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PDL 2298

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2298



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GOISIS, ASCIERTO, BITONCI, BRAGANTINI, CALEARO CIMAN, CALLEGARI, COMPAGNON, CONSIGLIO, DE POLI, DONADI, DOZZO, GUIDO DUSSIN, LUCIANO DUSSIN, FORCOLIN, GAVA, GHEDINI, GIDONI, GRIMOLDI, LANZARIN, LANZILLOTTA, MILANATO, MISTRELLO DESTRO, MONTAGNOLI, MUNERATO, NEGRO, POLLEDRI, RIVOLTA, RUBINATO, VIOLA

Istituzione di un Fondo per il restauro, il recupero e la valorizzazione culturale, religiosa, turistica e sociale del complesso monastico di San Giovanni Battista del Monte Venda

Presentata il 16 marzo 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - A poca distanza dalla città di Padova, sul limitare del sistema termale aponense, la grande pianura veneta è interrotta dal complesso vulcanico dei Colli euganei, territorio oggi protetto, da sempre celebre per le rare caratteristiche naturali e le spettacolari connotazioni paesaggistiche, scelto a dimora, per le suggestioni che suscita, da Francesco Petrarca, che qui volle essere sepolto, a Tintoretto e Ugo Foscolo.
      Il sistema euganeo è dominato al suo centro dal Monte Venda, l'unica vera montagna tra l'Appennino emiliano e i contrafforti alpini, che per questo motivo, attraverso due millenni di storia, ha costituito sede di culto fin dai primordi dell'epoca paleo-veneta, successivamente in quella romana e, poi, in età medievale.
      Secondo i documenti più antichi - il primo dei quali è un lascito testamentario risalente al 3 aprile 1197 - verso l'anno 1100 un monaco benedettino della basilica padovana di Santa Giustina, Adamo da Torreglia, salì sul Monte Venda assieme ad un mite soldato per fondarvi un ascetico romitaggio.
      In un documento tardo-medievale dell'anno 1427 - riscoperto negli anni '50 dello scorso secolo grazie ai preziosi studi di un cattedratico dell'ateneo padovano, il professor Paolo Sambin - il vescovo padovano Pietro Marcello narra la storia della fondazione del monastero intrecciandola al più vasto scenario della lotta tra Papato e Impero, sviluppatasi nel ventennio tra il 1160 e il 1180 tra il Pontefice Alessandro III e l'Imperatore Federico Barbarossa.
      Dopo che questi ebbe raso al suolo Milano nel 1162, i comuni veneti si riunirono in una lega guidando la sollevazione anti-imperiale ed esponendo così i territori alla guerra e alla devastazione. Nel frattempo il Papato e l'intera Cristianità vacillavano per gli scismi provocati da ben tre antipapi, sollevati dall'Imperatore contro Alessandro III, in una situazione che sarebbe durata fino alla battaglia di Legnano dell'anno 1176, conclusa con la sconfitta di Federico Barbarossa, e alla successiva pace di Costanza nel 1183.
      Di qui la tesi estremamente suggestiva che interpreta il monaco e il guerriero come figure del Papa e dell'Imperatore, salite assieme sul Monte Venda per compiere volontaria e mistica espiazione per coloro di cui sono immagine e ottenere la pace e il ripristino dell'unità dei cristiani.
      Questa l'origine. Successivamente, la fama di santità del monaco Adamo attirò sulla cima del Monte Venda altri eremiti, tra i quali il monaco Villano da Maserà - proveniente anch'egli dalla stessa abbazia di Santa Giustina - che costruì, presso la caverna che ospitava le venerate spoglie del primo eremita, una prima rustica chiesetta dedicata all'arcangelo Michele, poi consacrata dal vescovo di Padova Gerardo degli Offreducci agli inizi del 1200, a testimonianza del legame che sempre avrebbe unito, fin dai primordi, Padova e il territorio euganeo al monastero del Monte Venda.
      Nel 1209 l'abate di Santa Giustina Stefano da Tremignon e il presbitero Alberigo da Boccon edificarono la chiesa da cui si sarebbe poi sviluppato il monastero, che venne solennemente consacrata dal vescovo di Padova Giordano con l'intitolazione a San Giovanni Battista in quanto - dice il racconto tardo-medievale - venne lì collocata la preziosa reliquia del dito indice del santo, traslato dal vescovo di Padova Giordano tra il 1214 e il 1228.
