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PDL 1976

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1976


PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

CODURELLI, DAMIANO, GATTI, GNECCHI, BOCCUZZI, BELLANOVA, RAMPI, AMICI, SCHIRRU, MATTESINI, BERRETTA, MADIA, MIGLIOLI, SERVODIO, LENZI

Disposizioni per la tutela delle vittime di vessazioni o maltrattamenti psicologici nell'ambito dell'attività lavorativa (mobbing)

Presentata il 2 dicembre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Nonostante la disciplina in materia di tutela dei lavoratori sia particolarmente avanzata nel nostro Paese, l'esperienza quotidiana degli ultimi anni sta facendo emergere la rilevanza del mobbing, fenomeno caratterizzato da una serie di atti e di comportamenti vessatori nei luoghi di lavoro che, pur non essendo penalmente perseguibili, incidono in misura determinante sulle condizioni fisiche e psicologiche dei lavoratori.
      Si tratta di situazioni vessatorie, attentamente studiate dalla sociologia e dalla psicologia del lavoro, derivanti anche dai profondi mutamenti sopravvenuti nel mondo del lavoro (flessibilità, intensificazione dei ritmi, competizione esasperata, inserimento di sempre maggiori elementi di contrattazione individuale rispetto a quella collettiva eccetera) e che rappresentano attualmente uno dei problemi più gravi nella vita professionale delle persone.
      La letteratura anglosassone ha dedicato particolare attenzione al tema, definendo con l'espressione «mobbing» tutti quegli atti e comportamenti assunti prevalentemente dai datori di lavoro, ma in qualche caso anche dai soggetti sovraordinati o addirittura da colleghi pari grado che, traducendosi in atteggiamenti vessatori posti in essere con evidente determinazione, arrecano danni rilevanti alla condizione psico-fisica dei lavoratori che li subiscono. I danni, che incidono sulla salute e sull'autostima del lavoratore, possono scatenare anche condizioni di grave depressione; in Svezia si stima che addirittura il 15 per cento dei suicidi è attribuibile al mobbing.
      La «sindrome da mobbing» è un male sociale sempre esistito, anche se non ha nulla a che fare con il fenomeno già noto del cosiddetto «fantozzismo», in quanto spesso colpisce lavoratori preparati e capaci, ma che nonostante ciò divengono vittime di discriminazioni e di terrorismo psicologico sul luogo di lavoro.
      Tuttavia, è solo da poco tempo che il mobbing si è posto all'attenzione di sociologi, psicologi del lavoro, psichiatri e magistratura, evidenziando l'esigenza di proteggere la persona sul luogo di lavoro sotto il profilo sociale, etico e morale.
      È importante avere presenti le legislazioni che alcuni Paesi europei hanno adottato per contrastare il fenomeno.
      La Svezia è stato il primo Paese europeo a dotarsi di una legge nazionale sul mobbing, entrata in vigore il 31 marzo 1994, recante misure contro ogni forma di «persecuzione psicologica» negli ambienti di lavoro, integrata successivamente, nel 1997, con nuovi atti dispositivi relativi alle misure da adottare contro le forme di persecuzione psicologica in ambito lavorativo.
      La Norvegia ha introdotto, fin dal 1977, una specifica previsione di tutela contro il mobbing all'interno della legge sulla tutela dell'ambiente di lavoro.
      La Francia si è dotata di una delle leggi più organiche in materia di mobbing dal 2002 (lutte contre le harcèlement moral au travail), disponendo esplicitamente che: «Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità del lavoratore, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale.
      Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di riclassificazione, di qualificazione o classificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subìto, o rifiutato di subire, i comportamenti definiti nel comma precedente o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti».
      Con questa legge del 17 gennaio 2002 la Francia è, dopo la Svezia, il secondo Paese comunitario a essersi dotato di uno strumento legislativo per la lotta contro il mobbing.
      Le due peculiarità della legge francese riguardano: l'introduzione dell'istituto dell'inversione dell'onere della prova - per cui è il soggetto accusato di aver posto in essere azioni dirette o indirette di violenza morale in ambito lavorativo a dover dimostrare l'estraneità da qualsiasi forma di responsabilità - e l'introduzione di un'apposita figura di reato, con l'inserimento nel codice penale francese di una nuova sezione intitolata all'harcèlement moral, contenente una norma che sanziona espressamente «il fatto di molestare gli altri attraverso comportamenti ripetuti aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale», con la pena della reclusione fino a un anno o della multa di 15.000 euro.
      Anche il Belgio ha regolamentato il fenomeno con legge (Loi relative à la protection contre le violence et le harcèlement moral ou sexuel au travail, dell'11 giugno 2002), che prevede l'obbligo per il datore di lavoro di designare, in accordo con i rappresentanti dei lavoratori, un consigliere per la prevenzione con spe-cifiche competenze psico-sociali in particolare riferite all'ambiente lavorativo. Già da alcuni anni poi, grazie all'azione svolta dal sindacato, si è costituita presso i servizi pubblici per la prevenzione e protezione sul lavoro una commissione «d'avviso» composta da rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, con lo scopo di offrire ai lavoratori vittime del mobbing un'assistenza al di fuori della realtà lavorativa.
      In Spagna è assente una disciplina specifica sul mobbing (tradotto con il termine «acoso moral»), ma il dibattito sull'opportunità di un intervento legislativo è fervido, come si desume dalla presenza al Congreso de los Deputatos, e nei vari parlamenti regionali, di diverse proposte di legge di regolamentazione normativa della fattispecie, nonché di modifica della legge in materia di salute e sicurezza, in maniera tale da includere la prevenzione dell'acoso moral tra le obbligazioni del datore di lavoro.

