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PDL N. 2167

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2167



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

PELINO, SBAI

Modifica all'articolo 275 del codice di procedura penale, concernente la disciplina dei criteri di scelta delle misure cautelari da applicare nei procedimenti per reati di violenza sessuale

Presentata il 5 febbraio 2009


      

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Onorevoli Colleghi! - Un rapporto stilato da Amnesty International in merito alle violenze sulle donne ha reso noto che, a livello mondiale, almeno il 20 per cento delle donne ha subìto abusi fisici e violenze sessuali. Purtroppo la violenza sulle donne è la violazione dei diritti umani più diffusa, più socialmente «subita» e più difficile da contrastare; essa è presente in tutti i Paesi, in tutte le società e in tutte le culture, tocca tanto la sfera pubblica quanto quella privata e si manifesta a livello psicologico in maniera distruttiva per la vittima alla stregua o forse ancora più che a livello fisico.
      Una relazione approvata dall'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 2006 ha definito la violenza contro le donne come «ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o nel privato». Purtroppo anche nel nostro Paese la violenza sulle donne continua a manifestarsi con una frequenza sconcertante; assistiamo, infatti a un'escalation di violenza metropolitana e nei piccoli centri che, senza eccezioni e riserve, colpisce donne e minori in ogni luogo, con «raid» criminali perpetrati anche in branco, anche da minori, anche alla presenza di congiunti delle povere vittime, altrettanto oggetto di sevizie e di traumi di ogni genere. Violenze spesso concluse con l'omicidio della vittima. Soprattutto negli ultimi anni si è assistito a un drammatico aumento dei casi di stupro su donne e, fatto ancora più grave, su ragazze minorenni. Negli ultimi tempi, fino ai noti fatti di questi giorni, questo orrendo crimine ha sconvolto l'opinione pubblica in tutta l'Italia. La capitale è stata attonita testimone dei crimini del «branco» di Guidonia e degli stupri di Capodanno e di Primavalle e, ancora, si possono citare la violenza a una bambina di dodici anni, abusata a Torino dal fidanzato della madre, lo stupro di gruppo a Vittoria, in provincia di Ragusa, e tanti altri episodi simili verificatisi anche tra minori, dove la devianza sessuale purtroppo sta dilagando. Allarmanti sono i dati del rapporto dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) del febbraio 2007 sull'indagine dedicata al fenomeno della violenza fisica e sessuale contro le donne, iniziata nel 1998 su mandato del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri e finanziata con i fondi del programma operativo nazionale «sicurezza» e «azioni di sistema» del Fondo sociale europeo: sono stimate in 6.743.000 le donne dai 16 ai 70 anni di età vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita e nella quasi totalità dei casi le violenze non sono state denunciate. Il sommerso è elevatissimo: raggiunge il 96 per cento delle violenze da un non partner e il 93 per cento di quelle dal partner. È consistente la quota percentuale di donne che non parla ad alcuno delle violenze subite (33,9 per cento per quelle subite dal partner e 24 per cento per quelle subite da un non partner), per non parlare dello stupro, che rappresenta il 69,7 per cento della percentuale delle violenze, e della violenza morale e psicologica, subita da oltre 7 milioni di donne. Molte delle vittime, inoltre, hanno subìto violenza reiterata, che avviene più frequentemente da parte del partner che del non partner (il 67,1 per cento del primo caso contro il 52 per cento del secondo caso). L'ISTAT afferma che «il rischio di subire uno stupro è tanto più elevato quanto più stretta è la relazione tra autore e vittima». Solo negli anni 2004-2006 si erano verificati 118.000 casi e purtroppo, con particolare riguardo all'evoluzione del fenomeno nell'ultimo triennio, a subire le violenze erano state sempre più spesso le ragazze giovani, a conferma di un trend al quale avevano assistito, da un lato, l'opinione pubblica, sempre più sconcertata e spaventata, e, dall'altro, le istituzioni, sempre più impotenti. Tali dati sono, purtroppo, rimasti sostanzialmente identici se non, addirittura, in crescita come testimoniano i tragici fatti di cronaca dei mesi recenti.