      La reliquia fu solennemente esposta nella chiesa e, attraverso di essa, si verificarono innumerevoli miracoli: il racconto attesta che ne accadevano ancora all'epoca in cui fu scritto, nel 1427. Intorno a questa reliquia miracolosa non è dato sapere di più. Si sa soltanto che essa rimase nel monastero fino alla sua soppressione, dopo di che, nel 1772, venne traslata nel duomo di Padova ove è conservata tuttora. È evidente che nel susseguirsi delle millenarie vicende della nostra storia, con tracce che si perdono tra Oriente e Occidente, tra scismi, guerre, furti e devastazioni infinite, ricostruire la storia di una reliquia non può che risultare oltremodo arduo. Sulla sua provenienza esistono comunque indizi che storicamente convergono verso la quarta Crociata. Nell'anno 1204, infatti, l'armata dei crociati, traghettata dalla flotta veneziana, prese terra a Costantinopoli, a quel tempo ancora capitale dell'Impero romano d'Oriente. Cinta d'assedio, la città venne espugnata e lungamente saccheggiata. I Veneziani, per concedere ai crociati il trasporto sulle navi, sembra avessero preteso in cambio i tre ottavi dell'intero bottino, oltre alla loro parte di oggetti sacri. Il bottino fu immenso, perché a Costantinopoli, tra le ricchezze più preziose, si annoveravano le reliquie che la madre dell'imperatore Costantino, sant'Elena, aveva ricercato e recuperato in Terra Santa intorno al 326, in un'epoca in cui i primi nuclei cristiani ancora potevano effettivamente detenere gli oggetti raccolti dai discepoli nei giorni della Passione. In larga misura i tesori e le reliquie di Costantinopoli cominciarono quindi a giungere a Venezia o almeno a transitarvi già nel 1204, e di lì, anche per l'uso, che era invalso, di distribuire frammenti per le consacrazioni delle chiese, una parte di essi prese la via dei territori limitrofi.
      A sostegno di quest'ipotesi vi è storicamente il fatto che verso il 1237 si formò stabilmente presso il duomo di Padova una fraglia, cioè una sorta di pia associazione di devoti, il cui principale scopo consisteva nell'organizzare il pellegrinaggio sul Monte Venda per onorare la reliquia del Battista in occasione delle due festività annuali a lui dedicate.
      La tradizione, come si è detto, si conservò fino al XVIII secolo, quando il monastero venne soppresso dal Governo della Repubblica di Venezia. In quell'occasione, con decreto in data 27 agosto 1772, il Senato veneto assegnò la reliquia confiscata - come tutti gli altri beni del monastero - alla stessa fraglia, la quale a sua volta, l'anno seguente, la cedette al capitolo della cattedrale padovana e, quindi, si sciolse.
      Emerge nettamente, in questo contesto, la stretta connessione esistente tra Padova, il suo territorio, le sue gerarchie civili e religiose e il monastero del Monte Venda, ritenuto evidentemente centro di un'entità più vasta e più rilevante, tanto da consacrarlo degno depositario di un bene che nel medioevo poteva certo esser ritenuto di valore assoluto e preziosissimo, quale la reliquia del Precursore di Cristo.
      Vi sono comunque altri indizi di una specialità del Venda rispetto a tutti gli altri luoghi di dedicazione e culto, e tali indizi si trovano riflessi nella situazione territoriale dei Colli euganei.
      Nel Duecento, all'epoca in cui sorgeva il romitorio del Monte Venda, la presenza monastica sui Colli non era affatto di poco conto, con una diffusione di oltre una decina di altri eremitaggi e monasteri, qualcuno dei quali avente grande importanza, come Monte Gemola, fondato dalla nobildonna Beatrice d'Este, del cui casato estense godeva la protezione.
      Esiste, in altri termini, la possibilità che lo sviluppo degli insediamenti monastici abbia seguìto uno schema in qualche misura preordinato, attraverso il quale il territorio dei Colli euganei potesse prestarsi a diventare, con la costituzione dei vari centri religiosi, una sorta di civitas Dei o un'immagine terrena della Gerusalemme celeste.
      Una possibilità del genere era del resto prefigurata dallo stesso San Benedetto, il padre dell'Ordine, che volle fondare nella regione del Monte Subiaco un sistema basato su dodici monasteri, stabilendo inoltre che i monaci stabilmente dimoranti in ciascuno di essi fossero in numero di dodici.
