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PDL 2218

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2218



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato PICIERNO

Disposizioni concernenti l'accesso ai corsi universitari e delega al Governo in materia di orientamento per le scelte relative all'istruzione superiore

Presentata il 18 febbraio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - La legge che regola l'accesso ai corsi universitari è in vigore da ormai dieci anni. Una lunga applicazione della legge 2 agosto 1999, n. 264, con la quale è stata introdotta la programmazione degli accessi ai corsi di laurea di area medica, al corso di architettura e a tutti quei corsi per i quali l'ordinamento didattico prevede l'utilizzazione di laboratori ad alta specializzazione, di sistemi informatici e tecnologici, di posti-studio personalizzati di tirocinio come parte integrante del percorso formativo, consente di effettuare un'analisi dell'ormai rodato sistema introdotto.
      La legge n. 264 del 1999 prevede due diversi sistemi di «contingentamento»: il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di anno in anno, bandisce il numero di posti disponibili per le facoltà di area medica, per la facoltà di architettura e per la facoltà di scienze della formazione, mentre, a livello locale, il singolo ateneo programma l'accesso agli altri corsi individuati sulla base di un dettato normativo molto generico.
      La rilevanza penale dei fatti registratisi (basti ricordare i fatti relativi al concorso pubblico per l'anno accademico 2007/2008, dal quale sono scaturiti numerosi esposti alla procura della Repubblica e centinaia di ricorsi alla giustizia amministrativa) in sede di prove di ammissione alla facoltà di medicina e chirurgia, insieme all'esorbitante aumento delle immatricolazioni ai corsi di laurea affini a quelli di area medica, divenuti «aree di parcheggio» in attesa di ritentare la prova di accesso alle facoltà mediche, dimostrano inequivocabilmente la fallacia di un sistema di selezione basato su opinabilissimi test a risposta multipla. Così come l'eccessiva proliferazione dei corsi oggetto di programmazione a livello locale, con la conseguente impossibilità di individuare un criterio razionale nelle scelte adottate dai singoli atenei (la forte oscillazione tra il numero di corsi programmati a livello locale per l'anno accademico 2005/2006 (33 per cento del totale) e il numero di corsi ad accesso programmato per l'anno accademico 2008/2009 (12,5 per cento) costituisce prova del fatto che lo stesso sistema, su chiara indicazione dell'allora Ministro della pubblica istruzione Mussi, ha sentito il bisogno di arginare la proliferazione di «barriere allo studio») rende urgente e necessaria una rivisitazione dell'intera materia dell'accesso universitario.
      La nostra Costituzione prevede e tutela il diritto allo studio (articoli 33, 34) e riconosce il diritto alla libera esplicazione della personalità (articolo 3), principio, questo, che da solo respinge la fallace obiezione di coloro che pongono a fondamento del contingentamento degli accessi ai corsi universitari la necessità di collegare il numero degli iscritti alle facoltà mediche al fabbisogno di medici nel nostro Paese. Occorre rilevare quanto le norme che di fatto hanno regolato in questi anni la materia dell'accesso ai corsi universitari provengano da fonti assolutamente secondarie (moltissime limitazioni all'accesso trovano la loro fonte in decreti ministeriali: ad esempio l'articolo 6 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270), nel più totale spregio alla riserva di legge espressamente prevista dall'articolo 34 della Costituzione.
      Fu la stessa Corte costituzionale, adita nel 1988 per ottenere un parere di legittimità costituzionale delle norme che regolavano gli accessi (articolo 9, comma 4, della legge n. 341 del 1990, come modificato dall'articolo 17, comma 116, della legge n. 127 del 1997) a chiarire la necessità dell'intervento del legislatore nazionale per la disciplina del numero delle iscrizioni ai corsi universitari, ravvisandosi, in assenza di un chiaro dettato legislativo, una violazione della riserva di legge prevista dalla Costituzione.
      L'illogicità delle prove cui vengono sottoposti gli studenti che aspirano a immatricolarsi a corsi di laurea a numero programmato si desume dall'analisi delle ripetizioni e delle contraddizioni che si registrano confrontando i quesiti posti, in questi anni, alle migliaia di candidati (come è possibile desumere dalla relazione peritale sul test proposto per l'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia nell'anno accademico 2007/2008).
