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PDL N. 1782

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1782



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

DI PIETRO, DONADI, PALOMBA, BORGHESI, EVANGELISTI, BARBATO, CAMBURSANO, CIMADORO, COSTANTINI, DI GIUSEPPE, FAVIA, ANIELLO FORMISANO, GIULIETTI, MESSINA, MISITI, MONAI, MURA, LEOLUCA ORLANDO, PALADINI, PALAGIANO, PIFFARI, PISICCHIO, PORCINO, PORFIDIA, RAZZI, ROTA, SCILIPOTI, ZAZZERA

Norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni dello Statuto della Corte penale internazionale

Presentata il 13 ottobre 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge è volta a dare attuazione agli obblighi di cooperazione internazionale contratti dallo Stato italiano con l'adesione allo Statuto della Corte penale internazionale. Si tratta di un'iniziativa legislativa necessaria, atteso che lo Statuto della Corte penale internazionale, adottato a Roma il 17 luglio 1998 dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite, è entrato in vigore il 1o luglio 2002, essendo stato reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232. Occorre sottolineare come l'Italia sia stata uno dei primi Paesi a ratificare lo Statuto. Tuttavia, il Parlamento, tenuto conto della complessità della materia, ha scelto la via della «ratifica secca», rinviando a un momento successivo la normativa necessaria ad adeguare l'ordinamento interno ai numerosi obblighi assunti. Questo il motivo che ha indotto a presentare la proposta di legge, con la quale si provvede a colmare una lacuna nei rapporti di cooperazione con la Corte penale internazionale; lacuna che, in concreto, non consente alla medesima Corte di esercitare la propria giurisdizione nei rapporti con l'Italia. Peraltro, occorre sottolineare che con la presente proposta di legge, tenendo conto di quanto previsto dall'articolo 86 del medesimo Statuto, si provvede a dare attuazione all'obbligo di prestare assistenza alla Corte nelle inchieste e nelle azioni giudiziarie che la stessa svolge per i reati di sua competenza, nonché a creare nuove fattispecie incriminatrici direttamente funzionali all'adempimento degli obblighi di cooperazione. Non si provvede, invece, a creare nuove fattispecie criminose - come, ad esempio, il delitto di genocidio - rimandando a un altro intervento legislativo il recepimento delle suddette fattispecie, così come hanno fatto altri Stati, quali la Francia e la Spagna, i quali si sono adeguati recependo soltanto le disposizioni di parte procedurale.
      Lo Statuto della Corte penale internazionale rappresenta un meccanismo destinato a incidere in maniera permanente, sebbene parzialmente, sull'esercizio da parte degli Stati delle loro prerogative sovrane, in particolare sull'amministrazione della giustizia penale. Infatti, i rapporti di cooperazione con la Corte sono di tipo verticale, trattandosi di un'autorità sovranazionale, il cui obiettivo è l'attuazione del diritto internazionale penale e, in particolare, del diritto internazionale umanitario. E in ciò essa si differenzia sia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, destinata a svolgere un'attività sul piano strettamente internazionale nei rapporti fra i Paesi del Consiglio d'Europa per quanto concerne il rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, sia dal Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex-Jugoslavia o in Ruanda, destinato a fare fronte ex post a situazioni di crisi locale e ben definite.
      Lo Statuto della Corte penale internazionale precostituisce un giudice naturale permanente, con giurisdizione tendenzialmente universale, di tipo complementare, destinata ad attivarsi allorquando la giurisdizione degli Stati - che hanno ratificato lo Statuto - non può o non vuole entrare in gioco. E ciò solo per i crimini contro l'umanità che creano allarme nella comunità internazionale, offendendo il senso di umanità e mettendo a rischio la pace e la sicurezza internazionali. È questo il senso dell'articolo 5 dello Statuto della Corte: «La competenza della Corte è limitata ai crimini più gravi, motivo di allarme per l'intera comunità internazionale». Di conseguenza, la Corte non ha giurisdizione nelle situazioni in cui gli Stati parte siano in grado di assicurare la repressione penale. Invero, già nel preambolo dello Statuto è precisato che gli Stati conservano l'obbligo di perseguire i responsabili dei crimini internazionali e che la Corte è semplicemente complementare alle singole giurisdizioni interne. L'articolo 1 dello Statuto riafferma questa relazione fra la giurisdizione internazionale e quella interna, prevedendo esplicitamente che la Corte «è complementare alle giurisdizioni penali nazionali». Peraltro, il citato articolo 86 dello Statuto chiarisce che l'obbligo di cooperazione è circoscritto alle indagini e ai processi che abbiano ad oggetto i crimini su cui la Corte ha la giurisdizione. Appare preliminare, a questo punto, rimarcare il dato che gli Stati parte non possono sottrarsi ai doveri che derivano loro dal capitolo IX dello Statuto eccependo l'incongruità della richiesta o l'incompetenza della Corte, poiché l'articolo 19 attribuisce alla Corte il potere di decidere autoritativamente su ogni questione relativa alla giurisdizione.
      Sotto un altro versante va considerato come la Corte penale internazionale non abbia una propria polizia giudiziaria, né una propria struttura carceraria; sicché la collaborazione degli Stati parte è indispensabile per il suo funzionamento e, pur avendo una propria sede, essa può decidere di esercitare la giurisdizione nel territorio di uno degli Stati parte.
      Va, inoltre, osservato come l'Italia, anche in quanto Stato membro dell'Unione europea, è obbligata a dare il proprio pieno appoggio alla Corte. Il consolidamento dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, come il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, in conformità con la Carta delle Nazioni Unite e come previsto dall'articolo 11 del Trattato sull'Unione europea, sono di fondamentale e prioritaria importanza per la stessa Unione europea. I reati gravi nell'ambito della giurisdizione della Corte sono oggetto di preoccupazione per l'Unione europea, che è determinata a cooperare per la prevenzione di questi reati e per porre fine all'impunità di chi li commette. In questo contesto, l'11 giugno 2001, il Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/443/PESC sulla Corte penale internazionale, che è stata prima modificate e «rafforzata», il 20 giugno 2002, con la posizione comune 2002/474/PESC e in seguito completamente sostituita il 16 giugno 2003, con la posizione comune 2003/444/PESC. Obiettivo della posizione comune del 2003 è sostenere la rapida istituzione e l'effettivo funzionamento della Corte e promuovere un appoggio universale a quest'ultima incoraggiando una partecipazione quanto più ampia possibile allo Statuto. L'Unione europea ha anche messo a punto, il 15 febbraio 2004, un piano d'azione a sostegno della posizione comune. Di conseguenza, l'Unione europea e gli Stati membri compiono ogni sforzo per portare avanti questo processo, promuovendo, fra l'altro, per quanto possibile la ratifica, l'accettazione, l'approvazione o l'adesione allo Statuto di Roma e la sua attuazione attraverso iniziative e dichiarazioni anche in negoziati o dialoghi politici con Paesi terzi, con gruppi di Stati o con organizzazioni regionali interessate, laddove opportuno. Lo stesso articolo 2 della decisione quadro del Consiglio sul mandato d'arresto europeo (2002/584/GAI del 13 giugno 2002) ricomprende i crimini per i quali ha competenza la Corte penale internazionale fra quelli per i quali non è necessaria la doppia incriminazione e l'articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, con la quale l'Italia ha dato attuazione agli obblighi scaturenti dalla predetta decisione quadro, esclude dal principio della doppia punibilità i fatti che rientrano nella giurisdizione della Corte. Pertanto, in mancanza di adeguate norme di cooperazione, l'impossibilità per l'Italia di rispondere alle richieste di assistenza e di cooperazione come, ad esempio, alla richiesta di consegna di una persona ricercata dalla Corte, potrebbe trasformare il nostro Stato in un territorio di sicuro rifugio per gli autori dei più gravi crimini contro l'umanità, con prevedibili effetti negativi sull'immagine del nostro Paese.
      Peraltro, alla data del 31 dicembre 2006, lo Statuto della Corte penale internazionale è stato firmato da 139 Stati e oltre 100 Stati lo hanno ratificato o vi hanno acceduto.

Esame dell'articolato.

