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PDL 134

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 134



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

VICO, BORDO, MARCO CARRA, CECCUZZI, CORSINI, FADDA, FARINONE, FIANO, FOGLIARDI, GAGLIONE, GINEFRA, GRASSI, LARATTA, MISIANI, QUARTIANI, ROSSA, SAMPERI, SANGA, SBROLLINI, SERVODIO, VELO, ZUNINO

Delega al Governo per la revisione del trattamento tributario della famiglia secondo il metodo del quoziente familiare

Presentata il 29 aprile 2008


      

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Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge ci si prefigge di modificare il sistema fiscale che, con la normativa vigente, penalizza la famiglia monoreddito con figli a carico.
      Già la Corte costituzionale, con sentenza 15 luglio 1976, n. 179, aveva invitato il Parlamento a correggere questa distorsione, ma, nonostante la reiterazione della sollecitazione, la situazione è rimasta invariata; anche se il Parlamento con l'articolo 19 della legge 29 dicembre 1990, n. 408, aveva delegato il Governo ad adottare appositi decreti legislativi il cui iter, tuttavia, pur iniziato, non si è concluso. Ha pesato probabilmente sulle «inadempienze» la considerazione che l'introduzione del quoziente familiare avrebbe comportato una forte diminuzione delle entrate.
      Nella XIV legislatura, poi, la maggioranza aveva scelto di puntare sulla sostanziale eliminazione del carattere progressivo dell'imposizione fiscale, verso due sole aliquote (23 per cento e 33 per cento), eliminazione che avrebbe reso meno incisiva la valorizzazione del reddito familiare. Giova ricordare però che la «riforma Tremonti» era stata accompagnata da un aspro dibattito, sostenendo alcuni partiti della stessa maggioranza che sarebbe stato meglio utilizzare per le imprese e per le famiglie le risorse che si stavano destinando ai redditi più alti.
      Oggi si conviene che ogni politica fiscale debba partire dal recupero dell'evasione e che le risorse recuperate possono essere utilizzate anche per un abbassamento della pressione fiscale nel nostro Paese. La presente proposta di legge si colloca in questa prospettiva, utilizzando parte delle risorse recuperate per correggere l'iniqua penalizzazione della famiglia. Ciò è possibile introducendo nel nostro sistema il quoziente familiare, uno dei possibili strumenti, non l'unico, ma il più equo anche in riferimento alle deduzioni e alle detrazioni.
      Tutta la letteratura specifica, ivi comprese le numerose indagini del Parlamento, concorda nel ritenere il sistema fiscale francese (appunto a quoziente familiare) il più giusto e il più efficace per la famiglia. Mentre quello italiano si caratterizza per una singolare contraddizione: si fonda sulla tassazione a base individuale (che a parità di reddito penalizza le famiglie monoreddito) e contemporaneamente determina le tariffe sulla base del reddito familiare, se non addirittura sul patrimonio della famiglia.
      La presente proposta di legge ha indubbiamente un possibile effetto indotto di politica demografica; non dimentichiamo però che la famiglia è prima di tutto, e sempre, una vocazione, una scelta di vita.
      Ci si muove su due binari paralleli, quello del quoziente familiare che è riferito ai diritti della famiglia, e quello delle deduzioni e delle detrazioni che attengono ai diritti dell'individuo; è demandata poi al decreto delegato l'armonizzazione dei diversi strumenti, la cui combinazione non è neutra, poiché dipende dal valore sociale che si annette all'investimento nelle generazioni future, al contrasto delle povertà e agli obiettivi di carattere demografico.
      Questi obiettivi oggi sono affrontati con un sistema di deduzioni e di detrazioni, in una specie di «scala di corrispondenza» opportunamente graduata in funzione del reddito.
      Non si riescono però a risolvere alcune contraddizioni: in primo luogo la cosiddetta «trappola della povertà» per gli incapienti e, in secondo luogo, il fatto che vi sia un livello in cui all'aumento del reddito lordo corrisponde una diminuzione del reddito netto, nonché il fatto incontestabile che le famiglie monoreddito siano penalizzate.
      Si aggiunga, inoltre, che il sistema delle deduzioni e delle detrazioni è sostanzialmente rigido e che la migliore delle scale di corrispondenza non è neutra rispetto alle possibili scelte delle famiglie. Un problema che non è risolto neppure con un incremento dei servizi; rimane al fondo il problema di riconoscere che le famiglie sono il luogo delle decisioni di consumo, della loro libertà di scelta; un problema che si affronta meglio con il quoziente familiare.
      La presente proposta di legge ha ovviamente delle conseguenze sul versante delle entrate, di cui si tratterà in seguito. Preme scansare, prima di tutto, una possibile contrarietà di carattere ideologico, pregiudiziale: alcuni pensano che il quoziente familiare comporterebbe una minore tensione al lavoro da parte del coniuge, in particolare delle donne.
      Questa preoccupazione però non ha riscontro nei Paesi in cui il quoziente familiare è già in vigore, Paesi che hanno tassi di occupazione femminile molto più alti del nostro, perché lo stato di disoccupazione molto raramente è frutto di scelte personali, quasi sempre è determinato dal mercato. Bisogna ricordare poi che, nelle nuove condizioni di instabilità familiare, la scelta lavorativa di tutti e due i coniugi è condizionata anche dall'esigenza di garantirsi sicurezza e previdenza per il futuro, indipendenza e dignità personali, indipendentemente dalle decisioni di paternità e di maternità.
