ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/05710

scarica pdf
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 265 del 13/01/2010
Firmatari
Primo firmatario: BELLANOVA TERESA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 13/01/2010


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA DIFESA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA DIFESA delegato in data 13/01/2010
Stato iter:
30/07/2010
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 30/07/2010
LA RUSSA IGNAZIO MINISTRO - (DIFESA)
Fasi iter:

RISPOSTA PUBBLICATA IL 30/07/2010

CONCLUSO IL 30/07/2010

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-05710
presentata da
TERESA BELLANOVA
mercoledì 13 gennaio 2010, seduta n.265

BELLANOVA. -
Al Ministro della difesa.
- Per sapere - premesso che:

in data 25 ottobre 2007 l'interrogante ha presentato un'interrogazione parlamentare (4-05417) circa la preoccupazione degli abitanti di Frigole (Lecce) per l'ipotesi paventata di un possibile rapporto tra un'alta incidenza di neoplasie verificatesi negli ultimi anni e l'utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari tenutesi nell'adiacente poligono di tiro di Torre Veneri, chiedendo al Ministro competente di verificare se nel suddetto poligono si fosse usato uranio impoverito durante le esercitazioni;

il poligono di Torre Veneri è stato scenario, nel corso degli anni, di numerosi test ed esercitazioni che hanno visto anche la partecipazione di militari stranieri. Si ha notizia che si sarebbero svolte nel 1993 esercitazioni in ambito Nato con la partecipazione di ben 400 paracadutisti non solo italiani. In questo periodo le cosiddette forze dell'Alleanza erano impegnate nella missione in Somalia nel corso della quale pare sia stato stabilito con sentenza del tribunale civile di Firenze del 17 dicembre 2008 che furono utilizzate anche armi all'uranio impoverito;

ad oggi non è stata data alcuna risposta all'interrogazione, mentre si apprende da un documento redatto dal Ministero della difesa - Direzione generale della sanità militare che vi sono ben 2500 militari affetti da neoplasia in tutta Italia di cui si contano al 2006 ben 171 militari morti. Tale documento non comprende peraltro i reduci da numerose missioni in Paesi esteri e dai poligoni e tutti quei militari che al momento della morte non erano più in servizio;

vi sono poi altri dati che emergono dall'Associazione vittime uranio che ha pubblicato sul suo sito (www.vittimeuranio.com) un elenco nel quale vengono segnalati ben 76 nomi di militari italiani deceduti per presunta contaminazione da uranio impoverito, ma nonostante ciò si può dire che si parla ancora di dati meramente parziali e dunque da verificare;

il 21 settembre del 2007 una delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito ha effettuato una visita ufficiale presso il poligono salentino e dalla relazione finale della stessa del febbraio 2008 si evince che: «dal punto di vista organizzativo, permangono ancora dubbi (...) circa l'adeguatezza delle procedure di controllo sulle attività svolte nei poligoni» e ancora «per quanto riguarda le vittime delle patologie nell'ambito del personale militare, non disponendo di dati precisi in ordine a coloro che hanno operato all'interno dei poligoni militari in Italia, non è stato possibile esprimere una compiuta valutazione in merito»;

dall'indagine pare non sia emerso alcun dato atto a fare chiarezza in questa vicenda; ciò ha contribuito a determinare ulteriore sconforto tra i familiari delle vittime che prestando il loro servizio per lo Stato hanno perso la vita ammalandosi. La preoccupazione è molto diffusa anche tra la cittadinanza di Frigole e tra tutti quei militari che hanno svolto missioni e ad oggi non sanno ancora quali possano essere in futuro le ripercussioni per aver maneggiato materiale forse dannoso per la loro salute -:

se il Ministro interrogato non intenda avviare una verifica accurata per appurare quale materiale è stato impiegato nei diversi poligoni presenti sul territorio italiano;

se il Ministro interrogato non ritenga utile censire quanti militari svolgendo il proprio lavoro sono morti e quanti si sono ammalati per le patologie connesse all'uranio impoverito sul territorio italiano, istituendo anche qualora fosse opportuno uno sportello di pubblica utilità a disposizione dei militari che oggi stanno vivendo il dramma umano della malattia e dei loro familiari con la finalità di esser da supporto in questa gravosa situazione.
(4-05710)
Atto Camera

