ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/33069

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 13
Seduta di annuncio: 825 del 13/12/2000
Firmatari
Primo firmatario:
Gruppo: MISTO
Data firma: 13/12/2000


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'INTERNO
  • MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DI GRAZIA E GIUSTIZIA delegato in data 17/01/2001
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

PRESENTATO IL 13/12/2000

INTERLOCUTORIO IL 17/01/2001

Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. - Premesso
che:
nel processo in corso presso la Corte di Assise di Messina per
l'omicidio di Graziella Campagna sono emersi gravissimi episodi di
depistaggio ed altre anomalie poste in essere da magistrati;
la sera del 12 dicembre 1985, nel paese di Villafranca Tirrena
(Messina), scompariva Graziella Campagna. Il suo cadavere veniva
ritrovato due giorni dopo sui monti Peloritani, al confine fra il
comune di Messina e quello di Villafranca Tirrena. Graziella sarebbe
scomparsa sulla via Nazionale di Villafranca Tirrena, nei pressi
della lavanderia La Regina, ove la stessa prestava servizio;
all'epoca dell'omicidio, la lavanderia La Regina era da tempo
quotidianamente frequentata da due palermitani, presentatisi come
l'ingegner Toni Cannata ed il geometra Gianni Lombardo, quest'ultimo
collaboratore del primo. In realtà si trattava di due pericolosissimi
ricercati per associazione mafiosa, traffico internazionale di droga
ed altro: Gerlando Alberti jr. (nipote omonimo di Gerlando Alberti
sr., detto "'u paccarè") e Giovanni Sutera. I due si nascondevano
nella zona di Villafranca da circa tre anni ed avevano instaurato
buoni rapporti con i titolari della lavanderia, i coniugi Franco
Romano e Franca Federico, e con le collaboratrici, Agata Cannistrà e
Graziella Campagna. Inoltre, nello stesso paese erano assidui
frequentatori del salone da barba di Giuseppe Federico, fratello di
Franca, e del negozio di alimentari di Francesco Catrimi;
Alberti si era trasferito nella zona di Messina dal 1982-1983, dopo
essere sfuggito agli attentati in suo danno eseguiti dal gruppo
mafioso corleonese e dagli alleati di quella frangia di Cosa Nostra.
Arrivato in riva allo Stretto, aveva dimorato fino al 1984 ad
Acqualadroni, utilizzando le abitazioni messe a sua disposizione da
tale Palamara Rosaria, e dal 1984 in poi nella zona di Villafranca
Tirrena;
nel messinese, Alberti, così come numerosi altri esponenti di Cosa
Nostra palermitana (di entrambi gli schieramenti, Corleonesi e
Palermo Centro), godeva della protezione di don Santo Sfameni,
imprenditore di Villafranca Tirrena. In realtà, Sfameni, oltre ad
occuparsi di edilizia, è un grosso esponente massonico collegato sia
ad importantissimi personaggi istituzionali che ai più potenti
esponenti mafiosi siciliani. Giudici come Marcello Mondello, Domenico
Cucchiara, Giuseppe Recupero, Beppe Recupero, Giovanni Serraino ed
altri, professori universitari come Salvatore Navarra (fratello del
famigerato Michele, padrino di Corleone negli anni '50) e Matteo
Vitetta, secondo le rivelazioni di innumerevoli collaboranti (e
secondo le parziali ammissioni di alcuni degli stessi interessati),
sarebbero stati vicini al patriarca di Villafranca Tirrena. Alcuni di
questi rappresentanti istituzionali, addirittura, in compagnia dei
più temuti pregiudicati mafiosi messinesi e di altre provincie,
avrebbero partecipato a scampagnate mangerecce in una masseria di don
Santo sita a Saponara Marittima. Proprio il luogo nel quale sarebbero
stati decisi, fra gli altri, l'attentato ai danni del professore
universitario Pernice, avvenuto il 6 settembre 1990 ed elaborate le
strategie dei gruppi criminali;
Gerlando Alberti jr., dietro la falsa identità dell'insospettabile
ingegner Toni Cannata, dal maggio del 1985, insieme all'amico Sutera,
spacciato come proprio parente, aveva preso in affitto una villetta
nel vicino paese di Rometta Marea, in via Vini n. 103, di proprietà,
inizialmente, di tale Siragusa Salvatore. In realtà, il contratto di
affitto era stato stipulato a nome di Mancuso Rosa Emilia, moglie
dell'Alberti;
a quasi un mese di distanza dall'omicidio di Graziella, si scopriva
che qualche giorno prima dell'8 dicembre 1985 l'ingegner Cannata
aveva lasciato della biancheria alla lavanderia ove lavorava la
giovane. Sbadatamente, in uno degli indumenti consegnati, lasciava un
porta-documenti contenente un'agendina con degli appunti personali.
