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PDL N. 2019

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2019



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

ROSSA, BACHELET, D'ANTONA, TENAGLIA, FERRANTI, AMICI, ANGELI, BERNARDINI, BOSSA, BRANDOLINI, CASSINELLI, CAUSI, CONCIA, CORSINI, COSCIA, DE ANGELIS, DE BIASI, ESPOSITO, FADDA, FARINA COSCIONI, FERRARI, ANIELLO FORMISANO, FRASSINETTI, GIACHETTI, GIULIETTI, GRANATA, LENZI, LEVI, LOLLI, LOVELLI, MARTELLA, MAZZARELLA, MECACCI, NACCARATO, NANNICINI, NICOLAIS, OLIVERIO, ANDREA ORLANDO, PELUFFO, PES, PICIERNO, RAMPI, REALACCI, RECCHIA, ROSATO, SARDELLI, SCARPETTI, SIRAGUSA, TEMPESTINI, NUNZIO FRANCESCO TESTA, TIDEI, TORRISI, TOUADI, TRAPPOLINO, TULLO, MAURIZIO TURCO, VELO, VILLECCO CALIPARI, ZAMPA, ZAMPARUTTI, ZUNINO

Modifica all'articolo 176 del codice penale, concernente la concessione della liberazione condizionale

Presentata il 16 dicembre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge contiene misure volte a modificare i requisiti attualmente richiesti per la concessione della misura della libertà condizionale, prevista dall'articolo 176, primo comma, del codice penale. Viene prevista la sostituzione del criterio del «sicuro ravvedimento» (che chiama in causa il diretto coinvolgimento delle vittime e dei loro familiari attraverso «un fattivo instaurarsi di contatti con i familiari delle vittime quale indice di manifestazione di quelle forme di interessamento per le sorti delle persone offese, le quali tengono luogo del concreto sacrificio economico richiesto») con il requisito della conclusione positiva del percorso rieducativo, previsto dall'articolo 27 della Costituzione: si rimanda, dunque, a criteri non più soggettivi ma oggettivi, quali la partecipazione attiva e consapevole all'opera di rieducazione, il comportamento nel corso dell'esecuzione della pena, l'ottenimento dei benefìci penitenziari (permessi, lavoro esterno, semilibertà) nonché l'impegno sociale e lavorativo a dimostrazione della volontà di reinserimento nella società.
      La finalità della rieducazione del detenuto attraverso il suo riavvicinamento alla società permea di sé tutto l'istituto della liberazione condizionale, che consiste nella possibilità, in presenza di alcuni requisiti, di concludere la pena all'esterno del carcere in regime di libertà vigilata.
      Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 204 del 1974) «L'istituto della liberazione condizionale rappresenta un particolare aspetto della fase esecutiva della pena restrittiva della libertà personale e si inserisce nel fine ultimo e risolutivo della pena stessa, quello, cioè, di tendere al recupero sociale del condannato». La concessione della libertà condizionale, che rappresenta uno strumento di «individualizzazione» del trattamento penitenziario del condannato, attualmente richiede, tra i requisiti fondamentali, l'accertamento del sicuro ravvedimento del condannato (articolo 176, primo comma, del codice penale). L'elemento del sicuro ravvedimento, quale elemento necessario per la concessione della liberazione condizionale, rimanda, in realtà, a un concetto che, per la sua natura legata a fattori che incidono sulla sfera più intima della persona, presenta, come è stato dimostrato dalla sua concreta applicazione, notevoli difficoltà di interpretazione e disomogeneità nell'individuazione.
      Dai molteplici interventi in capo alla giurisprudenza di legittimità si può evincere come la verifica di tale presupposto sia stata, solitamente, basata sull'esistenza di alcuni requisiti, quali la comprovata buona condotta carceraria, i progressi compiuti dal condannato nel corso del trattamento rieducativo, confermati dall'assiduità al lavoro e alla formazione e all'apprendimento, nonché dai buoni rapporti, impostati sul rispetto e sulla correttezza, con il personale di custodia e con gli altri detenuti, sintomatici di un'evoluzione della personalità improntata al recupero del senso di responsabilità delle proprie determinazioni, e alla revisione delle motivazioni che lo avevano indotto a scelte criminali e al definitivo abbandono dei valori sui quali tali scelte si fondavano (così, tra le molte, Cassazione penale, sezione I, 27 giugno 1990, Variale).
