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PDL N. 2168

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2168



PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

d'iniziativa dei deputati

BACCINI, BARANI, BRIGANDÌ, COLUCCI, DIVELLA, LEHNER, SARDELLI, TORRISI

Modifiche agli articoli 83, 85 e 86 della Costituzione.
Riforma dell'elezione del Presidente della Repubblica

Presentata il 6 febbraio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - I Costituenti si interrogarono a lungo sulla necessità dell'elezione diretta del Presidente della Repubblica e ciò al fine di garantire l'equilibrio tra i poteri degli organi costituzionali. Già nel 1948, infatti, l'equilibrio tra i poteri statali sembrava minacciato dalla preminenza che il Parlamento assumeva con l'articolo 67 della Costituzione, il quale si pensava potesse tracimare in assemblearismo e dare vita a fenomeni di estremismo extraparlamentare e di frazionismo parlamentare. Sotto questo profilo la scelta di riconoscere il diritto a ogni parlamentare di esercitare le proprie funzioni senza vincolo di mandato (con l'elettore) - si disse - aumentava i rischi. L'argomento principe cui si ricorse per convincere gli scettici riguardava la posizione, il ruolo e le funzioni del Presidente della Repubblica: apicale ma a rappresentatività mediata, neutra perché sub manu dell'esecutivo, di controllo e di indirizzo solo reclamativo o declamativo.
      Vittorio Emanuele Orlando, in un famoso discorso davanti all'Assemblea, sostenne che il Capo dello Stato tratteggiato dalla Costituzione non aveva forza sufficiente per contrapporsi a un'Assemblea che deteneva «tutte le leve» del potere: all'orizzonte lo statista vedeva stagliarsi la figura del Primo Ministro che, per omologia evolutiva del Governo e del Parlamento, avrebbe finito per concentrare su di sé «tutta l'autorità effettiva».
      Le contingenze storiche, in primis l'uscita dell'Italia dal fascismo, acuirono le preoccupazioni della Sottocommissione e della Commissione per la Costituente verso forme di rappresentanza diretta. Sebbene però in sede di voto non si manifestò una maggioranza chiara sul criterio di elezione del Presidente della Repubblica (in Sottocommissione il progetto venne addirittura bocciato), il sistema dell'elezione indiretta fu sancito il 21 gennaio 1947 direttamente nell'Adunanza plenaria. Nonostante l'approvazione, la scelta continuò a sollevare dubbi tanto che Ruini, Presidente della Commissione per la Costituente, nella relazione presentata all'Assemblea il successivo 6 febbraio 1947, sentì il bisogno di affermare che «alcuni pochi, ed io sono fra essi, ritenevano che, senza arrivare alla identificazione americana col Capo del Governo, fosse da ammettere la designazione del Capo dello Stato da parte del popolo, per dargli una maggiore autonomia e per stabilire un potere più durevole e più saldo, in mezzo alle fluttuazioni di forze e di partiti, che non consentono facilmente decise prevalenze e sicurezza di governi».
      A distanza di sessant'anni, con l'entrata in vigore della legge elettorale n. 270 del 2005, la quale prevede l'elezione dei deputati e dei senatori attraverso un sistema di liste bloccate e l'indicazione del candidato Primo Ministro, si è normativizzato l'esito di un percorso evolutivo, avvenuto a livello di costituzione materiale, che impone il recupero dell'equilibrio istituzionale perduto facendo però tesoro delle indicazioni premonitrici avanzate da alcuni Costituenti. L'equilibrio che si volle raggiungere con le decisioni trasferite nella Carta del 1948 è andato difatti perduto: 1) con l'evoluzione emancipatoria del Presidente del Consiglio dei ministri e con la nuova prassi giuridico-istituzionale sulla formazione del Governo; 2) con la lenta ma irreversibile trasformazione del nostro modello di Stato a seguito dell'adozione di un federalismo «dolce».
      Sotto il primo profilo nessuno può negare che l'ermeneusi del termine «proposta» (ovvero l'atto di iniziativa del Presidente del Consiglio dei ministri) in relazione alla nomina dei Ministri da parte del Presidente della Repubblica è mutata e ne offre un significato prossimo, per sostanza, a quello di «designazione» molto più lontana da quella originaria di «indicazione». Tutto è un'inevitabile implicazione del rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio dei ministri (nella sostanza Primo Ministro), il quale è investito da un mandato popolare espresso sul suo nome, sul programma della sua coalizione e sull'indicazione, quando avviene, delle personalità che intende coinvolgere per attuarlo. Questa investitura di fatto mette il Presidente del Consiglio dei ministri nella legittima condizione sostanziale di nominare i Ministri componenti l'esecutivo.
