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PDL 1887

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1887



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DI PIETRO, DONADI, BORGHESI, EVANGELISTI, MESSINA, CAMBURSANO, BARBATO

Disposizioni per tutelare i cittadini e le piccole e medie imprese nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali

Presentata il 10 novembre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - I Governi occidentali, incluso quello italiano, di fronte alla grave crisi dei mercati finanziari sono intervenuti avendo a cuore soprattutto la stabilità del sistema del credito e di quello finanziario (interventi necessari anche se effettuati con modalità discutibili), mettendo a disposizione a tale fine ingenti risorse, senza però ottenere dalle banche garanzie su un futuro comportamento più corretto, senza prevedere le dovute tutele per i risparmiatori e senza predisporre adeguate misure per il credito in favore delle piccole e medie imprese (PMI) che, in particolare nel nostro Paese, rappresentano tanta parte dell'apparato produttivo nazionale.
      La presente proposta di legge nasce proprio da queste esigenze ed è, per l'appunto, articolata in tre capi:

          a) capo I: norme concernenti gli istituti di credito, le banche e il falso in bilancio;

          b) capo II: disposizioni a tutela dei cittadini utenti del sistema creditizio;

          c) capo III: norme in favore delle PMI.

      Il 12 ottobre 2008 si è svolto a Parigi un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dei Paesi dell'area euro, che hanno adottato una dichiarazione contenente un piano di azione per fronteggiare le attuali turbolenze finanziarie.
      La dichiarazione prospetta un approccio comune coordinato e specifiche misure per il conseguimento di sei obiettivi:

              1) garantire sufficienti liquidità alle istituzioni finanziarie;

              2) facilitare il finanziamento delle banche;

              3) apportare agli istituti finanziari le risorse di capitale affinché continuino a finanziare correttamente l'economia;

 

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              4) apportare una ricapitalizzazione sufficiente alle banche in difficoltà;

              5) assicurare un'adeguata flessibilità nell'applicazione delle regole contabili;

              6) rafforzare le procedure di cooperazione tra i Paesi europei.

      I Paesi europei sembrano aver finalmente compreso che il problema di solvibilità alla base della crisi attuale va ben oltre i confini nazionali dei singoli Stati e richiede un'azione coordinata. Insieme con l'annuncio che la Banca centrale europea (BCE) creerà una speciale linea di credito per l'acquisto di carta commerciale dalle banche, senza richiedere garanzie, il piano è riuscito a infondere un minimo di fiducia nei mercati, come testimonia l'immediato rialzo dei corsi azionari.
      È abbastanza probabile che l'economia occidentale andrà incontro a una recessione o stagnazione di durata pari a uno o due anni. Gli effetti della crisi sulle economie reali sono già in corso e si ripercuoteranno negativamente a cascata, dal settore finanziario alle famiglie, dai consumatori alle imprese, dall'America all'Europa, dall'occidente alla Cina.
      Diversamente dal 1929, oggi è assai improbabile che la crisi precipiti in una depressione di massa con milioni di disoccupati. Ciò soprattutto a causa della ben maggiore rilevanza strutturale dei bilanci pubblici e della spesa pubblica in tutti i Paesi. Tuttavia è possibile che la disoccupazione cresca in misura notevole.
      Se la crisi odierna è paragonabile a quella del 1929, bisogna ricordare che da tale crisi il mondo uscì con due modelli di presenza pubblica:

          a) il primo si tradusse in decisionismo autoritario, chiusura delle frontiere, autarchia e fascismi e, alla fine, sfociò nel disastro della guerra;

          b) il secondo si collocò sotto l'egida del keynesismo e della visione solidaristica della socialdemocrazia e si tradusse in regolazione, apertura, welfare e investimenti pubblici nei beni collettivi, sfociando nel «New Deal» di Roosevelt e nei cosiddetti «trenta anni gloriosi» (1945-1975) dell'Europa.

      Ma l'Europa dei 15 Paesi dell'area euro ha scelto di rifornire le banche di soldi, senza porsi l'obiettivo di asportarne i «tumori». Operazione considerata rischiosa. Questa misura può allentare la strozzatura in cui si trova la circolazione interbancaria, ma in concreto non rilancia nulla. L'esperimento fu già effettuato, su larga scala in Giappone durante la crisi durata oltre un decennio, dal 1992 in poi. Le banche, soggette a una vera e propria deflazione da debito, furono inondate di soldi da parte della banca centrale nipponica, il cui tasso di interesse fu addirittura azzerato. Non successe nulla. Le banche si tennero i soldi senza espandere il credito. Ciò che aiutò il Giappone a evitare la depressione e a sopravvivere nella stagnazione furono le esportazioni nette, cioè la domanda reale di merci dal resto del mondo, come anche il deficit pubblico.
      Per l'Europa la prima soluzione giapponese è impossibile. Con il mondo in recessione, con la crescita ormai limitata alla Cina e all'India, l'Europa non può trovare la via d'uscita nelle esportazioni nette, tra l'altro esigue rispetto al prodotto interno lordo (PIL). La strada più sicura è affrontare il problema non dal lato delle banche, bensì cominciando da chi non può che spendere, cioè dal lato della popolazione.
      Il Governo italiano ha totalmente sbagliato manovra per il prossimo triennio 2009-2011:

          a) che senso ha la «Robin tax» in un mondo bancario e assicurativo in pesante difficoltà e con la caduta di prezzi del petrolio?

          b) a cosa serve la parziale detassazione degli straordinari quanto la cassa integrazione aumenta in modo esponenziale?

          c) non era meglio utilizzare per i redditi più bassi, per chi non arriva alla quarta settimana, i 2,5 miliardi di euro spesi per completare la soppressione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) per le famiglie più ricche?

 

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          d) cosa risolve l'elemosina della cosiddetta «social card» per un milione di cittadini poveri quando sono 20 milioni le famiglie in difficoltà?

          e) perché annullare, di fatto, il credito d'imposta per le imprese che investono nel mezzogiorno, in presenza, oltretutto, di una crisi del credito? Perché sono stati tagliati 300 milioni di euro per il programma di sostegno alla ricerca e all'innovazione «Industria 2015»?

      È pertanto necessario un drastico rovesciamento del complesso degli indirizzi fin qui seguiti, un rovesciamento per cui sono vitali l'impegno per una nuova «Bretton Woods» e il protagonismo dell'Europa rilanciata nelle sue finalità e nelle sue strutture unitarie.

Un piano anche per i cittadini.

      Si può stimare che una caduta del 40 per cento dei prezzi dei corsi azionari riduce in modo significativo la ricchezza di circa il 6 per cento delle famiglie italiane in confronto a quasi il 30 per cento delle famiglie negli Stati Uniti d'America (USA). Anche la perdita media di ricchezza per chi è colpito dalla caduta dei prezzi delle azioni è inferiore in Italia: all'incirca il 5 per cento contro il 10 per cento negli USA. Senza dubbio provvedimenti mirati ad affrontare il crollo della borsa saranno perciò percepiti come provvedimenti in favore dei decili più alti nella distribuzione della ricchezza e questo ancora più in Europa che negli USA.
      Dobbiamo chiederci se i cittadini europei sono pronti ad accettare piani di salvataggio delle banche che concedono denaro pubblico ai banchieri e allo stesso tempo rinviano le sanzioni nei confronti di chi, prima della crisi, guadagnava più di 50 milioni di dollari - il compenso dell'amministratore delegato di Lehman Brothers, Richard Fuld, nel 2007 - e verso banche che, sempre prima della crisi, realizzavano profitti che arrivavano in qualche caso, per esempio in quello di Unicredit e di Banca Intesa, a quasi lo 0,5 per cento del PIL, con tassi di rendimento del 20 per cento. I cittadini sono pronti ad accettare tutto questo dopo aver assistito per dieci anni a una enorme crescita delle diseguaglianze di reddito, guidata dall'1 per cento più ricco della popolazione e la cui quota sul reddito totale è più che raddoppiata?

Tre proposte.

      Formuliamo tre proposte ricavate dal contributo Tito Boeri pubblicato nel periodico elettronico www.lavoce.info del 16 ottobre 2008.

      Prima proposta. Esiste un modo alternativo per punire le banche e i banchieri e può essere messo in atto subito: aumentare la concorrenza del sistema bancario. Dopo aver sofferto di un'acuta crisi di liquidità, le banche accentueranno ancora di più la concorrenza per attrarre i risparmi delle famiglie. Rimuovere gli ostacoli alla competizione nel settore «retail» è allora importante per dare modo alla competizione di abbassare i margini di profitto e di migliorare i servizi per i cittadini. E dovrebbe essere ammessa anche una maggiore contendibilità. L'uscita dalla crisi richiederà un ampio processo di ristrutturazione delle banche, ma le protezioni nazionali contro fusioni e acquisizioni potrebbero ostacolare seriamente il processo: dovrebbero quindi essere eliminate al più presto.
      Seconda proposta. I governi europei non hanno fatto niente per aiutare le famiglie a basso reddito con un mutuo sulla casa. Si dovrebbe pensare a programmi di aiuto temporaneo, fino a quando i tassi non torneranno a scendere. Dovrebbero essere programmi ben mirati per minimizzare i costi e i problemi di «moral hazard» legati a un provvedimento che si rivolge a una popolazione ampia, ma dovrebbero essere comunque messi in atto.
      Terza proposta. Esiste lo spazio per riduzioni fiscali per chi percepisce salari bassi. Una misura che servirebbe a prendere «due piccioni con una fava». Servirebbe infatti ad accrescere la progressività

 

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della tassazione nella percezione dei cittadini, riducendo l'opposizione all'ingiustizia del socialismo bancario. Servirebbe, inoltre, ad ancorare le aspettative a una caduta moderata della produzione: l'attuale mancanza di fiducia deriva anche dalla convinzione che la crisi si propagherà ora alle imprese e alle famiglie spingendoci verso la trappola della deflazione. Le deduzioni fiscali sui redditi bassi hanno il vantaggio di agire su entrambi i lati, della domanda e dell'offerta: incrementano la domanda perché sono rivolti alle famiglie con la più alta propensione al consumo e incrementano l'offerta perché inducono le persone a lavorare di più senza aumentare il costo del lavoro per le imprese. E poiché queste misure potrebbero ridurre l'economia sommersa, avrebbero effetti limitati sul bilancio dello Stato.
      Inoltre, vanno tutelati i piccoli risparmiatori spesso ingannati dalle banche sulla sicurezza dei loro investimenti, anche rendendo da subito applicabili le disposizioni per l'utilizzo della «class action». L'istituto dell'azione collettiva risarcitoria, tipico dei sistemi di common law, è stato introdotto nell'ordinamento italiano dalla legge n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), articolo 2, commi da 446 a 449, che hanno introdotto nel codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, l'articolo 140-bis, recante «Azione collettiva risarcitoria».
      Proponiamo di ampliare, rispetto all'originale disegno di legge del precedente Governo Prodi, la platea dei soggetti che possono attivare la «class action». Per quanto riguarda, invece, la prescrizione, si deve specificare che i suoi effetti si estendono anche con riferimento ai diritti di tutti i singoli consumatori o utenti, ossia che la norma ha un valore retroattivo.
      Nell'attuale quadro normativo potrebbe apparire utile estendere la possibilità del ricorso alla «class action» anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni non prevedendo in questo caso eventuali indennizzi in denaro, ma prescrivendo di ripristinare gli standard qualitativi della prestazione.
      Infine, si segnala l'opportunità di riflettere sull'eventuale inserimento di una norma specifica riguardante i concessionari di pubblici servizi.