Avvedutosi di ciò mentre si trovava nel negozio del barbiere
Federico, mostrando evidenti segni di nervosismo, mandava il suo
amico a ritirare il tutto. Sutera, però, tornava a mani vuote,
cosicché l'ingegner Cannata si recava di persona alla ricerca dei
preziosi documenti. Veniva ritrovata soltanto la custodia del
porta-documenti, al cui interno c'era solo un'immaginetta sacra con
l'effigie del Papa. A questo punto, il latitante andava su tutte le
furie, gettando nel cestino gli oggetti rinvenuti. Dal timore che
questi appunti fossero stati ritrovati, all'interno della lavanderia,
da Graziella Campagna e che la ragazza ne potesse parlare con il
fratello Piero, carabiniere, sarebbe nata la necessità dell'uccisione
della diciassettenne. Graziella, dopo essere stata prelevata e
condotta a Forte Campone, sarebbe stata interrogata in ordine al
ritrovamento degli appunti smarriti dall'ingegner Cannata e solo dopo
ciò uccisa;
la sera della scomparsa di Graziella, inspiegabilmente la
proprietaria della lavanderia aveva consegnato alla ragazza 70.000
lire, pur non essendo giorno di paga. Quella somma, peraltro, non
rappresentava neanche lo stipendio, dell'importo di 150.000 lire, che
veniva pagato in nero a fine mese. Più esattamente, innanzi al G.I.
il 6 giugno 1989, la donna spiegava di aver messo i soldi, come detto
consegnati senza alcuna ragione, direttamente nella borsa di
Graziella, tanto da elencare al giudice gli oggetti ivi contenuti;
altra anomalia era capitata nel pomeriggio del 12 dicembre, ovvero
meno di due ore prima del sequestro di Graziella. La proprietaria
della lavanderia, Franca Federico, e Agata Cannistrà, verso le ore
18, si erano recate in auto in compagnia di un conoscente a prendere
un caffè al bar dell'Hotel Viola, sito sempre in Villafranca, e ciò
nonostante accanto alla lavanderia si trovasse un bar, dove le stesse
donne avevano l'abitudine di prendere il caffè, peraltro solo di
mattina e mai nel pomeriggio. L'Hotel Viola, sito nel comune di
Villafranca Tirrena, è di proprietà di tale Romualdo Viola. Ciò non
sembrerebbe essere di scarso rilievo, ai fini della ricostruzione del
sequestro e dell'assassinio di Graziella Campagna. Ha riferito,
infatti, il collaboratore di giustizia Santi Timpani che, subito dopo
la fuga dal posto di blocco, Alberti ed il suo amico si erano recati
dal loro protettore, Santo Sfameni, il quale li aveva indirizzati
proprio presso Romualdo Viola, dal quale i due latitanti palermitani
avrebbero trovato rifugio. Il collegamento fra Viola e Sfameni in
vicende illecite è ulteriormente riferito dal Timpani nel medesimo
verbale d'interrogatorio, laddove spiega i passaggi di un processo
addomesticato a favore dello stesso Timpani. Si tratta del processo
per l'omicidio Sgrò, celebrato nel 1992 innanzi al Tribunale per i
minorenni di Messina. In quell'occasione il Timpani, nei confronti
del quale sussistevano abbondanti prove di colpevolezza, fu
scagionato dalla falsa testimonianza proprio di Romualdo Viola, il
quale gli fornì un falso alibi insuperabile. Secondo quanto narrato
dal Timpani, la testimonianza del Viola era stata procurata da Santo
Sfameni e da Luigi Sparacio, ed era stata ammessa dopo gli accordi
raggiunti in tal senso fra il padre di Timpani, Santo Sfameni, il
dottor Recupero ed il dottor Domenico Lazzaro. Il Lazzaro presiedeva
il collegio che avrebbe giudicato, e poi assolto, il Timpani (che in
appello sarà condannato a seguito della sua confessione) ed è ancora
il Presidente del Tribunale per i minorenni;
risulta all'interrogante che fino al 7 gennaio 1986 non vi fu traccia
alcuna, negli atti di indagine, dell'ingegner Cannata e del fido
aiutante Gianni;
a dire il vero, già l'avvio delle indagini era stato caratterizzato
da alcune stranezze. Era, infatti, avvenuto che a giungere per primi
a Forte Campone e ad eseguire il riconoscimento del cadavere ed i
primi adempimenti del caso fossero stati i poliziotti della Squadra
mobile. Sennonché, contrariamente alla prassi istituzionale costante
in casi del genere, la conduzione delle indagini era stata delegata,
dalla magistratura, in prima battuta ai Carabinieri;
Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, con provvedimento emesso il