      La prassi seguita, in questi anni, nella scelta delle materie da sottoporre a quesito finisce paradossalmente per violare proprio la stessa legge n. 264 del 1999. L'articolo 4 di tale legge, infatti, prescrive che l'ammissione ai corsi di cui agli articoli 1 e 2 è disposta dagli atenei previo superamento di apposite prove di cultura generale sulla base dei programmi della scuola secondaria superiore (oggi scuola secondaria di secondo grado). Se ne evince che lo strumento del test a risposta multipla non è espressamente previsto e che, soprattutto, l'ambito della «cultura generale» dovrebbe essere circoscritto ai programmi della scuola secondaria di secondo grado e non essere relativo a tutto lo scibile umano, come di fatto avviene attualmente per quei quesiti che addirittura afferiscono al mondo dello spettacolo e del costume.
      Altrettanto paradossale appare lo screditamento che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca opera nei suoi stessi confronti, laddove da un lato promuove a pieni voti un maturando e, dall'altro, lo ritiene inadatto a frequentare un corso di studi!
      Da ultimo, non va trascurato il dato relativo alla disparità di trattamento che si consuma ogni anno a carico di quei ragazzi che non hanno i mezzi economici per frequentare i costosissimi corsi di preparazione ai test.
      Tutti i princìpi comunitari in materia sono univocamente indirizzati a incentivare l'accrescimento della conoscenza e della cultura dei cittadini come strumenti fondamentali per l'esplicazione della personalità individuale e per lo sviluppo socio-economico degli Stati membri. In tale senso, anche allo scopo di consentire la libera e automatica circolazione dei professionisti, l'Unione europea ha emanato, nel tempo, numerose direttive settoriali, successivamente abrogate e la cui normativa è in parte confluita nella direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005. Tale direttiva disciplina il riconoscimento dei titoli che autorizzano l'esercizio delle attività di medico, infermiere, dentista, veterinario, ostetrica e farmacista, e si basa sulla condizione di un'armonizzazione preventiva della formazione di accesso alle singole professioni. Ogni Stato membro, nel disciplinare il rispettivo iter formativo nel proprio sistema di istruzione e di formazione, è vincolato al rispetto dei requisiti previsti dalla stessa direttiva. Si tratta, quindi, di una direttiva che, sul presupposto del rispetto di requisiti formativi minimi comuni, prevede un meccanismo di riconoscimento professionale «quasi automatico».
      La stessa direttiva stabilisce, inoltre, le condizioni minime di formazione nel settore dell'architettura.
      La citata direttiva prescrive, in vista dell'analogia dei titoli universitari rilasciati nei diversi Paesi e del loro reciproco riconoscimento, standard di formazione minimi a garanzia che i titoli medesimi attestino il possesso effettivo delle conoscenze necessarie all'esercizio delle attività professionali corrispondenti. In tutti i casi cui la direttiva si riferisce, si prescrive che gli studi teorici si accompagnino necessariamente a esperienze pratiche, acquisite attraverso attività cliniche o, in genere, operative, svolte nel corso di periodi di formazione e di tirocinio svolti presso in strutture idonee e dotate delle strumentazioni necessarie, con gli opportuni controlli. Ciò implica e presuppone che tra la disponibilità di strutture e il numero di studenti vi sia un rapporto di congruità, in relazione alle specifiche modalità dell'apprendimento.
      Alla stregua dell'articolo 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea, la direttiva vincola gli Stati membri cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, fatta salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. Essa richiede dunque attuazione, da parte del legislatore e dell'amministrazione, secondo le regole costituzionali che ne configurano i poteri e che ne disciplinano i rapporti.