      Ora, in questo genere di prospettiva, il riferimento ad un luogo sacro rinvia immediatamente alla Terra Santa e, specificamente, alla città santa di Gerusalemme, la cui caratteristica principale - che si ritrova anche nel caso di Roma - è quella di essere una città estendentesi su un insieme di alture avente al centro quella fondamentale legata ad un sacrificio, che, per i cristiani, è l'altura del Monte Calvario.
      La presenza di simili caratteristiche morfologiche si ritrova manifestamente nel caso dei Colli euganei, che sono un insieme di alture collinari separate e ben individuabili.
      Quest'elemento però non è di per sé sufficiente. Vi sono altri riferimenti simbolici che, in misura prevalente, derivano dall'Apocalisse di Giovanni, libro biblico assai meditato nel basso medioevo, in cui viene descritta la città santa celeste, che è rappresentata di forma quadrata, con dodici porte, immagine del regno messianico realizzato sulla terra. Lo spazio sacro risulta quindi una dimensione quadrata avente al centro tre alture, a rappresentazione delle tre croci del Calvario.
      Questi riferimenti, morfologici e simbolici, si trovano a coincidere, nei loro termini fondamentali, nella morfologia euganea e nell'insieme di monasteri ed eremitaggi esistenti.
      Al centro, secondo lo schema, si trova la montagna più alta, a rappresentare il Calvario: questa è il Monte Venda. Quest'ultimo, poi, oltre ad essere effettivamente il più alto di tutti i Colli, possiede la suggestiva particolarità di vantare sia la memoria, sia il sepolcro di un fondatore di nome Adamo, in singolare coincidenza col fatto che sul Calvario la leggenda voleva fosse stato sepolto il primo uomo, Adamo.
      Un'altra particolarità del monastero del Monte Venda, che merita di essere segnalata, è l'anomalo orientamento della chiesa in direzione sud-est, anziché secondo il tradizionale asse est-ovest.
      In realtà non si tratta nemmeno del peculiare orientamento tradizionale legato alla festività del Santo cui la chiesa è intitolata: in questo caso l'altare risulterebbe essere rivolto al punto di levata del sole in quel particolare giorno. Per il monastero del Venda l'altare avrebbe dovuto essere rivolto a sud, corrispondente al solstizio d'estate, festa della Natività di San Giovanni. Esso non risulta nemmeno collegato alla festività di San Benedetto, il fondatore dell'Ordine, che cade il 21 marzo, in prossimità dell'equinozio di primavera, e quindi in coincidenza con l'est.
      Di qui si evince che l'orientamento a sud-est dell'altare è invece quello verso Gerusalemme, ad ulteriore prova dell'ipotesi che il sistema monastico dei Colli euganei avesse come centro il Monte Venda, rappresentazione di Gerusalemme, terra sancta.
      Dal Monte Venda, a pochi chilometri in direzione sud, si trova il borgo medievale di Arquà e qui, nella seconda delle due piazze, in un'arca marmorea, il sepolcro di Francesco Petrarca. Poco lontano vi è la casa in cui il poeta visse gli ultimi anni della sua vita e dove morì, in una notte d'estate dell'anno 1374, al suo tavolo di studio, reclinando il capo su un libro di Virgilio.
      Francesco Petrarca era giunto a Padova verso il 1348 su invito dal Podestà Jacopo da Carrara, verso il quale il poeta, come risulta esplicitamente e ampiamente dalle sue lettere, nutriva amicizia e sincera ammirazione.
      Dal canto suo, Jacopo da Carrara aveva dato dimostrazione di tutta la sua considerazione nei confronti dell'illustre protetto facendogli ottenere la nomina a canonico della cattedrale. Assieme alla nomina, Petrarca aveva anche ottenuto un'abitazione in prossimità del Duomo presso cui era istituita la fraglia di San Giovanni che, come si è detto, in occasione delle due festività annuali dedicate al santo, in giugno e in agosto, organizzava un pellegrinaggio al monastero del Venda. Attraverso di essa non mancò un interessamento di Petrarca verso la famosa reliquia e il monastero euganeo.
      L'interessamento non venne a mancare neanche in seguito, quando, nel dicembre del 1350, a Jacopo, morto pugnalato, a seguito di torbide vicende di faida familiare, succedeva Francesco.
