale degli stranieri. Il persistere in Italia di questa situazione di grave squilibrio tra generi non consentirà, dunque, al nostro Paese di attrarre le migliori intelligenze manageriali femminili presenti sul mercato europeo e internazionale.
      Con la presente proposta di legge non si intende importare in Italia il modello norvegese, per quanto esso abbia avuto successo; la realtà economica italiana è, infatti, molto più complessa e composita e un'azione vincolistica di stampo scandinavo sarebbe del tutto inappropriata finendo, anzi, con l'essere controproducente anche da un punto di vista produttivo. La presente proposta di legge si pone l'obiettivo di riequilibrare l'accesso alle cariche direttive delle sole società quotate in borsa che, come si evince dai dati riportati, sono quasi «off-limits» per le donne. E ciò nonostante il fatto che esse operino su un mercato regolamentato e impieghino modelli di gestione manageriale basati sulla professionalità degli amministratori piuttosto che sull'affectio societatis dei singoli partecipanti all'impresa, come accade invece per le società di persone e per molte società a responsabilità limitata, di solito
 

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piccole e a conduzione familiare. Questi ultimi sono aspetti che avrebbero dovuto rendere le società quotate più aperte a una selezione del personale dirigente fondata su criteri schiettamente meritocratici, con l'impiego dei quali la presenza delle donne nei board direttivi avrebbe sicuramente e spontaneamente raggiunto livelli di equilibrio rispetto a quella maschile. Nella realtà dei fatti ciò però non è accaduto e non accadrà senza un correttivo adeguato, a causa della diffusione di ostacoli culturali al pieno riconoscimento delle pari opportunità nei gradini superiori della scala gerarchica dell'impresa. La presente proposta di legge, perciò, intende fornire un correttivo alla situazione di cronico squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle postazioni apicali delle imprese quotate.
      A tale fine la presente proposta di legge modifica l'articolo 147-ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. Questo articolo dispone - relativamente alle società quotate - che «Lo statuto prevede che i componenti del consiglio di amministrazione siano eletti sulla base di liste di candidati (...)». La norma, nel riconoscere la scissione tra proprietà e amministrazione, prescrive il criterio elettivo per la formazione del consiglio di amministrazione. Ebbene, è proprio nell'ambito di tale procedimento elettorale che, ferma restando l'autonomia statutaria, può essere perseguito e conseguito l'obiettivo del bilanciamento della rappresentanza tra generi in seno ai consigli di amministrazione.
      La presente proposta di legge consta di due soli articoli. Si tratta dunque, di una proposta di legge semplice ma efficace, equilibrata sul piano giuridico e ragionevole su quello politico. La sua approvazione liberalizzerebbe il mercato dei dirigenti di azienda e condurrebbe finalmente l'Italia nel gruppo dei Paesi leader in Europa nelle pari opportunità, completando altresì il processo di attuazione dei capisaldi costituzionali in materia di eguaglianza sostanziale e di non discriminazione.
      L'articolo 1 introduce i commi 1-bis e 1-ter del citato articolo 147-ter del testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
      Il comma 1-bis è il cuore della riforma e contiene due disposizioni di chiaro contenuto precettivo:

          a) si impone che lo statuto, nell'ambito del sistema elettorale prescelto per la formazione del consiglio di amministrazione della società quotata in mercati regolamentati, debba farsi carico di prevedere un criterio di riparto che assicuri l'equilibrio tra i generi;

          b) si definisce la portata della nozione di equilibrio, che si intende raggiunto quando il genere meno rappresentato all'interno dell'organo amministrativo ottiene almeno un terzo degli amministratori eletti.

      Due sono gli elementi di maggiore interesse delle disposizioni del comma 1-bis. Innanzitutto l'utilizzo della nozione di genere evita il paradosso della discriminazione al contrario. Infatti, il rischio di combattere la discriminazione femminile attraverso il meccanismo delle quote riservate delle donne, è quello di introdurre meccanismi discriminatori indiretti nei confronti degli uomini, il che violerebbe i princìpi sanciti dall'articolo 3 e dall'articolo 51 della Costituzione. Inoltre, la formula neutra utilizzata costituisce una potenziale garanzia anche per gli uomini in quei contesti societari eventualmente troppo sbilanciati sul lato della componente femminile. La presenza di entrambi i generi all'interno delle società è un valore da difendere e da concretizzare, perché consente il raggiungimento dell'equilibrio sfruttando la complementarietà delle sensibilità maschili e femminili.
      In secondo luogo, la norma si preoccupa di assicurare l'equilibrio dei generi non già e non solo all'atto della composizione delle liste sulla base delle quali si esprimerà il voto, ma prescrive espressamente che l'equilibrio debba sussistere nel novero degli

 

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eletti, non soltanto in quello dei candidati. La quota minima di un terzo degli eletti per il genere meno rappresentato è, inoltre, poco invasiva rispetto alla «governance» aziendale e consente un margine di fluttuazione adeguato nella definizione degli obiettivi da conseguire da parte di ciascuno statuto societario. Infine, si precisa che per «genere meno rappresentato» si intende il genere che nell'ambito della tornata elettorale ha ottenuto il minore numero di seggi all'interno del consiglio di amministrazione, senza alcun riferimento a variabili sociali esogene, per le quali potrebbe intendersi che il genere meno rappresentato sia per antonomasia quello femminile. Il riparto dei seggi, quindi, è assistito da una garanzia concreta e contingente che può risolversi a vantaggio dell'uno o dell'altro genere, che si trovi, anche occasionalmente, in una situazione di disequilibrio rispetto all'altro.
      Il comma 1-ter, prevede che la Commissione nazionale per la società e la borsa (CONSOB), con proprio regolamento, determini le sanzioni per le società quotate in mercati regolamentati che non si adeguino agli obblighi previsti dalla normativa. L'affidamento alla CONSOB della definizione dell'apparato sanzionatorio risponde a una scelta politica e tecnica precisa. Essa è l'autorità amministrativa indipendente chiamata, in forza di legge, a vigilare sul mercato delle società quotate. Da un punto di vista tecnico è il soggetto meglio attrezzato a scegliere la natura delle sanzioni da irrogare, nonché a valutarne l'impatto e l'efficacia sull'assetto delle società destinatarie degli obblighi e del mercato in generale. Da un punto di vista politico la norma introdotta limita l'intervento diretto dello Stato su assetti di natura prevalentemente economica e tende a incentivare un processo di autoregolamentazione virtuoso ed efficace, rispettoso dell'autonomia della CONSOB, dei mercati e delle società, pur nell'ambito degli obiettivi generali fissati dalla legge.
      L'articolo 2 dispone il terminus a quo per la vigenza della normativa introdotta, fissandolo al primo rinnovo del consiglio di amministrazione successivo alla data di entrata in vigore della legge.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo il comma 1 dell'articolo 147-ter del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, sono inseriti i seguenti:

      «1-bis. Lo statuto prevede, altresì, che il riparto degli amministratori da eleggere è effettuato in base a un criterio che assicura l'equilibrio tra i generi. L'equilibrio si intende raggiunto quando il genere meno rappresentato all'interno dell'organo amministrativo ottiene almeno un terzo degli amministratori eletti.
      1-ter. La CONSOB, con proprio regolamento, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, stabilisce le sanzioni per le società quotate che non ottemperano all'obbligo di cui al comma 1-bis».

Art. 2.

      1. Le disposizioni del comma 1-bis dell'articolo 147-ter del citato testo unico di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, introdotto dall'articolo 1 della presente legge, si applicano a decorrere dal primo rinnovo dei consigli di amministrazione delle società quotate in mercati regolamentati successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.


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