      La presente proposta di legge è composta da cinquantatre articoli, suddivisi in sette capi.
      Nel capo I sono collocate le disposizioni di ordine generale concernenti l'obbligo di cooperazione con la Corte penale internazionale (articolo 1), le definizioni (articolo 2), nonché l'individuazione del Ministro della giustizia quale autorità competente a curare i rapporti di cooperazione con la Corte stessa (articolo 3), ricevendo le relative richieste e dandovi seguito in conformità agli articoli 90 e 93, paragrafo 3, dello Statuto della Corte. Il Ministro della giustizia è competente altresì a fissare l'ordine di precedenza fra più domande di cooperazione provenienti dalla Corte e da uno o più Stati esteri, sempreché siano relative al medesimo fatto, anche se diversamente qualificato, o si tratti di fatti connessi ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale. Dunque, le competenze di carattere amministrativo sono state concentrate in capo al Ministro della giustizia, al quale spetta di curare i rapporti con la Corte, previa intesa con i Ministri interessati, fra i quali si intende innanzitutto il Ministro della difesa. Le competenze giudiziarie sono concentrate nella corte di appello di Roma. Infatti, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, il Ministro della giustizia trasmette, per l'esecuzione, le richieste formulate dalla Corte al procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Roma.
      All'articolo 4 si definiscono le norme applicabili in materia di cooperazione, vale a dire le norme dello Statuto e quelle delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato italiano; ciò in virtù della tradizionale regola della prevalenza del diritto internazionale penale, convenzionale e generale. Vengono, poi esplicitamente richiamate le norme del libro undicesimo, titoli II, II e IV, del codice di procedura penale. Inoltre, per l'esecuzione degli atti richiesti si applicano le norme del codice di procedura penale, ferma restando la possibilità per la Corte di fissare con lo Stato italiano forme e modalità diverse di compimento degli atti, sempreché non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato (articolo 4, comma 2).
      L'articolo 4, comma 3, prevede espressamente che il Ministro della giustizia debba sentire il Ministro della difesa nei casi in cui la Corte procede per reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali o commessi in loro danno. Tale preventiva audizione è funzionale a concordare con la Corte le modalità di esercizio dei poteri che la stessa intende esercitare nel territorio dello Stato italiano. Altre disposizioni contemplano un obbligo di informativa a carico del Ministro della giustizia a beneficio del Ministro della difesa; si tratta, in particolare, di quanto previsto nell'articolo 8, in materia di consegna alla Corte di persona arrestata e dall'articolo 9, in materia di consegna rinviata o temporanea.
      L'articolo 5 prevede che, per i reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali, l'esecuzione delle domande di cooperazione e di assistenza è assicurata dalla corte militare di appello di Roma. Si è in tal modo voluto salvaguardare la specializzazione dell'autorità giudiziaria militare per i crimini rientranti nella giurisdizione militare prevista dall'articolo 103, terzo comma, della Costituzione. E ciò, in primo luogo, perché anche l'attività di cooperazione è da considerarsi attività giurisdizionale. Allo scopo appare opportuno osservare come nella procedura di consegna, prevista dall'articolo 8 della presente proposta di legge, la corte di appello può pronunciare sentenza con la quale, per tassativi motivi, respinge la richiesta della Corte penale internazionale, sentenza che deve considerarsi esercizio di giurisdizione. In secondo luogo, nel caso in esame, si tratta di giurisdizione complementare a quella della Corte.
      Sul piano soggettivo la norma è riferita ai soli militari italiani in servizio e ai militari considerati tali, categorie individuate in base agli articoli 3 e 5 del codice penale militare di pace, alla luce della sentenza n. 429 del 10 novembre 1992, con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sul riparto di giurisdizione tra autorità giudiziaria militare e autorità giudiziaria ordinaria.
      Il capo II contiene le disposizioni relative alla consegna di una persona alla Corte penale internazionale. Si dispongono le modalità di applicazione (articolo 6) e di revoca (articolo 7) della misura di cautelare nei confronti della persona che deve essere consegnata su richiesta della Corte penale internazionale, nei cui riguardi è stato emesso un mandato di arresto ai sensi degli articoli 58 e 91 dello Statuto della Corte ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva (articoli 59 e 60 dello Statuto). Analogamente a quanto disposto per la cooperazione con i tribunali ad hoc dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, le ipotesi di rifiuto della consegna sono tassative e riguardano il caso in cui la stessa Corte penale non ha emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale o una sentenza definitiva di condanna, quello in cui non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura per la consegna, quello, infine, in cui per il medesimo fatto o nei confronti della stessa persona è già stata pronunciata nello Stato una sentenza irrevocabile, salvo quanto disposto dall'articolo 89, paragrafo 2, dello Statuto della Corte (articolo 8). Peraltro, si sono disciplinati i casi in cui l'applicazione della misura della custodia cautelare può essere disposta in via provvisoria anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta, e cioè quando la Corte penale internazionale:

          1) ha dichiarato che nei confronti della persona richiesta è stato emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

          2) ha descritto i fatti, specificato il reato e indicato le fonti di prova nonché gli elementi sufficienti atti a identificare la persona medesima (articolo 12).

