Frontespizio Relazione Progetto di Legge

Nascondi n. pagina

Stampa

PDL 394

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 394



PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato VOLONTÈ

Disposizioni in favore della natalità

Presentata il 29 aprile 2008


      

torna su
Onorevoli Colleghi! - Secondo il «Population Aging 2000», il rapporto presentato all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel corso della seconda Assemblea sull'invecchiamento mondiale, svoltasi a Madrid (8-12 aprile 2002), l'Italia vantava la percentuale più alta di persone sopra i 60 anni, pari al 25 per cento, seguita da Giappone, Germania e Grecia con il 24 per cento. Accanto alla percentuale più alta di persone con oltre 65 anni (18,1 per cento) il nostro Paese vantava, altresì, il triste primato della più bassa percentuale di minori di 15 anni (14,1 per cento). In tema di cifre, mentre su circa 100 lavoratori attivi si calcolavano circa 30 anziani, si calcolava, altresì, che nel 2050 i pensionati sarebbero stati il 65 per cento della popolazione. Le cause di questo invecchiamento erano (e sono ancora) due: l'innalzamento della vita media e la diminuzione del tasso di natalità.
      Né ci dovrebbe ingannare il rapporto presentato dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), che aveva evidenziato, nel bilancio demografico provvisorio del 2001, un pareggio tra nascite e morti dopo otto anni in cui si era registrato un eccesso di morti sulle nascite. Le cifre riportate erano tra i primi dati rilevati in materia e oggi, a distanza di qualche anno, esse sono non solo confermate nel loro trend ma hanno addirittura mostrato una crescita in maniera costante.
      L'immagine del nostro Paese era e continua ad essere, infatti, quella di un Paese che invecchia. Il numero medio di figli per donna è pari a circa 1,3 e potrebbe sembrare soddisfacente, mentre la realtà dei fatti dimostra che di fronte a una speranza di vita che si avvicina agli 80 anni di età, un tasso di natalità che sfiori i due figli per donna è solo sufficiente a contrastare il declino e l'invecchiamento della popolazione, se associato a flussi migratori contenuti.
      Quindi i dati sulle nascite avvenute negli ultimi anni, se raffrontati a quelli della Francia e del Regno Unito che hanno una popolazione totale simile alla nostra, confermano un preoccupante squilibrio.
      L'allora Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, aveva a suo tempo espresso chiaramente tale preoccupazione affermando che: «Una società che fa pochi figli è una società che non ha fiducia nel futuro. Dovremo dare ai giovani una maggiore fiducia e cresceranno anche le nascite».
      Per invertire tale processo occorrerebbe un ritorno a un ciclo di vita meno tardivo delle aspettative di riproduzione (oggi l'età media dei soggetti che decidono di avere il primo figlio è di circa 30 anni di età) per realizzare l'obiettivo dei due figli per coppia.
      Secondo il sociologo francese Henri Mendras, dell'osservatorio francese delle congiunture politiche, il vero ostacolo a una natalità sostenibile nel nostro Paese è costituito dalla struttura della famiglia, in cui la qualità del servizio domestico offerto dalle donne è tale da impedire ai figli l'uscita dalle mura domestiche, dal divario della natalità tra zone geografiche unitamente a una scarsa diffusione della scelta di fare figli al di fuori del matrimonio. Esaminando il caso francese, si nota come lo Stato abbia favorito il consolidarsi di una tendenza che, nel corso degli anni, ha portato le donne francesi alla scelta dei due figli, attraverso interventi mirati nel settore degli asili nido e degli alloggi a favore delle coppie giovani. Occorre rendere omogeneo il Paese tra nord e sud, modificare la struttura della famiglia liberando le mamme da tutte le incombenze quotidiane, favorire il lavoro part-time, creare infrastrutture efficienti in grado di accogliere i figli delle giovani coppie già dal primo anno di vita. In altri termini, bisognerebbe permettere alle mamme italiane di disporre di maggior autonomia e tempo per consentire loro di mettere al mondo più figli.
      Il tema della mancanza di una politica demografica nel nostro Paese emerge dunque, alla luce di questi dati incontrovertibili, oggi più che mai, anche se occorre dire che il declino della natalità iniziò già nel periodo fascista, nonostante le campagne attuate dal quel regime. L'insuccesso di quella politica demografica fu dovuto al carattere coercitivo e alla mancanza di strutture, servizi e condizioni economiche della popolazione, nonché alla mancata condivisione dell'obiettivo da parte di quest'ultima.
      Nel periodo post-bellico, invece, nonostante la consapevolezza del problema, si ritenne di lasciare che il miglioramento delle condizioni economiche e sociali innescasse automaticamente una crescita demografica, fatto che si verificò nel corso del cosiddetto «baby-boom» intorno agli anni sessanta. Anche in questo caso, però, l'assenza di una politica demografica organica circoscrisse il fenomeno in un arco temporale ben limitato. Anzi, le forti migrazioni e lo spopolamento delle campagne, unitamente a una maggiore presenza delle donne nel mondo del lavoro, all'alto costo del mantenimento dei figli e dell'assenza di servizi adeguati, comportarono una costante caduta del tasso di natalità. Alcuni importanti interventi nel campo legislativo (istituzione del divorzio, nuovo diritto di famiglia) e mutamenti culturali e politici intorno agli anni settanta diedero il colpo finale.