      La direttiva 2005/36/CE è stata attuata in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206. Esso detta analitiche discipline relativamente al riconoscimento dei titoli rilasciati dalle università e al diritto di stabilimento dei professionisti e, quanto alla garanzia degli standard di formazione universitaria che condizionano il reciproco riconoscimento dei titoli accademici, richiama gli obiettivi della stessa direttiva, cioè la formazione prevista dalla normativa comunitaria e l'insieme delle condizioni minime di formazione. Tali obiettivi, obbligatori per lo Stato in forza del citato articolo 249 del Trattato istitutivo della Comunità europea, valgono per dettato legislativo - indipendentemente dalla loro forza cogente diretta - nei confronti dell'amministrazione, comportando che i poteri di cui essa è dotata, nella materia oggetto di direttive, sono da esercitare secondo gli obblighi di risultato che la normativa comunitaria impone, non rilevando poi la circostanza che tali poteri siano definiti in occasione dell'attuazione delle direttive medesime o siano legislativamente previsti - come è nella specie - altrimenti.
      Quanto ai compiti del legislatore nelle riserve di legge che, come nel caso in esame, la Costituzione configura «aperte» a svolgimenti da parte dell'amministrazione, l'esistenza di direttive comunitarie esecutive comporta che l'obbligo di predisposizione diretta della normativa sostanziale entro la quale deve ridursi la discrezionalità dell'amministrazione viene alleggerendosi, per così dire, in conseguenza e in proporzione alla consistenza delle direttive medesime (fatta salva sempre, ovviamente, la possibilità per il legislatore di andare oltre, ma non contro, la normativa comunitaria).
      Tanto premesso, una volta che l'impugnato articolo 9, comma 4, della legge n. 341 del 1990, sia interpretato nel senso che esso non conferisce all'amministrazione un potere svincolato dai limiti sostanziali derivanti dall'ordinamento, risultano, negli stessi limiti, destituiti di fondamento i dubbi di costituzionalità su di esso sollevati, sotto il profilo della violazione del principio di riserva di legge ricavabile dagli articoli 33 e 34 della Costituzione.
      Infatti, nella citata direttiva 2005/36/CE si rinviene un preciso obbligo di risultato, che gli Stati membri sono chiamati ad adempiere predisponendo, per alcuni corsi universitari aventi particolari caratteristiche, misure adeguate a garantire le previste qualità, teoriche e pratiche, dell'apprendimento. Ma tali misure devono essere disciplinate con legge dello Stato. L'Unione europea chiede quindi standard qualitativi della formazione e non prescrive il contingentamento dell'accesso alle facoltà universitarie.
      Se da un lato, come chiarito, si ritiene infondata la pretesa di limitare l'accesso a un corso universitario allo scopo di collegare il numero di studenti al fabbisogno di medici, dall'altro appare necessario sfatare il luogo comune in base al quale «nel nostro Paese esiste un rapporto tra medici e popolazione residente che è tra i più alti al mondo»: il famoso fenomeno dell'esubero di medici rispetto alle esigenze del Paese (cosiddetta «pletora medica») sviluppatosi in Italia a partire dall'inizio degli anni settanta fino alla fine degli anni ottanta come conseguenza del benessere economico e sociale che ha caratterizzato le prime generazioni del dopoguerra, appare oggi assolutamente superato. La nostra esperienza di cittadini-utenti è già da sola sufficiente a farci comprendere che non sempre è facile trovare un medico nel momento del bisogno e, soprattutto, che è ancora più difficile trovare medici specializzati nella branca richiesta di volta in volta: non è un mistero che i turni al pronto soccorso continuano a essere effettuati da medici specializzandi in varie specialità e non da specialisti in medicina e chirurgia d'urgenza, e che molti ospedali italiani hanno difficoltà a coprire i ruoli vacanti in reparti di fondamentale importanza (anestesia, radiologia, neurologia, cardiologia, eccetera). Una corretta lettura del fenomeno non può prescindere dal fatto che il rapporto tra medici e popolazione viene calcolato semplicemente dividendo il numero degli abitanti per il numero degli iscritti agli ordini professionali provinciali dei medici, senza tenere in alcun conto che, di norma, i medici rimangono iscritti agli ordini professionali provinciali anche quando, raggiunta l'età pensionabile, lasciano il mondo del lavoro, e trascurando del tutto sia il tipo di specializzazione dei medici sia il crescente andamento della domanda di salute conseguente all'innalzamento dell'età media! E, dunque, considerando che attualmente il numero dei medici pensionati iscritti agli ordini professionali è ancora molto basso, mentre sono già in pensione o stanno per andare in pensione i laureati tra gli anni