      Occorre sottolineare come nella formulazione dell'articolo 8 non si preveda come motivo di rifiuto della consegna il fatto che il reato per il quale essa è stata richiesta non è compreso nella giurisdizione della Corte penale internazionale. Si è, invero, inteso superare una formulazione che avrebbe avuto il significato di ingiustificate diffidenza e resistenza verso gli obblighi di cooperazione con la Corte, laddove - come detto in premessa - dal sistema complessivo dello Statuto emerge che deve prevalere la decisione della Corte sulla propria giurisdizione e non quella negativa dell'autorità giudiziaria nazionale, cui è stata avanzata la richiesta di consegna. E, sotto questo profilo, appare dirimente il richiamo diretto agli articoli 89, paragrafo 2, e 91, paragrafo 2, lettera a), oltre che agli articoli 17, 18, 19 e 20 dello Statuto, che, nei casi di concorrente esercizio della giurisdizione effettuato da uno Stato parte, riservano alla Corte la decisione. Peraltro, la costruzione di un ordito normativo orientato alla semplificazione e alla maggiore disponibilità alla cooperazione appare più rispondente ai princìpi ispiratori dello Statuto, secondo cui si sono volute evitare situazioni di impasse nel funzionamento della Corte, incentivando il ricorso al meccanismo della consultazione con la stessa.
      Peraltro, va considerato che la sostituzione del termine «estradizione» con quello di consegna, oltre che risentire della concezione verticale del rapporto di cooperazione con la Corte, costituisce espressione di un riconoscimento quasi automatico del titolo in base al quale è stata effettuata la richiesta. E così, ad esempio, in questo stesso senso si parla di consegna, anziché di estradizione, nel trattato fra l'Italia e la Spagna «per il perseguimento di gravi reati attraverso il superamento dell'estradizione» e si parla di consegna nella citata decisione quadro sul mandato d'arresto europeo, con la sola differenza che in questi ultimi casi il riconoscimento è reciproco, mentre nello Statuto è unilaterale.
      Peraltro, nell'articolo 8 si è voluto inserire un termine di durata della custodia cautelare del soggetto che deve essere consegnato alla Corte, stabilendo (comma 6) che se nel termine concordato fra il Ministro della giustizia e la Corte, che comunque non può superare i quaranta giorni, la consegna non avviene, il soggetto da consegnare deve essere scarcerato. E, al fine di rafforzare la portata di tale disposizione, si è introdotto il comma 10, dove si prevede il richiamo esplicito alla disciplina di cui all'articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la legge istitutiva dei tribunali amministrativi regionali. Il richiamo alle disposizioni di cui all'articolo 23-bis della citata legge è volto a rendere applicabile alle impugnative dei decreti di consegna del Ministro della giustizia la disciplina del procedimento giurisdizionale amministrativo che concerne, fra l'altro, le impugnative dei provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, ivi compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti, nonché quelli relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate alle predette opere, e dei provvedimenti relativi alle procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di servizi pubblici e di forniture, compresi i bandi di gara e gli atti di esclusione dei concorrenti. In altri termini, si vuole scongiurare il pericolo che una volta accolta l'istanza cautelare di sospensione dell'efficacia del decreto di consegna, l'organo giurisdizionale amministrativo decida nel merito facendo decorrere i termini di custodia cautelare.
      L'articolo 9 si occupa delle ipotesi di rinvio della consegna e di consegna temporanea. In particolare, con il comma 2, si intende superare la rigidità dell'articolo 709, comma 2, del codice di procedura penale, perché, quando viene concessa l'estradizione con la clausola «a soddisfatta giustizia» può accadere che la sua esecuzione avvenga, di fatto, dopo vari anni e, se la persona da estradare non rimane in custodia cautelare, è ben possibile che al momento dell'esecuzione sia scomparsa. D'altro canto, non è pensabile che l'estradando rimanga detenuto per anni a fini estradizionali, in attesa che venga definito il processo italiano nei suoi confronti. Si è voluta, in tal modo, cogliere l'occasione per prevedere la possibilità di consegnare la persona richiesta a condizione che venga riconsegnata in Italia, qualora le esigenze del processo lo richiedano. Il superamento della rigidità dell'attuale formulazione dell'articolo 709 del codice di procedura penale risente del recente orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione (sentenza n. 41540 del 28 novembre 2006), secondo cui: «Qualora il Ministro della giustizia sospenda, a norma dell'articolo 709 del codice di procedura penale, l'esecuzione della estradizione "a soddisfatta giustizia italiana", alle misure coercitive in corso (...) devono (...) ritenersi applicabili i termini di durata massima previsti dagli articoli 303, comma 4, e 308 del codice di procedura penale. (...) Tali misure devono pertanto essere revocate per l'assenza di una previsione normativa che ne legittimi il permanere anche durante il periodo in cui l'esecuzione della estradizione resta sospesa».
      L'articolo 10 disciplina il transito sul territorio italiano di persone che devono essere consegnate alla Corte, mentre l'articolo 11 ribadisce il principio di specialità nei rapporti con la Corte sempre in materia di consegna di una persona in stato di arresto.
      L'articolo 13 disciplina l'arresto da parte della polizia giudiziaria, nei casi di urgenza, della persona che si trova nel territorio dello Stato nei cui confronti è stato emesso un mandato di arresto ai sensi degli articoli 58 e 91 dello Statuto ovvero una sentenza di condanna a pena detentiva. In particolare, è previsto che dell'avvenuto arresto venga data notizia al presidente della corte di appello del distretto in cui esso è stato operato o ad un magistrato della corte stessa da lui delegato, e che gli sia messo a disposizione mediante la trasmissione del relativo verbale. Nel rispetto delle riserve di legge e di giurisdizione fissate dall'articolo 13 della Costituzione, la trasmissione del verbale deve avvenire nel termine di ventiquattro ore dall'arresto. Entro le successive quarantotto ore il presidente della corte di appello o il magistrato da lui delegato deve, se ne ricorrono i presupposti, procedere alla convalida dell'arresto ed emettere l'ordinanza applicativa di misura cautelare. Nei successivi venti giorni l'ordinanza deve essere confermata dalla corte di appello di Roma.
      Il capo III detta disposizioni che regolano le altre forme di cooperazione giudiziaria, stabilendo il principio che è il procuratore generale della Repubblica presso la corte di appello di Roma a richiedere a quest'ultima l'esecuzione della domanda di assistenza, ovvero, per effetto dell'articolo 5, il procuratore generale militare presso la corte di appello di Roma, nei casi di reati militari.
      Si definiscono quindi le norme applicabili in materia di cooperazione giudiziaria (articoli 14-24) e le modalità di esecuzione sotto l'aspetto dell'assunzione delle prove e dell'attività di indagine, peraltro con specifico riferimento: all'obbligo di non trasmissione di atti o documenti riservati acquisiti all'estero ovvero che possano compromettere la sicurezza nazionale (articolo 15); all'immunità del testimone o dell'imputato che si trovi all'estero e per il quale, in esecuzione della richiesta di cooperazione della Corte, è prevista la presenza sul territorio italiano (articolo 20); all'adozione di idonee misure di protezione e di assistenza alle vittime, ai testimoni e ai loro congiunti (articolo 22).
      L'articolo 24 prevede la partecipazione del procuratore generale presso la corte di appello di Roma alle consultazioni con la Corte penale nei casi previsti dallo Statuto; consultazioni cui può prendere parte anche il procuratore generale militare presso la corte di appello di Roma, nei casi di reati commessi da militari o in danno di militari italiani.
      Il capo IV è composto da cinque articoli (articoli 25-29) che regolano le questioni sulla competenza della Corte, prevedendo la prevalenza della giurisdizione della Corte medesima e confermando, comunque, la natura complementare della sua giurisdizione. In questa sede emergono i seguenti aspetti: il primo concerne la regolamentazione dello scambio di atti e informazioni fra l'autorità giudiziaria presso la quale pende un procedimento per i medesimi fatti per i quali la Corte intende procedere, il Ministro della giustizia e la Corte medesima, che è diretto a dare risalto al principio che soltanto l'autorità giudiziaria può delibare sulla propria competenza e sui rapporti fra questa e quella concorrente della Corte penale internazionale. L'altro aspetto concerne la documentazione dell'esistenza di un'indagine o di un dibattimento da parte dell'autorità giudiziaria nazionale, in quanto solo in presenza di tale documentazione la Corte penale potrà assumere la decisione di dichiarare improcedibile il caso per la contemporanea pendenza del procedimento davanti all'autorità dello Stato richiesto. Negli articoli 28 e 29, sono disciplinati, rispettivamente, i casi di riapertura del procedimento davanti all'autorità giudiziaria dello Stato ed è confermato il principio del divieto di un nuovo giudizio.
      Nel capo V sono contenute le disposizioni volte a regolamentare l'esecuzione in Italia dei provvedimenti della Corte penale internazionale. La competenza in ordine all'esecuzione viene attribuita ad un unico organo giudiziario nazionale, vale a dire la corte di appello di Roma (articolo 30) o la corte militare di appello di Roma (articolo 5). Quando essa pronuncia il riconoscimento della sentenza pronunciata dalla Corte - su richiesta del Ministro della giustizia (articolo 31, comma 2) - determina la pena che deve essere eseguita nello Stato e converte, ove necessario, quella determinata dalla Corte nella pena corrispondente a quella prevista ai sensi delle leggi vigenti (articolo 31, comma 8). La funzione di controllo sull'esecuzione della pena è attribuita al Ministro della giustizia che la esercita in accordo con la Corte penale internazionale (articolo 32), garantendo al condannato le piene libertà e riservatezza delle sue comunicazioni con la Corte stessa e prevedendo la possibilità che, su richiesta del Ministro della giustizia, si adottino o meno misure alternative alla detenzione (articolo 32, comma 4). Per quanto concerne l'esecuzione delle pene si osservano le norme dell'ordinamento penitenziario (articolo 33) ed è previsto che il Ministro della giustizia possa disporre il regime di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, per i detenuti condannati dalla Corte penale, previa consultazione con la medesima. Sono individuate poi le condizioni del dovere di informativa del Ministro della giustizia alla Corte penale in ordine a quelle vicende che sono «ictu oculi» rilevanti (articolo 34, ad esempio, evasione o decesso del condannato); nonché la possibilità di detenzione presso sezioni speciali di istituti penitenziari ovvero presso carceri militari (articolo 32, comma 7). Disposizioni per l'esecuzione delle pene pecuniarie, della confisca e delle misure riparatorie sono stabilite dagli articoli 39 e 40.
      Il capo VI (articoli 41-51) contiene la previsione di nuove fattispecie incriminatrici direttamente funzionali agli obblighi di cooperazione con la Corte penale internazionale. Tali norme sono stabilite all'evidente fine di garantire, attraverso la minaccia della più grave fra le sanzioni criminali (la pena detentiva), la lealtà di comportamento delle persone che vengono, di volta in volta, chiamate a collaborare con la Corte, funzionale al corretto procedere della Corte medesima. Obbligo di lealtà che si è inteso rafforzare, per evitare comportamenti non solo fraudolenti, ma anche improntati a reticenza e a omertà, da parte di coloro che vengono chiamati a collaborare con la Corte. Invero, se costoro avessero la sicurezza dell'impunità dei propri comportamenti sleali, la giurisdizione della Corte non sarebbe adeguatamente tutelata. Si è inteso, pertanto, estendere la sfera di tutela penale dell'amministrazione della giustizia anche quando è la Corte penale internazionale ad esercitare la giurisdizione, avvalendosi dell'assistenza dell'autorità giudiziaria italiana. In tal modo si provvede a completare l'attuazione degli obblighi di cooperazione verso la Corte. Del resto, è lo stesso articolo 70 dello Statuto (reati contro l'amministrazione della giustizia), al paragrafo 4, lettera a), a prevedere l'obbligo per gli Stati parte di estendere le norme del loro diritto penale dettate a tutela del sereno e incontaminato svolgimento dei procedimenti penali giudiziari (investigativi e giudiziari) a quelle condotte realizzate contro l'amministrazione della giustizia della Corte, indicati nello stesso articolo 70, commessi nel proprio territorio o da propri cittadini. Pertanto, ai sensi dell'articolo 41 della presente proposta di legge, vengono puniti il peculato, la concussione, la corruzione e l'istigazione alla corruzione anche dei giudici della Corte, nonché del procuratore, dei procuratori aggiunti e degli altri magistrati della procura presso la Corte, dei funzionari e degli agenti della Corte medesima, nonché delle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa (articolo 70, paragrafo 1, lettere d) e f), dello Statuto).
      Con l'articolo 42 si estende la punibilità del delitto di violenza, di resistenza e degli altri fatti di cui agli articoli 336, 337, 338, 339, 340, 342 e 343 del codice penale anche quando tali reati vengono commessi nei confronti della stessa Corte, nonché nei confronti dei giudici, del procuratore, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte penale internazionale, delle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte le quali esercitino funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa (articolo 70, paragrafo 1, lettera d), dello Statuto).
      L'articolo 43 prevede la rilevanza penale degli atti di ritorsione, con pena edittale fra i due e i cinque anni, per tutti coloro che commettono atti di ritorsione nei confronti di un funzionario della Corte per il dovere espletato da questi o da un altro funzionario (articolo 70, paragrafo 1, lettera e), dello Statuto).
      Gli articoli da 44 a 51 riproducono talune fattispecie incriminatrici che il codice penale colloca fra i delitti contro l'attività giudiziaria estendendone la sfera di applicabilità ai casi in cui tali reati vengano commessi dinanzi alla Corte o davanti al procuratore generale presso la medesima Corte. E così avviene per la calunnia introdotta dall'articolo 44; per il delitto di false informazioni rese al procuratore generale presso la Corte penale internazionale di cui all'articolo 45; per il delitto di falsa testimonianza di cui all'articolo 46 (si veda l'articolo 70, paragrafo 1, lettera a), dello Statuto), per il delitto di frode processuale di cui all'articolo 47 e di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati alla Corte penale internazionale di cui all'articolo 48 (articolo 70, paragrafo 1, lettera b), dello Statuto); per i delitti di intralcio alla giustizia di cui all'articolo 49 e di favoreggiamento personale di cui all'articolo 50 (articolo 70, paragrafo 1, lettera c), dello Statuto); per il delitto di patrocinio o consulenza infedele di cui all'articolo 51.
      Nel capo VII sono inserite le disposizioni finali che concernono gli oneri finanziari e l'entrata in vigore.
      Per quanto concerne gli oneri finanziari è stata introdotta la clausola di invarianza della spesa (articolo 52). Allo scopo assumono rilievo le seguenti disposizioni dello Statuto della Corte penale internazionale. L'articolo 100 dello Statuto prevede che le spese ordinarie afferenti l'esecuzione delle attività sul territorio dello Stato richiesto sono a carico di tale Stato, ad eccezione delle spese connesse ai viaggi e alla protezione dei testimoni e degli esperti o al trasferimento, ai sensi dell'articolo 93, di persone detenute, delle spese di traduzione, d'interpretariato e di trascrizione, delle spese di viaggio e di soggiorno dei giudici, del procuratore generale, dei vice procuratori, dell'ufficio del cancelliere, del vice cancelliere e del personale di tutti gli organi della Corte, delle spese connesse al trasporto di una persona consegnata in stato di detenzione e, previa consultazione, di tutte le spese straordinarie che la messa in opera di una richiesta può comportare; tali disposizioni sono applicabili anche alle richieste indirizzate alla Corte dagli Stati parte; in tale caso la Corte si assume le spese ordinarie di messa in opera.
      Pertanto, occorre convenire con le determinazioni a suo tempo esposte dall'Ufficio di bilancio dell'Amministrazione della giustizia, secondo cui gli oneri finanziari relativi all'attuazione di norme per l'adeguamento alle disposizioni dello Statuto della Corte penale internazionale sarebbero stati oltremodo contenuti. E ciò perchè la natura complementare della giurisdizione della Corte, la particolare natura dei crimini di competenza della stessa e l'assetto legislativo italiano in materia penale consentono di ipotizzare che i casi di cooperazione fra la Corte e lo Stato italiano saranno limitati. Pertanto, si ritiene che dall'attuazione della legge non derivino nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato e che alle spese ordinarie si possa fare fronte attraverso le ordinarie disponibilità finanziarie.
      L'articolo 53 prevede che la legge entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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PROPOSTA DI LEGGE

