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PDL 1077

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1077



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

BOBBA, BINETTI, CALGARO, NARDUCCI

Delega al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia secondo il metodo del quoziente familiare e misure a sostegno del coniuge superstite

Presentata il 20 maggio 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge si modifica il sistema fiscale che, con la normativa vigente, penalizza la famiglia monoreddito con figli a carico.
      Già la Corte costituzionale, con sentenza n. 179 del 15 luglio 1976, aveva invitato il Parlamento a correggere questa distorsione, ma, nonostante la reiterazione della sollecitazione, la situazione è rimasta invariata, nonostante il Parlamento, con l'articolo 19 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, avesse delegato il Governo a predisporre appositi decreti legislativi il cui iter, tuttavia, pur iniziato, non si è concluso. Ha pesato probabilmente sulle «inadempienze» la considerazione che l'introduzione del quoziente familiare avrebbe comportato una forte diminuzione delle entrate.
      Nella XIV legislatura, poi, la maggioranza aveva scelto di puntare sulla sostanziale eliminazione del carattere progressivo dell'imposizione fiscale, verso due sole aliquote (23 per cento e 33 per cento), eliminazione che avrebbe reso meno incisiva la valorizzazione del reddito familiare. Giova ricordare però che la «riforma Tremonti» era stata accompagnata da un aspro dibattito, sostenendo alcuni partiti della sua stessa maggioranza che sarebbe stato meglio utilizzare per le imprese e per le famiglie le risorse che si stavano destinando ai redditi più alti.
      Oggi si conviene che ogni politica fiscale debba partire dal recupero dell'evasione e che le risorse recuperate possono essere utilizzate anche per un abbassamento della pressione fiscale nel nostro Paese. La presente proposta di legge si colloca in questa prospettiva, utilizzando parte delle risorse recuperate per correggere l'iniqua penalizzazione della famiglia. Ciò è possibile introducendo nel nostro sistema il quoziente familiare, uno dei possibili strumenti, non l'unico, ma il più equo anche in riferimento a deduzioni e detrazioni.
      Tutta la letteratura specifica, ivi comprese le numerose indagini del Parlamento, concorda nel ritenere il sistema fiscale francese (appunto a quoziente familiare) il più giusto e il più efficace per la famiglia. Quello italiano si caratterizza invece per una singolare contraddizione: esso si fonda sulla tassazione a base individuale (che a parità di reddito penalizza le famiglie monoreddito) e contemporaneamente determina le tariffe sulla base del reddito familiare, se non addirittura sul patrimonio della famiglia.
      La presente proposta di legge ha indubbiamente un possibile effetto indotto di politica demografica; non dimentichiamo però che la famiglia è prima di tutto, e sempre, una vocazione, una scelta di vita.
      Ci muoviamo sui due binari paralleli del quoziente familiare, che è riferito ai diritti della famiglia, e delle deduzioni e delle detrazioni, che attengono ai diritti dell'individuo; è demandata poi al decreto legislativo l'armonizzazione dei diversi strumenti, la cui combinazione non è neutra, poiché dipende dal valore sociale che si annette all'investimento nelle generazioni future, al contrasto delle povertà e agli obiettivi di carattere demografico.
      Questi obiettivi oggi sono affrontati con un sistema di deduzioni e detrazioni, in una specie di «scala di corrispondenza» opportunamente graduata in funzione del reddito.
      Non si riescono però a risolvere alcune contraddizioni: in primo luogo la cosiddetta «trappola della povertà» per gli incapienti; in secondo luogo il fatto che vi sia un livello in cui all'aumento del reddito lordo corrisponde una diminuzione del reddito netto. E il fatto incontestabile è che le famiglie monoreddito siano penalizzate.
      Aggiungiamo che il sistema delle deduzioni e detrazioni è sostanzialmente rigido e che la migliore delle scale di corrispondenza non è neutra rispetto alle possibili scelte delle famiglie. Un problema che non è risolto neppure con un incremento dei servizi; rimane al fondo il problema di riconoscere che le famiglie sono il luogo delle decisioni di consumo, della loro libertà di scelta; un problema che si affronta meglio con il quoziente familiare.