1o marzo 1988 dal G.I. del tribunale di Messina, venivano rinviati a
giudizio innanzi alla Corte di assise di Messina. Tuttavia, la Corte,
presieduta dal dottor Cucchiara, con provvedimento del 10 marzo 1989,
dichiarava, su conforme richiesta del P.M., alla quale si associavano
anche i difensori delle parti civili e degli imputati, la nullità
degli atti dell'istruzione formale, "ivi compresa l'ordinanza di
rinvio a giudizio", e disponeva la restituzione degli atti al P.M.;
ripartito il procedimento, veniva acquisita la deposizione della
madre della vittima, Curreri Santa, che riferiva al G.I. una
circostanza fondamentale: la sera del 9 dicembre 1985, tre giorni
prima della scomparsa, Graziella aveva detto alla madre, senza
preoccupazioni: "mamma, sai, l'ingegnere Cannata non è quello, è
un'altra persona. Ho trovato un foglio di carta e mentre lo tenevo in
mano Agata me lo ha strappato". Nonostante tale ultima risultanza, il
P.M. richiedeva il proscioglimento dei due imputati, sostenendo
l'inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla madre di Graziella e
privilegiando, invece, la credibilità di Franca Federico e Agata
Cannistrà, seppure denunciate per favoreggiamento dalla Squadra
mobile, per le loro menzogne. Arrivava, così, il proscioglimento di
Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, disposto con la sentenza
emessa il 28 marzo 1990 dal G.I. dottor Marcello Mondello, vistata
per l'approvazione e la mancata impugnazione dal sostituto
procuratore generale dottor Rocco Sisci il 18 aprile 1990. Solo molti
anni dopo il dottor Mondello ammetterà innanzi ai PP.MM. di Catania
di aver anticipato l'esito favorevole del processo, prima
dell'emissione del provvedimento, al boss Santo Sfameni, che gliene
aveva chiesto conto. Proprio lo Sfameni aveva protetto, dall'alto dei
suoi agganci istituzionali, la latitanza dei due mafiosi palermitani
nella zona messinese. È solo l'ultima conferma a ciò che già molti
collaboratori di giustizia avevano rivelato, parlando di processo
aggiustato. Da ultimo, sulla vicenda si soffermerà il collaboratore
di giustizia Santi Timpani, che riferirà al P.M. che, per assicurarsi
il buon esito del procedimento a carico di Alberti e Sutera, Sfameni
aveva pagato ai magistrati che se ne occupavano la somma di 500
milioni di lire;
per lunghi anni, dopo la sentenza di proscioglimento emessa dal
dottor Mondello, sul feroce assassinio di Graziella Campagna calava
l'oblio;
il 24 settembre 1996, oltre 6 anni dopo il proscioglimento dei due
imputati, sulla scorta delle dichiarazioni rese da 9 collaboratori di
giustizia (Ferrara Carmelo, Surace Salvatore, Mancuso Giorgio, Rizzo
Rosario, Di Napoli Pietro, Sparacio Luigi, Giorgianni Salvatore,
Cariolo Antonio, Arnone Marcello), i quali avevano indicato Alberti e
Sutera quali esecutori materiali del delitto, specificando il
contesto mafioso in cui era stato deciso l'assassinio di Graziella,
la Procura di Messina richiedeva la revoca della sentenza di
proscioglimento e la riapertura delle indagini preliminari. Il Gip
accoglieva la richiesta con provvedimento emesso il 5 dicembre 1996,
concedendo 6 mesi per il completamento delle indagini;
il processo, in verità, avrebbe potuto ricominciare con due anni di
anticipo. Infatti, il 14 marzo 1994, il pentito messinese Salvatore
Giorgianni aveva riferito al P.M. di Reggio Calabria Francesco
Mollace (nell'ambito delle indagini sul ferimento del professor
Pernice, nelle quali erano coinvolti Santo Sfameni ed il dottor
Giuseppe Recupero) sia le responsabilità di Alberti nell'omicidio
Campagna sia l'intervento di Sfameni per addomesticare l'esito
dell'originario processo definitosi con il proscioglimento degli
imputati. Inspiegabilmente, però, secondo l'interrogante, il dottor
Mollace ometteva alcuna iniziativa, non iscrivendo le notitiae
criminis sul registro della Procura di Reggio Calabria ed omettendo
perfino di trasmettere gli atti alla Procura di Messina;
venivano espletati nuovi accertamenti dal R.O.S. dei Carabinieri di
Messina, che culminavano nella redazione dell'informativa "Erode" del
5 giugno 1997, nella quale venivano raccolti i numerosi riscontri
trovati alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Con