Le difficoltà delle PMI.

      Il «credit crunch» si riverbera sul sistema delle imprese e in particolare delle PMI. Si bloccano i fidi, non si rinnovano gli affidamenti temporanei, non si anticipa alcun finanziamento sulla base delle fatture, si irrigidiscono i criteri per concedere nuovi prestiti.
      A molte aziende è stato richiesto di rientrare subito del fido, oppure esse hanno dovuto dare garanzie «reali» (immobili, case eccetera) per ottenere credito.
      Per le linee di credito si è già arrivati a 225 punti base (2,25 per cento) oltre l'Euribor, pari a un aumento dell'800 per cento del valore dell'anno scorso.
      Nel contempo le pubbliche amministrazioni devono - secondo calcoli della Confindustria - 70 miliardi di euro al sistema imprenditoriale tra pagamenti effettuati con 300-350 giorni di ritardo e ritardi nei rimborsi dell'imposta sul valore aggiunto (IVA).
      La nostra economia viene colpita dalla recessione mentre le nostre imprese stanno reagendo a un problema di lunga data, strutturale, riorganizzandosi sotto la duplice spinta della concorrenza e delle opportunità che vengono dalla globalizzazione produttiva e commerciale.
      Si è già visto un forte miglioramento della competitività nella qualità dei prodotti, nella crescente proiezione internazionale dell'imprese e nell'aumento della quota mondiale delle nostre esportazioni. Ma il processo è ancora da completare. Questo processo non deve essere interrotto dalla restrizione del credito, ma non deve neanche essere indebolito da aiuti pubblici distribuiti a pioggia, che possono rallentare la spinta verso una maggiore competitività del nostro sistema produttivo.
      A evitare la recessione dovrebbero provvedere soprattutto le politiche macroeconomiche.

 

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      In piena crisi finanziaria in Italia continua a essere depenalizzato il falso in bilancio e sta entrando in vigore una legislazione benevola verso chi fallisce. Insomma, si ricreano gli antichi pericoli che contribuirono alla crisi del 1929 e non solo a quella.
      Purtroppo anche dal versante europeo vengono segnali contraddittori. Da un lato con il nuovo accordo di Basilea sul capitale di vigilanza delle banche, denominato «Basilea 2», sono precisati i criteri della capitalizzazione, vista come la garanzia che non vi siano sorprese negative. Dall'altro con le normative che ridisegnano il rapporto tra banca e impresa, sono allentati vincoli e garanzie che contraddicono la precedente indicazione.
      Va ricordato, poi, che dal 1992 è stata superata la distinzione tra le attività bancarie e quelle di investimento, consentendo il ritorno alla banca generale che può fare tutto.
      La crisi finanziaria in corso impone di rivedere questi e altri processi. Purtroppo, mentre le parole del Ministro dell'economia e delle finanze Tremonti sembrano sottendere la volontà di attuare maggiori controlli sul mercato finanziario, in pratica il Governo si muove nella direzione opposta, contraddicendo le affermazioni fin qui fatte. Anche la Banca d'Italia parla, da poco, di maggiori controlli mentre per troppo tempo ha affermato che, anziché regole più severe, era preferibile avere un controllo dell'opinione pubblica sui comportamenti.
      Occorre ricostruire un rapporto credibile tra l'attività finanziaria e le attività produttive, dei servizi, e del lavoro intellettuale, interrompendo la deriva della creazione di ricchezza fittizia attraverso movimenti finanziari destituiti di ogni fondamento reale.
      Ci sono prodotti finanziari che devono essere vietati o almeno fortemente limitati. Non si possono consentire derivati come i «futures» che ormai fanno «il bello e il cattivo tempo» sui prezzi delle materie prime e del petrolio perché di fatto inducono un'aspettativa di prezzo del tutto speculativa che finisce con il determinarne il prezzo reale.
      Questi e altri prodotti finanziari, come i cosiddetti «fondi spazzatura», non hanno alcuna ragione di esistere.
      Quindi ci sono prodotti finanziari che devono essere esclusi: è la conferma che occorrono nuove regole sui mercati finanziari in Europa e nel mondo.
      Per ampliare le garanzie al credito per le PMI, la Cassa depositi e prestiti Spa deve avere un ruolo maggiore, ad esempio in base alle seguenti direttrici:

          a) garanzia statale da aggiungere alla garanzia del Fondo per i consorzi di garanzia collettiva fidi (Confidi) e Artigiancassa Spa. Il Fondo di garanzia allo scopo di assicurare una parziale assicurazione ai crediti concessi dagli istituti di credito in favore delle PMI («fondo Bersani») e il Fondo centrale di garanzia istituito presso l'Artigiancassa Spa devono essere rifinanziati e assistiti dalla garanzia di ultima istanza dello Stato, necessaria per ottenere la cosiddetta «ponderazione zero» ai fini dell'accordo di Basilea 2, così da poter avvantaggiare l'accesso al credito da parte delle PMI garantite e degli artigiani;

          b) ruolo della Cassa depositi e prestiti Spa. La Cassa dovrebbe istituire un fondo di garanzia insieme a Medio credito centrale Spa (con un capitale, rispettivamente, di due terzi e di un terzo). La struttura specializzata di Mediocredito centrale Spa potrebbe esaminare le richieste delle imprese con particolare riguardo per le imprese più innovative. La Cassa depositi e prestiti Spa dovrebbe venire remunerata per ogni fido che, alla fine, il sistema del credito riuscirebbe ad attivare grazie alle risorse da essa stanziate all'inizio. La remunerazione non avverrebbe direttamente, ma tramite la mediazione di una banca. All'impresa dovrebbe essere riconosciuto uno sgravio oppure un'agevolazione per gli investimenti.

      La presente proposta di legge riprende, con alcune varianti, la previsione del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005, che

 

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all'articolo 11, comma 3, ha previsto l'istituzione di un apposito Fondo per il finanziamento degli interventi di salvataggio e di ristrutturazione delle imprese in crisi.
      Successivamente, il comma 853 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007) stabilì che gli interventi del Fondo per il finanziamento degli interventi consentiti dagli orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà, di cui al citato articolo 11, comma 3, del decreto-legge n. 35 del 2005, fossero disposti in base ai criteri e alle modalità stabiliti dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), con propria delibera, su proposta del Ministro dello sviluppo economico.
      La delibera del CIPE doveva provvedere, in particolare a determinare:

          1) la tipologia dell'aiuto concedibile;

          2) le priorità di natura produttiva;

          3) i requisiti economici e finanziari richiesti alle imprese ai fini della loro ammissione ai benefìci.

      Per l'attuazione dei suddetti interventi il Ministero dello sviluppo economico può avvalersi dell'Agenzia nazionale per attuazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa, in modo da non determinare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato.
      La Corte costituzionale, con sentenza 10-14 marzo 2008, n. 63, ha dichiarato l'illegittimità del citato comma 853, nella parte in cui non prevede che i poteri del CIPE di determinazione dei criteri e delle modalità di attuazione degli interventi di cui al Fondo per il finanziamento degli interventi per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese in difficoltà siano esercitati d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

          c) accelerazione dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni (oppure compensazione dei crediti con i debiti verso le pubbliche amministrazioni: fisco e contributi). Anche in questo caso potrebbe intervenire la Cassa depositi e prestiti Spa, riattivando il Fondo per i pagamenti dei debiti di fornitura di cui alla legge n. 311 del 2004 (articolo 1, commi 362-365), al quale sono riassegnate le dotazioni in conto residui e quelle relative a residui passivi perenti, previamente versate in entrata, relative a debiti scaduti ed esigibili alla data del 31 dicembre 2004, derivanti dalla fornitura di beni e servizi alle amministrazioni dello Stato, ceduti alla stessa Cassa dai fornitori sulla base di idonei titoli giuridici, ed estendendolo ai debiti di tutte le pubbliche amministrazioni e non solo a quelli dello Stato.

Vendere una parte delle riserve auree.

      Le riserve auree italiane infatti, pari a 79 milioni di once (2.452 tonnellate), dalle quali si potrebbero ricavare, agli attuali prezzi di mercato, ben 40 miliardi di euro circa, equivalenti al 35 per cento di tutte le privatizzazioni effettuate, non sono di proprietà della Banca d'Italia, ma dei cittadini, che le hanno risparmiate consumando meno di quanto sia stato prodotto. In base ai dati più recenti diffusi dall'istituto di emissione, le riserve ufficiali della Banca d'Italia a fine giugno ammontavano a 67,203 miliardi di euro, contro i 65,8 miliardi di euro di fine maggio. Di queste, le riserve e i crediti in oro sono pari a 46,518 miliardi di euro, a cui devono essere aggiunti i crediti in valuta verso i non residenti nell'area euro, pari a 20,685 miliardi di euro.
      Nel 1987 il Canada ha iniziato a vendere riserve per 20 milioni di once, seguito da Australia, Austria, Belgio, Olanda, Portogallo e Regno Unito, con 75 milioni di once, dalla Svizzera, nel 2002 con 39 milioni di once, dalla Spagna, che nel mese di maggio 2007 ha venduto una buona parte delle riserve addirittura da imputare alle spese correnti. Non si comprende perché la Banca d'Italia, terzo Paese al mondo per riserve dopo USA e Germania,

 