      Inoltre, occorre rimuovere una possibile contrarietà pregiudiziale, di carattere ideologico: alcuni pensano che il quoziente familiare comporterebbe una minore tensione al lavoro da parte del coniuge, in particolare delle donne. Questa preoccupazione non ha riscontro nei Paesi in cui il quoziente familiare è già in vigore, Paesi che hanno tassi di occupazione femminile molto più alti del nostro; perché lo stato di disoccupazione molto raramente è frutto di scelte personali, quasi sempre è determinato dal mercato. Bisogna ricordare poi che, nelle nuove condizioni di instabilità familiare, la scelta lavorativa di tutti e due i coniugi è condizionata anche dall'esigenza di garantirsi sicurezza e previdenza per il futuro, di indipendenza e di dignità personali, indipendentemente dalle decisioni di paternità e di maternità.
      La scelta di avere figli, sostenuta dal quoziente familiare e da una migliore rete dei servizi, pone semmai l'esigenza di rafforzare le politiche di sostegno del congedo, del part time, del reingresso nel mondo del lavoro.
      Consideriamo più fondata invece l'osservazione che la famiglia con due percettori di reddito gode di un livello di benessere «sociale» inferiore rispetto a quella con un solo reddito. In sostanza lavorare comporta costi maggiori di gestione familiare, mentre c'è un'economia nella presenza continua in famiglia di uno dei due coniugi; vi è cioè un deficit di benessere che vuole una compensazione e che, a seconda del reddito, può variare dall'1 al 30 per cento.
      Generalmente questo problema è risolto attribuendo al coniuge a carico un coefficiente inferiore ad 1 (fra lo 0,5 e lo 0,67); nella presente relazione sono contenute delle tabelle che illustrano la nostra scelta. Si vedrà che il coefficiente assegnato al coniuge è inferiore ad 1 e che la somma dei coefficienti che noi proponiamo è inferiore a quella della stessa scala di equivalenza, proprio per tener conto dei bonus.
      Alle considerazioni fin qui svolte, e che noi riteniamo di facile evidenza, crediamo utile aggiungerne alcune altre fondanti, discriminanti, perché altrimenti sarebbe difficile sfuggire al dilemma quoziente familiare-deduzioni e detrazioni.
      Partiamo ovviamente dal presupposto che le famiglie numerose abbiano minore capacità di spesa e che i bisogni aumentino con l'ampliamento del nucleo, anche se in misura meno che proporzionale. E dal presupposto che la scala di equivalenza si può sostenere solo fino ad un certo reddito, al di sopra del quale la scelta di avere figli non è correlata al sistema fiscale. La proposta di legge prevede quindi un limite all'applicazione del quoziente familiare; per esigenze di bilancio, si ritiene inevitabile affidare alle leggi finanziarie l'indicazione di limiti intermedi di reddito.
      La vera differenza, di fondo, è che nel sistema vigente la casalinga e gli altri familiari sono considerati «carichi detraibili» e i figli sono una semplice scelta individuale; viceversa, nella presente proposta di legge casalinghe e figli sono soggetti che partecipano al possesso del reddito familiare, e in particolare i figli sono un investimento che si trasferisce, come bene, all'intera società. E per questo è inevitabile che l'unità impositiva più opportuna sia la famiglia e non l'individuo, perché oggi più che mai è decisiva la struttura del consumo.
      Ritorniamo ad una questione che abbiamo accantonato; si dice che il problema sia la fornitura di servizi. Rispondiamo che certamente ci vogliono più servizi, ma il quoziente familiare non è un sussidio paragonabile ad un servizio, bensì uno strumento per una fiscalità più giusta e più equa. Esso non è contrattabile con un doveroso, ineludibile incremento dei servizi e con una migliore qualificazione degli stessi, con una maggiore flessibilità del lavoro e con obbligatori piani regolatori degli orari della città.
