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PDL 1541

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1541



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

LUCIANO ROSSI, BARANI, BARBIERI, BERARDI, BOCCIARDO, CERONI, GARAGNANI, GIRLANDA, GOTTARDO, LEHNER, MAZZONI, MAZZUCA, MONTAGNOLI, NIRENSTEIN, NOLA, NUCARA, PALMIERI, MASSIMO PARISI, POLIDORI, SPECIALE, STRADELLA, TORTOLI, VIGNALI

Modifica all'articolo 1, comma 280, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, per promuovere e incentivare la ricerca

Presentata il 25 luglio 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - La ricerca scientifica e tecnologica, l'innovazione e l'alta formazione sono leve molto efficaci per promuovere la crescita economica e lo sviluppo duraturo in un territorio. Eppure in Italia la ricerca, in particolare, gode di un assai precario stato di salute.
      È stato più volte sottolineato, infatti, come l'impegno economico del nostro Paese per la ricerca disattenda le indicazioni dell'Unione europea: spendiamo circa un terzo del 3 per cento del PIL indicato come obiettivo a Lisbona circa otto anni fa.
      Che il «sistema ricerca», sia in grave affanno rispetto ai nostri partner europei ce lo dicono, tra molti altri parametri, anche le cifre più recenti relative alla partecipazione italiana al settimo Programma quadro (FP7) dell'Unione europea. Due dati, in particolare, fanno riflettere. Il primo è rappresentato dalla massiccia partecipazione di nostri giovani ricercatori al primo bando dell'European research council (ERC): da questo punto di vista siamo stati primi in classifica, con circa 1.700 proposte di ricerca contro le 1.000 circa di Gran Bretagna e Germania. Un dato interpretato dal vice presidente dell'ERC non tanto come un particolare dinamismo dei giovani ricercatori italiani, ma piuttosto come espressione della mancanza di supporto finanziario in Italia. Per di più, dei 70 ricercatori italiani selezionati per la fase finale di valutazione, solo metà avevano intenzione di lavorare in Italia. A confronto, più di 100 finalisti hanno optato per l'Inghilterra e soltanto 42 sono inglesi. C'è chi perde cervelli e chi li acquista, con un evidente vantaggio non solo culturale, ma anche economico, nel mercato sempre più globale della ricerca biologica e medica.
      Il secondo dato su cui riflettere è relativo alla partecipazione al primo bando (aprile 2007) del tema «salute» del citato settimo Programma quadro. Le proposte di ricerca a coordinamento italiano hanno avuto un tasso di successo di circa il 15 per cento, che seppur non disastroso è ben al di sotto della media europea, che si aggira intorno al 25 per cento. In altri settori della ricerca biologica, i risultati della partecipazione italiana ai bandi di FP7 sono stati addirittura peggiori.
      Il quadro che emerge da questi dati è sconfortante, perché indica chiaramente che il nostro sistema ricerca non è competitivo sul mercato europeo (e tanto meno su quello mondiale) e, soprattutto, non è attraente per i migliori giovani ricercatori italiani (e tanto meno per quelli di altri Paesi). Molti sono i motivi - politici, culturali e strutturali - che determinano questa situazione progressivamente sempre più deteriorata del nostro sistema ricerca.
      Non è solo questione di entità dei finanziamenti: a determinare la nostra attuale situazione sono soprattutto il modo in cui le risorse vengono distribuite e la mancanza di una qualsivoglia strategia per lo sviluppo strutturale del nostro sistema ricerca.
      In Italia, di fatto, è carente una chiara politica di direzione e di valorizzazione della ricerca, a cominciare dalle risorse umane, peraltro altamente qualificate e sicuramente competitive con quelle degli altri Paesi. È naturale quindi che molti tra i nostri migliori giovani ricercatori (come quelli, ad esempio, che hanno ottenuto un finanziamento dell'ERC) cerchino prospettive altrove.
      La mancanza di una politica per la ricerca ha permesso lo sviluppo di un sistema rigido, basato su criteri normativi e talvolta anche sindacali, refrattario all'uso sistematico di meccanismi di verifica del merito scientifico. Questo sistema rigido offre un percorso di carriera che vede troppo spesso un precariato che, se è fisiologico per qualche anno a inizio carriera, diviene mortificante quando raggiunge e supera la soglia dei quaranta anni, con scarsissime possibilità di autonomia scientifica e con un accesso estremamente limitato a posizioni di ruolo. Questo clima, da un lato, ha prodotto l'ingessamento delle università italiane, mentre, dall'altro, si assiste alla totale assenza di una qualsiasi forma di osmosi con il mondo della ricerca industriale.
      Un argomento ricorrente, in Italia, è quello della «fuga» e del «rientro» dei cervelli. Il problema della fuga dei cervelli è reale, ma il dilemma del rientro riguarda purtroppo un numero di ricercatori molto modesto rispetto a quelli che perdiamo ogni anno. Inoltre, a quelli che comunque rientrano, i meccanismi finora messi in atto non assicurano in alcun modo un ambiente favorevole al proseguimento delle attività. Complessivamente, quindi, l'operazione «rientro dei cervelli», seppure con qualche notevole eccezione, non ha prodotto sostanziali effetti positivi per il Paese, non solo in termini scientifici e culturali, ma anche tecnologici ed economici.
      Oltre a perfezionare i meccanismi di rientro, è importante e urgente - altresì - sviluppare piani e strumenti per evitare di perdere i cervelli più brillanti, identificarli con una valutazione seria e sistematica e fornire loro buone ragioni per restare, anche creando una maggiore osmosi tra il mondo della ricerca accademica e quello della ricerca privata e d'impresa.
      L'impresa, in questo contesto, svolge una funzione di vero e proprio volano; e non soltanto nella ricerca cosiddetta intra muros (ovvero quella svolta dalle imprese al proprio interno, con proprio personale e con proprie attrezzature), ma anche in quella che vede coinvolti anche altri soggetti, quali le università e gli enti di ricerca.
      La vigente normativa in materia dispone, infatti, in favore delle imprese, un credito di imposta nella misura del 10 per cento dei costi sostenuti per attività diretta di ricerca industriale e di sviluppo; il beneficio viene elevato al 40 per cento nel caso in cui i costi di ricerca e sviluppo siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca.
      Questo significa che gli enti di ricerca privati sono fatti oggetto, inspiegabilmente, di una discriminazione: infatti, nessuno di essi - per quanto qualificato e con meriti riconosciuti dallo stesso Stato - potrà mai competere con gli enti pubblici, dal momento che gran parte delle spese delle ricerche commissionate a tali enti viene restituita alle imprese tramite il meccanismo del credito di imposta.
      Perché agli enti pubblici di ricerca viene data questa opportunità, mentre a quelli privati - il cui valore scientifico è indiscusso - viene negata solo in virtù del loro status giuridico, impedendo così ad essi di dare il loro apporto in termini di risorse umane, di valori e di conoscenza?
      La presente proposta di legge è, pertanto, finalizzata ad eliminare questa incongruenza e a tal fine dispone, modificano il comma 280 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007), che le imprese beneficino del credito di imposta in misura «maggiorata» anche per i costi di ricerca e sviluppo che siano riferiti a contratti stipulati con gli enti privati di ricerca non profit.
      L'articolo 2 reca la quantificazione degli oneri ed individua la necessaria copertura finanziaria.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. All'articolo 1, comma 280, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, le parole: «enti pubblici» sono sostituite dalle seguenti: «enti di ricerca pubblici o privati non profit».

Art. 2.

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, valutato in 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2008, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della solidarietà sociale.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


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