      Come i signori del suo tempo, Francesco da Carrara era anche protettore della religione, e tale si mostrava in primo luogo nei confronti del monastero di San Giovanni del Venda, il più importante del territorio, di cui ottenne il giuspatronato, cioè il diritto di designazione del priore, assumendosi in cambio gli oneri di conservaziomne della chiesa. A quell'epoca risalgono infatti alcuni documenti, tra cui una speciale indulgenza del vescovo di Padova, lucrabile da quanti avessero utilmente operato per la costruzione di una cisterna sul Monte Venda e per apportare alla chiesa le urgenti e indispensabili riparazioni.
      A quel tempo infuriava intanto la peste nera, diffusasi già da qualche anno, e Francesco Petrarca alternava la residenza con frequenti viaggi fino al rientro definitivo a Padova su pressante richiesta di Francesco da Carrara.
      Attraverso quest'ultimo dunque, al medesimo tempo protettore sia del Petrarca che del monastero di San Giovanni Battista del Venda, si manteneva il collegamento tra il poeta e i monaci, intrecciato anche attraverso un altro amico e protettore sia del Petrarca sia del monastero del Venda, il vescovo padovano Ildebrandino Conti, con il quale, dopo la morte di Jacopo da Carrara, Francesco Petrarca era entrato in sincera amicizia, sostenuta da comuni interessi intellettuali.
      Lo stesso Petrarca, in una lettera che è pervenuta, narra di due monaci certosini, uno dei quali, francese, era priore di un'abbazia nel Delfinato, che diedero al poeta meravigliose notizie del fratello Gherardo, monaco nell'abbazia di Montrieu, magnificando l'eroismo che questi aveva mostrato durante l'epidemia di peste che aveva colpito il paese.
      Il vescovo padovano frattanto, a causa dell'epidemia, doveva far fronte al depauperamento di religiosi inclusi quelli del monastero del Venda che, nel 1351, contava appena tre monaci.
      Nel 1380, il nuovo vescovo di Padova Raimondo ne dispose il trasferimento alla congregazione dei monaci benedettini riformati di Monte Oliveto, e l'innesto nel ramo olivetano ebbe l'esito di una nuova fioritura del monastero, che conobbe un ulteriore sviluppo.
      I vescovi padovani, secondo consuetudine, ebbero a soggiornarvi di frequente, e in particolare uno di essi, il vescovo Pietro Marcello, come si è detto, rifugiatosi sul Venda per il pericolo di una nuova epidemia di peste, scrisse nell'anno 1427 la storia del luogo.
      Accanto alla presenza dei vescovi padovani - che a quell'epoca costituivano i committenti più importanti di opere - è da collegare la presenza di artisti di vario genere, tra cui spicca il nome di Tintoretto, di cui la tradizione ha mantenuto memoria anche della casa ove avrebbe soggiornato, ubicata nel sottostante paesello di Castelnuovo, in un'ampia costruzione cinquecentesca ancora ben conservata, adagiata su un suggestivo poggio che domina lo scenario settentrionale del Venda. Al Tintoretto è infatti attribuita una pala, oggi presso il museo diocesano di Padova, raffigurante il martirio di San Biagio, cui è dedicata la chiesa di Castelnuovo, nella quale è anche conservata una tela della Madonna col Crocefisso, proveniente dal monastero.
      Divenuto uno dei maggiori centri di spiritualità del Padovano, di estensione notevole e con proprietà derivanti dai lasciti in tutti i Colli euganei, il monastero del Venda ebbe quindi a subire le conseguenze delle prime norme restrittive della vita religiosa, attuate nel territorio veneto, nel pieno dell'epoca illuminista, nella seconda metà del 700.
      Il Senato veneziano, con decreto datato 12 settembre 1771, dispose infatti la chiusura di tutti i monasteri aventi meno di dodici monaci nazionali, e per tale criterio, di natura squisitamente aritmetica, venne sancita anche la soppressione di quello del Monte Venda.
      Il monastero venne confiscato, i monaci cacciati e il complesso finì quindi venduto all'asta il 26 maggio 1772. Acquirente, per la somma di 68.000 ducati, fu il patrizio veneto Nicolò I Erizzo. Successivamente, il monastero e il circondario divennero proprietà dei conti Maniscalchi di Verona e poi, per via di eredità, dei conti Giusti del Giardino, anch'essi veronesi.