Capo I
DISPOSIZIONI GENERALI IN MATERIA DI COOPERAZIONE

Art. 1.
(Disposizioni di principio).

      1. La presente legge reca norme per l'adeguamento dell'ordinamento interno alle disposizioni relative agli obblighi di cooperazione con la Corte penale internazionale, contenuti nello Statuto istitutivo della medesima Corte adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998, e reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 232.

Art. 2.
(Definizioni).

      1. Ai fini della presente legge si intende:

          a) per «Statuto», lo Statuto istitutivo della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza diplomatica delle Nazioni Unite a Roma, il 17 luglio 1998;

          b) per «cooperazione con la Corte penale internazionale», la cooperazione internazionale e l'assistenza giudiziaria, previste nel capitolo IX dello Statuto, nonché l'esecuzione dei provvedimenti emessi dalla Corte penale internazionale, prevista nel capitolo X dello Statuto;

          c) per «Corte», ove non diversamente stabilito, la Corte penale internazionale istituita con lo Statuto;

          d) per «regolamento di procedura e prova», il testo delle regole procedurali e di ammissibilità delle prove adottato dall'Assemblea degli Stati parte ai sensi dell'articolo 51 dello Statuto.

Art. 3.
(Attribuzioni del Ministro della giustizia).

      1. Il Ministro della giustizia cura i rapporti di cooperazione con la Corte previa intesa, se necessario, con i Ministri interessati, nell'ambito delle rispettive attribuzioni. Il Ministro della giustizia riceve le richieste provenienti dalla Corte, vi dà seguito e trasmette immediatamente ad essa atti e richieste, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 94 dello Statuto.
      2. Nel caso di concorso di più domande di cooperazione provenienti dalla Corte e da uno o più Stati esteri, relative al medesimo fatto, anche se diversamente qualificato, ovvero a reati connessi ai sensi dell'articolo 12 del codice di procedura penale e concernenti la stessa persona, il Ministro della giustizia ne stabilisce l'ordine di precedenza, ai sensi delle disposizioni contenute agli articoli 90 e 93, paragrafo 3, dello Statuto.
      3. Quando sorgono difficoltà nell'esecuzione di una richiesta di cooperazione il Ministro della giustizia ne informa tempestivamente la Corte.
      4. Il Ministro della giustizia acquisisce il consenso di uno Stato estero quando esso è necessario per provvedere all'esecuzione di una richiesta della Corte.
      5. Il Ministro della giustizia trasmette, per l'esecuzione, le richieste formulate dalla Corte al procuratore generale presso la corte di appello di Roma.

Art. 4.
(Norme applicabili).

      1. La cooperazione con la Corte è assicurata nel rispetto delle disposizioni dello Statuto e della presente legge e, ove richiamate dallo Statuto, delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato italiano. In materia di consegna, di assistenza giudiziaria con la Corte e di esecuzione delle pene si osservano, in quanto compatibili, le norme contenute nel libro undicesimo, titoli II, III e IV, del codice di procedura penale.
      2. Per l'esecuzione degli atti richiesti dalla Corte si applicano le norme del codice di procedura penale, fatta salva l'osservanza di modalità e di forme espressamente richieste dalla Corte che non siano contrarie ai princìpi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato italiano.
      3. Il Ministro della giustizia, sentito il Ministro della difesa quando la Corte procede per reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali o in danno di militari italiani in servizio o considerati tali, può concordare con la Corte le modalità di esercizio dei poteri e delle funzioni che la stessa intende esercitare o svolgere nel territorio dello Stato italiano nonché le modalità di esercizio dell'attività investigativa.
      4. Le richieste della Corte sono redatte in forma scritta in conformità a quanto previsto dall'articolo 87, paragrafo 2, dello Statuto. Le richieste e la documentazione allegata sono accompagnate da una traduzione nella lingua italiana.
      5. Gli atti e i documenti trasmessi alla Corte in esecuzione di una richiesta di cooperazione sono accompagnati da una traduzione in una delle lingue di lavoro della medesima Corte.

Art. 5.
(Competenze dell'autorità giudiziaria militare).

      1. Per i reati militari commessi da militari italiani in servizio o considerati tali le funzioni conferite dalla presente legge alla corte di appello di Roma, al presidente della corte di appello di Roma e al procuratore generale presso la corte di appello di Roma sono attribuite, rispettivamente, alla corte militare di appello, al presidente della corte militare di appello e al procuratore generale presso la corte militare di appello di Roma.

Capo II
CONSEGNA DI PERSONE ALLA CORTE

Art. 6.
(Applicazione della misura cautelare ai fini della consegna).

      1. Quando la richiesta della Corte ha per oggetto la consegna di una persona nei confronti della quale è stato emesso un mandato d'arresto ai sensi degli articoli 58 e 91 dello Statuto ovvero è stata emessa una sentenza di condanna a pena detentiva, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla corte di appello di Roma l'applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna.
      2. Ai fini di cui al comma 1, la corte di appello di Roma provvede con ordinanza, contro cui è ammesso ricorso per cassazione.
      3. La Corte è informata di ogni richiesta formulata dalla persona nei cui confronti è stata eseguita la misura della custodia cautelare, ai sensi dell'articolo 59, paragrafo 5, dello Statuto.
      4. Il presidente della corte di appello di Roma, al più presto e comunque entro cinque giorni dall'esecuzione della misura della custodia cautelare, provvede all'identificazione della persona e ne raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, facendone menzione nel verbale. Il verbale che documenta il consenso è trasmesso al procuratore generale presso la medesima corte di appello che provvede a inoltrarlo al Ministro della giustizia. Si applica l'articolo 717, comma 2, del codice di procedura penale.

Art. 7.
(Revoca della misura cautelare ai fini della consegna).

      1. La misura cautelare è revocata:

          a) se dall'inizio della sua esecuzione sono decorsi i termini di cui all'articolo 714, comma 4, del codice di procedura penale, senza che la corte di appello di Roma si sia pronunciata sulla richiesta di consegna;

          b) se la corte di appello di Roma ha pronunciato sentenza contraria alla consegna;

          c) se è decorso il termine indicato dall'articolo 8, comma 5, senza che il Ministro della giustizia abbia emesso il decreto con cui è disposta la consegna;

          d) se sono decorsi quindici giorni dalla data fissata per la presa in consegna da parte della Corte e questa non sia avvenuta. Il termine per la consegna può essere prorogato su richiesta della Corte nei termini di cui alla lettera a).