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si ostini a conservare nei suoi forzieri 79 milioni di once, contribuendo a sostenere il prezzo dell'oro che sta arrivando a livelli mai raggiunti prima.
      Nel marzo 2004 è stato rinnovato un accordo quinquennale che vincola quattordici banche centrali dell'Unione europea (tutte, meno la Bank of England che non ha firmato) a limitare a 500 tonnellate annue la quota vendibile delle loro riserve auree, a patto che i ricavi derivanti dallo smobilizzo delle riserve in oro siano destinati alla riduzione del debito pubblico. La Banca d'Italia, quindi, può vendere oro per un controvalore di 9,5 miliardi di euro l'anno! Le riserve ufficiali della Banca d'Italia ammontavano a fine aprile a 60,7 miliardi di euro, con consistenze di oro monetario che risultavano pari a 40,5 miliardi di euro e con riserve in valuta estera pari a 20,2 miliardi di euro. La convertibilità tra banconote e oro è cessata il 15 agosto 1971, quando il Presidente degli USA, Nixon, pose fine agli accordi di Bretton Woods, che definirono il vincolo della stampa di moneta con la convertibilità con l'oro. Mentre l'accordo «madre», il cui nome completo è «Central Bank Gold Agreement», risale alla fine degli anni novanta, quando fu adottato per evitare che le banche centrali, trovandosi con le casseforti colme di metallo giallo in eccesso rispetto alle reali esigenze di copertura, approfittassero del prezzo in rialzo dell'oro per fare cassa. Nei primi mesi del 2000 la Bank of England fu tra le prime a disfarsi di 18 tonnellate d'oro.
      Il debito pubblico italiano potrebbe essere ridotto se il Governatore della Banca d'Italia, approfittando del rialzo dell'oro, iniziasse a vendere le riserve auree in eccesso, come fanno la maggior parte delle banche centrali europee, e se, nel contempo, il Tesoro emettesse i titoli di Stato come previsto dal decreto-legge n. 155 del 2008 (ancora all'esame della Camera per la conversione in legge) a copertura delle operazioni di ricapitalizzazione, tenendo sotto controllo sia lo stock del debito che i tassi di interesse per «piazzare» i titoli.

La nostra proposta di legge.

      La presente proposta di legge, divisa, come già rilevato, in tre capi, cerca di enucleare le proposte delineate in questa relazione.
      Il capo I reca norme sugli istituti di credito, sulle banche e sul falso in bilancio.
      L'articolo 1 integra le disposizioni in materia di requisiti di onorabilità degli esponenti degli intermediari finanziari previste dall'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e dall'articolo 13 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.
      Peraltro, la Commissione Finanze della Camera dei deputati, nella XV legislatura, aveva approvato una risoluzione (proponente l'onorevole Fluvi, risoluzione in Commissione 7-00149 presentata il 27 marzo 2007, nella seduta n. 135) che invitava il Governo a disciplinare in modo meno discrezionale la materia.
      Appare quindi evidente, anche a seguito delle gravi vicende finanziarie verificatesi in questi anni, l'esigenza di un comportamento più rigoroso da parte delle società di investimento e delle banche nei confronti degli amministratori, dei direttori generali e dei sindaci che riportano una condanna, ancorché non definitiva, per reati bancari e finanziari, per il reato di falso in bilancio, per reati contro la pubblica amministrazione (ad esempio, peculato, abuso di ufficio), contro la fede pubblica (falsità delle monete), contro il patrimonio (furto, rapina), contro l'ordine pubblico (associazione a delinquere), contro l'economia pubblica nonché in materia tributaria.
      A tale proposito, il regolamento di cui al decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica 18 marzo 1998, n. 161, recante norme per l'individuazione dei requisiti di onorabilità e professionalità degli esponenti aziendali delle banche e delle cause di sospensione, prevede che gli amministratori, i direttori generali e i sindaci,

 

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sospesi per condanna non definitiva per i reati predetti possono, comunque, essere reintegrati dall'assemblea dei soci.
      Con la presente proposta di legge, invece, si stabilisce per legge che l'assemblea dei soci delle banche e delle società di investimento non può deliberare il reintegro degli esponenti aziendali fino a quando il procedimento penale non si è concluso in via definitiva.
      L'articolo 2 sancisce che le banche non devono più distribuire «stock option» ai propri amministratori e dirigenti. La disciplina relativa alle «stock option» prevede la possibilità, per le società, di approvare dei piani per l'assegnazione ai propri dipendenti di opzioni su azioni o su altri strumenti finanziari a condizioni particolarmente vantaggiose. È invalso l'uso di retribuire con «stock option» gli amministratori di molte società quotate. Si tratta di una prassi diffusa su scala internazionale che ha non poco contribuito alla falsificazione dei bilanci e all'effettuazione di operazioni finanziarie spericolate con alti rendimenti a breve e con moltissimi rischi sul medio-lungo periodo.
      L'articolo 3 limita la possibilità di sottoscrizione di derivati almeno da parte delle banche ricapitalizzate al fine di evitare ulteriori rischi finanziari per il futuro. Gli strumenti finanziari derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende («deriva») dall'andamento di un'attività sottostante (cosiddetto «underlying asset»). Le attività sottostanti possono avere natura finanziaria (come, ad esempio, i titoli azionari, i tassi di interesse e di cambio, gli indici) o reale (come, ad esempio, il caffè, il cacao, l'oro, il petrolio eccetera).
      L'articolo 4 obbliga le banche al recepimento nel proprio statuto delle disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e di governo societario delle banche emanate dalla Banca d'Italia entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
      Le banche, in un contesto di mercato instabile e oggettivamente più rischioso per un'autonoma ed efficiente gestione aziendale, dovranno adeguatamente attrezzarsi sul terreno della «governance».
      Controlli interni indipendenti e dotati di adeguate risorse, organi di amministrazione sobri e basati su competenza e su professionalità, limiti al numero degli incarichi degli amministratori per consentire un reale e costante impegno, adeguati flussi informativi: sono tutti aspetti richiamati dalle recenti istruzioni della Banca d'Italia sul governo societario e che le banche devono recepire nei propri statuti.
      È un'occasione importante e irripetibile per dimostrare che l'autonomia si difende non solo limitando lo Stato, ma anche costruendo una «governance» virtuosa per affrontare le tante sfide che attendono la banca del futuro.
      L'articolo 5 dispone che, a decorrere dalla data in cui viene meno la garanzia statale in favore dei depositanti delle banche italiane, le banche aderenti ai sistemi italiani di garanzia dei depositanti sono tenuti a effettuare degli accantonamenti annuali versandoli a tali fondi.
      La Banca d'Italia disciplina e determina l'entità degli accantonamenti, che deve essere correlata al livello di rischio assunto da ogni singola banca. Gli accantonamenti sono deducibili ai fini fiscali.
      In effetti, il sistema italiano di garanzia dei depositi necessita forse più degli altri di un ripensamento delle sue modalità operative, in particolare con riferimento al modo in cui si approvvigiona delle risorse necessarie per finanziare i suoi interventi in favore dei depositanti. Come ben pochi sanno, la dotazione di risorse del Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) è di tipo virtuale: ciò significa che le banche consorziate non sono tenute a effettuare dei versamenti annuali dando vita a una massa fiduciaria direttamente gestita dagli organi del Fondo (come ad esempio accade negli USA, modalità di contribuzione ex ante), bensì si impegnano a versare «su chiamata», qualora si renda necessario l'intervento del FITD (modalità di contribuzione ex-post).
      La dotazione delle risorse del FITD e la relativa quota di competenza di ciascuna banca sono iscritte sotto la linea del bilancio,
 

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tra i conti impegni e rischi, rispettivamente del FITD e di ciascuna consorziata. Tale soluzione fu giustificata dall'Associazione bancaria italiana (ABI) nella necessità di «evitare inutili immobilizzazioni di disponibilità finanziarie e contenere al massimo l'onerosità, per le aziende di credito, degli impegni che andavano ad assumere» (ABI (1987) pagina 23). L'Amministrazione fiscale non consente infatti la sospensione d'imposta sui crediti erogati al FITD e il problema fu pertanto aggirato attribuendo al Fondo un diritto a richiedere tali crediti in caso di intervento: la deducibilità fiscale è infatti prevista solo quando la perdita si manifesti concretamente oppure quando l'erogazione avvenga all'interno di una procedura concorsuale.
      L'assunzione di un impegno a erogare risorse al FITD comporta per le consorziate l'opportunità, ma non l'obbligo, di costituire appositi accantonamenti delle relative risorse: questa via è stata peraltro percorsa da un esiguo numero di consorziate e per un periodo di tempo limitato, a causa dell'indeducibilità fiscale dei suddetti accantonamenti. Pertanto, in mancanza di accantonamenti pregressi, le risorse somministrate al Fondo per fare fronte ai suoi impegni vengono totalmente spesate dalle consorziate nell'esercizio cui l'intervento si riferisce, con un impatto sulla redditività dell'esercizio tanto più rilevante quanto più esteso è l'impegno generato dalla crisi. Questo spiega le reazioni negative del sistema bancario ogni qualvolta il FITD richiama quelle risorse promesse dalle banche stesse per finanziarne gli interventi e spiega il motivo dell'intervento del Governo: in un momento di crisi generalizzata come quella attuale è difficile immaginare che le banche forniscano, nei tempi ristretti previsti per le procedure di rimborso, la liquidità necessaria per assicurare gli interventi del Fondo; dall'altro canto, la liquidità addizionale richiesta dal Fondo rischia facilmente di compromettere la già difficile situazione economico-patrimoniale di tutte le altre banche del sistema.
      A un problema di credibilità, di fronte a una crisi sistemica, di uno schema di contribuzione così congeniato, si aggiunge anche la mancanza di equità nella distribuzione dei costi di risoluzione delle crisi, che discende da un sistema basato sulla «virtualità» dei fondi disponibili. Con un meccanismo di contribuzione ex post, cioè di ripartizione delle perdite ex post, le banche che richiedono l'intervento del Fondo non partecipano mai al costo dell'intervento medesimo. Ciò aggrava il rischio di comportamenti azzardati da parte delle banche: una strategia prudente è infatti sempre «ripagata» dalla certezza di far parte del novero delle banche che si dovrà ripartire l'onere del fallimento delle altre istituzioni. Una strategia rischiosa può comportare, nella migliore delle ipotesi, l'incremento della propria redditività e, quindi, la possibilità di avere maggiori disponibilità in eccesso rispetto agli impegni eventualmente richiesti dal Fondo e, nella peggiore delle ipotesi, la facoltà di non dover intervenire affatto, in quanto destinatarie del sostegno.
      L'articolo 6 reintroduce il reato di falso in bilancio, la cui depenalizzazione di fatto ha facilitato una gestione spericolata dei bilanci a partire da quelli degli istituti di credito.
      Le norme sanzionatorie in materia societaria sono state oggetto di profonda revisione a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 11 aprile 2002, n. 61, che ha, tra l'altro, sostituito l'intero titolo XI del libro quinto del codice civile, dettando nuove disposizioni penali in materia di società e di consorzi.
      Per effetto delle modifiche introdotte dal legislatore molti reati in materia societaria sono stati trasformati da delitti (punibili con la reclusione) a contravvenzioni (punibili con l'arresto), se non in meri illeciti amministrativi.
      È stata talora prevista la perseguibilità degli stessi reati, a querela in alcune ipotesi specificamente definite, ed è stata normativamente graduata la sanzione applicabile a seconda della sussistenza o meno di un danno patrimoniale. In tale modo si è data una complessiva rappresentazione
 

