Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 857

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 857



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato PISICCHIO

Introduzione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale in materia di tortura

Presentata il 7 maggio 2008


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Il provvedimento che viene sottoposto al nostro esame sembrerebbe evocare un nobilissimo e condiviso principio, privo però di un precipitato di attualità. Chi mai potrebbe - viene infatti da chiedersi - nell'Italia democratica e civile, nell'Italia dei valori umani patrimonio di tutti, porre in punto di principio la questione della tortura se non in termini di esecrazione e di estraneità? Ma così non è. Recentemente si sono potuti leggere sulle pagine di autorevoli testate giornalistiche dibattiti che, proprio in punto di principio, dichiaravano l'attualità di una riflessione sulla tortura rilanciata per effetto del fondamentalismo religioso che fomenta il terrorismo jihadista e di una interpretazione, per così dire, pragmatista delle esigenze della sicurezza nazionale. Il tema era il seguente: di fronte al pericolo concreto di una nuova apocalisse come quella dell'11 settembre 2001 e alla possibilità, attraverso il ricorso allo strumento della tortura, di venire a conoscenza di informazioni fondamentali per salvare la vita a migliaia di persone, siamo così sicuri della nostra indeflettibile risposta negativa? La questione non è priva di concretezza. Così come non è privo di attualità il tema della normazione giuridica e dell'inclusione nel codice penale di un reato specifico di tortura. Forse non appare inutile per comprendere fino in fondo quanto l'idea di tortura, intesa come grande dolore fisico inflitto in vari modi e con diversi strumenti come punizione o come mezzo per estorcere confessioni, abbia interessato filosofi, teologi e giuristi fin dalla più remota antichità, come violenza incompatibile con la minima sensibilità umana.
      Nella Roma repubblicana la tortura era applicata agli schiavi; solo con l'Impero l'orribile sanzione si estese ai soggetti liberi ma per crimini ritenuti, all'epoca, assai gravi, come la lesa maestà, il veneficio e la magia. La tortura fu estranea, invece, alla cultura giuridica dei popoli germanici invasori, almeno in una prima fase, ma trovò un impiego nei secoli XI e XII anche all'interno del conflitto tra Chiesa ed eretici. Già nel XVI secolo, teologi e filosofi cominciarono a protestare contro la tortura barbara e inutile e nel XVIII secolo la cultura positivista, in particolare quella italiana, scrisse pagine definitive al riguardo: Pietro Verri, «Osservazioni sulla tortura», pubblicato nel 1804; Cesare Beccarla, «Dei delitti e delle pene», nel 1764.
      A partire dal 1740, ad opera del re Federico di Prussia, abbiamo le prime illuminate scelte ordinamentali per l'abolizione della tortura. Alla Prussia fecero seguito la Svezia e poi la Danimarca, il Baden, il Meclemburgo, la Sassonia e nel 1767 la Russia di Caterina II. La stessa Francia di Luigi XVI sospese la tortura alla fine del 1700 - nel 1780 - e con la Costituente, nel 1789, la soppresse del tutto.
      Nel novecento, dopo la parentesi della seconda guerra mondiale, in cui fu sospeso ogni criterio di umanità e la Germania di Hitler contraddisse la sua antica tradizione giuridica antitortura, la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 10 dicembre 1948, alla quale aderì l'Italia, previde specificamente il reato di tortura all'articolo 5: «Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti». Lo stesso divieto fu incluso sia nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e dalle libertà fondamentali, fatta a Roma il 4 novembre 1950 (resa esecutiva dalla legge n. 848 del 1955), sia nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 (resa esecutiva dalla legge n. 881 del 1977).
      Tuttavia, vi è ancora un atto di diritto internazionale, il più importante, da cui discendono obblighi per il nostro Paese, che va preso in considerazione: è la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata a New York il 10 dicembre 1984 (resa esecutiva dalla legge n. 498 del 1988). Secondo la Convenzione di New York, infatti, gli Stati sottoscrittori si obbligano a provvedere affinché qualsiasi atto di tortura costituisca un reato ai sensi del suo diritto penale.
      La presente proposta di legge, che riproduce il testo unificato atto Senato n. 1216 della XV legislatura, è diretta a introdurre nell'ordinamento italiano il delitto di tortura, dando efficace attuazione alla Convenzione di New York, resa esecutiva dall'Italia con la citata legge 3 novembre 1988, n. 498. Va detto che, ai fini dell'esecuzione della Convenzione, il legislatore nel 1988 non ritenne necessaria l'introduzione nel nostro ordinamento di una specifica fattispecie penale. A questa conclusione si pervenne ritenendo che le condotte riconducibili alla definizione di tortura, sancita dall'articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione, fossero comunque riferibili a fattispecie penali già previste dalla legge italiana, come ad esempio quelle dirette a punire l'omicidio, le lesioni, le percosse, la violenza privata o le minacce. Per questa ragione non si ritenne necessario accompagnare la ratifica con norme di attuazione interna e, in particolare, con la previsione del nuovo delitto di tortura. A distanza di venti anni si avverte l'esigenza di rivedere quella scelta, considerato che la legislazione vigente non sembra punire in maniera adeguata tutte le condotte riconducibili alla nozione di tortura, così come intesa non soltanto dalla Convenzione di New York, ma anche dal comune sentire. In tale nozione rientrano anche alcuni comportamenti disumani e degradanti della dignità umana che non sono pienamente riconducibili alla nozione di violenza o di minaccia elaborata dalla nostra giurisprudenza. Tra queste nozioni e quella di tortura vi sarebbe una zona grigia; se così fosse, questa zona grigia sostanzialmente si tradurrebbe in una violazione della Convenzione del 1984.
      Né, in verità, il Parlamento ha trascurato di occuparsi del tema: nella passata legislatura, infatti, la Camera dei deputati approvò all'unanimità il menzionato testo unificato licenziato dalla Commissione Giustizia, che introduceva il reato di tortura nel nostro ordinamento, testo che il Senato della Repubblica non riuscì ad approvare.
      Non fu facile addivenire a una formulazione della fattispecie del delitto di tortura che, da un lato, fosse pienamente conforme alla definizione di tortura della Convenzione di New York e, dall'altro, consentisse di definire in termini sufficientemente precisi gli aspetti tipici della nuova ipotesi di reato con specifico riferimento ai soggetti attivi e passivi, alla natura e ai contenuti delle condotte perseguibili e alle finalità cui esse erano indirizzate.
      A ciò si deve aggiungere anche la consapevolezza che le situazioni tipiche descritte nella fattispecie avrebbero potuto subire effetti distorti a causa di un'interpretazione estensiva che avrebbe potuto colpire soggetti o condotte ovvero riguardare fatti che nell'esercizio di poteri pubblici istituzionali si sarebbe dovuto ritenere legittimi o contenuti in termini effettivi di rispetto della legalità.
      Il lavoro della Commissione Giustizia nella XV legislatura, svolto avendo come punto di partenza la definizione sancita dall'articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione di New York, produsse il ricordato testo unificato, composto da un solo articolo, che stabilisce che è punito con la pena della reclusione da quattro a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale. La pena è aumentata se tali condotte sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, ovvero se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima. Nel caso che ne derivi la morte, la pena è raddoppiata.
      Dalla definizione di tortura della Convenzione di New York, quella stabilita dalla presente proposta di legge si differenzia tuttavia parzialmente, in primo luogo sotto il profilo del soggetto attivo del reato. Mentre la prima configura un reato proprio, cioè un reato che può essere commesso esclusivamente da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisce a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito, la seconda, invece, configura un reato comune in quanto il reato può essere commesso da chiunque. La portata della nozione di tortura della presente proposta di legge sarebbe, dunque, anche più ampia di quella della Convenzione. Si tratta di una scelta che, se è vero che rischia di ampliare eccessivamente la fattispecie fino a ricomprendervi anche ipotesi che forse sono estranee alla comune nozione di tortura, ha il pregio di ridurre sensibilmente quell'area grigia del diritto penale che, in alcuni casi, finisce nel tradursi in una vera situazione di impunità.
      Pertanto, come già rilevato, la presente proposta di legge riproduce il testo unificato approvato dall'Aula della Camera dei deputati nella XV legislatura, con l'auspicio che in questa legislatura si possa finalmente giungere alla sua approvazione definitiva.