      L'introduzione del quoziente familiare (divisione di tutto il reddito familiare per la somma dei coefficienti attribuiti ai suoi componenti: 1 al primo percettore di reddito, 0,65 al coniuge, 0,5 al primo figlio, 1 al secondo e al terzo, 0,5 agli altri e ai non autosufficienti), se il nuovo regime è opportunamente calibrato, può comportare un risparmio cospicuo per la famiglie ed una contrazione delle entrate dello Stato. Giacché non è pensabile che ci possa essere una compensazione aumentando le aliquote per tutti i contribuenti, la soluzione deve essere cercata nella lotta all'evasione e all'elusione fiscali, destinando anche a tale obiettivo le risorse recuperate. L'introduzione del quoziente familiare si colloca in questa prospettiva, da portare a termine nell'arco di una legislatura.
      In tal senso, si è ritenuto opportuno presentare una proposta di legge di delega, che fissi gli obiettivi da raggiungere entro un arco temporale definito (cinque anni), rimandando la verifica delle risorse alle leggi finanziarie.
      Devono concorrere, a nostro parere, al reddito familiare tutti i redditi da lavoro dipendente o autonomo, di impresa o da attività finanziaria, dei coniugi, dei figli fino alla maggiore età (elevata secondo le norme vigenti), dei familiari perennemente inabili al lavoro, delle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore all'assegno sociale. Concorrono in ogni caso alla determinazione del reddito familiare tutti i cespiti che sono inseriti nella tassazione a base individuale.
      Sono state fatte molte proiezioni sugli effetti prodotti dalla tassazione a base familiare, combinata con deduzioni e detrazioni, e si sono anche indicate alcune possibili contraddizioni marginali. Proponiamo che sia prevista una clausola di salvaguardia, che permetta agli interessati di rimanere ancorati ad una tassazione a base individuale e alla amministrazione di fare i necessari aggiustamenti.
      Infine, quanto ai coefficienti da applicare, si propone la scala di equivalenza di cui all'allegato 1 alla presente relazione. Si potrebbe anche considerare la proposta di un abbassamento dei coefficienti per tenere conto delle difficoltà finanziarie. Si preferisce agire non sui coefficienti, ma sul livello di reddito familiare interessato dal nuovo trattamento fiscale, livello da innalzare gradualmente fino al limite già indicato.
      Occorre ricordare che c'è una vasta letteratura sulla materia, quasi tutta convergente sui valori che noi abbiamo fatti nostri. Si discute ancora sul valore del coefficiente da attribuire al coniuge, assai meno se fissare il coefficiente 1 a cominciare dal secondo o dal terzo figlio.
      Cominciamo dal coefficiente da attribuire ai figli, perché queste norme sono anche correlate alla volontà di sostenere il tasso di natalità nel nostro Paese; avvertiti sempre, tuttavia, che la scelta di maternità e paternità è prima di tutto una vocazione, un atto di donazione. Considerato che il tasso di natalità nel nostro Paese è oggi di circa 1,23 figli per donna fertile, riteniamo di fissare il coefficiente 1 fin dal secondo figlio, 1 per il terzo, 0,5 per i successivi e gli altri familiari a carico, escluso ovviamente il coniuge.
      Per il coniuge, fissare un coefficiente pari ad 1, come parrebbe logico ad un primo impatto, significherebbe non tener conto del reddito figurativo rappresentato dal coniuge impegnato totalmente in ambito familiare; gli studi fissano in una forbice 0,50-0,65 la scelta più giusta. Noi scegliamo l'ipotesi 0,65 perché più fondata nelle indagini; per il primo percettore di reddito il coefficiente, ovviamente, non può che essere uguale ad 1.
      Il quoziente familiare naturalmente non cancella, ma ridefinisce il sistema delle deduzioni e detrazioni, che dovrà essere rimodulato in sede di decreto legislativo.
      Infine è sembrato opportuno inserire delle misure a sostegno del coniuge superstite, il quale nella maggior parte dei casi si trova in gravi difficoltà economiche a seguito del lutto sofferto. Oltre, quindi, a ribadire che, nonostante la perdita affettiva, il nucleo familiare resta tale e non deve essere abbandonato dalle istituzioni, con questo provvedimento si muta la normativa relativa alla pensione di reversibilità. Infatti, all'articolo 8, si prevede la cumulabilità del reddito del coniuge superstite con quello del de cuius, con la conseguente abrogazione della tabella F allegata alla legge 8 agosto 1995, n. 335. L'articolo 9, prevede, infine l'introduzione dell'imposta sostitutiva, pari al 20 per cento, per i redditi derivanti dai trattamenti di reversibilità.