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di banalizzazione di situazioni che, invece, comportano grossi danni per l'economia e per la società.
      Il capo II reca norme per la tutela dei cittadini utenti del sistema creditizio.
      L'articolo 7 dispone il blocco per un anno del pignoramento della prima casa per i mutuatari con reddito medio-basso. Se la proposta verrà accolta, si avrà un grosso beneficio a favore delle famiglie che hanno la prima casa pignorata a causa delle difficoltà nel pagare le rate del mutuo: esse avranno la possibilità in quest'anno di potersi riorganizzare e di sanare i debiti.
      Mentre le banche, sorrette dal Governo «Berlusconi-Tremonti» - che oltre ad emanare il decreto-legge «salva-banche» ha anche promosso la convenzione tra l'ABI e il Ministero dell'economia e delle finanze, vero e proprio alibi all'obbligo della surroga e della portabilità dei mutui senza alcun onere - continuano la loro «sporca melina» nel non applicare la legge, si continua a registrare un vero e proprio boom di pignoramenti di esecuzioni immobiliari in un campione significativo di tribunali, ben ventiquattro monitorati dall'Associazione per la difesa degli utenti dei servizi bancari e finanziari (ADUSBEF) con immensa fatica.
      Su 3,5 milioni di famiglie che hanno contratto un mutuo per acquistare una casa negli anni scorsi, ben 3,2 milioni, ossia il 91 per cento, è stato indotto, dai cattivi e interessati consigli delle banche, a sottoscrivere contratti con tassi variabili e, quindi, esposti alle turbolenze dei mercati, in presenza di tassi fissi al minimo storico, sconsigliati oppure non erogati affatto dalle banche, quando tutti gli indicatori economici, che segnalavano un'imminente stretta monetaria, avrebbero dovuto indurre le stesse banche a una maggiore prudenza per debiti di così lunga scadenza.
      Dalla prima stretta monetaria della BCE del dicembre 2005, che aumentò i saggi dal 2 al 2,25 per cento, è iniziato un lungo calvario per milioni di famiglie che si sono viste aumentare le rate di ben 130 euro al mese su un mutuo di 100.000 euro, quindi di ben 1.560 euro a regime su base annua, e che invece di essere aiutate dalle banche per trovare soluzioni per uscire dal rischio di insolvenza, sono spinte verso il fallimento, per i noti e denunciati interessi delle banche in Asteimmobili, società operante nei tribunali gestita dall'ABI e dalle banche.
      L'insostenibile pesantezza delle rate per pagare i mutui, aumentate anche del 65 per cento dal 2005, porta un sempre maggiore numero di famiglie italiane a non poter onorare le stesse rate, costituendo esse un impegno sempre più gravoso, che si traduce, per almeno 1,9 milioni di mutuatari, in un rischio reale di insolvenza al punto che, secondo le stime dell'ADUSBEF, che ha raccolto i dati nei maggiori tribunali con fatica e tenacia, le stime di quest'anno sul numero di pignoramenti e di esecuzioni potrebbe salire del 22 per cento.
      Secondo le stime, le procedure immobiliari o i pignoramenti sarebbero pari al 2,7 per cento del totale dei mutui, quindi a circa 130.000 su 3,5 milioni del totale, perché la maggior parte di essi è stata erogata a tasso variabile e risente del rialzo dei tassi della BCE e del cartello bancario europeo che fissa i tassi euribor ai quali sono indicizzate le rate, quando negli anni 2003-2004 i tassi di interesse erano arrivati ai minimi storici e tutti gli indicatori stimavano un loro aumento.
      Le notizie relative ai sette anni necessari per vendere la case all'asta non sono veritiere, perché, con la nuova legge fallimentare, entrata in vigore nel 2004, le banche mandano le case all'asta con procedure al massimo di tre anni, e quindi stanno maturando le procedure iniziate nel 2004, che portano ad avvicinarci pericolosamente agli Usa, a un boom di pignoramenti e di esecuzioni immobiliari, con aumenti stimati nel 2008 rispetto al 2007, da un minimo del 16 per cento a Bologna e a Cagliari, fino al 39 per cento di Bari. Dal consueto monitoraggio risultano infatti aumenti di pignoramenti pari a un +21 per cento a Milano, +22 per cento a Roma e a Padova, +28 per cento a Monza e a Pinerolo, +24 per cento
 

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a Como e Perugia e +25 per cento a Napoli, con una media del 22,3 per cento.
      Gli aumenti maggiori di pignoramenti si registrano a Milano (+378 per cento), Roma (+354 per cento), Napoli (+353 per cento), Bari (+349 per cento), Torino (+322 per cento), Verona (+267 per cento) e Lecce (+261 per cento) mentre L'Aquila, pur avendo una percentuale del 33 per cento, registra un aumento di pignoramenti pari al 32 per cento. E tale situazione di insolvenza è destinata ad aumentare e ad allargarsi ulteriormente nei prossimi mesi, in assenza di interventi tesi a rinegoziare i mutui senza oneri con allungamento della vita residua o delle provvidenze sugli interessi in favore delle famiglie più deboli.
      L'articolo 8 eleva dal 19 al 23 per cento - aliquota dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) prevista per il primo scaglione di reddito - la percentuale degli oneri per i mutui per la prima casa ammessa in detrazione dall'imposta lorda; tale percentuale si applicherà agli interessi passivi e ai relativi oneri accessori in dipendenza di mutui contratti per l'acquisto e per la costruzione della prima casa garantiti da ipoteca su immobili; e eleva, altresì, da euro 4.000 a euro 6.000 l'importo massimo su cui calcolare la detrazione relativa a interessi e oneri accessori.
      L'articolo 9 modifica le norme di cui agli articoli 8 e 8-bis del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, per la portabilità dei mutui: occorre eliminare tutti gli ostacoli che ancora si frappongono all'effettiva portabilità dei mutui, legati sia alle pratiche seguite da molte banche, sia all'interpretazione restrittiva e formalistica della disciplina adottata da alcuni uffici dell'Amministrazione finanziaria.
      Articolo 8, comma 1 - Ambito di applicazione.
      Riteniamo che l'articolo debba essere applicato a tutte le tipologie di mutui, non solo a quelli stipulati per l'acquisto della casa, ma anche ad esempio a quelli di liquidità garantiti da garanzie personali e reali. Se così non fosse questi contratti di finanziamento non potrebbero usufruire dei vantaggi fiscali ed economici.
      Articolo 8, comma 2 - Surrogazione senza formalità.
      Nell'articolo 8, comma 2, si afferma anche che l'annotazione di surrogazione può essere richiesta al conservatore senza formalità, allegando copia autentica dell'atto di surrogazione stipulato per atto pubblico o scrittura privata. Noi riteniamo che l'annotazione di surrogazione debba poter essere richiesta al conservatore senza formalità, allegando copia autentica dell'atto di surrogazione per scrittura privata non autenticata.
      Articolo 8, comma 3 - Costi dell'operazione.
      L'articolo 8 ha introdotto il concetto di portabilità del mutuo: un mutuatario dovrebbe avere la possibilità di trasferire senza oneri un mutuo da una banca ad un'altra.
      Effettivamente, fino all'introduzione del nuovo articolo, nel nostro ordinamento chi desiderava cambiare banca per il suo mutuo, aveva una sola possibilità: la sostituzione del mutuo.
      Sostituire il mutuo significava estinguere il mutuo con la vecchia banca e sottoscriverne uno nuovo con un'altra banca.
      Per fare questo occorreva sopportare numerosi costi (soprattutto se si trattava di un mutuo ipotecario): spese accessorie (di estinzione e di accensione del finanziamento, ovviamente questo se l'operazione di surrogazione non fosse totalmente senza costi per il mutuatario). Ampliando l'ambito potrebbe essere interessante avere un elenco di tutte le spese che possono essere considerate come accessorie all'estinzione del mutuo e alla sua accensione, ai fini della detraibilità degli interessi passivi.
      Articolo 8, comma 4-quinquies - Portabilità dei mutui anche per i morosi.

      La portabilità del mutuo si applica anche in caso di non pagamento delle rate di mutuo fino a un periodo pari ai 24 mesi precedenti alla richiesta di surrogazione da parte del debitore qualora lo stesso

 