cinquanta, sessanta e settanta (la cosiddetta doctor boom generation), tra il 2010 e il 2015 assisteremo a una totale inversione di tendenza del fenomeno. Si rende quindi necessario confrontare i dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), in base ai quali l'Italia è ancora in testa alla classifica tra i Paesi sviluppati per quanto riguarda il rapporto tra medici e popolazione (4 medici ogni 1.000 abitanti rispetto ai 3,4 della Germania e ai 2 della Gran Bretagna e degli Stati Uniti d'America), con le preoccupazioni espresse dall'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri (ENPAM) in merito alla grave situazione economico-finanziaria che l'Ente stesso si troverà ad affrontare tra il 2010 e il 2022 per l'elevatissimo numero di pensionamenti e con quanto affermato dalla Federazione italiana dei medici di famiglia (FIMMG). Infatti, secondo il Consiglio nazionale della Fimmg (pagina 16 del Documento sulla rifondazione della medicina generale, approvato il 31 marzo 2007) «Ogni anno vengono formati 1.560 medici di medicina generale (15.600 fra 10 anni). Da oggi al 2017 andranno in pensione 25.500 generalisti. Il saldo sarà di 9.900 medici in meno. Significa che circa 11 milioni di pazienti rimarranno senza medico di famiglia». Se, in conclusione, tra dieci anni ci troveremo di fronte a una carenza di medici in età lavorativa e se, come risaputo, la formazione di un medico necessita di almeno dieci anni di studio, con quali criteri è stata valutata anche quest'anno l'offerta potenziale degli atenei? Volendo trascurare il già noto assunto in base al quale la Costituzione ci attribuisce anche il diritto a fare scelte professionali che potrebbero portare alla disoccupazione e volendo ignorare la stringente logica risiedente nel fatto che un libero accesso alla facoltà non garantisce l'automatico conseguimento del titolo, non si possono, tuttavia, ignorare i suddetti dati in base ai quali l'offerta formativa degli atenei dovrebbe crescere e non diminuire!
      Alla luce delle mancanze del sistema di selezione fino ad ora applicato delle esigenze reali del sistema formativo e professionale, soprattutto in area medica, la presente proposta di legge si prefigge di riformare in profondità le norme che regolano l'accesso ai corsi universitari.
      Attraverso gli articoli 1 e 2 della presente proposta di legge si provvede a rafforzare lo strumento più efficace nell'indirizzare gli studenti verso il percorso formativo più adatto alle loro inclinazioni e capacità personali: l'orientamento. Per orientamento s'intende un percorso che accompagna lo studente dalla scuola secondaria di primo grado fino al corso di laurea, attraverso la combinazione di azioni educative che consentano l'approccio ai vari campi del sapere e ai vari metodi di studio, nonché al mondo del lavoro, di indagini sulle inclinazioni personali dello studente, di un'adeguata promozione dell'offerta formativa dell'università, nonché di tutoraggio e di assistenza nel momento della scelta e all'inizio del percorso formativo universitario prescelto. Si interviene, per questo, sulle modalità di finanziamento dell'orientamento, oggi basate sul numero di iscritti alle diverse facoltà, per creare un circolo virtuoso tra la qualità della didattica e i fondi per l'orientamento.
      A questo scopo si istituisce, all'articolo 1, comma 4, la Commissione nazionale per l'orientamento, organo indipendente rispetto al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, e in stretta relazione con gli enti per la valutazione della qualità del sistema scolastico e universitario (l'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) e l'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR)). L'obiettivo della Commissione è la predisposizione di un piano nazionale per l'orientamento.
      Si introduce, inoltre, un sistema obbligatorio e non vincolante di preiscrizione ai corsi universitari, che consenta una migliore previsione dell'utenza da parte degli atenei ai fini di un opportuno adeguamento dei servizi e dell'offerta formativa.
      Con l'articolo 2 si attribuisce una delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi finalizzati a dare una definizione organica dell'orientamento e delle modalità di raccordo fra scuola, università, mondo del lavoro e alta formazione artistica, musicale e coreutica.