      In Germania, pur non essendoci una legge specifica, vi sono segnali importanti come l'accordo firmato tra il sindacato e la Volkswagen, fin dal 1996, con l'obiettivo di prevenire molestie sessuali, mobbing e ogni forma di discriminazione e di creare un clima di lavoro positivo basato sulla reciproca collaborazione, e l'accordo del 1988 per contrastare il mobbing nell'area del pubblico impiego.
      Anche nel diritto austriaco si rinviene un'esplicita menzione del mobbing, all'interno del piano d'azione per la parità uomo-donna approvato il 16 maggio 1998, dove si ravvisa che «tra i comportamenti che ledono la dignità delle donne e degli uomini nel luogo di lavoro vanno annoverati in particolare le espressioni denigratorie, il mobbing e la molestia sessuale. Le collaboratrici devono essere edotte sulle possibilità giuridiche di tutela dalle molestie sessuali».
      Inoltre, vanno ricordate le numerose prese di posizione a livello internazionale per contrastare il fenomeno, in particolare da parte delle organizzazioni specializzate dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), come l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), che hanno promosso azioni contro la violenza sul luogo di lavoro. Nel corso della Conferenza internazionale sul trauma sul luogo di lavoro tenutasi l'8 e il 9 novembre 2000 a Johannesburg, intitolata «La violenza sul lavoro: la minaccia globale», è stato riconosciuto il grande impatto sul lavoro della violenza psicologica, cui ricondurre diversi atti e comportamenti, tra cui il mobbing e il bullyng.
      Nel settembre 2001, il Parlamento europeo, attraverso una specifica risoluzione sul mobbing sul posto di lavoro [2001/2339(INI)], ha evidenziato la necessità per gli Stati membri di approfondire lo studio del fenomeno, al fine di pervenire ad una comune definizione della fattispecie del mobbing, esortando gli Stati membri, le parti sociali e le istituzioni comunitarie a delineare un programma d'azione per contrastarlo. Dell'impegno comunitario si trova traccia già nella decisione n. 2003/578/CE del Consiglio, del 22 luglio 2003, alla quale sono seguite altre decisioni in materia, fino alla decisione n. 2005/600/CE del Consiglio, del 12 luglio 2005 (le cui disposizioni sono state confermate anche dalle successive decisioni) sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri in favore dell'occupazione, nella quale si sollecitano gli Stati membri a promuovere e ad adottare misure atte a combattere le discriminazioni sul posto di lavoro, nell'ottica di una complessiva attività di promozione di coesione sociale.
      L'Italia, a differenza di altri Paesi europei che da tempo conoscono il fenomeno e che hanno approntato tutele specifiche per farvi fronte, non si è ancora dotata di una legislazione specifica in materia, nonostante risulti da recenti ricerche che il fenomeno delle violenze psicologiche nei luoghi di lavoro sia esteso in tutti i settori produttivi e interessi circa 1,5 milioni di lavoratori italiani, cifra che, tenendo conto dei familiari delle vittime, porta a circa 3 milioni di persone coinvolte dal mobbing.
      Hanno contribuito all'emersione del fenomeno alcuni interventi del sindacato, mentre alcune decisioni giurisprudenziali (a partire dalla sentenza della Corte di cassazione n. 8438 del 4 maggio 2004 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 359 del 19 dicembre 2003) hanno aiutato a definire più rigorosamente il fenomeno e conseguentemente a rinvenire in concreto l'atteggiarsi di nuove forme di vessazione nei luoghi di lavoro, diverse dal passato.
      Anche dalla considerazione di ciò muove la presente proposta di legge, che mira a colmare alcune lacune del nostro ordinamento (evitando sovrapposizioni con le norme vigenti e che già vengono utilizzate per fronteggiare il fenomeno), accogliendo alcune previsioni normative proprie della legislazione francese - l'inversione dell'onere della prova in tema di mobbing - e alcuni degli orientamenti comunitari in materia, in modo da rafforzare la portata dell'intervento legislativo.
      Scopo della presente proposta di legge, che si compone di dieci articoli, è quello di integrare la normativa vigente in tema di tutela dei lavoratori, con riguardo alla tutela della personalità morale e al patrimonio professionale del lavoratore, oltre che alla sua integrità psico-fisica strettamente intesa, mediante la previsione di ulteriori e più efficaci strumenti per combattere il fenomeno del mobbing, attraverso:

          l'individuazione dell'ambito di applicazione della legge e della definizione di mobbing (articoli 1 e 2);

          la previsione di un'accentuata attività di prevenzione, fondamentale per intervenire sulle cause che originano il fenomeno di mobbing, anche mediante una più rigorosa regolamentazione degli obblighi e dei doveri posti a carico dei datori di lavoro, in ordine alle iniziative dirette a prevenire il verificarsi di tali atti e comportamenti, la previsione di misure volte a fornire ai lavoratori tutte le informazioni relative all'organizzazione del lavoro, spesso causa di conflitti palesi, nascosti o latenti, e la previsione di iniziative di formazione (gestione delle relazioni interpersonali, della conflittualità e del mobbing) (articolo 3);

          la possibilità per il lavoratore di poter agire in giudizio per chiedere controlli sui luoghi di lavoro e denunciare situazioni di mobbing, mediante l'importante previsione dell'inversione dell'onere della prova ai fini dell'azione giudiziaria, oggi posto a carico delle vittime e che rappresenta una delle difficoltà maggiori in cui si imbattono i lavoratori oggetto delle azioni mobbizzanti (articolo 4);

          la previsione di specifiche sanzioni e della nullità degli atti di ritorsione che possono condizionare l'iniziativa di tutela del lavoratore vittima della violenza psicologica, fino al ripristino delle situazioni professionali colpite da azioni di mobbing (articolo 5);

          la possibilità, da parte del giudice, di rendere noto ai dipendenti il provvedimento di condanna o di assoluzione tramite una lettera del datore di lavoro o, se il comportamento oggetto del provvedimento di condanna è commesso dallo stesso datore di lavoro o si presume una sua responsabilità, tramite pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani a tiratura nazionale (articolo 6);

          la definizione di criteri per il risarcimento del danno che consegue dalla condotta vessatoria, sia mediante l'indicazione degli elementi di cui il giudice deve tenere conto ai fini della liquidazione del danno, sia mediante l'indicazione di un minimo e di un massimo (da 10.000 euro a 90.000 euro), atta a garantire un'equa forma di ristoro (articolo 7);

          la previsione di misure di riparazione specifica, posta a carico del soccombente, in sostegno delle vittime del mobbing (articolo 7);

          la previsione di sanzioni disciplinari stabilite in sede di contrattazione collettiva verso coloro che pongono in essere atti e comportamenti mobbizzanti (articolo 8);

          la nullità di tutti gli atti discriminatori (articolo 9);

          l'istituzione, in ogni regione, di un centro regionale per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo (articolo 10).

      Nel proporre nuove norme a tutela delle vittime del mobbing, vi è alla base la convinzione che un efficace intervento legislativo contribuisca a far crescere la consapevolezza dell'esistenza del fenomeno e che, intervenendo sulle sue cause, si possa ridurre la naturale propensione del lavoratore «mobbizzato» ad autocolpevolizzarsi (inducendosi la cosiddetta «mentalità da capro espiatorio») e che tali norme possano operare da volano per la prevenzione, con efficacia dissuasiva per la categoria, peraltro affollatissima, dei cosiddetti «mobber potenziali».


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Ambito di applicazione).