      I nuovi proprietari diedero in affitto a mezzadria i fondi agricoli e i boschi, disinteressandosi dell'edificio monastico a motivo della scomoda posizione in cui sorgeva e per il fatto che non rivestiva alcun interesse, mancando la possibilità di un suo diverso utilizzo.
      Provvidenzialmente, lo stato di abbandono consentì il ritorno di alcuni monaci eremiti. Nel XIX secolo la tradizione ricorda ancora, tra gli altri, padre Elia da Marsiglia e padre Marcel da Tolosa, mentre i padri Cosimo e Massimo risultano gli ultimi monaci a lasciare definitivamente il monastero, per lo stato di estremo degrado in cui versava, alla fine del mese di agosto del 1916.
      Sebbene definitivamente abbandonato e in avanzata rovina, il monastero del Venda ha continuato a mantenere intatto, in modo un po' misterioso, il suo legame con Padova e con il territorio euganeo, così come testimoniato dal persistere di numerose tradizioni e consuetudini.
      Fino agli anni '50 del passato secolo, gli abitanti di Boccon di Vo', alle pendici del Venda, usavano ancora portare i morti fino alle rovine del monastero perché venisse qui impartita l'estrema benedizione, mentre risale a qualche decennio più tardi, per opera di privati, l'ultimo tentativo d'intervento conservativo per il consolidamento delle superstiti opere murarie e della torre campanaria.
      Ai giorni nostri, il richiamo del Venda non è cessato ma si è anzi arricchito a seguito della creazione di un tracciato naturalistico che ripercorre parzialmente, per un certo tratto, il vecchio percorso, e che trova il suo apice proprio tra le rovine del monastero, consentendo ad un gran numero di persone di raggiungere la sommità del Venda, in particolare per le due festività di San Giovanni in giugno e in agosto.
      Per l'occasione, viene qui ancora portata la campana originale del 1651, raffigurante San Giovanni Battista, e viene celebrata la messa all'interno delle rovine scoperchiate della chiesa.
      I luoghi si presentano oggi in stato di massimo degrado. Sussistono i muri perimetrali della chiesa, la torre campanaria e, parzialmente, i tracciati dei chiostri.
      L'area - ubicata in un ambito boschivo non particolarmente curato e attigua ad un comprensorio dismesso dell'Aeronautica militare - è di proprietà di un'organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS) avente la natura giuridica di fondazione, regolarmente iscritta nel Registro delle persone giuridiche presso la prefettura di Padova, risultando le finalità statutarie in accordo con i requisiti fissati dalla legge in quanto diretta al raggiungimento di finalità socialmente utili.
      La Fondazione Monte Venda ONLUS, atteso l'estremo valore storico e artistico e il legame millenario, di fatto mai cessato, con il territorio, intende recuperare integralmente il complesso monastico di San Giovanni Battista del Venda mediante la ricostruzione, per fasi successive, delle antiche strutture, nel rispetto dei vincoli artistici e architettonici nonché dei criteri fissati dalla competente Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici del Veneto Orientale, che in merito ha già espresso la propria approvazione agli elaborati di progetto presentati.
      Il progetto della suddetta Fondazione prevede il restauro e il risanamento conservativo del manufatto attraverso un intervento articolato in tre fasi. Si procederà inizialmente alla realizzazione del primo lotto, riguardante la chiesa, la cripta e la torre campanaria, successivamente a quella del secondo lotto, comprendente i due chiostri del monastero, e del terzo, concernente l'annesso rustico, gli orti e le pertinenze. Il tempo di realizzazione preventivato è di trentasei mesi.
      Al termine dei lavori, in accordo con le finalità di recupero di un monumento di inestimabile pregio rientrante a pieno titolo nel patrimonio storico e artistico nazionale, nonché in funzione delle finalità di utilità sociale che esso può svolgere, potrà trovare attuazione una serie di progetti a tali scopi dedicati.
      In tale prospettiva, nell'ambito di un più ampio richiamo alla civiltà del medioevo, quale naturale cornice del complesso, in una parte del primo chiostro il progetto prevede:

          1) la ripresa della vita monastica di una comunità benedettina olivetana, con attività liturgiche, spirituali e culturali (con particolare riguardo al canto gregoriano);

          2) la costituzione, mediante il recupero di opere ora disperse, di una biblioteca antica, aperta al pubblico. A tale riguardo sono stati reperiti alcuni volumi antichi, cui si aggiungeranno collane attuali attinenti al medesimo gruppo tematico. Si potrà procedere all'acquisizione delle opere che già facevano parte dell'antica biblioteca del monastero di San Giovanni, nonché della documentazione di archivio acquisibile, anche mediante copie digitalizzate e in formato accessibile anche ai non vedenti, ora depositate presso gli archivi di Stato di Padova e di Venezia;

          3) l'allestimento di un museo dove potranno essere esposti antichi reperti tra i quali:

              il prezioso reliquiario del dito indice di San Giovanni Battista. Detto reliquiario in argento, opera dell'arte orafa del XVI secolo, era di proprietà della fraglia di San Giovanni (che, come precedentemente detto, si costituì in Padova all'inizio del XIII secolo con sede nel battistero del duomo della Cattedrale) e si trova ora conservata nel tesoro del Museo diocesano di Padova;

              l'antica campana del 1651, appartenente al monastero, raffigurante San Giovanni Battista e la crocifissione di Gesù, ancora oggi in uso per le celebrazioni liturgiche che hanno luogo tra i ruderi in occasione delle festività di San Giovanni, nonché dell'acquasantiera in trachite, appartenente in origine al monastero;

              la statua di San Giovanni Battista in trachite, in arte gotica, ora collocata sopra il portale della chiesa della sottostante cittadina di Boccon di Vo';

              la riproduzione dell'antico portale della chiesa in trachite, ora collocato, dopo la soppressione del monastero, nella vicina chiesa di San Biagio a Castelnuovo di Teolo;

              i due altari in trachite (dei nove originari che adornavano la chiesa del monastero), ora collocati nelle vecchie chiese di Arquà Petrarca e di Gaizignano;

              un reperto del pavimento della chiesa del monastero, tipo «terrazzo veneziano»;

              mobili intarsiati dai monaci olivetani, che, in qualità di esperti e apprezzatissimi artisti intarsiatori, avevano realizzato gli stalli del coro, i mobili della sacristia, la cantoria in legno intarsiato. Un pregevole esempio delle opere eseguite dai monaci olivetani con la tecnica dell'intarsio si può oggi ancora ammirare presso il coro e la sacrestia della chiesa di Santa Maria in Organo, a Verona;

              i paramenti liturgici, tessuti, broccati, pizzi e merletti utilizzati per l'addobbo degli altari o dai celebranti nella liturgia della Chiesa, opera dell'artigianato veneziano;

              i vasi sacri e gli altri oggetti utilizzati nella liturgia, quali calici e ostensori finemente lavorati nelle botteghe orafe veneziane, ampolle in vetro soffiato con decorazioni in oro, messali miniati con taglio in oro, pergamene, candelabri in ottone e lignei, vasellame in vetro e metallico;

              un documento del 1671 raffigurante l'abate Liceo, settantanovenne.