Art. 8.
(Procedura per la consegna).

      1. Il procuratore generale presso la corte di appello di Roma presenta senza ritardo le sue conclusioni in ordine alla consegna. La requisitoria è depositata nella cancelleria della medesima corte unitamente agli atti. Dell'avvenuto deposito è data comunicazione alle parti con l'avviso della data dell'udienza.
      2. La corte di appello di Roma decide con le forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale, se del caso previe assunzione delle informazioni e acquisizione della documentazione di cui all'articolo 91, paragrafo 2, lettera c), dello Statuto. All'udienza può partecipare un rappresentante della Corte.
      3. La corte di appello di Roma pronuncia sentenza con la quale dichiara che non sussistono le condizioni per la consegna quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) non è stato emesso dalla Corte un provvedimento restrittivo della libertà personale o non è stata emessa una sentenza definitiva di condanna;

          b) non vi è identità fisica tra la persona richiesta e quella oggetto della procedura di consegna;

          c) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato sentenza irrevocabile, fatto salvo quanto stabilito dall'articolo 89, paragrafo 2, dello Statuto.

      4. Avverso la decisione della corte d'appello di Roma può essere proposto ricorso per cassazione anche per il merito. Il ricorso sospende l'esecuzione della sentenza. Si applicano le disposizioni dell'articolo 714, comma 4, del codice di procedura penale.
      5. Il Ministro della giustizia provvede con decreto sulla richiesta di consegna, entro quarantacinque giorni dalla ricezione del verbale che dà atto del consenso della persona la cui consegna è richiesta ovvero dalla notizia della scadenza del termine per l'impugnazione di cui al comma 4 ovvero dal deposito della sentenza della Corte di cassazione, e prende accordi con la Corte sul tempo, sul luogo e sulle modalità della consegna. Se la consegna riguarda militari italiani in servizio o considerati tali il Ministro della giustizia ne dà comunicazione al Ministro della difesa.
      6. Il provvedimento di consegna perde efficacia se, nel termine fissato, comunque non superiore a quaranta giorni, la Corte non provvede a prendere in consegna la persona richiesta.
      7. Quando ricorrono cause di forza maggiore che impediscono la consegna nei termini previsti dai commi precedenti, il Ministro della giustizia ne sospende l'esecuzione ed informa immediatamente la Corte.
      8. Quando sussistono circostanze urgenti ed eccezionali per ritenere che la consegna può mettere in pericolo la vita della persona il Ministro della giustizia, in considerazione anche della gravità dei reati per i quali la Corte procede, può, con decreto motivato, sospendere l'esecuzione della consegna, dandone immediata notizia alla Corte.
      9. Nei casi di cui ai commi 6, 7 e 8, venuta meno la ragione della sospensione, il Ministro della giustizia concorda con la Corte una nuova data di consegna. I termini previsti per la consegna decorrono dalla nuova data concordata.
      10. In caso di impugnazione del decreto di consegna davanti agli organi della giurisdizione amministrativa si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all'articolo 23-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.

Art. 9.
(Rinvio della consegna o consegna temporanea).

      1. Il Ministro della giustizia può disporre che la consegna della persona sia rinviata per consentire che la stessa possa essere sottoposta a procedimento penale nello Stato italiano ovvero che nei suoi confronti si possa dare esecuzione alla pena alla quale è stata condannata per un reato diverso da quello oggetto del mandato d'arresto o della sentenza di condanna emessi dalla Corte.
      2. Nel caso di cui al comma 1, previa consultazione con la Corte, il Ministro della giustizia, sentiti l'autorità giudiziaria competente per il procedimento penale in corso o per l'esecuzione della sentenza di condanna e il Ministro della difesa per i reati commessi da militari italiani in servizio o considerati tali, può disporre il trasferimento temporaneo della persona richiesta in consegna, a condizione che la stessa sia riconsegnata allo Stato italiano alle condizioni concordate con la Corte.
      3. Se il rinvio della consegna o la consegna temporanea riguardano militari italiani in servizio o considerati tali il Ministro della giustizia ne informa il Ministro della difesa.

Art. 10.
(Transito).

      1. Le richieste di transito sul territorio italiano di una persona che deve essere consegnata alla Corte sono trasmesse al Ministro della giustizia nelle forme previste dall'articolo 4.
      2. La richiesta contiene:

          a) le informazioni relative all'identità e alla cittadinanza della persona in transito;

          b) l'esposizione sommaria, con la relativa qualificazione giuridica, dei fatti posti a fondamento della consegna della persona in transito.

      3. Alla richiesta di cui ai commi 1 e 2 sono allegati il mandato d'arresto e la richiesta di consegna.
      4. Salvo che la persona in consegna alla Corte non abbia consentito al transito con dichiarazione resa davanti all'autorità giudiziaria dello Stato che ha concesso la consegna, l'autorizzazione al transito non può essere data senza la decisione favorevole della corte di appello di Roma. A tale fine il Ministro della giustizia trasmette la richiesta e i documenti allegati al procuratore generale presso la medesima corte. La corte di appello procede in camera di consiglio in assenza della persona interessata. Si osservano le disposizioni degli articoli 704, commi 1 e 2, e 706 del codice di procedura penale, in quanto applicabili.
      5. L'autorizzazione al transito non è richiesta nei casi previsti dall'articolo 712, comma 4, del codice di procedura penale.
      6. Il Ministro della giustizia può rifiutare la richiesta quando la persona in consegna alla Corte è cittadina italiana o residente in Italia e il transito è richiesto al fine dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale.

Art. 11.
(Principio di specialità. Estensione della consegna. Consegna successiva).

      1. La consegna dell'imputato alla Corte e l'estensione della consegna già concessa sono subordinate alla condizione che, per un fatto anteriore alla consegna stessa e diverso da quello per il quale essa è stata concessa o estesa, la persona non sia sottoposta a procedimento né privata della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza da parte della Corte.
      2. Il Ministro della giustizia può richiedere alla Corte che la persona consegnata o trasferita in uno Stato estero per l'esecuzione della pena non sia sottoposta a procedimento o a restrizione della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna e diverso da quello per il quale la consegna stessa è stata concessa o estesa.
      3. La persona condannata, nei cui confronti viene data esecuzione, nel territorio dello Stato italiano, a una pena detentiva per una sentenza pronunciata dalla Corte, non può essere sottoposta a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettata ad altre misure restrittive della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna, salvo che vi sia il consenso della stessa Corte.
      4. Qualora, a carico della persona nei cui confronti viene data esecuzione, nel territorio dello Stato italiano, a una pena detentiva per una sentenza pronunciata dalla Corte, debba essere eseguito un provvedimento restrittivo della libertà personale, il Ministro della giustizia, a richiesta dell'autorità giudiziaria, acquisisce il consenso della Corte.
      5. La persona indicata al comma 1 non può essere estradata verso uno Stato estero senza il consenso della Corte. Qualora uno Stato estero abbia richiesto l'estradizione di tale persona il Ministro della giustizia acquisisce il consenso della Corte.
      6. In caso di nuova richiesta di consegna, presentata dopo la consegna della persona e avente ad oggetto un fatto diverso da quello per il quale la consegna è già stata disposta, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'articolo 94 dello Statuto.
      7. Non si fa luogo a giudizio davanti alla corte di appello di Roma se la persona consegnata ha espresso il proprio consenso all'estensione della consegna.
      8. In caso di richiesta di estradizione, presentata dopo la consegna della persona alla Corte e il trasferimento della stessa allo Stato estero di esecuzione della pena, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 710 del codice di procedura penale. Il Ministro della giustizia, ricevuta la sentenza della corte di appello di Roma, ne trasmette copia alla Corte.

Art. 12.
(Applicazione provvisoria della misura della custodia cautelare).

      1. Se la Corte ne fa domanda ai sensi degli articoli 58, paragrafo 5, 59, paragrafo 1, e 92 dello Statuto, l'applicazione della misura della custodia cautelare può essere disposta provvisoriamente anche prima che la richiesta di consegna sia pervenuta se:

          a) la Corte ha dichiarato che nei confronti della persona è stato emesso un provvedimento restrittivo della libertà personale e che intende presentare richiesta di consegna;

          b) la Corte ha fornito la descrizione dei fatti, la specificazione del reato, l'indicazione delle fonti di prova e degli elementi sufficienti per l'esatta identificazione della persona.

      2. Ai fini dell'applicazione della misura della custodia cautelare, si applicano le disposizioni dell'articolo 6.
      3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte l'avvenuta esecuzione della misura cautelare. Essa è revocata se entro sessanta giorni dalla comunicazione non perviene la richiesta di consegna da parte della Corte recante la documentazione indicata dall'articolo 92, paragrafo 2, dello Statuto.

Art. 13.
(Arresto da parte della polizia giudiziaria).