      1. La presente legge stabilisce misure per la tutela da molestie morali e da violenze psicologiche nei confronti dei lavoratori poste in essere da parte del datore di lavoro o di colleghi nell'ambito lavorativo e in tutti i settori di attività, privati e pubblici, comprese le collaborazioni, indipendentemente dalla loro natura, mansione o grado, costituenti il fenomeno denominato «mobbing».
      2. Nell'ambito di qualsiasi rapporto di lavoro sono vietati comportamenti, anche omissivi, che ledono o che pongono in pericolo la salute fisica e psichica, la dignità e la personalità morale del lavoratore.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Agli effetti della presente legge, si intendono per molestie morali e per violenze psicologiche nell'ambito del posto di lavoro le azioni, esercitate esplicitamente con modalità lesiva, che sono svolte con carattere iterativo e sistematico. Per avere il carattere di molestia morale e di violenza psicologica, gli atti di cui al primo periodo devono avere il fine di emarginare, discriminare, screditare o, comunque, recare danno al lavoratore nella sua carriera, nella sua autorevolezza e nel suo rapporto con gli altri. La molestia morale e la violenza psicologica possono avvenire anche attraverso:

          a) la rimozione da incarichi;

          b) l'esclusione dalla comunicazione e dall'informazione aziendali;

          c) la svalutazione sistematica dei risultati, fino a giungere a un sabotaggio del lavoro, che può essere svuotato dei contenuti oppure privato degli strumenti necessari al suo svolgimento;

          d) il sovraccarico di lavoro o l'attribuzione di compiti impossibili o inutili, che acuiscono i sensi di impotenza e di frustrazione;

          e) l'attribuzione di compiti inadeguati rispetto alla qualifica e alla preparazione professionali o alle condizioni fisiche e di salute;

          f) l'esercizio da parte del datore di lavoro o dei dirigenti di azioni sanzionatorie, quali, reiterate visite fiscali o di idoneità, contestazioni o trasferimenti in sedi lontane, rifiuto di permessi, di ferie o di trasferimenti, finalizzate all'estromissione del soggetto dal posto di lavoro;

          g) gli atti persecutori e di grave maltrattamento, le comunicazioni verbali distorte e le tesi a critica, anche di fronte a terzi;

          h) le molestie sessuali;

          i) la squalificazione dell'immagine personale e professionale;

          l) le offese alla dignità personale, attuate da superiori, da parigrado, da subordinati o dal datore di lavoro.

      2. Agli effetti degli accertamenti delle responsabilità l'istigazione è considerata equivalente alla realizzazione del fatto.
      3. Il danno sull'integrità psico-fisica provocato dai comportamenti e dagli atti di cui al comma 1 è rilevato, ai fini della presente legge, ogniqualvolta comporta una riduzione della capacità lavorativa per disturbi psico-fisici di qualunque entità, quali la depressione, i disturbi psico-somatici conseguenti a stress lavorativo come l'ipertensione, l'ulcera e l'artrite, i disturbi allergici, i disturbi della sfera sessuale e i tumori.

Art. 3.
(Prevenzione e informazione).

      1. I datori di lavoro, pubblici e privati, sono tenuti a pianificare e ad organizzare il lavoro in modo da prevenire ogni forma di molestia morale e di violenza psicologica nei luoghi di lavoro e sono obbligati ad adottare le seguenti iniziative:

          a) informare i lavoratori, con mezzi adeguati e inequivocabili, che le forme di persecuzione non possono essere mai tollerate nel corso dell'attività lavorativa nonché adottare e pubblicizzare nei modi e nelle forme più opportuni un codice comportamentale interno per la gestione delle relazioni sociali sul luogo di lavoro;

          b) in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro delle aziende sanitarie locali (ASL) e con il medico competente, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, prevedere procedure idonee a individuare i sintomi derivanti da condizioni di lavoro persecutorie o vessatorie, l'esistenza di problemi inerenti all'organizzazione del lavoro o le eventuali carenze per quanto riguarda la cooperazione tra i dipendenti durante l'attività lavorativa;

          c) in collaborazione con le rispettive rappresentanze sindacali, provvedere a rendere note tutte le informazioni rilevanti per l'organizzazione del lavoro, con riferimento alle modalità di utilizzo dei lavoratori, alle assegnazioni di incarichi, ai trasferimenti e alle variazioni nelle qualifiche e nelle mansioni affidate;

          d) qualora, nonostante l'attività preventiva, si verifichino fenomeni di mobbing, adottare immediatamente efficaci contromisure volte anche a individuare le eventuali carenze organizzative che sono causa dell'insorgere del fenomeno; per i fini di cui alla presente lettera è concesso al datore di lavoro, nell'ambito delle sue funzioni di sorveglianza, il diritto di:

              1) interrogare i dipendenti, anche attraverso questionari anonimi, sui comportamenti adottati nei luoghi di lavoro e in generale su ogni elemento che potrebbe aver attinenza con eventuali fenomeni di mobbing nell'ambiente di lavoro;

              2) effettuare inchieste all'interno del luogo di lavoro al fine di accertare la fondatezza delle accuse presentate dal lavoratore e di far prendere coscienza ai vertici aziendali delle responsabilità che essi hanno in tali situazioni;

          e) provvedere a fornire forme di aiuto specifico e immediato per le vittime del mobbing, anche avvalendosi di enti, organizzazioni o comunque soggetti esterni al luogo di lavoro, esperti del settore, ritenuti capaci di mediare o di risolvere il conflitto;

          f) nei casi di protratti periodi di mobilità o di maternità, favorire il rapido reinserimento del lavoratore nel luogo di lavoro;

          g) nell'ambito delle funzioni di vigilanza sul corretto svolgimento delle relazioni sociali nei luoghi di lavoro, esercitare il diritto di adottare le misure, anche di tipo disciplinare, volte a prevenire comportamenti vessatori ai danni dei lavoratori.

      2. È fatto obbligo ai lavoratori di collaborare con i colleghi, con i superiori e con il datore di lavoro nella risoluzione di episodi di conflittualità concernenti il lavoro e i rapporti sociali interni al luogo di lavoro.
      3. Nell'ambito delle iniziative di formazione previste dalla normativa vigente in materia rientrano anche corsi specifici di gestione delle relazioni interpersonali, della conflittualità o del mobbing affidati a soggetti, anche esterni, accreditati come esperti del settore.
      4. Al fine di prevenire i casi di molestie morali e di violenze psicologiche i datori di lavoro, pubblici e privati, in collaborazione con le organizzazioni sindacali aziendali, e i servizi di prevenzione e protezione della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro delle ASL, unitamente ai centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo di cui all'articolo 10, organizzano iniziative periodiche di informazione dei dipendenti anche al fine di individuare immediatamente eventuali sintomi o condizioni di discriminazione ai sensi dell'articolo 2.
      5. In concorso con i centri di cui all'articolo 10, i servizi della ASL di cui al comma 4 del presente articolo organizzano annualmente corsi obbligatori sul fenomeno del mobbing posti a carico del datore di lavoro, in favore dei dirigenti, dei medici competenti, dei responsabili della sicurezza aziendale e dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza.
      6. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi nelle aziende, definito ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lettera l), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, è competente in materia di mobbing e a tale fine può avvalersi anche di appositi consulenti.
      7. In ogni azienda, nell'ambito degli interventi informativi e formativi previsti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, sono previste apposite riunioni aziendali periodiche, improntate alla trasparenza e alla correttezza nei rapporti aziendali e professionali, atte a fornire ai lavoratori informazioni sugli aspetti organizzativi, quali ruoli, mansioni, carriera e mobilità.
      8. Un'informazione generale è svolta altresì in favore di tutti i lavoratori, dedicando a tale fine due ore di assemblea annuali oltre a quelle previste dalla legge 20 maggio 1970, n. 300.

Art. 4.
(Azioni di tutela giudiziaria).

      1. Nei casi in cui il lavoratore agisce giudizialmente per la tutela dei suoi diritti relativi a una situazione di mobbing, l'onere della prova è posto a carico del soggetto chiamato in causa.
      2. È posto a carico di colui che è accusato di perpetrare una condotta di mobbing l'onere di dimostrare l'inesistenza della predetta condotta di mobbing o delle vessazioni lamentate, la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l'adeguatezza delle misure di prevenzione o di repressione impiegate, quando il lavoratore ha presentato indizi sufficienti per lasciare presumere l'esistenza di una forma di mobbing ai suoi danni.
      3. Qualora vengano denunciati comportamenti definiti ai sensi dell'articolo 2, su ricorso del lavoratore o, per delega dal medesimo conferita, delle organizzazioni sindacali, il tribunale territorialmente competente, in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi alla data della denuncia, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritiene sussistente la violazione oggetto del ricorso, ordina al responsabile del comportamento denunciato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, ne dispone la rimozione degli effetti, stabilisce le modalità di esecuzione della decisione e determina in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento. Contro la decisione di cui al primo periodo è ammessa, entro quindici giorni dalla data di comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
      4. Il risarcimento del danno dovuto al lavoratore dal responsabile di comportamenti definiti ai sensi dell'articolo 2 comprende in ogni caso anche una somma a titolo di indennizzo del danno biologico.
      5. Restano valide le norme vigenti in materia di tutela di lavoro subordinato.