      La scelta di avere figli, sostenuta dal quoziente familiare e da una migliore rete dei servizi, pone semmai l'esigenza di rafforzare le politiche di sostegno del congedo, del part time, del reingresso nel mondo del lavoro.
      Si considera più fondata invece l'osservazione che la famiglia con due percettori di reddito gode di un livello di benessere «sociale» inferiore rispetto a quella con un solo reddito. In sostanza lavorare comporta costi maggiori di gestione familiare, mentre la presenza continua in famiglia di uno dei due coniugi comporta una riduzione di tali costi: vi è cioè un deficit di benessere che vuole una compensazione e che, a seconda del reddito, può variare dall'1 al 30 per cento.
      Generalmente questo problema è risolto attribuendo al coniuge a carico un coefficiente inferiore a 1 (tra lo 0,5 e lo 0,67); a questa relazione sono allegate le tabelle che illustrano la scelta fatta con la presente proposta di legge. Si vedrà che il coefficiente assegnato al coniuge è inferiore a 1 e che la somma dei coefficienti proposti è inferiore a quella della stessa scala di equivalenza, proprio per tener conto dei bonus.
      Alle considerazioni fin qui svolte, e che si ritengono di facile evidenza, si crede utile aggiungerne alcune altre fondanti, discriminanti, perché altrimenti sarebbe difficile sfuggire al dilemma tra quoziente familiare e sistema delle deduzioni e delle detrazioni.
      Si parte ovviamente dal presupposto che le famiglie numerose hanno minore capacità di spesa, e che i bisogni aumentano con l'ampliamento del nucleo, anche se in misura meno che proporzionale, nonché dal presupposto che la scala di equivalenza si può sostenere solo fino a un certo reddito, al di sopra del quale la scelta di avere figli non è correlata al sistema fiscale. Si pone quindi un limite all'applicazione del quoziente familiare; per esigenze di bilancio, poi, si affida alla legge finanziaria l'indicazione dei limiti intermedi di reddito.
      La vera differenza, di fondo, è che nel sistema vigente la casalinga e gli altri familiari sono considerati «carichi detraibili», e i figli sono una semplice scelta individuale; mentre nella presente proposta di legge casalinghe e figli sono soggetti che partecipano al possesso del reddito familiare, e i figli sono un investimento che si trasferisce, come bene, all'intera società. Di conseguenza è inevitabile che l'unità impositiva più opportuna sia la famiglia e non l'individuo, perché oggi più che mai è decisiva la struttura del consumo.
      Si ritorna ora ad una questione che era stata accantonata: si sostiene che il problema sia la fornitura di servizi. A tale affermazione si risponde che certamente sono necessari più servizi, ma che il quoziente familiare non è un sussidio paragonabile a un servizio, bensì è uno strumento per una fiscalità più giusta e più equa. Esso, pertanto, non è contrattabile con un doveroso, ineliminabile incremento dei servizi, con una migliore qualificazione degli stessi, con una maggiore flessibilità del lavoro e con obbligatori piani regolatori degli orari della città.
      L'introduzione del quoziente familiare (divisione di tutto il reddito familiare per la somma dei coefficienti attribuiti ai suoi componenti: 1 al primo percettore di reddito, 0,65 al coniuge, 0,5 al primo figlio, 1 al secondo e al terzo, 0,5 agli altri e ai non autosufficienti; applicazione a questo risultato delle aliquote vigenti e somma del numero delle parti) comporta un risparmio cospicuo per la famiglie e una contrazione delle entrate dello Stato.
      Non è pensabile che ci possa essere una compensazione aumentando le aliquote per tutti i contribuenti. La pressione fiscale media rimarrebbe invariata, ma non si vedono le condizioni politiche adeguate per consentire un ritocco compensativo. Come dire che non ci sono le condizioni per eliminare l'imposta implicita che grava sulla famiglia e per sostituirla con un'altra imposta.
      La soluzione deve essere cercata nella lotta all'evasione e all'elusione, destinando le risorse recuperate al risanamento del bilancio, al sostegno del sistema produttivo, alla diminuzione della pressione fiscale. L'introduzione del quoziente familiare si colloca in questa prospettiva, da portare a termine nell'arco di una legislatura.
      La modifica di sistema che si propone avrebbe effetti più contenuti ove si abolisse di fatto, con la sostanziale riduzione ad una delle aliquote, il carattere progressivo dell'imposizione fiscale. Rimarrebbe in ogni caso la necessità di dare giustizia alle famiglie monoreddito, per le quali la detrazione per produzione di reddito si applica una sola volta e non due.
      Quanto costerà, a regime, questa riforma? Sebbene si tratti di una questione centrale, si può cambiare il tipo di approccio e partire dalle risorse che si riusciranno a mettere a disposizione ogni anno; il problema diventa quindi quanti anni ci vorranno per andare a regime. Il costo è legato poi a molti altri fattori:

          l'ammontare del reddito familiare a cui applicare il quoziente familiare;

          la definizione dello stesso reddito familiare;

          l'ammontare dei coefficienti;

          eventuali clausole di salvaguardia.