      Dopo anni di dibattiti in Parlamento e nell'opinione pubblica è stata approvata nel nostro Paese la legge 15 febbraio 1996, n. 66, contro la violenza sessuale, con la quale, finalmente, si è ottenuto che la violenza sessuale non fosse più considerata un reato contro la morale pubblica - come fino ad allora previsto dal codice penale - ma contro la persona. Con la citata legge n. 66 del 1996 sono stati cambiati anche i termini processuali, con l'inversione dell'onere della prova, grazie alla quale non è più la vittima a dover «dimostrare» di essere stata stuprata, ma l'aggressore a dover dimostrare di essere innocente. Le modifiche introdotte nei codici penale e di procedura penale dalla medesima legge n. 66 del 1996 tuttavia, pur avendo segnato un momento certamente importante nella lotta alla violenza sulle donne nel nostro Paese, non sono, ad oggi, sufficienti a combattere un fenomeno che continua a essere troppo diffuso e che, seppur esplicitato, raccontato e descritto oggi molto più di prima, è purtroppo una forma di abuso tutt'altro che sconfitta, una piaga sociale che degenera nella xenofobìa e nell'allarme sociale, in fenomeni che colpiscono le città e le famiglie come un vulnus inestinguibile di rabbia e di impotenza.
      Sono all'esame del Parlamento diversi progetti di legge, anche d'iniziativa governativa, contro la violenza sessuale, coniugata nei suoi molteplici aspetti sia di inquadramento giuridico che sanzionatori.
      Grave è anche il dissenso dell'opinione pubblica sulle pene (o sulle misure coercitive) inflitte ai criminali stupratori e anche assassini, un movimento indignato che travolge l'operato della magistratura fino a rendere il fenomeno della violenza sessuale di dimensioni incontenibili. La stampa riporta lo sdegno: efferatezze che suscitano orrore, indignazione e rabbia. Mai più condanne come quella a soli 29 anni di reclusione per l'omicidio della signora Giovanna Reggiani, il cui aguzzino rumeno ha ricevuto uno sconto di pena in ragione della fiera resistenza della sua vittima. Per non parlare, poi, della concessione degli arresti domiciliari allo stupratore di Capodanno, disposti in base alla buona condotta giudiziaria del giovane, o ai due rumeni accusati di favoreggiamento nello stupro del «branco» di Guidonia. Ma l'opinione pubblica invoca, e pretende, misure cautelari e più severe, come il mantenimento della custodia cautelare in carcere. Il Governo tanto sta facendo: oltre al nutrito pacchetto di misure contro la violenza sessuale e i maltrattamenti all'esame del Parlamento, è stato recentemente approvato dall'Assemblea della Camera dei deputati (atto Senato n. 1348) il delitto degli atti persecutori (stalking), prevedendo pene severe e misure preventive e cautelative in favore delle donne e dei congiunti vittime dello stalker, reato già da anni previsto nei Paesi del common law, e reato federale negli Stati Uniti d'America. Altro dato rilevante è che lo scorso 28 gennaio la Camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza mozioni bipartisan - segno di ampia condivisione politica di contrasto al preoccupante fenomeno - nelle quali si impegna il Governo a porre in essere tutte le iniziative finalizzate alla prevenzione e alla repressione del fenomeno della violenza sessuale, nel riconoscimento delle prioritarie esigenze di sicurezza dei cittadini e dei territori coinvolti da questi drammatici episodi, progettando programmi d'intervento sotto tutti i profili, dall'educazione e dalla formazione ai diritti umani, al supporto informativo, psicologico e giuridico alle vittime, aiutate anche dal gratuito patrocinio giudiziale, al potenziamento della rete dei centri anti-violenza, alle campagne di informazione anche attraverso siti istituzionali e di servizio di radio-diffusione nazionale. È un segnale positivo e confortante, ma non basta. Oltre a questo occorre intraprendere iniziative legislative per restituire fiducia alla società, alle amministrazioni cittadine, alle comunità, alle donne e alle stesse vittime di questi atroci delitti, spesso abbandonate alla solitudine del loro dramma indelebile. Ciò al fine di garantire una risposta efficace e determinata da parte delle istituzioni nazionali, in ragione del grave allarme sociale suscitato da tali delitti. In particolare, emerge la necessità che la magistratura, pur nel rispetto della propria autonomia, possa disporre di norme che, riducendo la discrezionalità del singolo giudizio, garantiscano non solo la certezza della pena, ma anche la piena sicurezza della comunità