Risposta scritta pubblicata venerdì 30 luglio 2010
nell'allegato B della seduta n. 362
All'Interrogazione 4-05710 presentata da
TERESA BELLANOVA

Risposta. - A premessa, ribadisco con fermezza quanto già affermato dalla Difesa in diverse circostanze e sedi, ovvero, che le Forze armate italiane non impiegano, né hanno mai impiegato, munizionamento contenente uranio impoverito e che non risultano scorte di tale munizionamento stoccate in depositi militari italiani.
Ciò premesso, aggiungo che le attività addestrative e sperimentali vengono sempre effettuate nel pieno rispetto di precise norme di legge e di sicurezza, volte a garantire l'incolumità dei militari impegnati nelle esercitazioni, la salvaguardia della popolazione e la tutela dell'ambiente.
In particolare tali norme prevedono che il reparto/ente utilizzatore della struttura debba:

comunicare alla direzione del poligono il tipo di armi e munizioni che intende impiegare, prima di ottenere l'autorizzazione a condurre l'attività;

presentare, al termine della stessa, un rapporto che conferma l'avvenuta bonifica delle aree utilizzate e il numero e il tipo di munizionamento effettivamente impiegato.
Com'è noto, lo svolgimento delle attività nei poligoni può comportare ripercussioni sulle comunità locali e sul territorio sotto diversi aspetti (quali, ad esempio la limitazione temporanea di attività agricole o di pesca) i cui effetti vengono compensati e mitigati dalla Difesa attraverso il ricorso a vari istituti, organismi e procedure (esempio: indennizzi ai comuni/categorie di lavoratori interessate).
In tale ottica i comitati misti paritetici, costituiti in ogni regione ai sensi della legge n. 898 del 1976, svolgono un ruolo fondamentale per assicurare un corretto rapporto di collaborazione tra l'amministrazione militare e le autorità locali, improntato sulla massima apertura e collaborazione, al fine di ricercare soluzioni il più possibile condivise, con particolare riferimento alla valutazione dell'impatto ambientale delle attività da svolgere in poligono.
È del tutto evidente che proprio il complesso delle misure di carattere preventivo che regolano le attività nei poligoni, escludono la sussistenza di elementi di rischio tali da suscitare preoccupazione tra la popolazione interessata e «...tra tutti quei militari che non sanno ancora quali possano essere in futuro le ripercussioni per aver maneggiato materiale forse dannoso per la loro salute», così come prospettato dall'interrogante.
Anche i risultati cui sono pervenute le due commissioni parlamentari d'inchiesta - istituite nelle legislature XIV e XV - che hanno indagato sui possibili effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nano-particelle di minerali prodotte dall'esplosione di materiale bellico, hanno escluso l'utilizzo in Italia di munizionamento contenente tale componente.
Per quanto riguarda il poligono di Torre Veneri, si precisa che:

attualmente è utilizzato esclusivamente da unità/enti delle forze armate e delle forze di polizia nazionali per lezioni di tiro con armi individuali e di reparto;

fino al mese di settembre del 1999 è stato utilizzato saltuariamente per lo stesso scopo dal personale destinato presso la base United state air force (Usaf) di San Vito dei Normanni;