      La proposta è quella di una legge delega che fissi gli obiettivi da raggiungere, rimandando la verifica delle risorse alla legge finanziaria.
      Devono concorrere al reddito familiare tutti i redditi da lavoro dipendente o autonomo, di impresa o da attività finanziaria, dei coniugi, dei figli fino alla maggiore età (elevata secondo le norme vigenti), dei familiari perennemente inabili al lavoro, delle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore all'assegno sociale. Sono quindi esclusi i figli maggiorenni che rimangono nel nucleo originario oltre la maggiore età, calcolata con i criteri ricordati; perché non si deve penalizzare la famiglia, ma non si deve neppure dare un vantaggio a coloro che, per vocazione o convenienza, rinunciano alla formazione di una coppia.
      Concorrono in ogni caso alla determinazione del reddito familiare tutti i cespiti che sono inseriti nella tassazione a base individuale.
      Il quoziente familiare si applica al reddito familiare fino al triplo della media dei redditi dichiarati nell'ultimo anno, rispettivamente dai lavoratori dipendenti e dai lavoratori autonomi. La scelta di arrivare fino a tre volte il reddito medio è tesa a non realizzare un eccessivo appiattimento e a non penalizzare la tensione a migliorare la propria condizione. Si propone di raggiungere il livello delle tre volte il reddito medio in maniera progressiva, compatibilmente con le risorse disponibili, nell'arco di una legislatura. Nulla impedisce naturalmente che in futuro il limite di reddito possa essere elevato.
      Sono state fatte molte proiezioni sugli effetti prodotti dalla tassazione a base familiare, combinata con deduzioni e con detrazioni, e si sono anche indicate alcune possibili contraddizioni marginali. Si propone di prevedere una clausola di salvaguardia, una norma transitoria, che permetta agli interessati di rimanere ancorati ad una tassazione a base individuale e all'amministrazione di fare i necessari aggiustamenti.
      Infine, quali coefficienti applicare? Sono stati già indicati, qui è possibile accennare anche a un'altra opzione possibile, nella considerazione che coefficienti e tempi di attuazione sono legati. Atteso che si adotta la scala di equivalenza di cui all'allegato n. 1, si può anche considerare la proposta di un abbassamento dei coefficienti per tenere conto delle difficoltà finanziarie. Si preferisce agire non sui coefficienti, ma sul livello di reddito familiare interessato dal nuovo trattamento fiscale, livello da innalzare gradualmente fino al limite già indicato.
      Si deve ricordare che c'è una vasta letteratura sulla materia, quasi tutta convergente sui valori che sono fatti propri dalla presente proposta di legge. Si discute ancora sul valore del coefficiente da attribuire al coniuge, ma si discute molto meno se fissare il coefficiente 1 a cominciare dal secondo o dal terzo figlio.
      Si comincia dal coefficiente da attribuire ai figli, perché queste norme sono anche correlate alla volontà di sostenere il tasso di natalità nel nostro Paese; avvertiti sempre, tuttavia, che la scelta di maternità e di paternità è prima di tutto una vocazione, un atto di donazione. Considerato che il tasso di natalità nel nostro Paese è oggi di circa 1 per donna fertile, si ritiene di fissare il coefficiente 1 fin dal secondo figlio, 1 per il terzo, 0,5 per i successivi e gli altri familiari a carico, escluso ovviamente il coniuge.
      Per il coniuge, fissare un coefficiente pari a 1, come parrebbe logico a un primo impatto, significherebbe non tenere conto del reddito figurativo rappresentato dal coniuge impegnato totalmente in ambito familiare; gli studi fissano in una forbice 0,50-0,65 la scelta più giusta. Si sceglie l'ipotesi 0,65 perché più fondata nelle indagini; per il primo percettore di reddito il coefficiente, ovviamente, non può che essere uguale a 1.
      Il quoziente familiare naturalmente non cancella, ma ridefinisce il sistema delle deduzioni e delle detrazioni, che dovrà essere combinato in sede di decreto legislativo.
      Si procede ora ad una sintetica illustrazione dell'articolato.
      L'articolo 1 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo per la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia.
      Il decreto legislativo dovrà essere adottato entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia, nel rispetto dei princìpi e criteri direttivi dettati dagli articoli successivi.
      Il successivo articolo 12 disciplina il procedimento per l'emanazione del decreto legislativo.
      L'articolo 2 contiene la definizione di reddito familiare. Questo si ottiene sommando i redditi dei seguenti soggetti:

          a) i coniugi, non legalmente o effettivamente separati;

          b) i figli legittimi o legittimati, naturali riconosciuti, adottivi, affiliati e affidati, minori di età o perennemente invalidi al lavoro;

          c) i figli legittimi o legittimati, naturali riconosciuti, adottivi, affiliati e affidati, di età non superiore a ventisei anni e dediti agli studi o a tirocinio gratuito;

          d) le altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile, purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore a quello dell'assegno sociale vigente nell'anno di produzione del reddito.