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abbia dichiarato un reddito ai fini dell'IRPEF per l'anno fiscale precedente quello della data della richiesta inferiore a 50.000 euro.
      Articolo 8-bis, comma 1-bis.
      Proponiamo di introdurre sanzioni a carico delle banche e degli intermediari finanziari per l'inosservanza delle norme sulla portabilità.
      Si è verificata in Italia, negli ultimi anni, una crescita esponenziale dei mutui per l'acquisto della prima casa; occorre inoltre aggiungere che soltanto un quarto dei mutui è di tipologia «a tasso fisso», a fronte di una media europea del 50 per cento.
      Secondo indagini realizzate da organi di informazione, l'offerta di mutui ormai arriva a coprire anche il 100 per cento del costo di acquisto dell'abitazione, mentre la lunghezza media dei contratti è passata, rispetto al 1997, da 15 a 25 anni.
      La BCE, negli ultimi due anni e mezzo, ha aumentato per nove volte il costo del denaro, passando dal 2 al 4,25 per cento.
      I principali analisti internazionali prevedono che la BCE aumenterà ulteriormente, nei prossimi mesi, il costo del denaro: secondo l'Istituto di studi e analisi economica i tassi saliranno al 4,50 per cento entro il 2008.
      Nel mese di agosto 2008, secondo i dati resi noti dall'ABI, i tassi sui prestiti alle famiglie per l'acquisto di abitazioni sono saliti al 5,96 per cento, contro il 5,92 per cento di luglio e il 5,84 per cento di giugno: un livello che riporta i tassi ai massimi dell'agosto 2002, confermando l'ascesa continua dei tassi di interesse.
      Secondo i dati resi noti dalla Banca d'Italia, a luglio 2008 il tasso annuo effettivo globale applicato per l'acquisto di abitazioni è risultato non solo in crescita per il quarto mese consecutivo, ma anche superiore alla soglia del 6 per cento (cifra mai toccata negli ultimi quattro anni), attestandosi al 6,07 per cento; anche il tasso di interesse di mercato per i mutui ultradecennali supera la soglia del 6 per cento attestandosi al 6,08 per cento. Secondo la Banca d'Italia è inoltre aumentato il debito delle famiglie italiane: a luglio il totale dei prestiti alle famiglie è salito a 463,91 miliardi di euro (dai 460,80 miliardi di euro di giugno), di cui 253,95 miliardi di euro solo per mutui per la casa oltre i cinque anni; rispetto a luglio del 2007 lo stock di debito delle famiglie italiane è aumentato del 2,3 per cento, ma rispetto alla fine del 2004 la crescita dei prestiti erogati dal sistema risulta addirittura pari al 32 per cento.
      Secondo le associazioni dei consumatori (ADUSBEF e Federconsumatori) il crack finanziario della banca statunitense Lehman Brothers ha inciso sulla crescita dell'euribor (salito al 4,97 per cento); questo innalzamento comporta un aumento medio di circa 3.000 euro all'anno per le famiglie italiane che hanno sottoscritto un mutuo a tasso variabile.
      Secondo le stesse associazioni dei consumatori, oltre 3,2 milioni di famiglie italiane hanno stipulato e continuano a pagare un mutuo che prevede una rata variabile.
      Secondo gli ultimi dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), la spesa per l'abitazione rappresenta attualmente la voce più consistente dei bilanci familiari: il 26,7 per cento della spesa complessiva mensile.
      Secondo gli ultimi dati dell'ISTAT, le rate medie dei mutui complessivi (tasso fisso e variabile) sono cresciute di circa l'8 per cento nell'ultimo anno, passando da 438 a 471 euro.
      Secondo un recente studio della Confederazione generale italiana artigianato di Mestre, l'indebitamento medio delle famiglie italiane (comprendente mutui per l'acquisto della casa, prestiti per l'acquisto di beni mobili, credito al consumo, finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili) nel dicembre del 2007 ha raggiunto 15.765 euro; secondo tale indagine, in cinque anni, tra il 1o gennaio 2002 e il 31 dicembre 2007, l'indebitamento delle famiglie è quasi raddoppiato registrando una crescita media del 93,28 per cento.
      Secondo i dati emersi dall'European Outlook 2009 sul mercato immobiliare presentato nel mese di settembre 2008, entro l'anno «le compravendite di case
 

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saranno circa 700.000 con un calo, rispetto al 2007, del 13 per cento, mentre sul versante delle quotazioni è previsto un aumento medio del 2 per cento. La diminuzione delle compravendite (il primo semestre 2008 si è chiuso con una flessione degli scambi dell'8 per cento) è un effetto dell'aumento del costo dei mutui cui va aggiunta la maggiore severità nell'erogare il credito alle famiglie per l'acquisto di una casa. Il calo si concentra soprattutto nella fascia di mercato medio-bassa (al di sotto dei 250.000 euro)».
      Secondo quanto riportato da organi di informazione, è aumentato notevolmente, nei tribunali italiani, il numero di procedure esecutive immobiliari causate dall'incapacità, da parte dei contraenti, di fare fronte all'aumento dell'importo economico della rata del mutuo. Nel mese di aprile 2008 Antonio Catricalà, Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ha reso noto che in Italia «sono 110.000 le famiglie con problemi di insolvenza per il caro mutui e 420.000 quelle in difficoltà per un totale di 530.000 famiglie».
      Secondo informazioni diffuse dall'ADUSBEF, che ha elaborato i dati forniti dalla Banca d'Italia e dalla BCE, i mutui italiani sono mediamente più alti rispetto alla media dell'Unione europea.

      L'articolo 10 impone alle banche, su richiesta del mutuatario, di trasformare i mutui per la prima casa a tasso variabile prendendo a riferimento il tasso applicato dalla BCE anziché altri tassi quali l'euribor.
      Anche oggi (10 novembre 2008) il gap tra l'euribor e il tasso della BCE è di 91 punti base a un mese, di 124 punti a tre mesi, mentre prima della crisi il differenziale medio oscillava tra 10 e 20 centesimi. Il tasso della BCE è più stabile e meno sensibile alle «fibrillazioni» dei mercati.
      L'articolo 11 propone che il FITD rimborsi, oltre ai depositi, anche le obbligazioni a basso rischio e a basso rendimento segnalate dall'Associazione bancaria italiana qualora il loro valore abbia subìto una perdita superiore al 25 per cento del loro valore iniziale. Per tali obbligazioni è escluso dal rimborso il 10 per cento delle perdite subite rispetto al loro valore iniziale.
      A tale scopo si interviene sull'articolo 96-bis del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, che regolamenta i rimborsi del FITD.
      Il capo III prevede norme in favore delle PMI.
      L'articolo 12 provvede, anche tenendo conto della rarefazione del credito per le imprese, tramite un Fondo rotativo istituito presso la Cassa depositi e prestiti Spa, a pagare i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle imprese.
      Con i commi 362-366 dell'articolo 1 della legge n. 311 del 2004 (finanziaria 2005) è stato istituito e disciplinato il Fondo per i pagamenti dei debiti di fornitura delle amministrazioni statali, tramite il quale i creditori cedono il proprio titolo alla Cassa depositi e prestiti Spa, che li ristora a valere su un fondo istituito presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
      L'articolo 12 è un'attualizzazione delle predette norme che riguardavano i crediti fino a tutto il 2004 prevedendo la sua estensione ai debiti di fornitura di tutte le pubbliche amministrazioni. In sostanza, la norma prevede che i crediti scaduti ed esigibili, per fornitura di beni e servizi, possano essere ceduti da parte delle imprese, senza autorizzazione del soggetto debitore, alla Cassa depositi e prestiti Spa, che provvederà a pagare il creditore. Lo Stato poi restituirà in quindici anni alla Cassa le somme pagate, maggiorate degli interessi.
      Le associazioni imprenditoriali denunciano che in tutte le regioni italiane l'attesa media per i rimborsi fiscali e per la regolarizzazione di pagamenti è superiore a due anni. In attesa di pagamenti o di rimborsi, numerose imprese sono nel frattempo costrette a indebitarsi, chiamate loro malgrado a un prestito forzoso in favore delle casse dell'erario. Il tutto mentre la concorrenza internazionale si fa ogni giorno più agguerrita e i nostri partner comunitari riescono a ottenere dalle

 

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loro amministrazioni pagamenti e rimborsi dell'IVA in tempi notevolmente più rapidi e quindi concorrenziali.
      Tale situazione non è nuova. Nella metà degli anni ottanta la necessità di una politica restrittiva in termini di cassa aveva posto al legislatore il problema (derivato) di garantire alle imprese il puntuale pagamento dei crediti vantati. Infatti decine di migliaia di imprese erano costrette a indebitarsi con il sistema bancario in attesa di ricevere quanto dovuto ed erano sull'orlo del fallimento. La soluzione, saggia anche se transitoria, fu il ricorso a una normativa di compensazione-cessione dei crediti vantati verso la pubblica amministrazione, recata dal comma 9 dell'articolo 1 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1986, n. 11 (recante misure urgenti in materia previdenziale, di tesoreria e di servizi delle ragionerie provinciali dello Stato), successivamente abrogato dall'articolo 2 della legge 28 luglio 1989, n. 262.
      Oggi i ritardi dei pagamenti sono un problema di dimensione europea, se è vero che l'Unione europea è intervenuta per limitare i danni derivanti dai ritardi di pagamento con la direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231: la nuova normativa prevede che dal giorno successivo alla scadenza dei termini stabiliti in contratto siano dovuti gli interessi moratori; salvo diverso accordo, la scadenza è fissata a trenta giorni dalla prestazione del servizio; tale nuova disciplina si applica sia ai contratti che le imprese stipulano tra loro sia ai contratti stipulati con la pubblica amministrazione, centrale e locale.
      Il recepimento della direttiva europea sui ritardi di pagamento impone, comunque, alla pubblica amministrazione il rispetto di tempi ravvicinati (un mese) nel saldo delle fatture; ma nell'attuale situazione è purtroppo prevedibile l'insorgere di un ampio contenzioso nei confronti di numerosi enti della pubblica amministrazione, incapaci di adeguare la propria liquidità alle nuove esigenze. Irrisolto, a seguito di questa innovazione, resta peraltro il nodo dei rimborsi dell'IVA.
      A tale proposito si ricorda che nel marzo 2004 era stato approvato un ordine del giorno unitario nella Commissione Bilancio della Camera dei deputati.
      L'articolo 13 (commi 2 e 3) è finalizzato a ripristinare la continuità dell'attività di garanzia del Fondo di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, che è stato soppresso dall'articolo 1, comma 847, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007).
      Tale Fondo di garanzia ha rappresentato uno dei principali strumenti di politica industriale per fare fronte ai maggiori vincoli allo sviluppo delle PMI rappresentati dal razionamento del credito: la massiccia richiesta di garanzie reali da parte del sistema creditizio ha penalizzato e penalizza, infatti, soprattutto le imprese più piccole che, tradizionalmente, incontrano maggiori difficoltà nel reperimento delle fonti finanziarie.
      In particolare, il Fondo di garanzia è intervenuto, in favore di operazioni finanziarie (finanziamenti di qualunque tipologia e durata, prestiti partecipativi e partecipazioni al capitale di rischio) concesse alle PMI delle banche, dagli intermediari finanziari inclusi nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 385 del 1993, e dalle società finanziarie per l'innovazione e lo sviluppo. Era inoltre prevista la controgaranzia del Fondo in favore delle garanzie prestate dai confidi e da fondi di garanzia gestiti da banche, da intermediari finanziari o dai soggetti iscritti nell'elenco disciplinato dall'articolo 106 del citato testo unico.
      Tale Fondo ha operato in favore delle PMI in modo coordinato e integrato con i sistemi locali di garanzia (confidi e fondi regionali di garanzia) ed era gestito, ai sensi del comma 3 del citato articolo 15 della legge n. 266 del 1997, da un comitato composto, oltre che da rappresentanti della pubblica amministrazione, anche da un rappresentante delle banche e da rappresentanti
 