      Si è precisato, altresì, che tale ampia valutazione della personalità del condannato, nella sua evoluzione necessaria affinché sia configurabile il ravvedimento, deve tenere conto «oltre che della sua condotta carceraria, del suo atteggiamento interiore in relazione al fatto commesso, della sua volontà di reinserimento nella società dedotta dall'interesse dimostrato per i valori etici e sociali, dalle manifestazioni di altruismo e solidarietà, ma anche dall'interesse per le vittime del reato e il fattivo intendimento di ripararne le conseguenze dannose» (Cassazione penale, sezione I, 19 novembre 1990, Porcu; 7 aprile 1993, Procuratore generale in procedimento Cerea).
      Sulla valutazione del ravvedimento si segnala ancora la sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2001, nella quale si precisa che l'indice dell'avvenuta rieducazione, qualora il condannato non abbia i mezzi adeguati per l'adempimento delle obbligazioni civili, dovrà essere tratto da forme alternative di ravvedimento ravvisabili nel fatto che «in simile evenienza il condannato dimostri solidarietà nei confronti della vittima, interessandosi delle sue condizioni e facendo quanto è possibile per lenire il danno provocatole». È proprio questo tipo di interpretazione, che chiama in causa direttamente le vittime del reato e i loro familiari, che si presta alle maggiori difficoltà applicative e che lascia, dunque, maggiore spazio a disomogeneità legate all'intrinseca difficoltà di lettura profonda della relazione tra condannato e vittima del reato.
      Con il riferimento alla «conclusione del percorso rieducativo di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione», proposto quale nuova condizione (più agevolmente indagabile e accertabile) necessaria al condannato per essere ammesso alla liberazione condizionale, l'istituto della liberazione condizionale assume un nuovo e più incisivo peso: si «libera» un istituto che rappresenta un peculiare aspetto del trattamento penale dalle difficoltà legate all'accertamento di un requisito, quello del «sicuro ravvedimento», troppo aleatorio, e si restituisce al suo naturale ambito di applicazione, che presuppone di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena ma anche, necessariamente, di predisporne tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle. Sulla stessa linea, in tempi recenti, si è collocata la sentenza n. 129 del 2008, sempre della Corte costituzionale, che ha ribadito la necessità che la pena debba tendere a rieducare e che indica una delle qualità essenziali della pena nel suo contenuto ontologico e non solo nella fase esecutiva, bensì in tutte le fasi in cui può essere distinta.
      La finalità rieducativa della pena deve dunque «riflettersi in modo adeguato su tutta la legislazione penitenziaria», la quale deve determinare «modalità e percorsi idonei a realizzare l'emenda e la risocializzazione del condannato, secondo scelte del legislatore che, nella loro varietà tipologica e nella loro modificabilità nel tempo, devono convergere nella valorizzazione di tutti gli sforzi compiuti dal singolo condannato e dalle istituzioni per conseguire il fine costituzionalmente sancito della rieducazione».
      La rieducazione e il recupero del condannato, dunque, non devono operare solo ed esclusivamente nell'ambito dell'esecuzione della pena, ma devono costituire un tassello fondamentale del percorso rieducativo del reo, costituzionalmente segnato. L'«individualizzazione» del trattamento, che prevede interventi elaborati e programmati in considerazione della personalità del detenuto, fa emergere una tendenziale identificazione del concetto di rieducazione con quello di recupero del condannato, andando con decisione nella direzione, indicata come una «necessità costituzionale», che la pena debba tendere alla rieducazione, una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e che l'accompagnano da quando nasce fino a quando in concreto si estingue.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il primo comma dell'articolo 176 del codice penale è sostituito dal seguente:

      «Il condannato a pena detentiva che durante il tempo di esecuzione della pena abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere concluso positivamente il percorso rieducativo di cui all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni».


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