      1. Nei casi di urgenza la polizia giudiziaria procede all'arresto della persona nei confronti della quale la Corte ha formulato domanda ai sensi degli articoli 58, paragrafo 5, 59, paragrafo 1, e 92 dello Statuto, se ricorrono le condizioni previste dall'articolo 12 della presente legge. La stessa polizia provvede altresì al sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato.
      2. L'organo di polizia giudiziaria che ha proceduto all'arresto della persona ricercata la pone immediatamente, e comunque non oltre ventiquattro ore, a disposizione del presidente della corte di appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto ovvero di un magistrato della corte stessa da questi delegato, mediante trasmissione del relativo verbale, informandone senza ritardo il Ministro della giustizia.
      3. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte che ne ha fatto richiesta l'avvenuto arresto ai fini della trasmissione degli atti e della documentazione occorrente.
      4. Quando non deve disporre la liberazione dell'arrestato il presidente della corte di appello ovvero un magistrato della corte stessa da questi delegato, entro quarantotto ore dal ricevimento del verbale, convalida l'arresto con ordinanza, disponendo l'applicazione di una misura cautelare coercitiva. I provvedimenti emessi e gli atti sono trasmessi senza ritardo alla corte di appello di Roma.
      5. La misura cautelare coercitiva di cui al comma 4 del presente articolo cessa di avere effetto se la corte di appello di Roma, entro venti giorni dall'ordinanza di trasmissione, non provvede ai sensi dell'articolo 12.
      6. Delle decisioni assunte la corte di appello di Roma informa senza ritardo il Ministro della giustizia.

Capo III
FORME DI ASSISTENZA GIUDIZIARIA

Sezione I
CONDIZIONI

Art. 14.
(Modalità di esecuzione dell'assistenza giudiziaria).

      1. Se la richiesta della Corte ha per oggetto un'attività di indagine o di acquisizione di prove, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma chiede alla stessa corte di dare esecuzione alla medesima.
      2. La corte di appello di Roma, ove ne ricorrano le condizioni, dà esecuzione alla richiesta con decreto con il quale delega un proprio componente ovvero il giudice per le indagini preliminari del luogo in cui gli atti devono essere compiuti.
      3. Se la Corte ne ha fatto domanda, l'autorità giudiziaria comunica la data e il luogo di esecuzione degli atti richiesti. I giudici e il procuratore generale presso la Corte sono ammessi a presenziare all'esecuzione degli atti e possono proporre domande e suggerire modalità esecutive.
      4. Le citazioni e le altre notificazioni richieste dalla Corte sono trasmesse dal procuratore generale presso la corte di appello di Roma al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo in cui esse devono essere eseguite, il quale provvede senza ritardo.
      5. Se la Corte ne fa richiesta, è disposto l'accompagnamento coattivo davanti ad essa del testimone, del perito o del consulente tecnico, quando, sebbene citati, non sono comparsi. Le spese di accompagnamento sono poste a carico dello Stato italiano.
      6. Nei casi indicati dall'articolo 99, paragrafo 4, dello Statuto, il procuratore generale può assistere il procuratore generale presso la Corte nello svolgimento dell'attività da eseguire nel territorio dello Stato.

Art. 15.
(Trasmissione di atti e documenti).

      1. Senza il consenso dello Stato da cui provengono non possono essere trasmessi alla Corte atti o documenti riservati che sono stati acquisiti all'estero. Resta salva l'applicazione dell'articolo 73 dello Statuto.
      2. Qualora il Ministro della giustizia, previa intesa con i Ministri interessati, abbia motivo di ritenere che la consegna di determinati atti o documenti possa compromettere la sicurezza nazionale la trasmissione è sospesa. In tale caso si procede alle consultazioni previste dall'articolo 72 dello Statuto.
      3. Fermo restando quanto disposto dal comma 2 del presente articolo, l'autorità giudiziaria, al fine di dare esecuzione alle richieste della Corte, trasmette al Ministro della giustizia, anche in deroga al divieto stabilito dall'articolo 329 del codice di procedura penale, copie di atti di procedimenti penali e informazioni scritte sul loro contenuto. L'autorità giudiziaria può sollecitare il Ministro ad esercitare i poteri di cui all'articolo 4, comma 3.
      4. I documenti inviati a sostegno della richiesta di assistenza non possono essere utilizzati nell'ambito di altri procedimenti senza il consenso della Corte.

Art. 16.
(Misure cautelari reali).

      1. Su richiesta della Corte possono essere applicate le misure cautelari di cui al titolo II del libro quarto del codice di procedura penale.
      2. Qualora vi sia pericolo nel ritardo, le misure cautelari di cui al comma 1 possono essere applicate anche prima che la richiesta della Corte sia pervenuta. Le misure cautelari reali sono revocate se la Corte non presenta la richiesta entro il termine fissato dalla corte di appello di Roma.

Art. 17.
(Consegna dei mezzi di prova).

      1. Se la Corte ne fa richiesta, gli oggetti, i documenti o i beni sequestrati a scopo di prova, nonché gli atti e le decisioni dell'autorità giudiziaria italiana sono messi a sua disposizione.
      2. Previa consultazione con la Corte, la consegna può essere rinviata quando gli oggetti, i documenti o i beni sequestrati sono necessari per un procedimento penale pendente in Italia.

Art. 18.
(Consegna a scopo di confisca, di devoluzione al Fondo di garanzia per le vittime o di restituzione).

      1. Su richiesta della Corte, gli oggetti o i beni oggetto di sequestro possono esserle in ogni momento consegnati a scopo di confisca o di devoluzione al Fondo di garanzia per le vittime di cui all'articolo 79 dello Statuto o di restituzione.
      2. Gli oggetti e i beni sono sottoposti a sequestro fino al momento in cui sono consegnati alla Corte o fino a quando quest'ultima comunica alla corte di appello di Roma di voler rinunciare alla consegna.

Sezione II
PROCEDURA

Art. 19.
(Contenuto della richiesta).

      1. La richiesta di assistenza formulata dalla Corte contiene:

          a) la relazione con la esposizione sommaria dei fatti essenziali sui quali si fonda la richiesta di cooperazione e la qualificazione giuridica del reato;

          b) i dati per l'identificazione della persona nei cui confronti la Corte procede;

          c) la relazione sommaria sull'oggetto e sui motivi della richiesta di cooperazione;

          d) ove possibile, informazioni circostanziate sulle persone o sui luoghi che devono essere identificati o localizzati affinché possa essere fornita la cooperazione richiesta;

          e) se del caso, informazioni circostanziate e motivate sulle procedure e sulle condizioni da rispettare.

      2. Se una richiesta non soddisfa le esigenze di cui al comma 1 la corte di appello di Roma chiede alla Corte informazioni integrative o supplementari.

Art. 20.
(Immunità temporanea nel territorio dello Stato italiano).

      1. Nel caso in cui, in esecuzione della richiesta di assistenza della Corte, sia prevista per il compimento di un atto la presenza nel territorio dello Stato italiano di un testimone o di un imputato, lo stesso non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza né assoggettato ad altre misure restrittive della libertà personale per fatti anteriori all'ingresso nel territorio dello Stato.
      2. L'immunità prevista dal comma 1 cessa qualora la persona, avendone avuto la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato italiano decorsi quindici giorni dal momento in cui la sua presenza non è più richiesta dall'autorità giudiziaria italiana ovvero, avendolo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno.

Art. 21.
(Patrocinio a spese dello Stato).

      1. Le disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato si applicano anche alle procedure di esecuzione di richiesta della Corte da adempiere nel territorio dello Stato, in favore della persona nei cui confronti la Corte procede.

Art. 22.
(Collaborazione in materia di protezione di vittime, testimoni e loro congiunti).

      1. Il Ministro della giustizia dà corso alle richieste di collaborazione che la Corte formula ai sensi dell'articolo 68 dello Statuto per la protezione di vittime, testimoni e loro congiunti, trasmettendo le stesse al Ministro dell'interno.
      2. Nei confronti delle persone indicate al comma 1 si applicano le misure di protezione e di assistenza previste dalla legge.

Art. 23.
(Richieste alla Corte).

      1. Quando l'autorità giudiziaria deve formulare alla Corte le richieste previste dall'articolo 93, paragrafo 10, dello Statuto, le invia al procuratore generale presso la corte di appello di Roma, che le trasmette al Ministro della giustizia per l'inoltro alla Corte. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del capo II del titolo III del libro undicesimo del codice di procedura penale.
      2. Nel caso previsto dall'articolo 727, comma 4, del codice di procedura penale, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma trasmette direttamente la richiesta alla Corte, informandone il Ministro della giustizia.

Art. 24.
(Partecipazione del procuratore generale presso la corte di appello di Roma alle consultazioni con la Corte).

      1. Il procuratore generale presso la corte di appello di Roma partecipa, se richiesto, alle consultazioni con la Corte previste dallo Statuto. A tali consultazioni partecipa, se richiesto, anche il procuratore generale militare presso la corte di appello di Roma nei casi di reati commessi da militari italiani, o considerati tali, ovvero commessi in danno degli stessi.