      Non concorrono pertanto alla formazione del reddito familiare, non godendo quindi delle agevolazioni fiscali proposte, i redditi dei figli maggiori di età non dediti agli studi o a tirocinio gratuito e i redditi dei figli di età superiore a ventisei anni, indipendentemente dalla loro attività.
      Per la determinazione del reddito familiare non si considerano i redditi esclusi ai fini della valutazione del diritto all'assegno sociale, ovvero i seguenti redditi:

          1) i trattamenti di fine rapporto e loro eventuali anticipazioni;

          2) le competenze arretrate soggette a tassazione separata;

          3) gli assegni sociali;

          4) la casa di proprietà in cui si abita;

          5) la pensione liquidata, secondo il sistema contributivo, per un importo pari a un terzo della pensione stessa e comunque non oltre un terzo dell'assegno sociale;

          6) i trattamenti di famiglia;

          7) le indennità di accompagnamento di ogni tipo, gli assegni per l'assistenza personale continuativa erogati dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) nei casi di invalidità permanente assoluta, gli assegni per l'assistenza personale e continuativa pagati dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ai pensionati per inabilità;

          8) l'indennità di comunicazione per i sordi;

          9) l'assegno vitalizio pagato agli ex combattenti della guerra 1915-1918 e delle guerre precedenti.

      L'articolo 3 detta disposizioni per la determinazione dell'imposta familiare.
      A tal fine il reddito familiare di cui all'articolo 2 è diviso per il numero risultante dalla somma dei seguenti coefficienti, attribuiti ai diversi componenti della famiglia:

          a) 1 per il primo percettore di reddito;

          b) 0,65 per il coniuge;

          c) 0,5 per il primo figlio;

          d) 1 per il secondo e il terzo figlio;

          e) 0,5 per i figli seguenti e per le altre persone di cui all'articolo 433 del codice civile.

      La norma stabilisce inoltre l'applicazione delle detrazioni: a questo proposito si segnala che l'articolo 8 demanda al decreto legislativo l'emanazione delle disposizioni necessarie per il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e delle detrazioni di imposta.
      L'articolo 4 prevede un limite di reddito familiare oltre il quale non è possibile l'applicazione del quoziente familiare e i redditi sono tassati su base individuale. Il limite di reddito è pari a tre volte il reddito medio complessivo (recte: reddito complessivo medio) rispettivamente dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi. Il successivo articolo 6 prevede che il limite di reddito dovrà essere indicato annualmente dalla legge finanziaria.
      L'articolo 5 consente ai contribuenti di optare, per ogni dichiarazione dei redditi, per l'applicazione della tassazione su base individuale, a condizione che entrambi i coniugi vi consentano.
      Il decreto legislativo potrà fissare un limite temporale per l'esercizio dell'opzione.
      Per i lavoratori dipendenti, i cui redditi sono tassati su base individuale, tramite ritenuta alla fonte da parte del sostituto di imposta, è prevista la possibilità di recuperare le somme a credito in sede di dichiarazione dei redditi.
      L'articolo 6 prevede che la completa attuazione della disciplina relativa al quoziente familiare debba essere portata a compimento in un arco temporale di cinque anni. A tale fine la legge finanziaria dovrà indicare annualmente il livello massimo di reddito familiare cui applicare il quoziente familiare e dovrà individuare le risorse finanziarie appositamente stanziate.
      A proposito della decorrenza della riforma in esame, si evidenzia che il comma 2 del successivo articolo 12 stabilisce che le disposizioni del decreto legislativo abbiano effetto a decorrere dal 1o gennaio 2009.
      L'articolo 7 dispone che si tenga conto del reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, ed eventualmente del patrimonio della famiglia stessa, per la determinazione delle tariffe dei servizi. Prevede inoltre che il decreto legislativo dovrà armonizzare le norme in esame con quelle di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, recante «Definizioni di criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che richiedono prestazioni sociali agevolate».
      Il decreto legislativo n. 109 del 1998 ha individuato, in via sperimentale, criteri unificati di valutazione della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni o servizi sociali o assistenziali collegati, nella misura o nel costo, a determinate situazioni economiche. Il medesimo decreto legislativo definisce indicatore della situazione economica equivalente la somma del reddito complessivo ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e del reddito delle attività finanziarie, detratto l'eventuale canone annuo di locazione dell'abitazione principale, nel limite di 5.164,57 euro. Tale indicatore del reddito è combinato con l'indicatore della situazione economica equivalente patrimoniale nella misura del 20 per cento dei valori patrimoniali immobiliari e mobiliari, come definiti nella tabella allegata al medesimo decreto legislativo.
      L'indicatore della situazione economica equivalente è calcolato come rapporto tra l'indicatore della situazione economica e il coefficiente determinato dallo stesso decreto legislativo n. 109 del 1998, in relazione al numero dei componenti il nucleo familiare.
      Il comma 1 dell'articolo 8 demanda all'emanando decreto legislativo il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e delle detrazioni di imposta, nonché con le norme in vigore relative all'accreditamento, alla riscossione, alle sanzioni, al contenzioso e ad ogni altro adempimento connesso all'introduzione dell'imposizione secondo il metodo del quoziente familiare.
      Nell'effettuare il suddetto coordinamento, il Governo dovrà attenersi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) gli oneri deducibili, se non sono già stati dedotti nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo, si deducono dal reddito complessivo di ciascun componente della famiglia, prima pertanto di procedere alla somma dei redditi del nucleo familiare, ai sensi dell'articolo 2. Tale trattamento non si applicherà agli oneri di cui all'articolo 10, comma 2, terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, il quale prevede che sono deducibili, fino all'importo di euro 1.549,37, i contributi previdenziali e assistenziali versati per gli addetti ai servizi domestici e all'assistenza personale o familiare; i suddetti contributi saranno deducibili dal reddito del nucleo familiare;