      La riforma dell'accesso ai corsi universitari pone la necessità di una distinzione fra le facoltà di area medica e gli altri indirizzi. Al fine di assicurare il mantenimento di un'elevata qualità della formazione medico-sanitaria si prevede una forma di selezione degli studenti interna al percorso formativo, sotto forma di una prova nazionale conclusiva sulle materie del primo anno di corso. Nell'articolo 3 si prevede, dunque, un accesso libero a tutti i corsi universitari dell'area medico-sanitaria, mentre l'iscrizione al secondo anno di studi è sottoposta al superamento di un punteggio minimo stabilito per l'80 per cento dal risultato di una prova obbligatoria e per il 20 per cento dal numero di esami e dalla media di votazioni conseguita. Il punteggio minimo di valutazione viene determinato con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e delle ricerca, sentita anche una commissione paritetica formata da rappresentanti del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio nazionale degli studenti universitari, tenuto conto della ricettività delle strutture di ogni corso di laurea e delle prospettive occupazionali nazionali comunitarie e internazionali.
      Vengono uniformati i piani di studio del primo anno di corso dell'area medico-sanitaria e delle facoltà affini, per assicurare pari dignità a tutti gli indirizzi e la possibilità concreta di passare a un altro corso di laurea qualora non si superi la prova al termine del primo anno. È comunque necessario mantenere la possibilità di ripetere la prova finale.
      Per i corsi di laurea in cui, invece, il contingentamento dei posti nasceva dall'esigenza di assicurare la congruità tra il numero di studenti e le strutture disponibili, nell'interesse degli stessi studenti e in ragione del profilo altamente professionalizzante di tali corsi, viene eliminata, per gli atenei che intendano includere tali corsi nella loro offerta formativa, la possibilità di prevedere contingentamenti numerici e viene introdotta la possibilità, a seguito di un'articolata istruttoria, di richiedere, alla fine del primo anno di corso, il conseguimento di un numero minimo di crediti per l'accesso al secondo anno.
      L'articolo 4 della presente proposta di legge descrive la modalità con cui si effettua la richiesta di una deroga del principio del libero accesso e i parametri in base ai quali tale deroga può essere concessa. In particolare, oltre alle strutture e al personale disponibili, si fa riferimento a esigenze specifiche del percorso formativo, quali tirocini in strutture esterne all'università, laboratori altamente specializzati e posti-studio personalizzati.
      Per quanto riguarda le modalità della prova conclusiva del primo anno di studi, l'articolo 5 prevede tutte le adeguate misure per garantire la trasparenza in fase di svolgimento e di valutazione.
      Per i corsi universitari che limitano il libero accesso, la presente proposta di legge richiede la predisposizione annuale di piani di adeguamento delle strutture e dell'offerta formativa al numero medio di richieste di accesso ricevute negli ultimi anni. Si affida alla normativa secondaria l'aumento delle risorse necessarie alla soddisfazione di tali piani di adeguamento. Secondo i dati dell'Eurostat, infatti, il nostro Paese ha un numero di laureati fortemente inferiore a quello del resto d'Europa (11,6 per cento dei maschi italiani contro il 23,2 per cento europeo, 12,8 per cento delle donne italiane contro il 22,7 per cento europeo) e al tempo stesso destina all'istruzione universitaria meno risorse degli altri Paesi dell'OCSE (meno dell'1 per cento del prodotto interno lordo, al di sotto dei finanziamenti di Cile e di Israele, mentre la spesa per studente universitario è del 40 per cento inferiore alla media dell'OCSE).
      Il fine della presente proposta di legge è quello di assicurare una maggiore apertura del sistema universitario, mantenendo una forte capacità di selezione sulla base del merito all'interno del percorso formativo. L'aumento della qualità, insieme a quello del numero dei laureati, è nel nostro Paese un obiettivo possibile se saranno stanziate le risorse necessarie e se quelle già esistenti verranno ottimizzate.
      Si ritiene, inoltre, che la presente proposta di legge possa rappresentare un superamento definitivo delle irregolarità riscontrabili in ogni edizione dei test di accesso ai corsi universitari a numero chiuso, puntando su un miglioramento complessivo del sistema universitario e sulla selezione meritocratica degli studenti.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Princìpi generali in materia di accesso ai corsi universitari e di orientamento).