Capo IV
QUESTIONI SULLA COMPETENZA DELLA CORTE

Art. 25.
(Giurisdizione internazionale complementare).

      1. Ricevuta la comunicazione prevista dall'articolo 18, paragrafo 1, dello Statuto, il Ministro della giustizia ne trasmette copia al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente per territorio o all'autorità giudiziaria presso cui risulta iscritto un procedimento avente ad oggetto gli stessi fatti.
      2. L'autorità giudiziaria di cui al comma 1 trasmette al Ministro della giustizia una sommaria relazione sul procedimento e una copia degli atti rilevanti e non coperti da segreto. Comunica altresì:

          a) le circostanze che giustificano la richiesta di proseguire le indagini ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 2, dello Statuto, nonché quelle necessarie per informare il procuratore generale presso la Corte sullo sviluppo delle indagini preliminari e sull'eventuale esito delle stesse, ai sensi del medesimo articolo 18, paragrafo 5, dello Statuto;

          b) ogni informazione e indicazione utili per proporre l'appello ai sensi dell'articolo 18, paragrafo 4, dello Statuto e per assumere le iniziative previste dal medesimo articolo 18, paragrafo 7.

Art. 26.
(Eccezioni sulla giurisdizione internazionale).

      1. Il Ministro della giustizia, con le modalità previste dall'articolo 25 della presente legge, acquisisce dall'autorità giudiziaria competente informazioni e indicazioni utili per proporre eccezioni di inammissibilità e di incompetenza ai sensi dell'articolo 19, paragrafo 2, dello Statuto e assume le altre iniziative previste dal medesimo articolo 19.

Art. 27.
(Effetti della dichiarazione di incompetenza da parte della Corte).

      1. Quando la Corte, pronunciando su una questione di competenza o di ammissibilità, afferma la propria competenza o l'ammissibilità dell'affare, il giudice italiano dichiara con sentenza che non può ulteriormente procedersi per l'esistenza della competenza della Corte, sempreché ricorrano le seguenti condizioni:

          a) se il fatto per il quale procede il giudice italiano è il medesimo oggetto della pronuncia di competenza o di ammissibilità;

          b) se il fatto diverso, compreso tra quelli indicati dagli articoli da 5 a 8 dello Statuto, è stato commesso nel contesto della situazione deferita alla giurisdizione della Corte.

      2. Si applicano le disposizioni dell'articolo 127 del codice di procedura penale.
      3. Il giudice trasmette gli atti al Ministro della giustizia che provvede a inoltrarli alla Corte.

Art. 28.
(Riapertura del procedimento penale davanti all'autorità giudiziaria italiana).

      1. Il procedimento penale davanti all'autorità giudiziaria italiana è riaperto quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) se il procuratore generale presso la Corte, ai sensi dell'articolo 53 dello Statuto:

              1) decide di non aprire l'inchiesta;

              2) conclude, all'esito dell'inchiesta, che non vi sono basi ragionevoli per l'esercizio dell'azione penale;

          b) se la Camera preliminare della Corte decide, ai sensi dell'articolo 60 dello Statuto, di non confermare l'atto di accusa;

          c) se la Corte dichiara la propria incompetenza o l'inammissibilità dell'affare.

      2. Qualora ricorra una delle ipotesi indicate al comma 1, il giudice per le indagini preliminari autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero; in tale caso i termini per le indagini iniziano a decorrere nuovamente. Se è stata già esercitata l'azione penale il giudice per le indagini preliminari ovvero il presidente del collegio giudicante provvede alla rinnovazione dell'atto introduttivo della fase o del grado nel quale è stato deciso il trasferimento del processo penale in favore della Corte.
      3. Il Ministro della giustizia, a richiesta dell'autorità giudiziaria competente, chiede alla Corte, ai sensi dell'articolo 93, paragrafo 10, dello Statuto, copia degli atti compiuti.

Art. 29.
(Divieto di un nuovo giudizio).

      1. Una persona giudicata con sentenza definitiva della Corte non può essere di nuovo sottoposta a procedimento penale nel territorio dello Stato italiano per il medesimo fatto.
      2. Se, nonostante il giudizio con sentenza definitiva di cui al comma 1, viene di nuovo iniziato un procedimento penale, il giudice, in ogni stato e grado del processo, pronuncia sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, enunciandone la causa nel dispositivo.

Capo V

ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI DELLA CORTE

Art. 30.
(Esecuzione delle sentenze).

      1. La corte di appello di Roma è il giudice competente per l'esecuzione delle sentenze pronunciate dalla Corte.

Art. 31.
(Esecuzione della pena detentiva nel territorio dello Stato italiano).

      1. Le sentenze irrevocabili di condanna a una pena detentiva pronunciate dalla Corte sono eseguibili nel territorio dello Stato italiano in conformità a quanto stabilito nello Statuto.
      2. Se la Corte indica lo Stato italiano come luogo di espiazione della pena, il Ministro della giustizia comunica alla Corte, senza ritardo, se la designazione è stata accettata e richiede il riconoscimento della sentenza della stessa Corte.
      3. Alla richiesta della Corte di cui al comma 2 sono allegati:

          a) una copia certificata conforme della sentenza di condanna;

          b) una dichiarazione che indica il periodo di pena già espiata, comprese tutte le rilevanti informazioni sulla detenzione cautelare già espiata;

          c) ove pertinenti, ogni rapporto medico o psicologico sul condannato, ogni raccomandazione relativa al suo trattamento nello Stato italiano e ogni altra informazione rilevante ai fini dell'esecuzione della pena.

      4. Il Ministro della giustizia trasmette al procuratore generale presso la corte di appello di Roma la richiesta, unitamente alla traduzione in lingua italiana, con gli atti allegati di cui al comma 3. Il procuratore generale promuove il riconoscimento mediante richiesta alla medesima corte di appello.
      5. La sentenza della Corte non può essere riconosciuta quando ricorre una delle seguenti ipotesi:

          a) la sentenza non è divenuta irrevocabile ai sensi dello Statuto e delle altre disposizioni che regolano l'attività della Corte;

          b) per lo stesso fatto e nei confronti della stessa persona è stata pronunciata nello Stato italiano sentenza irrevocabile.

      6. La corte di appello di Roma delibera con sentenza in ordine al riconoscimento, osservate le forme previste dall'articolo 127 del codice di procedura penale.
      7. Si applica l'articolo 734, comma 2, del codice di procedura penale.
      8. La corte di appello di Roma, quando pronuncia il riconoscimento, determina la pena che deve essere eseguita nello Stato italiano, convertendo, ove necessario, quella determinata dalla Corte nella pena corrispondente a quella prevista ai sensi della legislazione vigente in materia.

Art. 32.
(Modalità di esecuzione della pena detentiva).

      1. La pena è eseguita secondo le modalità stabilite dalla legge italiana.
      2. Il Ministro della giustizia concorda con la Corte le modalità di esercizio del potere di controllo previsto dall'articolo 106, paragrafo 1, dello Statuto.
      3. Con la medesima procedura di cui al comma 2 del presente articolo il Ministro della giustizia adotta i provvedimenti necessari ad assicurare la libertà e la riservatezza delle comunicazioni tra il condannato e la Corte, ai sensi dell'articolo 106, paragrafo 3, dello Statuto.
      4. Il Ministro della giustizia trasmette immediatamente alla Corte le domande di misure alternative alla detenzione, di sospensione o di differimento dell'esecuzione della pena, di liberazione anticipata, di ammissione al lavoro esterno, di permessi ovvero di ogni altro provvedimento incidente sulla libertà personale del condannato, unitamente a tutta la documentazione pertinente.
      5. Il procedimento rimane sospeso per un termine di quarantacinque giorni. In ogni caso l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa fino a quando la Corte non ha espresso il suo consenso.
      6. Se la Corte ritiene che il condannato non possa beneficiare del provvedimento richiesto il Ministro della giustizia può chiedere alla medesima Corte il trasferimento del condannato in un altro Stato.
      7. La detenzione, sia per fini cautelari che in espiazione di pena, può avere luogo in una sezione speciale di un istituto penitenziario ovvero in un carcere militare, conformemente alla legislazione vigente in materia.

Art. 33.
(Regime penitenziario).

      1. L'esecuzione della pena inflitta dalla Corte è regolata dalle norme dell'ordinamento penitenziario, stabilite dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, e dalle disposizioni della presente legge, in conformità allo Statuto e al regolamento di procedura e prova.
      2. Il Ministro della giustizia, previa consultazione con la Corte, può disporre l'applicazione del regime di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, ai detenuti condannati dalla Corte.
      3. L'esame dei detenuti nei cui confronti è stata disposta l'applicazione del regime di cui al comma 2 del presente articolo può avvenire nei luoghi e secondo le modalità previsti dagli articoli 145-bis e 146-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.

Art. 34.
(Informazioni alla Corte).

      1. Il Ministro della giustizia informa tempestivamente la Corte nei seguenti casi:

          a) quando il condannato è evaso;

          b) quando il condannato è deceduto;

          c) due mesi prima della liberazione del condannato per espiazione della pena.