          b) gli oneri di cui all'articolo 15 del citato testo unico sono detratti, nella vigente misura del 19 per cento, dall'imposta lorda complessiva della famiglia, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo. Da tale imposta si detraggono inoltre i canoni di locazione per l'abitazione, secondo quanto previsto dall'articolo 16 del medesimo testo unico: il decreto legislativo dovrà rideterminare gli importi massimi detraibili, tenendo conto dei livelli di reddito della famiglia. È prevista poi la detrazione delle spese per il recupero del patrimonio edilizio, di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e delle altre detrazioni stabilite da norme di legge non afferenti carichi di famiglia.

      Il comma 2 dell'articolo 8 abroga l'articolo 4, comma 1, lettera c), del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, che prevede che i redditi dei beni dei figli minori, soggetti all'usufrutto legale dei genitori, sono imputati per metà del loro ammontare netto a ciascun genitore. Se vi è un solo genitore o se l'usufrutto legale spetta a un solo genitore i redditi gli sono imputati per l'intero ammontare.
      Questa previsione comporta che il reddito dei beni dei figli minori sarà imputato direttamente a loro e concorrerà alla formazione del reddito familiare complessivo di cui all'articolo 2 della legge. Qualora il nucleo familiare non dovesse usufruire della tassazione mediante il quoziente familiare, il reddito in questione dovrebbe essere soggetto a tassazione direttamente in capo al figlio minore, ferma restando la vigenza dell'istituto dell'usufrutto legale.
      Il comma 3 dell'articolo 8 novella l'articolo 10, comma 2, del citato testo unico, stabilendo che i contributi previdenziali e assistenziali di cui al comma 1, lettera e), del medesimo articolo, sono deducibili se sostenuti relativamente alle persone indicate nell'articolo 433 del codice civile appartenenti al nucleo familiare, anziché, come precedentemente previsto, relativamente alle persone di cui allo stesso articolo 433 fiscalmente a carico.
      Si ritiene che i soggetti appartenenti al nucleo familiare siano quelli i cui redditi concorrono alla formazione del reddito familiare di cui all'articolo 2 della legge.
      Il decreto legislativo dovrà introdurre, a regime, le seguenti nuove tipologie di detrazioni dall'imposta (articolo 9):

          a) per l'acquisto dei libri di testo per gli alunni delle scuole secondarie di primo grado, nei limiti della spesa indicata dal Ministro della pubblica istruzione;

          b) per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido, per una detrazione complessiva non superiore a 632 euro annui per ogni figlio ospitato negli stessi asili nido.

      Si ricorda che la detrazione delle spese per gli asili nido è stata riconosciuta, per l'anno 2005, dall'articolo 1, comma 335, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), per l'anno 2006, dall'articolo 1, comma 400, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), e, per l'anno 2007, dall'articolo 1, comma 201, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), in tutti i casi entro il limite massimo di 632 euro per ciascun figlio.
      L'articolo 10 stabilisce che il decreto legislativo dovrà introdurre specifiche modalità di attribuzione di crediti ai nuclei familiari numerosi: per l'attribuzione dei suddetti crediti si dovrà tenere conto della presenza nel nucleo familiare dei seguenti soggetti, a condizione che gli stessi non siano in possesso di redditi di importo superiore a quello dell'assegno sociale:

          a) il coniuge;

          b) i figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi, gli affidati e gli affiliati;

          c) ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile che convive con il contribuente o percepisce assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.

      Si ritiene che la disciplina del nuovo istituto dei crediti dovrà essere coordinata con quella degli assegni familiari, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 1988, n. 153.
      L'articolo 11 stabilisce che il decreto legislativo dovrà riconoscere la possibilità, attualmente non prevista, che al contribuente sia corrisposto il credito corrispondente alla differenza tra i crediti di cui all'articolo 10 e le detrazioni complessivamente spettanti, da una parte, e l'imposta lorda, dall'altra. Il credito non potrà essere superiore all'importo dei crediti per carichi familiari, di cui al citato articolo 10, e di altri eventuali crediti spettanti.
      L'articolo 12, comma 1, disciplina il procedimento per l'emanazione del decreto legislativo. A tale fine si stabilisce che il Governo deve trasmettere lo schema di decreto legislativo alla Commissione di cui all'articolo 17, terzo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, nella composizione stabilita dall'articolo 1, comma 4, della legge 29 dicembre 1987, n. 550.
      Il citato articolo 17, terzo comma, della legge n. 825 del 1971, recante «Delega legislativa al Governo della Repubblica per la riforma tributaria» prevedeva che il Governo, nei tre anni successivi alla data di entrata in vigore delle disposizioni oggetto di delega, avrebbe dovuto emanare uno o più testi unici concernenti le norme emanate in base alla legge stessa, nonché quelle rimaste in vigore per le medesime materie. Per l'emanazione dei testi unici il Governo avrebbe dovuto sentire il parere di una Commissione parlamentare composta da nove senatori e da nove deputati, nominati, su richiesta del Presidente del Consiglio dei ministri, dai Presidenti delle rispettive Assemblee.
      Successivamente l'articolo 1, comma 4, della legge n. 550 del 1997, ha modificato la composizione della citata Commissione prevedendo che la stessa fosse composta da quindici senatori e da quindici deputati, nominati dai Presidenti delle rispettive Assemblee in rappresentanza proporzionale dei gruppi parlamentari.
      La Commissione parlamentare esprime il proprio parere entro due mesi dalla ricezione dello schema di decreto, indicando specificatamente le eventuali disposizioni che non ritiene rispondenti ai princìpi e criteri direttivi della proposta di legge. Il Governo, entro un mese dall'espressione del parere, trasmette nuovamente, con le osservazioni e le eventuali modificazioni, lo schema di decreto alla Commissione per il parere definitivo, che deve essere espresso entro un mese.
      Il comma 2 dell'articolo 12 stabilisce che le disposizioni del decreto legislativo hanno effetto a decorrere dal 1o gennaio 2009.