l'informativa di reato, venivano denunciati Alberti e Sutera quali
responsabili dell'uccisione della Campagna, Franca Federico, Franco
Romano, Giuseppe Federico ed Agata Cannistrà per favoreggiamento,
Santo Sfameni per associazione mafiosa;
nel maggio 1997 iniziava a collaborare con la giustizia il
palermitano La Piana Vincenzo, cognato di Gerlando Alberto jr. per
averne sposato la sorella Maria;
La Piana aveva mantenuto stretti contatti con il cognato fino a poco
prima di iniziare a collaborare con la giustizia. Tanto che
assistette a ripetute discussioni avvenute fra Gerlando Alberti jr. e
Giovanni Sutera con riferimento all'omicidio di Graziella Campagna,
che gli stessi ammettevano di avere materialmente eseguito. Quando,
poi, nel 1996, si erano riaperte le indagini, il La Piana aveva fatto
da tramite fra il cognato ed il Sutera per riferire a quest'ultimo
una versione dei fatti, eventualmente da riferire agli investigatori,
appositamente inventata al fine di non vanificare i risultati che
l'Alberti aveva ottenuto grazie ad un non meglio precisato P.M.
compiacente;
nonostante la mole immensa di risultanze investigative sul ruolo
avuto da Sfameni Santo nella protezione (almeno) della lunghissima
latitanza di Alberti e Sutera e nel raccordo fra alti rappresentanti
delle istituzioni (tra i quali proprio il giudice che aveva
prosciolto gli imputati dell'uccisione della povera Graziella) e
pericolosissimi mafiosi, il P.M. dottor Marino disponeva lo stralcio
della posizione di Sfameni dal procedimento principale, con la
motivazione che i reati di cui era indiziato (fra gli altri,
associazione mafiosa) lo Sfameni fossero "non connessi con l'omicidio
di Graziella Campagna". La conseguenza di tale decisione, a parere
dell'interrogante, fu quella di ostacolare, almeno parzialmente, nel
corso del dibattimento, l'approfondimento sul contesto mafioso, sugli
agganci fra Sfameni, Alberti e rappresentanti delle istituzioni e
sulla causale dell'omicidio;
così come risulta all'interrogante, il 23 dicembre 1997 il P.M.
Marino formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 6
imputati: Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera per il reato di
omicidio, Franca Federico, Franco Romano, Giuseppe Federico e Agata
Cannistrà per favoreggiamento, richiesta accolta dal Gip Salamone,
che disponeva il rinvio a giudizio degli imputati innanzi alla Corte
di assise, prima sezione, per l'udienza del 10 dicembre 1998;
prima dell'inizio del dibattimento ed ormai in procinto di lasciare
la procura ed essere trasferito al tribunale di sorveglianza di
Messina, il P.M. dottor Marino, a parere dell'interrogante, pose
l'ultimo ostacolo all'accertamento della verità: nel compilare la
lista testimoniale omise i poliziotti della Squadra mobile che
avevano svolte le indagini più accurate; di contro chiedeva la
testimonianza proprio di quei carabinieri che avevano contribuito
all'insabbiamento, maresciallo Giardina in testa;
iniziato il dibattimento, anche grazie alle rivelazioni di numerosi
collaboratori di giustizia, emergeva uno spaccato inquietante fatto
di commistioni fra pezzi dello Stato e mafiosi in carriera. Per la
prima volta si riusciva a far venir fuori che il "patriarca" di
Villafranca Tirrena, Santo Sfameni è un importante uomo d'onore di
Cosa Nostra, "burattinaio" manovratore di giudici e processi, che
dall'alto della sua influenza massonica riusciva a far sedere insieme
magistrati, avvocati e latitanti;
con l'esame testimoniale di Piero Campagna, il 22 dicembre 1999,
venivano fuori le circostanze più sconcertanti. Riferiva il Campagna
che, pochi giorni dopo l'omicidio era stato raggiunto a casa da
poliziotti della Squadra mobile, con i quali era salito in automobile
per riferire loro tutti i sospetti che aveva sull'assassinio della
sorella. L'auto della Polizia veniva bloccata da una pattuglia dei
carabinieri. Ne nasceva una colluttazione fra poliziotti e
carabinieri. Finiva che gli agenti della Mobile, stizziti per
l'accaduto e per le incredibili accuse di imprecisate ingerenze
investigative, andavano via. Il Campagna veniva convocato in caserma
dal maresciallo Giardina, dal quale veniva redarguito per avere
fornito notizie alla Polizia e invitato a recarsi al Comando