Allegato 1

      Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino.
      Federico Perali, «Stime della povertà e scale di equivalenza: il costo di mantenimento di un bambino», paper presentato al convegno della Commissione di indagine sull'esclusione sociale «Misure della povertà e politiche per l'inclusione sociale», Milano, 19-20 novembre 2004.
      Le scale di equivalenza rispondono al quesito «qual è il livello di reddito aggiuntivo di cui una famiglia composta da due adulti ed un bambino ha bisogno rispetto ad una famiglia senza bambini, al fine di godere dello stesso livello di benessere economico?».
      La stima delle scale di equivalenza assume una rilevanza particolare nei sistemi fiscali in cui l'unità impositiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è la famiglia e la tassazione del reddito familiare è effettuata per parti attraverso il calcolo del quoziente. L'aliquota è calcolata sul reddito equivalente che è il reddito familiare diviso per la scala di equivalenza familiare. Questo metodo incorpora il criterio di equità orizzontale che riconosce, a parità di reddito, che la famiglia più numerosa è relativamente più povera e corregge la distorsione implicita nei regimi a tassazione separata che penalizza i contribuenti con familiari a carico e le famiglie monoreddito.
      Il calcolo del costo del bambino si riferisce in genere al solo costo di mantenimento deducibile dalle spese per beni necessari quali le spese per l'alimentazione, la casa, i vestiti. È però importante riconoscere che il costo di mantenimento di un bambino è molto diverso dal costo contabile associato all'accrescimento del bambino o dal costo di produzione. Questo tiene conto anche del valore del tempo investito dai genitori, dell'investimento sulla qualità dei figli e di altri costi relativi a spese non necessarie per i figli. Per questo motivo è naturale pensare che il costo di accrescimento di un figlio vari significativamente al variare del reddito. Mentre le stime del costo di mantenimento del bambino servono per operare confronti interpersonali e per correggere stime di povertà e di ineguaglianza, le stime del costo di produzione del bambino possono essere impiegate per spiegare le scelte di fertilità.
      La ricerca - che si propone di dare un contributo all'aggiornamento della stima del costo di mantenimento dei figli attualmente adottata nella costruzione dell'indicatore delle condizioni socio-economiche che risale al 1985 - utilizza un concetto esteso di scale di equivalenza in quanto la sua misurazione tiene conto della grande eterogeneità tra famiglie in termini anche di stili di vita, delle diverse tecnologie familiari adottate per catturare le economie di scala e, almeno in linea teorica, delle diverse modalità di allocazione delle risorse all'interno della famiglia.
      Le scale in uso non riconoscono un peso diverso, in termini di necessità, alle diverse componenti familiari come, per esempio, la differenza in età dei bambini; un secondo limite sta nell'assunzione di una divisione equa delle risorse familiari monetarie e di tempo tra i membri. Questo implica che i livelli di benessere, e conseguentemente della povertà, siano gli stessi per ogni componente. I livelli di benessere individuali sono stimabili a condizione che si conosca come sono distribuite le risorse all'interno della famiglia, vale a dire, nel nostro caso, quanto viene speso per la componente adulta e quanto per i bambini. Possono di fatto verificarsi situazioni in cui esistono bambini «poveri» in famiglie ricche e bambini «ricchi» in famiglie povere. Se non si tiene conto delle modalità di condivisione delle risorse all'interno della famiglia si corre il rischio di escludere da forme di aiuto bambini che dovrebbero di fatto essere inclusi. Per esempio, la povertà dei bambini si misura tradizionalmente calcolando la proporzione di famiglie con bambini che sono al di sotto della linea di povertà, senza tener conto dell'effettivo livello di benessere del bambino. Lo studio cerca di risolvere entrambi questi limiti stimando sia scale di equivalenza specifiche a ogni componente della famiglia (in modo da incorporare la differenze tra famiglie in modo più appropriato e di ottenere una più precisa misurazione della povertà e della ineguaglianza), sia la regola di condivisione delle risorse familiari (utilizzando un sistema di domanda completo basato sulla teoria collettiva e sull'informazione relativa al consumo di beni esclusivi quali il vestiario per adulti e per bambini). Data la conoscenza della regola di condivisione è possibile definire sia una stima approssimativa del costo di accrescimento del bambino, sia i livelli di benessere e di povertà individuali.
      Utilizzando i bilanci familiari rilevati dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) relativi al 2002, la ricerca stima i costi dei singoli componenti della famiglia allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili tra famiglie di diversa composizione e di consentire analisi di povertà e di ineguaglianze più accurate.
      Gli indici del costo della caratteristica «presenza di uno o più bambini» sono stati calcolati per le tre classi di età 0-5, 6-13, 14-18, e per l'Italia, nord, centro e sud. La famiglia di riferimento è la coppia senza figli. Le famiglie costituite da due genitori e da un bambino di 0-6 anni richiedono 1,27 volte la spesa totale della coppia senza figli di riferimento per avere lo stesso livello di benessere. Un bambino di età inferiore ai 6 anni accresce i costi di una coppia di circa il 27 per cento e costituisce circa il 53 per cento del costo di un adulto equivalente. Un bambino di età compresa tra i 6 ed i 13 anni aumenta i costi di una coppia senza figli di circa il 30 per cento, mentre un bambino della classe di età superiore li accresce del 17 per cento, che corrisponde al 35 per cento rispetto ad un adulto equivalente.
      È interessante notare che tra le diverse regioni le differenze nelle scale non sono economicamente significative, ad eccezione del costo di un bambino di età inferiore ai 6 anni nel sud Italia che è superiore rispetto alle altre macro regioni italiane.