risulta, dalla documentazione custodita presso l'ente gestore del poligono, che sia stato sempre impiegato solo munizionamento convenzionale (calibro massimo 120 millimetri, non esplodente).
Prima di rispondere ai quesiti posti dall'interrogante, vorrei fare alcune precisazioni riguardo ad alcuni aspetti evidenziati nella premessa dell'atto in esame.
In merito alle statuizioni della sentenza del tribunale civile di Firenze del 17 dicembre 2008, in base alla quale - secondo l'interrogante - «furono utilizzate anche armi all'uranio impoverito», è il caso di evidenziare che la responsabilità accertata dal giudice penale in capo al ministero della difesa, si basa, invece, su «...un atteggiamento ...non ispirato ai principi di cautela e responsabilità ...consistito nell'aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati...»; è evidente, dunque, come non vi sia alcuna attinenza con l'impiego, escluso, di uranio impoverito.
Mi preme sottolineare che la normativa vigente è una garanzia a tutela della salute dei nostri militari, in quanto prevede che tra i doveri del superiore rientri quello di «...assicurare il rispetto delle norme di sicurezza e di prevenzione per salvaguardare l'integrità fisica dei dipendenti...» (articolo 21 del regolamento di disciplina militare).
Al riguardo, vorrei citare la sentenza della Corte di cassazione - IV sezione Penale, n. 17693 del 2008 - che ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l'ordinanza, in data 26 settembre 2005, con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Cagliari ha disposto l'archiviazione del procedimento contro ignoti, ritenendo che non vi fossero gli estremi per sostenere la responsabilità per «condotta colposa omissiva impropria» da parte dei vertici dell'amministrazione militare e del Ministero della difesa.
Quanto all'affermazione che sulla base di «un documento redatto dal ministero della difesa-direzione generale della sanità militare vi sono ben 2500 militari affetti da neoplasia in tutta Italia di cui si contano al 2006 ben 171 militari morti», desidero specificare che tali cifre erano state desunte in modo fuorviante dagli elenchi provvisori forniti - informalmente - su supporto informatico alla 11a commissione parlamentare d'inchiesta, nei quali era stato preso in considerazione tutto il personale militare affetto da patologie in generale, non solo quelle tumorali. I dati definitivi e ufficiali inviati alla stessa commissione riportavano 312 casi di neoplasia tra il personale impiegato in missioni internazionali (Balcani, Iraq, Libano e Afghanistan) e 1391 tra il personale rimasto in patria o impiegato in teatri operativi diversi da quelli citati (relativamente al periodo 1996-2006), mentre il numero delle persone decedute in conseguenza di malattie neoplastiche era di 77 casi.
I dati vengono costantemente aggiornati e, al 31 dicembre 2009, risultano 594 casi di malattie neoplastiche tra il personale impiegato in missione nei citati teatri operativi e 2133 tra il personale rimasto in patria o impiegato in altri teatri operativi (periodo 1996-2009).
Le differenze tra i dati forniti dalla difesa e quelli provenienti da fonti esterne all'amministrazione si possono così spiegare:

i tempi di latenza nello sviluppo delle malattie neoplastiche sono solitamente dell'ordine di anni;