provinciale dei Carabinieri, nell'ufficio dell'allora maggiore
Antonio Fortunato, comandante del reparto operativo, che aveva
manifestato il suo disappunto per l'accaduto. Ricevuto dal Fortunato,
Campagna veniva nuovamente investito da una reprimenda per avere
collaborato con i poliziotti e gli veniva intimato di fornire ogni
dettaglio utile per le indagini esclusivamente allo stesso maggiore
Fortunato o al maresciallo Giardina;
nella stanza del Fortunato, da questi veniva presentata a Piero
Campagna un'altra persona, indicata dal Fortunato come proprio
collega, a nome Giuseppe Donia, il quale assistette all'incontro e
partecipò alla discussione, anche intervenendo per tranquillizzare il
fratello della vittima sullo scrupolo che sarebbe stato impiegato
nelle indagini. Si tratta della stessa persona che Campagna,
nuovamente recatosi al Comando provinciale, qualche giorno dopo
incontrò nel cortile della caserma e che gli confidò di essersi
personalmente occupato della perizia balistica espletata sui
proiettili utilizzati per uccidere Graziella;
Piero Campagna a distanza di qualche anno incontrò il Donia a
Falcone, il paese nel quale dal 1989 Gerlando Alberti e la sua
famiglia vivevano. In tale occasione apprese dai carabinieri di
Falcone che il Donia non era in realtà un ufficiale dei carabinieri,
ma che si spacciava falsamente come tale, e che, soprattutto, era un
soggetto strettamente legato a Gerlando Alberti jr.;
sul punto veniva sentito dal P.M., fra gli altri, anche il
maresciallo Giardina, il quale aggiungeva un'altra circostanza
inquietante, peraltro già riferita innanzi alla Corte d'assise di
Messina il 3 dicembre 1999: la sera del rinvenimento del cadavere,
alla caserma di Villafranca Tirrena era presente anche il magistrato
dottor Giovanni Lembo, che coordinò informalmente i primi adempimenti
istruttori. Incomprensibilmente, però, perché a quel tempo il Lembo,
come accertato dall'interrogante, faceva il pretore a Patti e quindi
non aveva alcuna competenza ed alcuna ragione per trovarsi coinvolto
nelle indagini, che in realtà venivano formalmente assegnate al
dottor Serraino. Nel corso del suo esame dibattimentale il
maresciallo Puglisi riferiva che durante l'interrogatorio dei quattro
imputati di favoreggiamento, nell'ottobre 1998, il dottor Lembo (che
non aveva alcun ruolo nel procedimento) era intervenuto nella stanza
del P.M. dottor Marino, senza che questi ne facesse menzione a
verbale;
a dire il vero, però, ciò che appare più destabilizzante,
all'interrogante, è il tenore dei rapporti intrecciati dal Donia
prima dell'omicidio Campagna con alcuni rappresentanti istituzionali
che dell'omicidio ebbero ad occuparsi nell'esercizio delle loro
funzioni, nel modo non troppo accurato che già sopra si è visto. Il
Donia, infatti, pur non essendo colonnello, appare tale e, pur non
essendo perito balistico, svolge in segreto delicate perizie. Solo
che questa sua passione per le armi è condivisa con soggetti di tutto
spessore. Il 13 dicembre 1982, ad esempio, Donia segnalava
formalmente alla stazione dei Carabinieri di Fondachello Valdina
(Messina), diretta dal maresciallo Numa, di avere ceduto a titolo
gratuito una pistola Beretta semiautomatica calibro 7,65 al dottor
Rocco Sisci, nato ad Amendolara (Cosenza) il 6 ottobre 1936, in quel
momento (ed anche nel dicembre 1985) sostituto procuratore della
Repubblica a Messina. Sì, lo stesso dottor Sisci che, si è visto,
diventato sostituto procuratore generale, nel 1990 mise il suo
sigillo alla sentenza di proscioglimento di Alberti e Sutera, emessa
dal dottor Mondello. Lo stesso dottor Sisci che oggi dirige la
Procura della Repubblica di Barcellona P.G.. Il 1o luglio 1983 Donia
segnalava formalmente alla stessa stazione dei Carabinieri di avere
ricevuto in regalo dal capitano Acampora Fernando, proprio colui che
dirigerà, quale comandante del nucleo operativo della compagnia
Messina centro, le indagini sull'assassinio, tante armi da sembrare
un arsenale;
Giuseppe Donia a Scala Torregrotta, per tutto il corso degli anni '80
non aveva evitato contatti malsani con soggetti noti alle cronache
giudiziarie. Fra gli altri, aveva stretto rapporti con il giovane
Santi Timpani, compagno di scuola, in passato, del figlio di Donia.