      L'applicazione del quoziente familiare ha lo scopo di ristabilire un'equità orizzontale attraverso il riconoscimento e la non imponibilità delle spese sostenute dalla famiglia per il mantenimento del coniuge e dei figli, dando attuazione al precetto costituzionale di riconoscimento della famiglia.
      Il rapporto della Commissione di indagine sull'esclusione sociale riporta, tra i contributi presentati al citato convegno del 19-20 novembre 2004 (Federico Perali, «Stime della povertà e scale di equivalenza: il costo di mantenimento di un bambino», citato) le scale di equivalenza con il metodo di Engel allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili proponendo, con una elaborazione che riguarda i bilanci familiari rilevati dall'ISTAT nel 2002, la prima tabella (partendo dalla coppia senza figli posta al parametro 2,00) e considerando il numero dei figli, proponendo risultati coerenti con le evidenze empiriche e con le esperienze di altri Paesi.

N. figli minori Quoziente di equivalenza
0 2,00  
1 2,499
2 3,122
3 3,902

      Noi nella nostra elaborazione calcoliamo il coniuge pari a 0,65, e quindi la tabella di equivalenza andrebbe rideterminata con i seguenti valori.

N. figli minori Quoziente di equivalenza
0 1,65  
1 2,149
2 2,772
3 3,552

      L'applicazione delle scale di equivalenza porterebbe ad una riduzione rilevante del gettito e quindi si pone il problema della sua messa a regime nel periodo medio. Nell'articolato abbiamo scelto di demandare al decreto legislativo delegato l'individuazione della necessaria gradualità. Si può operare partendo da limiti di reddito più bassi per raggiungere il limite massimo individuato nel medio periodo; si privilegerebbe cioè un'estensione graduale iniziando dai redditi minori. O rifacendosi alla proposta lanciata dalle Associazioni cristiane lavoratori italiani (ACLI) elaborata dall'economista dell'università Cattolica di Milano, Luigi Campiglio. Essa, sempre in considerazione del costo della riforma, punta a dare in una prima fase un peso ridotto ai quozienti familiari: 0,5 per il coniuge (e non 0,65), 0,25 per il figlio a carico (in luogo di 0,5-1). In questo caso sarebbero immediatamente interessate tutte le famiglie che rientrano nei limiti di reddito familiare e la messa a regime sarebbe affidata all'innalzamento graduale dei coefficienti.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Delega al Governo per la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia).

      1. Il Governo è delegato ad adottare, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo concernente la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia, secondo i princìpi e criteri direttivi di cui alla presente legge.

Art. 2.
(Determinazione del reddito familiare).

      1. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 è adottato in conformità al principio e criterio direttivo secondo il quale il reddito familiare, al quale si applica, ai fini fiscali, il metodo del quoziente familiare definito dall'articolo 3, è determinato sommando i redditi prodotti dai coniugi, non legalmente o effettivamente separati, dai figli legittimi o legittimati, naturali riconosciuti, adottivi, affiliati e affidati, minori di età o perennemente invalidi al lavoro, e da quelli di età non superiore a ventisei anni dediti agli studi o a tirocinio gratuito, nonché dalle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore a quello dell'assegno sociale vigente nell'anno di produzione del reddito. Non si considerano i redditi esclusi nella valutazione del diritto all'assegno sociale.

Art. 3.
(Quoziente familiare).