      Il progetto prevede altresì l'allestimento di una mostra didattica interattiva, dedicata alle scolaresche, articolata in quattro sezioni tematiche:

          l'importanza dei monaci nella trasmissione della cultura (dagli amanuensi con la produzione dei volumi, le pergamene, i codici miniati, gli incunaboli fino all'invenzione della stampa; raccolta, restauro e conservazione dei volumi antichi);

          l'insegnamento impartito alle popolazioni rurali;

          la bonifica del territorio dove si insediavano i monasteri. La coltivazione della terra, la coltivazione delle piante officinali, la preparazione dei medicamenti;

          l'accoglienza dei pellegrini e dei viandanti nelle foresterie;

          l'evoluzione del lavoro e delle tecniche dal medioevo ai giorni nostri: dalle botteghe artigiane con la presenza dei garzoni agli opifici e impianti industriali.

      Nel secondo chiostro, accanto alle iniziative rivolte ai giovani, avranno luogo le seguenti attività:

          proposte di orientamento scolastico e professionale indirizzate in particolare al recupero delle antiche arti e mestieri in special modo finalizzate al restauro di documenti e libri antichi, dipinti su tela e affreschi, strumenti musicali con particolare attenzione alle tecniche di produzione delle canne d'organo e alle leghe utilizzate nelle fusioni per ottenere analoghe caratteristiche timbriche degli organi antichi.

      Si prevede altresì:

          la creazione di un apposito laboratorio di restauro dei tessuti, che potrebbe formare competenze nell'arte del ricamo;

          la realizzazione di un laboratorio di argenteria finalizzata al restauro di oggetti sacri (calici, ostensori, lampade per il santissimo, candelabri, reliquiari).

      Un altro settore che la Fondazione intende valorizzare è quello della falegnameria, con particolare riguardo alla tradizione dell'intarsio, per creare competenze artigianali tra i giovani e poter garantire il restauro qualificato della mobilia e degli arredi sacri o la creazione di mobili in stile.
      Gli antichi insediamenti pre-romani nel territorio euganeo incoraggiano l'indirizzo archeologico per il recupero e il restauro di reperti museali.
      Ovviamente sarà costruita una foresteria per l'accoglienza di pellegrini e visitatori.
      Altro aspetto importante dal punto di vista sociale è la cura degli orti del complesso del Monte Venda: i giovani potranno apprendervi tecniche di erboristeria quali la selezione di piante officinali per la successiva estrazione delle componenti curative mediante essiccazione, preparazione di specifici medicamenti naturali. La riscoperta dell'erboristeria nella cura della persona riveste al giorno d'oggi un'attenzione crescente, per cui l'attenzione alle antiche ricette dei benedettini e l'avvio di giovani in questa attività è in linea con i tempi.
      È intendimento del consiglio di amministrazione della Fondazione Monte Venda ONLUS e dei componenti del comitato storico-scientifico di far rivivere le antiche tradizioni monastiche reintroducendo la coltivazione del vitigno di uva «schiava». Si potrà realizzare anche una cantinetta dove poter dar corso alla lavorazione dell'uva prodotta per ottenere il tipico vino rosato, leggermente acidulo, di bassa gradazione alcolica, da servire ai fedeli, insieme con i gamberoni di fiume fritti, durante le celebrazioni delle feste di San Giovanni Battista.
      È prevista altresì la creazione di un alveare con la realizzazione di ambienti destinati alla preparazione del miele, della cera, del propoli, della pappa reale, di caramelle balsamiche, di sapone e shampoo. Particolare importanza rivestirà, specialmente per la liturgia, la produzione di candele in cera d'api e dei ceri pasquali, che potranno essere arricchiti con decorazioni o con l'applicazione di motivi liturgici pasquali in cera, già preconfezionati.
      Il piano crono-finanziario presenta la seguente stima:

          1o lotto: chiesa, cripta e torre (volume mc. 4.600): euro 3.455.000;

          2o lotto: monastero (volume mc. 13.200): euro 12.416.000;

          3o lotto: orti e annessi (volume mc. 2.250): euro 1.000.000;

          sub-totale euro 16.871.000.