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di ciascuna delle organizzazioni rappresentative a livello nazionale delle PMI industriali e commerciali.
      Il Fondo di garanzia per le PMI, unico fondo nazionale e intersettoriale di garanzia, aveva dimostrato di rispondere pienamente alle finalità per le quali era stato istituito: in circa nove anni di operatività erano risultate complessivamente oltre 52.000 le PMI ammesse alla garanzia del Fondo (di cui oltre 13.000 solo nell'arco degli ultimi dodici mesi del periodo considerato) per un totale di finanziamenti garantiti pari a 10,2 miliardi di euro.
      Tale fondo pertanto aveva la caratteristica di facilitare l'accesso al credito da parte delle PMI in quanto riduceva le garanzie che le stesse offrono al sistema bancario e permetteva ai confidi di alleggerire la propria esposizione complessiva mantenendo pertanto la capacità di assistere le imprese associate.
      Il finanziamento degli interventi del Fondo di garanzia è possibile utilizzando le risorse disponibili a valere sul Fondo per la finanza d'impresa di cui al citato articolo 1, comma 847, della legge n. 296 del 2006, e quelle rinvenienti dalle rinuncie e dalle revoche delle iniziative agevolate dalla legge n. 488 del 1992.
      La disposizione di cui al comma 1 dell'articolo 13 in oggetto è tesa ad assicurare - alla luce della fondamentale esigenza di favorire il miglioramento delle condizioni di accesso al credito delle PMI e considerato che la crisi finanziaria in corso determinerà una significativa contrazione del credito disponibile soprattutto per le PMI - che al Fondo sia riconosciuta, ai fini del menzionato nuovo accordo di Basilea 2 sul capitale di vigilanza delle banche, la mitigazione di favore attribuita allo Stato («ponderazione zero»).
      Ciò permetterebbe al sistema bancario di ridurre, sui crediti già garantiti dal Fondo, gli accantonamenti a patrimonio di vigilanza, liberando liquidità. Il riconoscimento di tale mitigazione di favore, anche nell'ambito del nuovo accordo di Basilea 2, appare necessario per conservare al Fondo la fondamentale funzione di mitigatore del rischio di credito permettendo alle banche, a fronte dei prestiti concessi, un minor accantonamento a valere sul loro patrimonio e favorendo quindi un miglioramento delle condizioni di accesso al credito delle PMI.
      Tale mitigazione di favore era prevista per gli interventi del Fondo di garanzia per le PMI nell'ambito dello schema regolamentare relativo al primo accordo di Basilea (1988), ma potrà essere confermata nel nuovo schema regolamentare solo in presenza di una norma come quella proposta.
      In base al nuovo accordo di Basilea, infatti, i fondi pubblici (statali o regionali) potranno essere presi in considerazione ai fini della mitigazione del rischio di credito solo per il valore delle effettive disponibilità, a meno che lo Stato o le regioni provvedano a garantire in proprio l'intero importo delle garanzie prestate.
      In assenza di un simile impegno la rilevanza, ai fini della mitigazione del rischio di credito e dunque dell'accesso al credito delle PMI, delle garanzie prestate dai fondi pubblici (tutti operanti sulla base di un moltiplicatore delle risorse finanziarie disponibili o delle garanzie prestate ben superiore a 1) sarebbe annullato con grave pregiudizio per le stesse PMI.
      Con la norma proposta verrebbe formalizzato l'impegno che lo Stato, peraltro già implicito, aveva assunto a copertura delle esposizioni assunte dal Fondo. Impegno che si concretizzerebbe esclusivamente nel caso in cui le risorse disponibili del Fondo di garanzia non fossero sufficienti a coprire tutte le garanzie da liquidare: ipotesi quest'ultima davvero remota - anche in virtù di solidi meccanismi di controllo e di revisione degli interventi - come dimostrano i dati sull'attività del Fondo che aveva registrato un tasso di perdita pari a circa lo 0,54 per cento a fronte del quale c'era stato un esborso medio annuo del Fondo, per liquidazioni perdite, pari a circa 4 milioni di euro - a tale importo devono essere detratte le eventuali somme recuperate dalle procedure di recupero tuttora in corso.
 

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      Peraltro va evidenziato che gli eventuali oneri a carico dello Stato, qualora si verificassero, saranno differiti nel medio-lungo periodo in quanto la garanzia dello Stato verrebbe attivata solo al termine delle procedure di recupero effettuate dal gestore del Fondo e quindi solo dopo aver esperito ogni azione giudiziale e stragiudiziale utile sul patrimonio del debitore principale. Del resto esistono già dei precedenti in Europa ma anche in Italia. Le garanzie prestate dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare, infatti, «sono assistite dalla garanzia dello Stato» (articolo 17, comma 5-bis del decreto legislativo n. 102 del 2004, introdotto dall'articolo 10, comma 8, del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005) e tale garanzia «è elencata nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze».
      L'articolo 14 aumenta le somme a disposizione sia del Fondo per la competitività e lo sviluppo (cosiddetto «Fondo Bersani per "Industria 2015"»); estendendone il campo di intervento anche alla produzione di autoveicoli, di elettrodomestici e di motori asincroni, nonché alle misure per il risparmio energetico anche in relazione alla ristrutturazione degli edifici sia del Fondo per la finanza d'impresa.
      Tale Fondo opera con interventi mirati a facilitare le operazioni di concessione di garanzie su finanziamenti e di partecipazione al capitale di rischio delle imprese anche tramite banche o società finanziarie sottoposte alla vigilanza della Banca d'Italia nonché a promuovere la partecipazione a operazioni di finanza strutturata, anche tramite la sottoscrizione di fondi di investimento chiusi, privilegiando gli interventi di sistema in grado di attivare ulteriori risorse finanziarie pubbliche e private in conformità alla normativa nazionale vigente in materia di intermediazione finanziaria.
      Con riferimento alle operazioni di partecipazione al capitale di rischio, gli interventi del Fondo per la finanza d'impresa sono prioritariamente destinati al finanziamento di programmi di investimento per la nascita e per il consolidamento delle imprese operanti in comparti di attività ad elevato contenuto tecnologico, al rafforzamento patrimoniale delle PMI localizzate nelle aree degli obiettivi «Convergenza» e «Competitività regionale e occupazione», di cui al regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, nonché a programmi di sviluppo posti in essere da PMI e per sostenere la creazione di nuove imprese femminili e il consolidamento aziendale di PMI femminili.
      L'articolo 15 (comma 1) autorizza la Cassa depositi e prestiti Spa, che ha a disposizione tramite la gestione separata (di cui articolo 5, comma 8, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003) circa 90 miliardi di euro, a finanziare le PMI.
      Il comma 2 autorizza la medesima Cassa, tramite la citata gestione separata, a finanziare direttamente, tramite la finanza di progetto, opere di pubblica utilità.
      L'articolo 16 innalza il tetto annuo per la compensazione automatica dei crediti d'imposta e contributivi da 516.000 euro (un miliardo di lire) a un milione di euro; inoltre, aumenta da 250.000 euro a 750.000 euro la compensazione annuale ammessa per i soli crediti fiscali. La proposta tende a fornire liquidità alle imprese, per il triennio 2009-2011, che sono creditrici nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
      L'onere è solo di cassa: si tratta di anticipazioni di somme comunque dovute.
      Si evidenzia che l'articolo 34 della legge n. 388 del 2000 (finanziaria 2001) ha introdotto, a decorrere dal 1o gennaio 2001, il limite massimo di utilizzo di crediti in compensazione, di cui all'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, fissandolo in 516.547 euro (un miliardo di vecchie lire) su base annua. Tale limite si riferisce all'utilizzo in compensazione di tutti i crediti di natura fiscale o contributiva, utilizzati dal contribuente per il pagamento di imposte, tasse o contributi.
      L'articolo 1, comma 53, della legge n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), ha poi
 

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introdotto un ulteriore limite (250.000 euro) riferito ai soli crediti d'imposta indicati nel quadro RU della dichiarazione dei redditi.
      Nel quadro RU della dichiarazione UNICO 2007, relativo all'anno 2006, dovevano essere evidenziati i crediti d'imposta relativi a: teleriscaldamento con biomassa ed energia geotermica; esercenti sale cinematografiche; incentivi occupazionali (articolo 7 della legge n. 388 del 2000 e articolo 63 della legge n. 289 del 2002); investimenti delle imprese editrici; esercizio di servizio di taxi; campagne pubblicitarie; carta per editori; investimenti in agricoltura (articolo 11 del decreto-legge n. 138 del 2002, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 178 del 2002 e articolo 69 della legge n. 289 del 2002); investimenti in aree svantaggiate; investimenti innovativi; spese di ricerca; commercio e turismo; strumenti per pesare; incentivi per la ricerca scientifica; veicoli elettrici, a metano o a GPL; «caro petrolio»; premio di concentrazione (articolo 9 del decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 80 del 2005); recupero del contributo al Servizio sanitario nazionale; assunzione di detenuti, mezzi antincendio e autoambulanze; software per farmacie; creditori della Fintecna Finanziaria per i settori industriali e dei servizi Spa; cessione di attività regolarizzate; altri crediti d'imposta, con la sola esclusione:

          a) del credito d'imposta per le spese per investimenti in attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo di cui all'articolo 1, comma 280, della legge n. 296 del 2006 (finanziaria 2007);

          b) del credito d'imposta relativo all'acquisizione di beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle aree sottoutilizzate del Mezzogiorno.

      Infine, l'articolo 17 provvede alla copertura finanziaria degli oneri derivanti dall'attuazione della legge tramite la riduzione degli stanziamenti di bilancio di parte corrente relativi alle unità previsionali di base che possono essere oggetto di rimodulazione ai sensi dell'articolo 60, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
      Tali stanziamenti ammontano a 11.905 milioni di euro per l'anno 2009. In via cautelativa si può ipotizzare la medesima dotazione anche per gli anni successivi compresi nel triennio di riferimento.
      Assumendo che tali stanziamenti possono essere ridotti per una percentuale non superiore al 10 per cento, è possibile utilizzare la compensazione per un importo massimo di 1.500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
NORME CONCERNENTI GLI ISTITUTI DI CREDITO, LE BANCHE E IL FALSO IN BILANCIO

Art. 1.
(Requisiti di onorabilità degli esponenti degli istituti di credito).

      1. All'articolo 26 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «3-bis. Le assemblee dei soci non possono deliberare il reintegro degli esponenti aziendali sospesi temporaneamente a seguito di condanna non definitiva, ovvero di applicazione di una misura di prevenzione o cautelare, fino a quando il procedimento penale non è giunto a sentenza definitiva».

      2. All'articolo 13 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «4-bis. Le assemblee dei soci non possono deliberare il reintegro degli esponenti aziendali sospesi temporaneamente a seguito di condanna non definitiva, ovvero di applicazione di una misura di prevenzione o cautelare, fino a quando il procedimento penale non è giunto a sentenza definitiva».