Lo stesso Santi Timpani, pluriomicida, che, divenuto collaboratore di
giustizia, il 16 dicembre 1994 dichiarerà al P.M. dottor Lembo (lo
stesso che Giardina segnalò presente alla stazione di Villafranca la
sera del 14 dicembre 1985), nel frattempo divenuto sostituto
procuratore nazionale antimafia, di avere illecitamente ottenuto da
Giuseppe Donia delle pistole, e di essersi allenato al tiro insieme
al Donia numerose volte, in una campagna di proprietà dello stesso.
Tale verbale, come accertato dall'interrogante, non ebbe seguito
giudiziario, come altri verbali resi dal Timpani, ad esempio, quelli
contenenti accuse a carico di sottufficiali dei Carabinieri della
zona tirrenica messinese, fra i quali il maresciallo Numa;
in definitiva si hanno: due imputati di omicidio, Gerlando Alberti e
Giovanni Sutera, latitanti in Villafranca Tirrena protetti da Santo
Sfameni; quattro imputati di favoreggiamento, in intimi rapporti con
gli stessi latitanti e legati da rapporti di parentela con l'allora
sindaco La Rosa, buon amico ed accompagnatore del latitante Alberti,
in stretto collegamento con il boss Sfameni; un intoccabile "puparo",
Sfameni, amico di giudici, manovratore di processi aggiustati;
qualche magistrato (Mondello, decisivo per il proscioglimento degli
imputati) legato da relazioni pericolose con il "puparo", qualcun
altro (Sisci e Lembo) legato da relazioni ancor più pericolose con
strani ed inquietanti personaggi; un falso colonnello (Donia) che
compie perizie non verbalizzate, che collabora, fuori ruolo, alle
indagini, che è amico del principale imputato, che regala armi a
magistrati e criminali e ne riceve da parte di ufficiali dei
carabinieri, che viene accusato (unitamente a molti sottufficiali dei
carabinieri) da collaboratori di giustizia e mai perseguito (dal
dottor Lembo) -:
se siano mai stati avviati accertamenti dai Ministri interrogati sui
gravi fatti raccontati e quali siano le relative risultanze;
se siano state rilevate responsabilità in capo ai magistrati
menzionati e quali siano ed a carico di chi i procedimenti
disciplinari avviati su tali vicende, con specifico riferimento al
dottor Francesco Mollace, al dottor Carmelo Marino, al dottor
Giovanni Lembo, al dottor Domenico Lazzaro ed al dottor Rocco Sisci;
quali accertamenti siano stati fatti sul Donia e sui suoi rapporti di
collaborazione con uffici giudiziari;
se non ritengano, in ogni caso, che le suddette vicende meritino
l'avvio di immediati provvedimenti, come richiede il sangue innocente
di una martire della mafia: Graziella Campagna.
(4-33069)
Classificazione EUROVOC:
CONCETTUALE:
CARABINIERI, IMPUTATI E INDIZIATI DI REATO, INDAGINI GIUDIZIARIE, MAFIA E CAMORRA, OMICIDIO, PROCESSO PENALE, SEQUESTRO DI PERSONA
SIGLA O DENOMINAZIONE:

GEO-POLITICO:

MESSINA (MESSINA+ SICILIA+), VILLAFRANCA TIRRENA (MESSINA+ SICILIA+)