      Si prevede altresì un ulteriore seguito di lavori riguardanti le seguenti realizzazioni:

          1) sistemazione della strada: euro 560.000;

          2) ripristino della percorribilità degli antichi sentieri medioevali: euro 480.000;

          3) recupero, ristrutturazione e risanamento dei fabbricati dell'attiguo dismesso comprensorio per adibirli a sedi di conferenze e corsi di qualificazione e riqualificazione, accoglienza di scout: euro 5.200.000;

      Sub-totale euro 6.240.000;

      Totale generale euro 23.111.000.

      La presente proposta di legge istituisce un Fondo per la realizzazione degli obiettivi sopra esposti.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Progetto per il recupero e la valorizzazione del complesso monastico di San Giovanni Battista del Monte Venda).

      1. Per la realizzazione di interventi di recupero, di restauro e di valorizzazione del patrimonio storico, architettonico, artistico, culturale e religioso del complesso monastico di San Giovanni Battista del Monte Venda è predisposto un progetto volto, in particolare, al conseguimento dei seguenti obiettivi:

          a) il recupero architettonico del complesso monastico;

          b) il restauro, da realizzare con adeguati metodi scientifici, e il risanamento conservativo dei manufatti d'interesse storico, artistico, culturale e ambientale esistenti nella zona;

          c) il censimento e l'inventario del materiale documentario e librario già appartenente all'antica biblioteca del monastero, custodito in particolare negli archivi di Stato di Padova e di Venezia;

          d) la costituzione di una biblioteca storica aperta al pubblico, con una sezione specializzata per i libri in forma digitale destinati ai portatori di handicap visivo;

          e) la costituzione di un museo per l'esposizione di reliquiari, mobili intarsiati, paramenti liturgici, dipinti su tela e affreschi;

          f) la costituzione di laboratori artigianali per la formazione dei giovani nel campo del restauro di oggetti sacri, mobili e arredi sacri, nonché nell'arte del ricamo dei tessuti;

          g) il recupero di tratti dell'antico tracciato indicante gli insediamenti pre-romani;

          h) la costituzione di laboratori negli orti per lo studio e l'apprendimento delle antiche tradizioni monastiche concernenti la preparazione di medicamenti erboristici e per la coltivazione del vitigno dell'«uva schiava»;

          i) la costituzione di un alveare e di un laboratorio per la preparazione del miele, della cera, del propoli, di candele in cera d'api e altri prodotti dell'apicoltura;

          l) l'allestimento di spazi interattivi per l'attuazione di progetti scolastici didattico-formativi.

      2. Il progetto di cui al comma 1 è attuato entro l'anno 2014, secondo le modalità stabilite dagli articoli 2 e 3.

Art. 2.
(Finanziamento del progetto).

      1. Per l'attuazione del progetto di cui all'articolo 1 è istituito nello stato di previsione del Ministero per i beni e le attività culturali un Fondo con la dotazione complessiva di 24 milioni di euro per il quinquennio 2009-2013.
      2. Gli importi del Fondo di cui al comma 1 sono trasferiti dal Ministero per i beni e le attività culturali alla Fondazione Monte Venda ONLUS, in cinque annualità, per l'attuazione del progetto di cui all'articolo 1.

Art. 3.
(Relazione).

      1. La Fondazione Monte Venda ONLUS, entro il 31 marzo di ciascun anno fino al termine della realizzazione del progetto di cui all'articolo 1, presenta alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso una relazione giurata sui lavori svolti nell'anno precedente, sullo stato di avanzamento della realizzazione del progetto e sull'impiego del finanziamento ottenuto.

Art. 4.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
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