Art. 2.
(Divieto di acquisto di azioni).

      1. Le azioni di una società quotata in borsa acquistate a un determinato prezzo

 

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di esercizio, denominate «stock option» non possono essere incluse, tra gli emolumenti e le indennità di cui beneficiano gli amministratori e i membri del consiglio di amministrazione delle banche.

Art. 3.
(Strumenti finanziari derivati ammessi).

      1. Il Ministro dell'economia e delle finanze, sentite la Banca d'Italia e la Commissione nazionale per le società e la borsa, con regolamento da adottare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, individua la tipologia dei contratti relativi a strumenti finanziari derivati che le banche possono stipulare.

Art. 4.
(Disposizioni sul governo societario delle banche).

      1. Le banche devono recepire nei loro statuti, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e di governo societario delle banche emanate dalla Banca d'Italia in attuazione del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 5 agosto 2004, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 200 del 26 agosto 2004. In caso di inadempienza, la Banca d'Italia trasmette, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all'istituto interessato le modifiche da apportare o da inserire nello statuto, che devono essere recepite entro un mese dalla data di ricevimento. Decorso inutilmente tale termine, la Banca d'Italia nomina un commissario ad acta.

Art. 5.
(Modifiche alla disciplina del Fondo interbancario di tutela dei depositi).

      1. A decorrere dalla data in cui viene meno la garanzia statale a favore dei

 

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depositanti delle banche italiane, di cui all'articolo 4 del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, le banche aderenti ai sistemi italiani di garanzia dei depositanti previsti dall'articolo 96 del citato testo unico di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, sono tenute a effettuare accantonamenti annuali versandoli a tali fondi.
      2. La Banca d'Italia disciplina e determina, con proprio regolamento, le modalità di versamento e l'entità degli accantonamenti di cui al comma 1, che deve essere correlata al livello di rischio assunto da ciascuna banca.
      3. Gli accantonamenti di cui al comma 1 del presente articolo sono deducibili ai fini fiscali, secondo modalità stabilite dal Ministro dell'economia e delle finanze con proprio regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400.

Art. 6.
(Disciplina sanzionatoria in materia di false comunicazioni sociali e di altri illeciti societari).

      1. L'articolo 2621 del codice civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 2621. - (False comunicazioni sociali e illegale distribuzione degli utili o degli acconti sui dividendi). - Salvo che il fatto costituisca reato più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 50.000 a euro 200.000:

          1) gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari ai sensi dell'articolo 154-bis del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, i sindaci e i liquidatori i quali, nei bilanci, nelle relazioni o in altre comunicazioni sociali previste dalla legge, fraudolentemente espongono fatti o informazioni, la cui comunicazione è imposta

 

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dalla legge, non rispondenti al vero sulle condizioni economiche, patrimoniali o finanziarie della società o del gruppo al quale essa appartiene od omettono in tutto o in parte fatti o informazioni, la cui comunicazione è imposta dalla legge, concernenti le condizioni medesime. La punibilità è estesa anche al caso in cui le informazioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi;

          2) gli amministratori che:

              a) in mancanza di bilancio approvato o in difformità da esso o in base a un bilancio falso, sotto qualunque forma, riscuotono o pagano utili fittizi o che non possono essere distribuiti, anche attingendo a riserve costituite con gli stessi utili;

              b) ripartiscono utili non effettivamente conseguiti o destinati per legge a riserve o ripartiscono riserve, anche non costituite con utili, che per legge non possono essere distribuite;

          3) gli amministratori che distribuiscono acconti sui dividendi:

              a) in violazione dell'articolo 2433-bis;

              b) in mancanza di approvazione, da parte dell'assemblea dei soci o del consiglio di sorveglianza, del bilancio dell'esercizio precedente o del prospetto contabile previsto dall'articolo 2433-bis, quinto comma, o in difformità da essi o sulla base di un bilancio o di un prospetto contabile falsi.

      La punibilità è esclusa se la falsità o le omissioni riguardano società non soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, e se tali falsità e omissioni non alterano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene. L'alterazione si intende

 

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sensibile quando le falsità o le omissioni determinano una variazione del risultato economico di esercizio, al lordo delle imposte, superiore al 5 per cento o una variazione del patrimonio netto superiore all'1 per cento o quando le falsità o le omissioni sono conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non inferiore al 10 per cento da quella corretta.
      Il reato è estinto se la restituzione degli utili o la ricostituzione delle riserve di cui al primo comma, numero 2), avviene prima del termine ultimo previsto dallo statuto per l'approvazione del bilancio.
      Nei casi di cui al primo comma, numeri 1) e 2), la pena è aumentata di un terzo se il fatto cagiona un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori sociali».

      2. Dopo l'articolo 2621 del codice civile, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge, sono inseriti i seguenti:

      «Art. 2621-bis. - (Circostanze aggravanti). - La pena per il fatto previsto dall'articolo 2621 è della reclusione da quattro a dodici anni:

          1) se il fatto riguarda società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni;

          2) se cagiona un danno patrimoniale a un rilevante numero di risparmiatori. Il numero di risparmiatori si intende rilevante quando supera lo 0,1 per mille della popolazione risultante dall'ultimo censimento generale della popolazione;

          3) se il fatto cagiona un grave danno all'economia nazionale. Il danno si intende grave quando consiste nella distruzione o nella riduzione del valore di titoli di entità complessiva superiore allo 0,1 per mille del prodotto interno lordo.

      Eventuali circostanze attenuanti sono escluse dalla comparazione di cui all'articolo 69 del codice penale e sono valutate per ultime.

 

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      Art. 2621-ter. - (Circostanze attenuanti ed estinzione del reato). - La pena per il fatto previsto dall'articolo 2621 è ridotta alla metà se ricorre la circostanza di cui all'articolo 62, numero 4), del codice penale.
      Nei casi previsti dall'articolo 2621, ove non ricorrano le circostanze aggravanti di cui all'articolo 2621-bis, e dal primo comma del presente articolo, il reato è estinto qualora il reo provveda all'integrale risarcimento del danno patrimoniale nei riguardi di tutte le persone offese. A tale fine il giudice, su richiesta dell'interessato, può assegnare un congruo termine, durante il quale il processo è sospeso ma non decorrono i termini di prescrizione».

      3. L'articolo 2622 del codice civile è sostituito dal seguente:

      «Art. 2622. - (Divulgazione di notizie sociali riservate). - Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari ai sensi dell'articolo 154-bis del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, i sindaci nonché i liquidatori di società soggette alle disposizioni della parte IV, titolo III, capo II, del medesimo testo unico, e successive modificazioni, che si servono a profitto proprio o altrui di notizie avute a causa del loro ufficio, o ne danno comunicazione, sono puniti, se dal fatto può derivare pregiudizio alla società, ferme restando le sanzioni previste dagli articoli 187-bis, 187-ter e 187-quater del citato testo unico, e successive modificazioni, con la reclusione fino a due anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000.
      Il delitto è perseguibile d'ufficio».

      4. All'articolo 2624 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, le parole: «con l'arresto fino a un anno» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000»;

 

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          b) al secondo comma, le parole: «della reclusione da uno a quattro anni» sono sostituite dalle seguenti: «della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 30.000 a euro 150.000».

      5. All'articolo 2625 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, le parole: «la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.329 euro» sono sostituite dalle seguenti: «la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa da euro 5.000 a euro 20.000»;

          b) al secondo comma, le parole: «si applica la reclusione fino ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «si applicano la reclusione da uno a quattro anni e la multa da euro 20.000 a euro 100.000».

      6. All'articolo 2626 del codice civile, le parole: «con la reclusione fino ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000».
      7. L'articolo 2627 del codice civile è abrogato.
      8. All'articolo 2628 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, le parole: «con la reclusione fino ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 50.000 a euro 200.000»;

          b) dopo il secondo comma è inserito il seguente:

      «Nel caso in cui ricorrano le circostanze aggravanti di cui all'articolo 2621-bis si applicano la pena della reclusione da due a sei anni e la multa da euro 100.000 a euro 300.000»;

          c) al terzo comma sono premesse le seguenti parole: «Nei casi di cui ai commi primo e secondo,».

 

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      9. All'articolo 2629 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, le parole: «, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000»;

          b) il secondo comma è sostituito dal seguente:

      «Il reato è estinto qualora il reo provveda all'integrale risarcimento del danno patrimoniale nei riguardi di tutte le persone offese. A tale fine il giudice, su richiesta dell'interessato, può assegnare un congruo termine, durante il quale il processo è sospeso ma non decorrono i termini di prescrizione».

      10. All'articolo 2632 del codice civile, le parole: «con la reclusione fino ad un anno» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000».
      11. All'articolo 2633 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma, le parole: «, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000»;

          b) il secondo comma è sostituito dal seguente:

      «Il reato è estinto qualora il reo provveda all'integrale risarcimento del danno patrimoniale nei riguardi di tutte le persone offese. A tale fine il giudice, su richiesta dell'interessato, può assegnare un congruo termine, durante il quale il processo è sospeso ma non decorrono i termini di prescrizione».

      12. All'articolo 2634, primo comma, del codice civile, le parole: «con la reclusione da sei mesi a tre anni» sono sostituite dalle seguenti: «con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 20.000 a euro 100.000».

 

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      13. All'articolo 2637 del codice civile, le parole: «della reclusione da uno a cinque anni» sono sostituite dalle seguenti: «della reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 100.000 a euro 300.000».

Capo II.
DISPOSIZIONI A TUTELA DEI CITTADINI UTENTI DEL SISTEMA CREDITIZIO

Art. 7.
(Sospensione delle procedure esecutive immobiliari relative alla prima casa di abitazione).

      1. Le procedure esecutive immobiliari dei mutuatari che non hanno pagato le rate dei corrispondente mutuo garantito da ipoteca su immobile contratto per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale sono sospese per anno a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge qualora il mutuatario abbia denunciato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per l'anno fiscale 2007 un reddito inferiore a 50.000 euro.

Art. 8.
(Agevolazioni fiscali sui mutui per la casa).

      1. All'articolo 15, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, relativo alle detrazioni per oneri, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'alinea, dopo le parole: «Dall'imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento dei seguenti oneri sostenuti dal contribuente,» sono inserite le seguenti: «salvo gli oneri di cui alla lettera b) per i quali si detrae un importo pari al 23 per cento,»;

 

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          b) alla lettera b), le parole: «4.000 euro», ovunque ricorrono, sono sostituite dalle seguenti: «6.000 euro».