Allegato 1

Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino.

      F. Perali, Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino, paper presentato al convegno della Commissione di indagine sull'esclusione sociale «Misure della povertà e politiche per l'inclusione sociale», Milano, 19-20 novembre 2004.

      Le scale di equivalenza rispondono al quesito «qual è il livello di reddito aggiuntivo di cui una famiglia composta da due adulti ed un bambino ha bisogno rispetto ad una famiglia senza bambini, al fine di godere dello stesso livello di benessere economico».
      La stima delle scale di equivalenza assume una rilevanza particolare nei sistemi fiscali in cui l'unità impositiva dell'imposta personale sul reddito è la famiglia e la tassazione del reddito familiare è effettuata per parti attraverso il calcolo del quoziente. L'aliquota è calcolata sul reddito equivalente che è il reddito familiare diviso per la scala di equivalenza familiare. Questo metodo incorpora il criterio di equità orizzontale che riconosce, a parità di reddito, che la famiglia più numerosa è relativamente più povera e corregge la distorsione implicita nei regimi a tassazione separata che penalizza i contribuenti con familiari a carico e le famiglie monoreddito.
      Il calcolo del costo del bambino si riferisce in genere al solo costo di mantenimento deducibile dalle spese per beni necessari quali le spese per l'alimentazione, la casa, i vestiti. È però importante riconoscere che il costo di mantenimento di un bambino è molto diverso dal costo contabile associato all'accrescimento del bambino o del costo di produzione. Questo tiene conto anche del valore del tempo investito dai genitori, dell'investimento sulla qualità dei figli e di altri costi relativi a spese non necessarie per i figli. Per questo motivo è naturale pensare che il costo di accrescimento di un figlio vari significativamente al variare del reddito. Mentre le stime del costo di mantenimento del bambino servono per operare confronti interpersonali e correggere stime di povertà e di ineguaglianza, le stime del costo di produzione del bambino possono essere impiegate per spiegare le scelte di fertilità.
      La ricerca - che si propone di dare un contributo all'aggiornamento della stima del costo di mantenimento dei figli attualmente adottata nella costruzione dell'Indicatore delle condizioni socio-economiche che risale al 1985 - utilizza un concetto esteso di scale di equivalenza in quanto la sua misurazione tiene conto della grande eterogeneità tra famiglie in termini anche di stili di vita, delle diverse tecnologie familiari adottate per catturare le economie di scala e, almeno in linea teorica, delle diverse modalità di allocazione delle risorse all'interno della famiglia.
      Le scale in uso non riconoscono un peso diverso, in termini di necessità, alle diverse componenti familiari come, per esempio, la differenza di età dei bambini; un secondo limite sta nell'assunzione di una divisione equa delle risorse familiari monetarie e di tempo tra i membri. Questo implica che i livelli di benessere, e conseguentemente della povertà, siano gli stessi per ogni componente. I livelli di benessere individuali sono stimabili a condizione che si conosca come sono distribuite le risorse all'interno della famiglia, vale a dire, nel caso in oggetto, quanto si spende per la componente adulta e quanto per i bambini. Possono di fatto verificarsi situazioni in cui esistono bambini «poveri» in famiglie ricche e bambini «ricchi» in famiglie povere. Se non si tiene conto delle modalità di condivisione delle risorse all'interno della famiglia si corre il rischio di escludere da forme di aiuto bambini che dovrebbero di fatto essere inclusi. Per esempio, la povertà dei bambini si misura tradizionalmente calcolando la proporzione di famiglie con bambini che sono al di sotto della linea di povertà, senza tenere conto dell'effettivo livello di benessere del bambino. Lo studio cerca di risolvere entrambi questi limiti stimando sia scale di equivalenza specifiche a ogni componente della famiglia in maniera da incorporare la differenze tra famiglie in modo più appropriato e di ottenere una più precisa misurazione della povertà e dell'ineguaglianza; sia la regola di condivisione delle risorse familiari (utilizzando un sistema di domanda completo basato sulla teoria collettiva e sull'informazione relativa al consumo di beni esclusivi quali il vestiario per adulti e per bambini). Data la conoscenza della regola di condivisione è possibile derivare sia una stima approssimativa del costo di accrescimento del bambino, sia i livelli di benessere e di povertà individuali.
      Utilizzando i bilanci familiari ISTAT relativi al 2002, la ricerca stima i costi dei singoli componenti della famiglia allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili tra famiglie di diversa composizione e consentire analisi di povertà e di ineguaglianze più accurate.
      Gli indici del costo della caratteristica «presenza di uno o più bambini» sono stati calcolati per le tre classi di età 0-5, 6-13, 14-18, e per Italia, nord, centro e sud. La famiglia di riferimento è la coppia senza figli. Le famiglie costituite da due genitori e da un bambino 0-6 anni richiedono 1,27 volte la spesa totale della coppia senza figli di riferimento per avere lo stesso livello di benessere. Un bambino di età inferiore ai 6 anni accresce i costi di una coppia di circa il 27 per cento e costituisce circa il 53 per cento del costo di un adulto equivalente. Un bambino di età compresa tra i 6 e i 13 anni aumenta i costi di una coppia senza figli di circa il 30 per cento, mentre un bambino della classe di età superiore li accresce del 17 per cento, che corrisponde al 35 per cento rispetto ad un adulto equivalente.
      È interessante notare che tra le diverse regioni le differenze nelle scale non sono economicamente significative ad eccezione del costo di un bambino di età inferiore ai 6 anni nel sud Italia, che è superiore rispetto alle altre macro regioni italiane.