      1. In conformità a quanto previsto dagli articoli 3 e 34 della Costituzione, tutti i soggetti capaci e meritevoli hanno diritto di accesso ai corsi universitari. Lo Stato rimuove gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della natura umana, assicurando la libera scelta del percorso formativo. La selezione degli studenti avviene nell'ambito del sistema universitario unicamente sulla base del merito. Nel rispetto della normativa comunitaria vigente e delle raccomandazioni dell'Unione europea in materia di criteri formativi minimi, la presente legge regolamenta la formazione, l'accesso e la permanenza ai corsi universitari secondo le modalità stabilite dagli articoli 3 e 4.
      2. Il possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado o di un altro titolo di studio equipollente, anche conseguito all'estero e riconosciuto idoneo, è condizione per l'ammissione ai corsi universitari.
      3. Entro il mese di gennaio dell'ultimo anno scolastico, le scuole secondarie di secondo grado prevedono, per gli studenti che ne fanno richiesta, la pre-iscrizione al corso di laurea o di diploma universitario indicato da ciascuno studente. La pre-iscrizione, di natura obbligatoria ma non vincolante per lo studente, è trasmessa al competente corso di laurea o diploma universitario al fine di concorrere all'adeguata programmazione dell'offerta formativa dei singoli atenei.
      4. È istituita, senza oneri per la finanza pubblica, con modalità definite dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, una Commissione nazionale per l'orientamento, di seguito denominata «Commissione».
      5. La Commissione opera in piena autonomia e comprende al suo interno una rappresentanza degli studenti iscritti ai diversi corsi universitari. Essa ha il compito di monitorare le attività di orientamento poste in essere dalle scuole secondarie di secondo grado e dalle università nonché di verificarne i risultati. Sulla base della valutazione effettuata, la Commissione fornisce indicazioni e proposte ai fini della predisposizione del piano nazionale per l'orientamento e per lo sviluppo del raccordo tra le scuole secondarie di secondo grado, le università e le istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, di seguito denominato «piano».
      6. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base delle indicazioni e delle proposte fornite dalla suddetta Commissione ai sensi del comma 5 e tenuto conto della programmazione territoriale, predispone ogni anno il piano che reca, in particolare, l'indicazione delle priorità, dei progetti e delle iniziative da realizzare e delle risorse disponibili a tale fine.