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Nel libro secondo, titolo XII, capo III, sezione III, del codice penale, dopo l'articolo 613 sono aggiunti i seguenti:

      «Art. 613-bis. - (Tortura). - È punito con la pena della reclusione da tre a dodici anni chiunque, con violenza o minacce gravi, infligge ad una persona forti sofferenze fisiche o mentali ovvero trattamenti crudeli, disumani o degradanti, allo scopo di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni su un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero allo scopo di punire una persona per un atto che essa stessa o una terza persona ha compiuto o è sospettata di avere compiuto ovvero per motivi di discriminazione razziale, politica, religiosa o sessuale.
      La pena è aumentata se le condotte di cui al primo comma sono poste in essere da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio.
      La pena è aumentata se dal fatto deriva una lesione grave o gravissima; è raddoppiata se ne deriva la morte.
      Non può essere assicurata l'immunità diplomatica per il delitto di tortura ai cittadini stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati da un'autorità giudiziaria straniera o da un tribunale internazionale. In tali casi lo straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di condanna per il reato di tortura o, nel caso di procedimento davanti a un tribunale internazionale, verso lo Stato individuato ai sensi della normativa internazionale vigente in materia.

      «Art. 613-ter. - (Fatto commesso all'estero). - È punito secondo la legge italiana, ai sensi dell'articolo 7, numero 5), il cittadino o lo straniero che commette nel territorio estero il delitto di tortura di cui all'articolo 613-bis».


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su