civile e la tutela della dignità delle vittime e delle relative famiglie, per dare un segnale di forza e di intransigenza verso chi si rende colpevole di reati infamanti come la violenza sessuale. L'opinione pubblica è allarmata, anche in considerazione del recente aumento di questo genere di delitti commessi contro le donne, quasi al limite della psicosi collettiva. In quest'ottica la presente proposta di legge interviene in tema di modifiche al codice di procedura penale, relativamente alla parte che disciplina i criteri di scelta delle misure cautelari, e quindi delle limitazioni alle libertà della persona, che possono essere disposte - anche a causa delle esigenze cautelari di cui all'articolo 274 del medesimo codice, che in caso di tali delitti non dovrebbero comportare restrizioni nell'inflizione delle misure previste - soltanto a norma di quanto previsto dal capo I del titolo I del libro quarto del codice di rito, da applicare, in via estensiva, anche in caso di reati di violenza sessuale. Attualmente, il codice di procedura penale, all'articolo 275, recante «Criteri di scelta delle misure», comma 3, stabilisce che si può disporre la custodia cautelare in carcere se ogni altra misura risulti inadeguata (lasciando perciò il vincolo che le esigenze cautelari, nel caso concreto, siano tutelabili anche con la sola misura coercitiva degli arresti domiciliari). Quindi, con carattere residuale in favore della pena minore. La decisione spetta al giudice che, in autonomia e secondo diritto, decide circa la natura della misura coercitiva, ovvero cautelare. Soccorrono i criteri valutativi, nel disporre le misure da parte del giudice: egli deve tenere conto della specifica idoneità di ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto. Comunque, rimane l'autonomia valutativa del giudice, legata al fatto, però, che ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o che possa essere irrogata. In tale contesto interviene la presente proposta di legge, inserendo la previsione della custodia cautelare in carcere, sempre quando sussistono gravi motivi di colpevolezza, non solo come è attualmente previsto in ordine ai delitti di associazione di tipo mafioso (articolo 416-bis del codice penale) ovvero al fine di avvalersi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis di agevolare l'attività delle associazioni ivi previste, ma anche in ordine ai delitti di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e di atti di violenza sessuale di gruppo, le cui pene edittali reclusive sono del tutto simili alle fattispecie delittuose già contemplate. Al fine, perciò, di contemplare nel nostro ordinamento misure più restrittive, per difendere le donne e per dare un segnale confortante alla collettività nonché come deterrente alla commissione di simili orrendi delitti, fatta salva la riforma in atto di tali reati presso il Parlamento, l'articolo unico della presente proposta di legge introduce nell'articolo 275 del codice di procedura penale un nuovo comma, con cui si prevede una limitazione al sistema di discrezionalità del giudice per il tipo di misura (in questo caso cautelare in senso assoluto e non più residuale rispetto alla più lieve misura coercitiva degli arresti domiciliari) da imporre nel caso in cui sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 609-bis (violenza sessuale), 609-quater (atti sessuali con minorenne) e 609-octies (violenza sessuale di gruppo) del codice penale. In particolare si individua nella custodia in carcere la misura idonea a soddisfare le esigenze cautelari per i reati in questione, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Tale norma mira al rafforzamento del principio per cui nell'ordinamento italiano il delitto di violenza sessuale costituisce un reato di allarme sociale e contro la sicurezza pubblica, tale da giustificare un'efficace azione di contrasto e di prevenzione, che non può prescindere da un potenziamento delle misure cautelari, anche in relazione alla tutela della dignità della vittima e al corretto esercizio dei suoi diritti e dello svolgimento del processo.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo il comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale è inserito il seguente:

      «3-bis. La custodia cautelare in carcere può, altresì, essere disposta, non ricorrendo l'alternativa dell'inadeguatezza di ogni altra misura, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari».
    
    


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