Allegato 2

      L'applicazione del quoziente familiare ha lo scopo di ristabilire un'equità orizzontale attraverso il riconoscimento e la non imponibilità delle spese sostenute dalla famiglia per il mantenimento del coniuge e dei figli, dando attuazione al precetto costituzionale di riconoscimento della famiglia.
      Il rapporto della Commissione di indagine sull'esclusione sociale riporta, tra i contributi presentati al convegno del 19-20 novembre 2004 (F. Perali, Stime della povertà e scale di equivalenza. Il costo di mantenimento di un bambino), le scale di equivalenza con il metodo di Engel allo scopo di rendere i livelli di reddito comparabili proponendo, con un'elaborazione che riguarda i bilanci familiari ISTAT 2002, la prima tabella (partendo dalla coppia senza figli posta al parametro 2,00) e considerando il numero dei figli, proponendo risultati coerenti con le evidenze empiriche e con le esperienze di altri Paesi.

N. figli minori Quoziente di equivalenza
0 2,00
1 2,499
2 3,122
3 3,902

      Nell'elaborazione della presente proposta di legge si è calcolato il coniuge pari a 0,65, e quindi la tabella di equivalenza dovrebbe essere rideterminata con i seguenti valori:

N. figli minori Quoziente di equivalenza
0 1,65
1 2,149
2 2,772
3 3,552

      L'applicazione delle scale di equivalenza porterebbe ad una riduzione rilevante del gettito e quindi si pone il problema della sua messa a regime nel periodo medio. Nell'articolato si è scelto di demandare al decreto delegato l'individuazione della necessaria gradualità. Si può operare partendo da limiti di reddito più bassi per raggiungere il limite massimo individuato nel medio periodo; si privilegerebbe cioè un'estensione graduale iniziando dai redditi minori. In alternativa, in considerazione del costo della riforma, si potrebbe dare in una prima fase un peso ridotto ai quozienti familiari: 0,5 per il coniuge (e non 0,65), 0,25 per il figlio a carico (in luogo di 0,5-1). In questo caso sarebbero immediatamente interessate tutte le famiglie che rientrano nei limiti di reddito familiare e la messa a regime sarebbe affidata all'innalzamento graduale dei coefficienti.


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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Il Governo è delegato ad adottare, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle politiche per la famiglia, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la revisione del trattamento tributario del reddito della famiglia, secondo i princìpi e i criteri direttivi di cui alla presente legge.

Art. 2.

      1. Il reddito familiare, determinato secondo il metodo del quoziente familiare, è ottenuto sommando i redditi prodotti dai coniugi, non legalmente o effettivamente separati, dai figli legittimi o legittimati, naturali riconosciuti o adottivi, dagli affiliati e degli affidati, minori di età o perennemente invalidi al lavoro ovvero di età non superiore a ventisei anni dediti agli studi o a tirocinio gratuito, nonché delle altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile purché conviventi e a condizione che non posseggano redditi propri di importo superiore a quello dell'assegno sociale vigente nell'anno di produzione del reddito. Non si considerano i redditi esclusi nella valutazione del diritto all'assegno sociale.

Art. 3.

      1. Il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è diviso per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia nelle seguenti misure:

          a) 1 per il primo percettore di reddito;

          b) 0,65 per il coniuge;

          c) 0,5 per il primo figlio;

          d) 1 per il secondo e il terzo figlio;

          e) 0,5 per i figli seguenti e per le altre persone indicate nell'articolo 433 del codice civile.

      2. L'imposta familiare è calcolata applicando, al reddito determinato in base al comma 1, le aliquote vigenti, comprese le detrazioni, e moltiplicando l'importo ottenuto per la somma dei coefficienti attribuiti ai componenti della famiglia.

Art. 4.

      1. Il trattamento fiscale determinato secondo il modello del quoziente familiare si applica a tutti i redditi familiari fino a un ammontare pari a tre volte il reddito medio complessivo, rispettivamente dei lavoratori dipendenti e dei lavoratori autonomi. Oltre tale importo si applicano le modalità della tassazione su base individuale.