      In molti Paesi dell'Unione europea sono state avviate consistenti politiche pubbliche di sostegno alle famiglie e ai bambini. Le percentuali di spesa sociale a favore di questi soggetti variano da Paese a Paese: Lussemburgo (16,3 per cento) e Irlanda (14,3 per cento) sono i Paesi che destinano le quote maggiori della spesa sociale a favore delle famiglie e dei bambini; Italia (3,8 per cento) e Spagna (2,6 per cento) quelli con l'incidenza più bassa.
      Di fronte a questi dati l'atteggiamento dei Governi è oscillato tra la necessità di una promozione di politiche di welfare in favore della famiglia e l'inconsistenza delle misure adottate, quasi a confermare la marginalità della famiglia quale soggetto sociale. Si è assistito, cioè, al varo di misure che non avevano carattere di organicità: erano riferite a questo o a quel soggetto, a questo o a quel bisogno sociale, ma senza rientrare nel contesto familiare.
      Le conseguenze di una caduta della natalità sono sotto gli occhi di tutti, ma si vogliono rilevare due aspetti in particolare: quello previdenziale e quello sanitario. Il sistema pensionistico statale, diffuso in tutta l'Unione europea, si basa su una sorta di contratto tra generazioni, in base al quale i contributi di coloro che lavorano oggi pagano le pensioni di quelli che sono andati a riposo ieri. Con l'abbassamento della natalità viene a incrinarsi tale rapporto tra pensionati e lavoratori e il rischio è quello di avere in Italia la classica situazione della piramide rovesciata, contraddistinta da una vasta popolazione di anziani che grava su una ristretta popolazione di giovani, con effetti economici disastrosi.
      Ciò detto vale anche per il Servizio sanitario nazionale, i cui costi di funzionamento aumenteranno inevitabilmente, se si pensa che un paziente di 85 anni ha un costo di circa 11 volte superiore a quello di un soggetto di età compresa tra i 5 e i 15 anni.
      La preoccupazione delle ripercussioni di questi cambiamenti in campo previdenziale, sanitario e soprattutto del lavoro già emergeva dalle relazioni demografiche effettuate dalla Commissione europea a partire dagli anni novanta. I Governi avrebbero dovuto tenere conto di quei nuovi scenari prefigurati. Nelle relazioni si dava, infatti, conto dei mutamenti nella struttura delle famiglie, delle imprese e dei sistemi di protezione sociale.
      Oggi spetta al legislatore porvi rimedio, con gradualità e senza strappi socio-economici per le popolazioni.
      Con la presente proposta di legge si intende, infatti, fornire alla famiglia un nuovo sistema di prestazioni e di benefìci volto a un potenziamento dell'istituzione familiare e diretto a favorire un incremento del tasso di natalità, in linea con il principio di sussidiarietà, fondato sul sostegno e sull'integrazione, ma non sulla sostituzione della famiglia nello svolgimento della sua funzione sociale.
      La presente proposta di legge prevede la corresponsione di un contributo di 1.000 euro per ogni figlio a tutti i capifamiglia con cittadinanza italiana. La norma riprende e amplia l'intervento già previsto dai commi 331, 332 e 333 dell'articolo 1 della legge n. 266 del 2005 (finanziaria 2006), che prevedeva la concessione di un bonus di 1.000 euro per ogni figlio nato o adottato nel 2005 e per ogni figlio, secondo o ulteriore, nato o adottato nel 2006.
      La scelta di fare un figlio oggi è diventata anche una scelta di uno stile di vita; fare un figlio comporta costi e penalizzare chi mette al mondo un figlio rispetto agli altri cittadini non è giusto. Ecco perché si interviene con l'erogazione di un contributo di 1.000 euro annui fino al compimento del terzo anno. La proposta di legge prevede inoltre (articolo 3) facilitazioni per l'acquisto della prima casa per le giovani coppie, consistenti in maggiori detrazioni fiscali per i mutui accesi.


torna su
PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Finalità della legge).

      1. La presente legge reca disposizioni volte a favorire l'incremento del tasso di natalità.

Art. 2.
(Contributo per l'allevamento della prole).

      1. Al fine di sostenere la natalità è concesso un contributo per le spese di allevamento della prole di 1.000 euro annui, alla nascita e fino al compimento del terzo anno di età, per ogni figlio, legittimo o naturale, nato successivamente al 31 dicembre 2008 e appartenente a un nucleo familiare in cui il capofamiglia ha la cittadinanza italiana.
      2. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro dell'economia e delle finanze provvede, con proprio regolamento, ad adottare le norme recanti la modalità di attuazione per l'erogazione del contributo di cui al comma 1.

Art. 3.
(Agevolazione per l'acquisto dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale).

      1. L'importo degli interessi passivi e dei relativi oneri detraibili ai sensi del comma 1, lettera b), dell'articolo 15 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, per l'acquisto dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale è elevato del 50 per cento, per ogni figlio, legittimo o naturale, nato successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, fino a un importo non superiore a 10.000 euro.

Art. 4.
(Copertura finanziaria).

      1. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2008-2010, nell'ambito del fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2008, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
      2. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.


Frontespizio Relazione Progetto di Legge
torna su