      1. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 è adottato in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è diviso per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia nelle seguenti misure:

              1) 1 per il primo percettore di reddito;

              2) 0,65 per il coniuge;

              3) 0,5 per il primo figlio;

              4) 1 per il secondo e il terzo figlio;

              5) 0,5 per i figli seguenti e per le altre persone di cui all'articolo 433 del codice civile;

          b) l'imposta familiare è calcolata applicando al reddito, determinato ai sensi della lettera a), le aliquote vigenti e moltiplicando l'importo ottenuto per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia;

          c) sono individuati, tenendo conto delle peculiari esigenze di tutela fiscale dei nuclei familiari con figli:

              1) le soglie di esenzione da applicare al reddito familiare di cui all'articolo 2;

              2) l'importo delle detrazioni applicabili all'imposta familiare determinata ai sensi della lettera b), con riferimento alle fattispecie già previste per il trattamento fiscale a base individuale;

              3) le ulteriori detrazioni applicabili all'imposta familiare determinata ai sensi della lettera b), con prioritaria considerazione per le spese sostenute dalle famiglie per:

                  3.1) l'acquisto dei libri di testo scolastici;

                  3.2) il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido;

                  3.3) servizi domestici di assistenza e cura di figli minori;

              4) le disposizioni necessarie per il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e con le disposizioni in vigore in materia di accreditamento, riscossione, sanzioni, contenzioso ed ogni altro adempimento connesso all'introduzione dell'imposizione secondo il metodo del quoziente familiare.

Art. 4.
(Facoltà di opzione tra i regimi di tassazione).

      1. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 è adottato in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) previsione nei confronti dei contribuenti della facoltà di optare, per ogni dichiarazione dei redditi, per il trattamento fiscale a base individuale;

          b) definizione delle modalità di esercizio della facoltà di opzione prevista alla lettera a), con particolare riguardo alle modalità di accesso al trattamento tributario sulla base del quoziente familiare per i lavoratori dipendenti i cui redditi sono assoggettati a tassazione tramite ritenuta alla fonte.

Art. 5.
(Regime transitorio).

      1. Ai fini della progressiva attuazione della disciplina del trattamento tributario sulla base del quoziente familiare, per i cinque esercizi finanziari successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, la legge finanziaria indica annualmente il livello massimo di reddito familiare per il quale è applicabile il trattamento del quoziente familiare.

Art. 6.
(Determinazione delle tariffe dei servizi dalle amministrazioni pubbliche).

      1. Il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è preso a riferimento per la determinazione delle tariffe dei servizi dalle amministrazioni pubbliche. A tale fine, al predetto reddito possono aggiungersi le valutazioni sul patrimonio. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 provvede all'armonizzazione delle disposizioni della presente legge con quelle di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni.

Art. 7.
(Parere delle Commissioni parlamentari).

      1. Lo schema di decreto legislativo di cui all'articolo 1 della presente legge è trasmesso alla Commissione parlamentare istituita ai sensi dell'articolo 17, terzo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, nella composizione stabilita dall'articolo 1, comma 4, della legge 29 dicembre 1987, n. 550. La Commissione esprime il proprio parere entro due mesi dalla ricezione del relativo schema, indicando specificatamente le eventuali disposizioni che non ritiene rispondenti ai princìpi e criteri direttivi previsti dalla presente legge. Il Governo, nel mese successivo, esaminato il parere, trasmette nuovamente, con le osservazioni e con le eventuali modificazioni, lo schema alla Commissione per il parere definitivo, che deve essere espresso entro un mese.

Art. 8.
(Cumulo del trattamento al coniuge superstite con i redditi del beneficiario).

      1. All'articolo 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335, il terzo periodo è sostituito dal seguente: «Gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario».
      2. La tabella F allegata alla legge 8 agosto 1995, n. 335, è abrogata.
      3. Il regime di cumulo di cui al comma 41 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applica ai trattamenti corrisposti a decorrere dall'anno 2008.

Art. 9.
(Imposta sostitutiva sui trattamenti pensionistici in favore dei superstiti).

      1. I trattamenti pensionistici in favore dei superstiti delle forme pensionistiche obbligatorie di base sono soggetti a imposta sostitutiva pari al 20 per cento.
      2. I redditi derivanti dai trattamenti pensionistici di cui al comma 1 sono esclusi dalla base imponibile ai sensi della lettera a) del comma 3 dell'articolo 3 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.


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