Art. 5.
(Sanzioni).

      1. Il datore di lavoro può stabilire per giusta causa l'allontanamento, la sospensione o anche il licenziamento del lavoratore che ha compromesso ripetutamente e volontariamente il sereno svolgimento dell'attività lavorativa.
      2. È nullo ogni atto di modificazione contrattuale in peius delle condizioni lavorative del dipendente relative alle mansioni, alla remunerazione, all'assegnazione, alla destinazione e ai trasferimenti, ogni atto di rottura del rapporto di lavoro, ovvero dimissioni o licenziamenti, nonché ogni sanzione disciplinare in qualunque modo ricollegabile causalmente a condotte di mobbing.

Art. 6.
(Pubblicità del provvedimento del giudice).

      1. Su richiesta della parte interessata, il giudice può disporre che del provvedimento di condanna o di assoluzione relativo a una denuncia per mobbing sia data informazione ai dipendenti, mediante una lettera del datore di lavoro, pubblico o privato, omettendo il nome della persona oggetto di molestia morale e di violenza psicologica.
      2. Se l'atto oggetto del provvedimento di condanna di cui al comma 1 è commesso dal datore di lavoro, pubblico o privato, o si presume una sua complicità, il giudice dispone la pubblicazione della sentenza su almeno due quotidiani a tiratura nazionale, omettendo il nome della persona oggetto di molestia morale e di violenza psicologica. Le eventuali spese sono poste a carico del condannato.

Art. 7.
(Liquidazione e riparazione del danno da mobbing).

      1. Il danno da mobbing deve essere valutato con riguardo all'insieme dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita, anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale e sessuale e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità.
      2. Il giudice liquida il danno in via equitativa, tenuto conto anche della riduzione della capacità lavorativa subita dalla vittima.
      3. Ai fini della presente legge è adottato come criterio comune di computo la somma minima di risarcimento pari a 10.000 euro e quella massima pari a 90.000 euro.
      4. La liquidazione del danno, entro i limiti minimo e massimo di cui al comma 3, deve essere calcolata in relazione ai parametri stabiliti ai sensi della presente legge, anche avvalendosi della consulenza di esperti del settore.
      5. Come forma di riparazione specifica il giudice dispone, in aggiunta alla liquidazione del danno e su istanza della parte interessata, uno o più cicli di cure mediche e di interventi di sostegno di tipo psicologico, di durata non superiore a un anno a decorrere dalla data di emanazione della sentenza, in favore del lavoratore che ha subìto molestia morale o violenza psicologica nel luogo di lavoro, a spese del soccombente, in seguito ad azione giudiziaria, di cui all'articolo 4.

Art. 8.
(Responsabilità disciplinare).

      1. Nei confronti di coloro che pongono in essere atti e comportamenti definiti ai sensi dell'articolo 2, è disposta, da parte del datore di lavoro, pubblico o privato, ovvero del superiore, una sanzione disciplinare stabilita in sede di contrattazione collettiva.

Art. 9.
(Nullità degli atti discriminatori).

      1. Tutti gli atti discriminatori definiti ai sensi dell'articolo 2 o conseguenti a un atto o a un comportamento definito ai sensi del medesimo articolo 2 sono nulli.

Art. 10.
(Istituzione di centri regionali per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo).

      1. Ogni regione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, istituisce un centro regionale per la prevenzione, la diagnosi e la terapia dei disturbi da disadattamento lavorativo, di seguito denominato «centro», con un adeguato organico, diretto da un medico psichiatra dirigente di una struttura complessa che ha seguito appositi corsi di formazione. Il centro, anche ai fini contrattuali, ha il carattere di struttura complessa. Il centro è organizzato quale organismo tecnico di consulenza dei servizi di prevenzione e protezione della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro delle ASL e svolge i seguenti compiti:

          a) ricerca e prevenzione del fenomeno mobbing;

          b) informazione dei lavoratori;

          c) formazione degli operatori dei servizi e delle strutture di prevenzione delle ASL;

          d) formazione dei medici competenti, dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti;

          e) monitoraggio dei casi di mobbing.

      2. Il centro organizza una conferenza annuale per valutare i risultati del lavoro svolto e per individuare le opportune iniziative per la riduzione o per l'eliminazione del fenomeno mobbing.


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