una parte del personale interessato dal censimento, essendo in servizio di leva, è stato collocato in congedo al termine del periodo previsto, con la conseguenza che l'eventuale patologia insorta a distanza di tempo è stata gestita nell'ambito della sanità civile e nessuna notizia, quindi, è pervenuta nei canali informativi della sanità militare.
Per una più completa registrazione dei tumori che si verificano tra i militari in servizio, la difesa ha stipulato, nel 2008, un accordo con il centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute (Cnesps) dell'istituto superiore della sanità che ha lo scopo di attuare un progetto di sorveglianza epidemiologica dei tumori nella popolazione militare impegnata in Bosnia-Herzegovina e nel Kosovo nel periodo 1995-2004 (studio retrospettivo di coorte) mediante un collegamento con la rete dei registri tumori italiani.
Riguardo, invece, al fatto che «vi sono altri dati che emergono dall'associazione vittime uranio che ha pubblicato sul suo sito (www.vittimeuranio.com) un elenco nel quale vengono segnalati ben 76 nomi di militari italiani deceduti per presunta contaminazione da uranio impoverito, ma nonostante ciò si può dire che si parla ancora di dati meramente parziali e dunque da verificare», non posso che rilevare l'inevitabile incompletezza dei dati, proprio per i motivi che ho appena esposto.
In particolare, dei 77 nomi riportati nel sito, 72 si riferiscono - ad oggi - a patologie insorte dal 1996 in poi, ovvero, dopo l'avvio del data-base presso l'osservatorio epidemiologico della difesa (O.e.d.), attivo dal 2007; di questi 72 casi, 13 non risultano tra quelli notificati all'osservatorio dalle singole forze armate.
Chiariti questi aspetti, rispondo ora ai singoli quesiti posti dall'interrogante.
In merito all'opportunità di accertare quale materiale sia stato impiegato nei poligoni dislocati sul territorio nazionale, nel ribadire che tale verifica - del cui esito ho già parlato - è stata oggetto d'indagine nell'ambito dei lavori svolti dalle richiamate commissioni parlamentari d'inchiesta, faccio presente che la direzione generale degli armamenti terrestri ha comunicato alla II commissione, su specifica richiesta di quest'ultima, di non avere «mai acquistato munizionamento terrestre all'uranio impoverito».
Inoltre, già nel 2005, la difesa ha avviato una serie d'iniziative per controllare e censire con precisione tutto il materiale utilizzato presso i poligoni: tra le principali, cito l'istituzione di «comitati per la tutela ambientale» e l'elaborazione di un «disciplinare ambientale» che, adottato inizialmente in via sperimentale per i soli poligoni sardi, sarà esteso, successivamente, a tutti i poligoni dislocati sul territorio.
Il disciplinare prevede che ogni attività sia oggetto di una valutazione preventiva basata sulla documentazione tecnica del materiale da utilizzare, di un controllo di coerenza tra le attività pianificate e quelle effettuate durante le esercitazioni e/o sperimentazioni - da tenersi in coordinamento tra personale del poligono ed utenti - e, infine, di un controllo successivo alla esercitazione/sperimentazione, durante il quale si interviene con la bonifica, qualora ritenuta necessaria.
Circa il numero delle persone che potrebbero aver contratto «patologie connesse all'uranio impoverito sul territorio italiano», evidenzio che l'O.e.d. ha il compito di raccogliere ed elaborare i dati sanitari d'interesse della difesa; allo stato, risultano 13 casi di neoplasie tra il personale impiegato nei poligoni di tiro, dei quali 4 deceduti per le conseguenze di patologie neoplastiche (da tener presente che tale dato potrebbe essere condizionato dal fatto che il personale congedato viene poi perso dal flusso informativo sanitario militare).
Sottolineo che l'amministrazione monitorizza tramite l'O.e.d. tutti i casi di malattie neoplastiche e di decessi ad esse conseguenti, a prescindere dal possibile nesso causale. In effetti, l'affermazione «quanti si sono ammalati per le patologie connesse all'uranio impoverito» presuppone che sia ormai universalmente accettato a livello scientifico questo legame etiopatogenetico, mentre ciò non corrisponde al vero.
Al riguardo, la II commissione parlamentare d'inchiesta, nella sua relazione finale, «prende atto dell'impossibilità di stabilire, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, un nesso diretto di causa-effetto (nesso di causalità) tra le patologie oggetto dell'inchiesta ed i singoli fattori di rischio individuati nel corso delle indagini, con particolare riferimento agli effetti derivanti dall'uranio impoverito e dalla dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di metalli pesanti»; muovendo da queste considerazioni, la commissione ha «sostituito al nesso di causalità, il criterio di probabilità...».
In merito alla possibilità di «istituire uno sportello di pubblica utilità a disposizione dei militari...», è intendimento dell'amministrazione della difesa attivare un numero verde dedicato, proprio al fine di rendere disponibile un punto di contatto di rapido e facile accesso per il personale in congedo.
Le Forze armate, comunque, hanno consolidato specifiche azioni ed iniziative volte a supportare sul piano morale, psicologico e materiale il personale colpito da grave infortunio e/o patologia, e le relative famiglie.
In particolare, lo Stato maggiore dell'esercito ha messo a punto specifiche direttive e procedure della cui gestione è incaricato un apposito ufficio, che provvede anche ad una periodica sensibilizzazione degli organi competenti in merito alla corretta applicazione delle previsioni.
L'arma dei carabinieri ha costituito, sin dal 1994, presso il Comando generale, la sezione «rapporti con le famiglie vittime del dovere e dei caduti in servizio» per mettere a disposizione dei familiari dei militari un elemento di riferimento e coordinare le relative attività dei comandi dipendenti.
Inoltre, è stata recentemente costituita un'area di servizio denominata «speciali benefici assistenziali» - con relativo info-point - per la trattazione e l'erogazione dei benefici previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 37/09 (riconoscimento di particolari infermità da cause di servizio per il personale impiegato nelle missioni militari all'estero, nei conflitti e nelle basi militari nazionali).
Per concludere, ricordo la recente istituzione al Senato (deliberazione 16 marzo 2010) della III commissione monocamerale d'inchiesta, al fine di proseguire nell'indagine sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale impiegato nelle missioni internazionali e all'estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti.

Il Ministro della difesa: Ignazio La Russa.
Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

associazione

commissione speciale

esercito

malattia

morte

personale militare

protezione del consumatore

uranio

vittima