      Sotto il secondo profilo, con il recepimento parlamentare (legge n. 59 del 1997) e poi costituzionale (legge costituzionale n. 3 del 2001) delle istanze federaliste è stata modificata la distribuzione della potestà sovrana tra i componenti l'ordinamento statuale: gruppi sociali e cittadini singoli inclusi. A seguito di tali normative, i confini disegnati dalla Costituzione materiale in termini di rapporti tra Stato ed enti territoriali (e non) minori sono stati frantumati mentre l'ordinamento regionale ha mantenuto solo la denominazione dell'originario modello organizzativo e funzionale del 1948 e del 1970. La Repubblica italiana rimane parlamentare, ed a base unitaria, ma la modifica del titolo V della parte seconda della Costituzione e il disegno di legge (atto Camera n. 2105) in corso di esame alla Camera dei deputati le assicurano una deriva evolutiva più sintonica con la società contemporanea perché realizzano le condizioni per un'effettività progrediente del principio di partecipazione, il «primitivo genetico» del nostro ordinamento istituzionale.
      C'è infine un terzo motivo, secondario ma da citare, che consiglia di meditare sulla figura del Presidente della Repubblica per consentirgli un'«omologia evolutiva» con il Governo: la diversa centralità assunta dai partiti nell'attuale sistema politico.
      Dopo un breve periodo di abdicazione i partiti hanno difatti recuperato il ruolo di «cinghia di trasmissione» tra la volontà popolare e le istituzioni, causa il rientro del sistema elettorale nel sistema proporzionale, a coalizione, con premio di maggioranza e senza possibilità di indicare preferenze (legge n. 270 del 2005), come effetto della sincronizzazione tra l'esperienza del sistema proporzionale uninominale (decreto legislativo luogotenenziale n. 74 del 1946) e quella del sistema maggioritario con sensibile correzione proporzionale (legge n. 276 e n. 277 del 1993). Votare non è più soltanto votare, come invece sostiene qualcuno, e certamente non lo è più, o lo è molto meno, in Italia, dopo le ultime elezioni politiche nazionali, con le quali il corpo elettorale è riuscito a ridurre il frazionismo partitico e a indirizzare le forze politiche sulla via dell'aggregazione.
      Le novità ricordate vulnerano la funzione del Presidente della Repubblica come fulcro nell'equilibrio tra i poteri dello Stato e tra questi e il corpo elettorale e minano la sua qualità di rappresentante dell'unità nazionale. Per questo occorre una nuova fonte di legittimazione del Presidente della Repubblica. Una fonte idonea a rilanciarne la natura di organo neutro, super partes, irresponsabile ma guardiano della Costituzione e censore dello sconfinamento dei poteri. Ma soprattutto in grado di rafforzare il suo ruolo di Presidente del Consiglio superiore della magistratura per rendere performativo il principio che vuole la giurisdizione esercitata in nome del popolo e per sincronizzarne l'evoluzione con la prossima riforma della giustizia che si annuncia centripeta rispetto alla riduzione della distanza tra giudicanti e giudicati e alla trasformazione dell'organo di autogoverno dei magistrati in organo di governo dell'ordine giudiziario attraverso la riforma dei criteri di composizione.
      Il riequilibrio istituzionale che interessa il Presidente della Repubblica non può essere assicurato con l'ermeneusi costituzionale, neppure se fondata sui ricordati nuovi princìpi e prassi di costituzione materiali, perché è «zavorrato» dal principio costituzionale che ne fa esclusiva e diretta espressione del Parlamento e di una sparuta rappresentanza delle regioni. Anzi è unicamente «zavorrato» dal suo, doppiamente, indiretto collegamento con il titolare della sovranità (parlamentari designati dai vertici dei partiti politici), tanto che non occorre alcuna modifica della natura giuridica riconosciutagli né dei compiti e delle funzioni attribuitigli: non sarebbe funzionale allo scopo. È difatti sufficiente limitarsi a intervenire sulla Costituzione esclusivamente per consentire l'elezione diretta a suffragio universale del Presidente della Repubblica.
      La società italiana mostra chiaramente il proprio gradimento in tale senso. Lo fa attraverso la richiesta di maggiore stabilità di governo, l'insofferenza verso la litigiosità all'interno delle coalizioni politiche, la rirubricazione del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri, del Parlamento e della magistratura, la contestazione attiva per l'inefficienza dei dipendenti della pubblica amministrazione, la comprensione per riforme dolorose nel settore del lavoro e della previdenza. Sono tutti sintomi di una maturità democratica che impone di valutare la sottesa richiesta di maggiore partecipazione e di assecondarla con l'aggiornamento dei meccanismi di formazione degli organi istituzionali. Si tratta, in fondo, di istanze presenti e mai sopite neppure durante il periodo della Costituente e ripropostesi ogni qual volta la distanza tra volontà popolare e istituzioni si è fatta critica; di istanze la cui sottovalutazione ha prodotto l'assemblearismo e ha contribuito all'estremismo; di istanze che non possono essere soddisfatte con l'elezione dell'organo legislativo e con l'istituto referendario: per gli italiani «votare» non è più «solo votare» ma se li si costringe «solo a votare» hanno dimostrato di saper punire oltre ogni più radicale aspettativa!
      A mio giudizio, l'elezione del Presidente della Repubblica dovrebbe avere luogo secondo il seguente schema:

          1) sessanta giorni prima della scadenza dei sette anni di carica del Presidente della Repubblica, i presidenti dei partiti politici rappresentati alle Camere, i presidenti di partiti politici non rappresentati alle Camere e i presidenti di comitati promotori per l'elezione di un loro candidato, con la sottoscrizione di 100.000 elettori depositano presso la Presidenza delle Camere il nominativo di un candidato prescelto;

          2) da tale data i Presidenti delle due Camere indicono, entro trenta giorni, i comizi elettorali;

          3) al primo scrutinio, per essere eletto, è richiesto il conseguimento della maggioranza assoluta dei voti validamente espressi;

          4) nel caso di mancata elezione, si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno riportato il maggior numero dei voti ed è eletto colui che ottiene la maggioranza;

          5) all'elezione del Presidente della Repubblica partecipano tutti gli elettori iscritti nelle liste elettorali per l'elezione della Camera dei deputati;

          6) quando le Camere sono sciolte o quando mancano meno di tre mesi alla loro cessazione, l'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo entro trenta giorni dalla riunione delle nuove Camere, mentre nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente della Repubblica in carica;

          7) le modalità per il regolare svolgimento della consultazione popolare sono regolate con legge dello Stato.


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PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE

Art. 1.

      1. L'articolo 83 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Il Presidente della Repubblica è eletto a suffragio universale diretto a maggioranza assoluta dei voti validi.
      Quando non è raggiunta la maggioranza assoluta si procede al ballottaggio tra i due candidati che hanno riportato il maggior numero di voti. È eletto colui che ottiene il maggior numero dei voti.
      Sono elettori i cittadini iscritti nelle liste elettorali per l'elezione della Camera dei deputati».

Art. 2.

      1. L'articolo 85 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni.
      Sessanta giorni prima della scadenza dei sette anni i presidenti dei partiti politici rappresentati in Parlamento, i presidenti dei partiti politici non rappresentati in Parlamento o i presidenti di comitati promotori per l'elezione di un candidato alla Presidenza della Repubblica, con la sottoscrizione di centomila elettori, depositano presso la Presidenza delle Camere il nominativo di un candidato con dichiarazione autografa di accettazione della candidatura.
      Fra il sessantesimo e il quarantacinquesimo giorno antecedente alla scadenza del mandato presidenziale i Presidenti delle due Camere indicono i comizi elettorali.
      Quando le Camere sono sciolte o mancano meno di tre mesi alla loro cessazione, l'elezione ha luogo entro trenta giorni dalla riunione delle nuove Camere. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente della Repubblica in carica.
      Le modalità di elezione sono regolate con legge dallo Stato».

Art. 3.

      1. Il secondo comma dell'articolo 86 della Costituzione è sostituito dal seguente:

      «A decorrere dal giorno della constatazione di impedimento permanente o della morte ovvero dal giorno di presentazione delle dimissioni del Presidente della Repubblica, i Presidenti delle due Camere assegnano un termine di otto giorni per la designazione dei candidati ed indicono i comizi elettorali per il ventiduesimo giorno successivo, salvo i maggiori termini quando le Camere sono sciolte o mancano meno di tre mesi alla loro cessazione».


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