Art. 2.
(Delega al Governo).

      1. Al fine dell'attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, previo parere delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, nonché previo parere non vincolante del Consiglio nazionale degli studenti universitari, da rendere entro sessanta giorni dalla data di trasmissione dei relativi schemi, uno o più decreti legislativi in materia di accesso ai corsi universitari, in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) prevedere la realizzazione di appositi percorsi di orientamento finalizzati alla scelta, da parte degli studenti, di corsi di laurea universitari e dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica, di percorsi della formazione tecnica superiore, nonché di percorsi finalizzati alle professioni e al lavoro;

          b) prevedere il potenziamento del raccordo tra la scuola, le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e le università ai fini di una migliore e specifica formazione degli studenti rispetto al corso di laurea o al corso di diploma accademico prescelto.

Art. 3.
(Accesso ai corsi universitari dell'area medico-sanitaria).

      1. I piani di studio del primo anno accademico dei corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria, in odontoiatria e protesi dentaria, nonché dei corsi di laurea delle professioni sanitarie, ovvero individuati come di primo livello in attuazione dell'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni, concernenti la formazione del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione ai sensi dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, hanno, su specifica indicazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentito il Consiglio universitario nazionale, trenta crediti formativi in comune, dei sessanta crediti formativi richiesti, corrispondenti ai crediti formativi dei corsi di laurea affini.
      2. Gli studenti iscritti al primo anno dei corsi di cui al comma 1 accedono, al termine del primo anno di corso, a una prova obbligatoria per il passaggio al secondo anno dei rispettivi corsi. Le prove previste per l'accesso al secondo anno dei singoli corsi vertono esclusivamente sulle materie oggetto dei crediti formativi conseguiti e sono predisposte, ogni anno, dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
      3. Ai fini dell'iscrizione al secondo anno dei corsi di laurea di cui al comma 1, con decreto annuale del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sentiti il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il Ministro degli affari esteri e una commissione paritetica istituita senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica e composta in egual numero da rappresentanti del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio nazionale degli studenti universitari, è fissato un punteggio minimo di valutazione per ogni tipologia di corso di laurea, determinata assicurando la piena capacità recettiva delle strutture per tutti i predetti corsi a cui il candidato può accedere, e tenendo conto delle esigenze prospettate per il successivo quinquennio nonché delle prospettive occupazionali a livello nazionale, comunitario e internazionale, fermo restando l'impegno di assicurare un adeguato numero di accessi agli studenti provenienti dai Paesi in via di sviluppo.
      4. Il decreto emanato ai sensi del comma 3 individua il punteggio utile al fine dell'iscrizione al secondo anno dei corsi di laurea di cui al comma 1 considerando per l'80 per cento l'esito della prova obbligatoria prevista dal comma 2 e per il restante 20 per cento il numero di esami sostenuti con successo e la media dei voti conseguita dagli studenti.
      5. Al termine del primo anno dei corsi di laurea di cui al comma 1 gli studenti, mediante l'ausilio di una commissione di indirizzo composta da docenti, appositamente istituita senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, scelgono il corso di laurea; in caso di mancata acquisizione del punteggio minimo stabilito ai sensi del comma 3, è fatta comunque salva la possibilità di iscrizione al secondo anno di corsi di laurea ritenuti affini a quello inizialmente prescelto e per i quali il punteggio conseguito è valido ai fini dell'iscrizione.
      6. In caso di mancato superamento della prova obbligatoria di cui al comma 2, lo studente ha diritto a ripetere tale prova nel successivo anno accademico.

Art. 4.
(Deroga in materia di libero accesso ai corsi universitari).

      1. In deroga a quanto previsto dall'articolo 1, ogni università, mediante richiesta motivata corredata da una documentata relazione sullo stato della struttura e sulle relative dotazioni finanziarie, e previo parere favorevole, vincolante e obbligatorio, della commissione paritetica di cui all'articolo 3, comma 3, ha facoltà di richiedere al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca l'introduzione del numero chiuso nell'accesso a determinati corsi universitari. La relazione indica, per ciascun corso di laurea oggetto della richiesta:

          a) la necessità di laboratori ad alta specializzazione tecnica o comunque di posti-studio particolarmente personalizzati;

          b) l'obbligo di tirocinio come parte strettamente integrante del percorso formativo da svolgere presso strutture diverse dall'ateneo.

      2. A seguito di accurata e motivata verifica della documentazione presentata ai sensi del comma 1, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con proprio decreto, concede l'autorizzazione all'accesso a numero chiuso ai corsi universitari oggetto della richiesta.

Art. 5.
(Garanzie di trasparenza).

      1. Previo parere obbligatorio e vincolante della commissione paritetica di cui all'articolo 3, comma 3, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca provvede annualmente, con proprio decreto, a emanare disposizioni atte a garantire la trasparenza dei procedimenti di cui agli articoli 3 e 4, stabilendo, in particolare, i criteri e le modalità di nomina dei membri delle commissioni di esame, prevedendo una turnazione dei ruoli e un apposito e periodico controllo del loro operato, nonché una divisione dei loro compiti.

Art. 6.
(Piano di adeguamento per garantire il libero accesso ai corsi universitari).

      1. Le università autorizzate ad attivare i corsi universitari a numero chiuso ai sensi dell'articolo 4 sono tenute a predisporre un piano di adeguamento triennale per garantire il libero accesso a tutti i corsi universitari o, qualora ciò non sia possibile, per garantire l'accoglimento di un numero di richieste di iscrizione ai corsi universitari pari al numero medio di iscrizioni ai medesimi corsi accolte negli ultimi tre anni.
      2. In favore delle università che raggiungono l'obiettivo di assicurare il libero accesso ai corsi universitari nell'arco del triennio oggetto del piano di cui al comma 1, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dispone la concessione di finanziamenti aggiuntivi a quelli ordinariamente previsti.

Art. 7.
(Termine di applicazione).

      1. Le disposizioni della presente legge si applicano a decorrere dall'anno accademico 2009-2010.


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