Art. 5.

      1. I contribuenti hanno facoltà di optare, per ogni dichiarazione dei redditi, per la tassazione a base individuale, purché entrambi i coniugi vi consentano. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 può stabilire un limite temporale per l'esercizio della predetta facoltà.
      2. I lavoratori dipendenti che intendono avvalersi della tassazione a base familiare, i cui redditi sono tassati tramite ritenuta alla fonte da parte del datore di lavoro su base individuale, recuperano le somme a credito in sede di dichiarazione dei redditi.

Art. 6.

      1. La completa attuazione della disciplina relativa al trattamento tributario sulla base del quoziente familiare è portata a compimento in un arco temporale di cinque anni. Ai fini della progressiva attuazione della predetta disciplina, la legge finanziaria indica annualmente il livello massimo di reddito familiare cui applicare il trattamento del quoziente familiare e individua le risorse stanziate a tale fine.

Art. 7.

      1. Il reddito familiare, determinato ai sensi dell'articolo 2, è preso a riferimento per la determinazione delle tariffe dei servizi dalle amministrazioni pubbliche. A tale reddito possono aggiungersi le valutazioni sul patrimonio. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 provvede all'armonizzazione delle norme di cui alla presente legge con quelle del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni.

Art. 8.

      1. Il decreto legislativo di cui all'articolo 1 reca le disposizioni necessarie per il coordinamento con la disciplina degli oneri deducibili e delle detrazioni di imposta, nonché per il coordinamento delle norme in vigore relative all'accreditamento, alla riscossione, alle sanzioni, al contenzioso e ad ogni altro adempimento connesso all'introduzione dell'imposizione secondo il metodo del quoziente familiare sulla base dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

          a) dal reddito complessivo di ciascun componente della famiglia si deducono, se non sono deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo, gli oneri previsti dall'articolo 10 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, come da ultimo modificato dal comma 3 del presente articolo, ad eccezione degli oneri indicati nel comma 2, terzo periodo, del medesimo articolo;

          b) dall'imposta lorda complessiva della famiglia si detrae un importo pari al 19 per cento degli oneri sostenuti dalla stessa, previsti dall'articolo 15 del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo. Si operano inoltre le detrazioni previste dall'articolo 16 del medesimo testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, e successive modificazioni, che devono essere rideterminate tenendo conto dei livelli di reddito della famiglia, e quelle relative al recupero del patrimonio edilizio, di cui all'articolo 1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, nonché le altre detrazioni stabilite da norme di legge non afferenti carichi di famiglia.

      2. L'articolo 4, comma 1, lettera c), del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, è abrogata.
      3. All'articolo 10, comma 2, secondo periodo, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, le parole: «fiscalmente a carico» sono sostituite dalle seguenti: «appartenenti al nucleo familiare».

Art. 9.

      1. Con il decreto legislativo di cui all'articolo 1 si provvede a introdurre le seguenti nuove tipologie di detrazioni:

          a) per l'acquisto dei libri di testo per gli alunni delle scuole secondarie di primo grado, nei limiti della spesa indicata dal Ministro della pubblica istruzione;

          b) per le spese documentate sostenute dai genitori per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido, per una detrazione complessiva non superiore a 632 euro annui per ogni figlio ospitato negli stessi asili nido.

Art. 10.

      1. Con il decreto legislativo di cui all'articolo 1 si provvede a introdurre specifiche modalità di attribuzione, ai nuclei familiari numerosi, di crediti in relazione alla partecipazione al nucleo familiare dei seguenti soggetti, per i quali non deve sussistere il possesso di redditi di importo superiore a quello dell'assegno sociale:

          a) coniuge;

          b) figli, compresi i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi, affidati e affiliati;

          c) ogni altra persona indicata nell'articolo 433 del codice civile che convive con il contribuente o percepisce assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell'autorità giudiziaria.

Art. 11.

      1. Nel caso in cui i crediti e le detrazioni complessivamente spettanti alla famiglia sono superiori all'imposta lorda calcolata in base alle disposizioni del decreto legislativo di cui all'articolo 1, alla famiglia è riconosciuto un credito pari al massimo dell'importo relativo ai crediti per carichi familiari e agli altri eventuali crediti spettanti. Alla corresponsione dei crediti si provvede in sede di dichiarazione dei redditi.

Art. 12.

      1. Il Governo trasmette, per il parere, lo schema di decreto legislativo di cui all'articolo 1 della presente legge alla Commissione parlamentare prevista dall'articolo 17, terzo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, nella composizione stabilita dall'articolo 1, comma 4, della legge 29 dicembre 1987, n. 550. La Commissione parlamentare esprime il proprio parere entro due mesi dalla ricezione dello schema di decreto legislativo, indicando specificatamente le eventuali disposizioni che non ritiene rispondenti ai princìpi e criteri direttivi stabiliti dalla presente legge. Il Governo, nel mese successivo, esaminato il parere, trasmette nuovamente, con le osservazioni e le eventuali modificazioni, lo schema di decreto legislativo alla Commissione parlamentare per il parere definitivo, che deve essere espresso entro un mese.
      2. Le disposizioni del decreto legislativo di cui al comma 1 hanno effetto a decorrere dal 1o gennaio 2009.


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