Art. 35.
(Grazia).

      1. Il Ministro della giustizia, ricevuta la domanda o la proposta di grazia ai sensi dell'articolo 681, comma 2, del codice di procedura penale, ne informa la Corte per l'acquisizione del consenso di quest'ultima.
      2. Decorso il termine di quarantacinque giorni senza che sia pervenuto il parere della Corte richiesto ai sensi del comma 1, il Ministro della giustizia inoltra la domanda o la proposta al Presidente della Repubblica.

Art. 36.
(Revisione della pena).

      1. Quando la pena che deve essere eseguita nello Stato italiano è stata ridotta dalla Corte, il Ministro della giustizia ne informa il procuratore generale presso la corte di appello di Roma affinché determini la pena residua.
      2. Ai fini di cui al comma 1, il procuratore generale presso al corte di appello di Roma provvede con decreto che deve essere notificato al condannato e al suo difensore.

Art. 37.
(Impossibilità di esecuzione della sentenza).

      1. Se, in qualsiasi momento successivo alla decisione di dare esecuzione alla sentenza, risulta impossibile l'esecuzione della pena, il Ministro della giustizia ne informa senza ritardo la Corte.

Art. 38.
(Trasferimento della persona condannata).

      1. Quando la persona condannata, sottoposta all'esecuzione della pena nel territorio dello Stato italiano, deve essere successivamente trasferita alla Corte o ad uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena, il Ministro della giustizia ne informa il procuratore generale presso la corte di appello indicata nell'articolo 730, comma 1, del codice di procedura penale.
      2. Il procuratore generale di cui al comma 1 richiede alla corte di appello l'applicazione di una misura coercitiva per il trasferimento del condannato alla Corte o ad uno Stato estero designato per l'esecuzione della pena. Contestualmente ha termine l'esecuzione della pena nel territorio dello Stato italiano.
      3. La corte di appello di Roma provvede con proprio decreto alla consegna del condannato, senza ritardo, dopo aver ricevuto comunicazione dal Ministro della giustizia del tempo, del luogo e delle modalità della consegna.

Art. 39.
(Modalità dell'esecuzione delle pene pecuniarie, della confisca e della riparazione).

      1. Le sentenze irrevocabili di condanna a una delle sanzioni previste dall'articolo 77, paragrafo 2, dello Statuto, sono eseguibili nel territorio dello Stato italiano in conformità a quanto in esse stabilito.
      2. Le pene pecuniarie sono eseguite secondo la legge italiana. Per determinare la pena pecuniaria, l'ammontare stabilito nella sentenza della Corte è convertito nel valore equivalente espresso in euro al cambio del giorno in cui il riconoscimento è deliberato.
      3. La corte di appello di Roma, su richiesta del procuratore generale presso la stessa corte, provvede all'esecuzione della confisca dei profitti, dei beni o delle altre utilità disposta dalla Corte. Quando la corte di appello pronuncia il riconoscimento ai fini dell'esecuzione di una confisca, ovvero di un provvedimento di riparazione ai sensi dell'articolo 75 dello Statuto, l'esecuzione è ordinata con la stessa sentenza di riconoscimento.
      4. Prima di presentare le richieste alla corte di appello di Roma, il procuratore generale presso la stessa corte può procedere a indagini al fine di disporre il sequestro delle cose e dei beni indicati al comma 5.
      5. La confisca è eseguita sulle cose che servirono o furono destinate a commettere il delitto, sulle cose che ne sono il prodotto, il profitto, il prezzo, il compendio, ovvero, quando tale confisca non è possibile, sulle cose di cui il reo ha la disponibilità, per un valore equivalente, nonché, comunque, sulle somme di denaro, sui beni e sulle altre utilità di cui il reo non può giustificare la provenienza e dei quali, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica.
      6. Sono fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede. Si applicano le disposizioni dell'articolo 676 del codice di procedura penale.
      7. Le somme, i beni o le utilità confiscati sono messi a disposizione della Corte dal Ministro della giustizia. Essi affluiscono a un apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, alla voce «Ministero della giustizia», per essere riassegnate, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, a un apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero della giustizia.

Art. 40.
(Consultazioni con la Corte per l'esecuzione di pene pecuniarie e di misure patrimoniali).

      1. Se, a seguito di richiesta di sequestro o di confisca di somme, di beni o di altre utilità da parte della Corte, insorgono difficoltà nell'esecuzione, il procuratore generale presso la corte di appello di Roma ne informa preventivamente il Ministro della giustizia per l'avvio delle procedure di consultazione anche ai fini della conservazione dei mezzi di prova.

Capo VI
DELITTI CONTRO LA CORTE

Art. 41.
(Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte).

      1. Le disposizioni degli articoli 314, 316, da 317 a 321 e 322, terzo e quarto comma, del codice penale si applicano anche ai giudici, al procuratore generale, ai procuratori aggiunti, ai funzionari e agli agenti della Corte e della procura della Corte medesima, alle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte che esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o degli agenti della Corte stessa, nonché ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base del citato Trattato istitutivo della Corte.

Art. 42.
(Oltraggio a un magistrato della Corte).

      1. Le disposizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 340, 342 e 343 del codice penale si applicano anche quando il reato è commesso nei confronti della Corte, dei giudici, del procuratore generale, dei procuratori aggiunti, dei funzionari e degli agenti della Corte e della procura della Corte medesima, delle persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte che esercitano funzioni corrispondenti a quelle dei funzionari o agenti della Corte stessa, nonché ai membri e agli addetti a enti costituiti sulla base del citato Trattato.

Art. 43.
(Atti di ritorsione).

      1. Chiunque commette atti di ritorsione nei confronti di una persona che esercita le sue funzioni presso la Corte o per conto di questa e in conseguenza delle funzioni esercitate dalla Corte medesima o da altri, è punito con la reclusione da due a cinque anni.

Art. 44.
(Calunnia).

      1. Chiunque, con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta alla Corte, incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.

Art. 45.
(False informazioni al procuratore generale presso la Corte).

      1. Chiunque, nel corso di un procedimento penale per reati per cui procede la Corte, richiesto dal procuratore generale presso la Corte medesima di fornire informazioni ai fini delle indagini, rende dichiarazioni false ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa in relazione ai fatti sui quali viene sentito è punito con la reclusione fino a quattro anni.
      2. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 371-bis, commi secondo e terzo, del codice penale.

Art. 46.
(Falsa testimonianza).

      1. Chiunque, deponendo come testimone davanti alla Corte, afferma il falso o nega il vero ovvero tace, in tutto o in parte, ciò che sa intorno ai fatti sui quali è interrogato è punito con la reclusione da due a sei anni.

Art. 47.
(Frode processuale).

      1. Chiunque, nel corso di un procedimento penale per reati per cui procede la Corte, al fine di trarre in inganno il giudice in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale, ovvero il perito nell'esecuzione di una perizia, muta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone è punito, qualora il fatto non sia previsto come reato da una particolare disposizione di legge, con la reclusione da sei mesi a tre anni.

Art. 48.
(False dichiarazioni o attestazioni in atti destinati alla Corte).

      1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o in atti destinati a essere prodotti alla Corte condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all'imputato o al condannato.
      2. Si applica, in quanto compatibile, l'aggravante di cui al secondo comma dell'articolo 374-bis del codice penale.

Art. 49.
(Intralcio alla giustizia).

      1. Chiunque offre o promette denaro o altra utilità alla persona chiamata a rendere dichiarazioni davanti alla Corte, ovvero alla persona richiesta di rilasciare dichiarazioni al procuratore generale presso la Corte o al difensore nel corso dell'attività investigativa, ovvero alla persona chiamata a svolgere attività di perito, di consulente tecnico o di interprete, per indurlo a commettere i reati previsti dagli articoli 41 e 42, soggiace, qualora l'offerta o la promessa non sia accettata, alle pene stabilite negli articoli medesimi ridotte della metà.
      2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche qualora l'offerta o la promessa sia accettata ma la falsità non sia commessa.
      3. La condanna importa l'interdizione dai pubblici uffici.

Art. 50.
(Favoreggiamento personale).

      1. Chiunque, dopo che è stato commesso un reato di competenza della Corte e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno a eludere le investigazioni degli organi della medesima Corte o a sottrarsi alle ricerche di questa è punito con la reclusione da due a quattro anni.
      2. Si applica la disposizione dell'articolo 378, quarto comma, del codice penale.

Art. 51.
(Patrocinio o consulenza infedele).

      1. Il patrocinatore o il consulente tecnico che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita o rappresentata davanti alla Corte, è punito con la reclusione da uno a tre anni.
      2. La pena di cui al comma 1 è aumentata:

          a) se il colpevole ha commesso il fatto colludendo con la parte avversaria;

          b) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato.

Capo VII
DISPOSIZIONI FINALI

Art. 52.
(Clausola di invarianza).

      1. Dall'attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. All'attuazione delle medesime si provvede nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste dalla legislazione vigente.

Art. 53.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


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