      2. All'onere derivante dalle disposizioni dell'articolo 15, comma 1 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, pari a 350 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2009, si provvede mediante corrispondente riduzione delle dotazioni di parte corrente relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla tabella C allegata alla legge 24 dicembre 2007, n. 244.

Art. 9.
(Portabilità dei mutui bancari).

      1. Al decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 8:

              1) al comma 1, dopo le parole: «In caso di mutuo» sono inserite le seguenti: «di qualsiasi tipologia»;

              2) al comma 2, dopo le parole: «senza formalità,» sono inserite le seguenti: «anche con scrittura privata non autenticata,»;

              3) al comma 3, dopo il primo periodo è inserito il seguente: «La facoltà di surrogazione di cui al citato comma 1 non deve comportare oneri di qualsiasi natura per il mutuatario»;

              4) al comma 4, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, inclusa la detraibilità degli interessi di mutuo per l'acquisto dell'abitazione principale, ai sensi dell'articolo 15 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica

 

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22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni.»;

              5) è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «4-quinquies. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche in caso di non pagamento delle rate di mutuo fino a un periodo pari a ventiquattro mesi precedenti alla richiesta di surrogazione da parte del debitore qualora lo stesso abbia dichiarato un reddito ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per l'anno fiscale precedente quello della data della richiesta inferiore a 50.000 euro»;

          b) all'articolo 8-bis è aggiunto, in fine, il seguente comma:

      «1-bis. Per la violazione delle disposizioni dell'articolo 8 e del divieto previsto dal comma 1 del presente articolo si applica la sanzione amministrativa pecuniaria pari a una somma da 6.000 a 12.000 euro per ogni singola violazione».

Art. 10.
(Riferimento per i mutui a tasso variabile al tasso applicato dalla Banca centrale europea).

      1. Su richiesta del mutuatario, la banca deve rivedere il mutuo a tasso variabile garantito da ipoteca su un immobile, contratto per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, facendo riferimento al valore del tasso applicato dalla Banca centrale europea.
      2. La Banca d'Italia, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce con proprie disposizioni le procedure per l'attuazione di quanto disposto dal comma 1.
      3. Dalla data di entrata in vigore della presente legge i nuovi mutui a tasso variabile contratti per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale devono fare riferimento al valore del tasso applicato dalla Banca centrale europea.

 

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Art. 11.
(Tutela dei risparmiatori).

      1. All'articolo 96-bis del citato testo unico di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 3, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e le obbligazioni a basso rischio e a basso rendimento segnalate dall'Associazione bancaria italiana»;

          b) dopo il comma 3 è inserito il seguente:

      «3-bis. Le obbligazioni a basso rischio e a basso rendimento di cui al comma 3 sono ammesse al rimborso qualora il loro valore abbia subìto una perdita superiore al 25 per cento del loro valore iniziale. Per tali obbligazioni è escluso dal rimborso il 10 per cento delle perdite subite rispetto al loro valore iniziale. La Banca d'Italia disciplina con proprie disposizioni le modalità del rimborso di cui al presente comma».

Capo III
NORME IN FAVORE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE

Art. 12.
(Modifiche alla legge 30 dicembre 2004, n. 311, in materia di pagamenti).

      1. All'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 362, le parole: «31 dicembre 2004» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2008» e le parole: «alle amministrazioni dello Stato» sono sostituite dalle seguenti: «alle amministrazioni pubbliche»;

 

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          b) il comma 363 è sostituito dal seguente:

      «363. La Cassa depositi e prestiti Spa, in relazione alle cessioni di credito di cui al comma 362, dispone i pagamenti a valere su un apposito fondo istituito, con una dotazione di 2.000 milioni di euro, presso la gestione separata della medesima Cassa, le cui risorse costituiscono patrimonio destinato, ai sensi dell'articolo 5, comma 18, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. La disposizione di pagamenti in favore di fornitori di amministrazioni pubbliche diverse da quelle statali è subordinata alla condizione che le stesse abbiano provveduto a istituire nei loro bilanci un fondo analogo a quello di cui al comma 362, per crediti derivanti dalla fornitura di beni e servizi a tali amministrazioni, ceduti alla Cassa depositi e prestiti Spa dai fornitori stessi sulla base di idonei titoli giuridici, e a fronte di impegni analoghi a quanto previsto dal citato comma 362. A tale fine la Cassa depositi e prestiti Spa si avvale anche delle somme stanziate su appositi fondi istituiti dalle amministrazioni pubbliche non statali ed è autorizzata ad effettuare operazioni di cessione dei crediti acquisiti senza l'autorizzazione del soggetto ceduto»;

          c) al comma 364 è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le amministrazioni pubbliche non statali possono, analogamente, provvedere al pagamento alla Cassa depositi e prestiti Spa delle somme erogate, in un periodo massimo di quindici anni, a carico del fondo da loro stesse istituito, nonché, a decorrere dal 2006, alla corresponsione degli oneri di gestione»;

          d) al comma 365 sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Con decreto dello stesso Ministro dell'economia e delle finanze si provvede all'eventuale aggiornamento delle modalità applicative di cui al periodo precedente. I pagamenti effettuati in favore delle imprese fornitrici non possono comunque essere gravati di oneri, restando gli eventuali oneri e interessi

 

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passivi a carico delle amministrazioni debitrici»;

          e) il comma 366 è sostituito dal seguente:

      «366. Agli oneri di cui al comma 364, valutati in complessivi 70 milioni di euro annui dal 2006 al 2009 e in complessivi 120 milioni di euro annui a decorrere dal 2010, si provvede, quanto a 70 milioni di euro, mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate recate dal comma 300 e, quanto a 50 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione delle dotazioni di parte corrente relative alle autorizzazioni di spesa di cui alla tabella C della legge 24 dicembre 2007, n. 244, a decorrere dal 2010».

Art. 13.
(Fondo di garanzia per il credito alle piccole e medie imprese).

      1. Le garanzie prestate ai sensi dell'articolo 15 della legge 7 agosto 1997, n. 266, sono assistite dalla garanzia dello Stato, quale garanzia di ultima istanza.
      2. All'articolo 1, comma 847, primo periodo, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) le parole: «del Fondo di cui all'articolo 15 della legge 7 agosto 1997, n. 266,» sono soppresse;

          b) le parole: «vengono soppressi» sono sostituite dalle seguenti: «viene soppresso».

      3. Nell'ambito delle risorse di cui all'articolo 1, comma 847, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, come da ultimo modificato dal comma 1 del presente articolo, e delle risorse disponibili accertate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 28 febbraio 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2008, una somma pari a 300 milioni di

 

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euro è destinata agli interventi di garanzia di cui all'articolo 15 della legge 7 agosto 1997, n. 266.

Art. 14.
(Modifiche alla legge 27 dicembre 2006, n. 296, in materia di fondi per l'innovazione industriale).

      1. All'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al comma 841, le parole: «Al Fondo è altresì conferita la somma di 300 milioni di euro per il 2007 e di 360 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009» sono sostituite dalle seguenti: «Al Fondo è altresì conferita la somma di 300 milioni di euro per il 2007, di 360 milioni di euro per il 2008 e di un miliardo di euro per il 2009»;

          b) al comma 842, le parole: «i progetti di innovazione industriale individuati nell'ambito delle aree tecnologiche dell'efficienza energetica, della mobilità sostenibile, delle nuove tecnologie della vita, delle nuove tecnologie per il made in Italy e delle tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e turistiche» sono sostituite dalle seguenti: «i progetti di innovazione industriale individuati nell'ambito delle aree tecnologiche dell'efficienza energetica, incluse la produzione di autoveicoli, di elettrodomestici e di motori asincroni nonché le misure per il risparmio energetico anche in relazione alla ristrutturazione degli edifici della mobilità sostenibile, delle nuove tecnologie della vita, delle nuove tecnologie per il made in Italy e delle tecnologie innovative per i beni e le attività culturali e turistiche»;

          b) al comma 847, le parole: «Al Fondo è altresì conferita la somma di 50 milioni di euro per l'anno 2007, di 100 milioni di euro per l'anno 2008 e di 150 milioni di euro per l'anno 2009» sono sostituite dalle seguenti: «Al Fondo è altresì conferita la somma di 50 milioni di

 

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euro per l'anno 2007, di 100 milioni di euro per l'anno 2008 e di 500 milioni di euro per l'anno 2009».

Art. 15.
(Impegno diretto della Cassa depositi e prestiti Spa nel credito alle piccole e medie imprese e nella realizzazione di infrastrutture e di programmi di edilizia sociale).

      1. La Cassa depositi e prestiti Spa è autorizzata a concedere prestiti a banche italiane per consentire loro di fare fronte alle richieste di finanziamenti da parte di piccole e medie imprese italiane, utilizzando le risorse derivanti dal differenziale tra la raccolta effettuata da Poste italiane Spa e gli impieghi verso lo Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici e gli organismi di diritto pubblico, di cui all'articolo 5, comma 7, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
      2. La Cassa depositi e prestiti Spa è altresì autorizzata a finanziare, tramite la finanza di progetto, progetti di titolarità dei soggetti di cui all'articolo 5, comma 7, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, ma la cui realizzazione è effettuata da soggetti terzi, purché italiani, e la cui destinazione è di pubblica utilità, utilizzando le risorse derivanti dal differenziale tra la raccolta effettuata da Poste italiane Spa e gli impieghi verso i medesimi soggetti di cui al citato articolo 5, comma 7, lettera a), del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 2003.

Art. 16.
(Innalzamento dei limiti per la compensazione automatica relativa ai crediti d'imposta).

      1. Il limite di cui all'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, è

 

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elevato a 1.000.000 di euro per gli anni 2008, 2009 e 2010.
      2. Il limite annuale di cui all'articolo 1, comma 53, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, è elevato a 750.000 euro per gli anni 2008, 2009 e 2010.

Art. 17.
(Copertura finanziaria).

      1. Agli oneri ulteriori derivanti dall'attuazione della presente legge e la cui copertura non è prevista dalle disposizioni di cui alla medesima legge, pari a un miliardo di euro per l'anno 2009, si provvede ai sensi del comma 2.
      2. Per gli esercizi 2010 e 2011 le dotazioni delle unità previsionali di base di parte corrente iscritte negli stati di previsione dei Ministeri, che possono essere rimodulate ai sensi dell'articolo 60, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono ridotte, rispettivamente, per un importo pari a 1.000 milioni di euro e a 500 milioni di euro per ciascuno degli anni 2010 e 2011.


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