ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/33068

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 13
Seduta di annuncio: 825 del 13/12/2000
Firmatari
Primo firmatario:
Gruppo: MISTO
Data firma: 13/12/2000


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'INTERNO
  • MINISTERO DELLA DIFESA
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

PRESENTATO IL 13/12/2000

Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. - Per sapere -
premesso che:
nel processo in corso presso la Corte di Assise di Messina per
l'omicidio di Graziella Campagna sono emersi gravissimi episodi di
depistaggio ed altre anomalie poste in essere da Ufficiali e
Sottufficiali dell'Arma dei Carabinieri; la sera del 12 dicembre
1985, nel paese di Villafranca Tirrena (Messina), scompariva
Graziella Campagna, di Saponara. Il suo cadavere veniva ritrovato due
giorni dopo sui monti Peloritani, al confine fra il comune di Messina
e quello di Villafranca Tirrena. Graziella sarebbe scomparsa sulla
via Nazionale di Villafranca Tirrena, nei pressi della lavanderia La
Regina, ove la stessa prestava servizio;
all'epoca dell'omicidio, la lavanderia La Regina era da tempo
quotidianamente frequentata da due palermitani, presentatisi come
l'ingegner Toni Cannata ed il geometra Gianni Lombardo, quest'ultimo
collaboratore del primo. In realtà si trattava di due pericolosissimi
ricercati per associazione mafiosa, traffico internazionale di droga
ed altro: Gerlando Alberti jr. (nipote omonimo di Gerlando Alberti
sr., detto "'u paccarè") e Giovanni Sutera. I due si nascondevano
nella zona di Villafranca da circa tre anni ed avevano instaurato
buoni rapporti con i titolari della lavanderia, i coniugi Franco
Romano e Franca Federico, e con le collaboratrici, Agata Cannistrà e
Graziella Campagna. Inoltre, nello stesso paese erano assidui
frequentatori del salone da barba di Giuseppe Federico, fratello di
Franca, e del negozio di alimentari di Francesco Catrimi;
Alberti si era trasferito nella zona di Messina dal 1982-83, dopo
essere sfuggito agli attentati in suo danno eseguiti dal gruppo
mafioso corleonese e dagli alleati di quella frangia di Cosa Nostra.
Arrivato in riva allo Stretto, aveva dimorato fino al 1984 ad
Acqualadroni, utilizzando le abitazioni messe a sua disposizione da
tale Palamara Rosaria, e dal 1984 in poi nella zona di Villafranca
Tirrena;
la presenza in Villafranca dei due latitanti palermitani e la loro
identificazione venivano accertate la sera dell'8 dicembre 1985,
quattro giorni prima dell'omicidio, quando fuggivano da un posto di
blocco lasciando i documenti falsi. Dalla relazione di servizio
redatta dai due Carabinieri, tuttavia, risulta un dato preoccupante.
Il Cannata (alias Alberti), infatti, prima di fuggire aveva riferito
ai militari, al fine di tranquillizzarli, che egli era ottimo amico
del maresciallo Giardina, Comandante della Stazione dei Carabinieri
di Villafranca, al quale, quindi, sollecitava i militari di
rivolgersi per avere referenze tranquillizzanti. Sennonché, dopo
l'omicidio in questione, fu proprio il maresciallo Giardina a
coordinare le indagini sull'omicidio Campagna, inizialmente volte a
dimostrare un'insostenibile causale passionale e poi direzionate,
dopo molte titubanze, nei confronti di Alberti e Sutera. La relazione
di servizio, invece, nella quale si segnalava l'amicizia fra il
maresciallo Giardina ed il latitante, fu trasmessa alla Procura della
Repubblica soltanto un mese e due giorni dopo il ritrovamento del
cadavere;
in effetti, perfino lo stesso maresciallo Giardina dovette ammettere
taluni contatti con l'ingegner Cannata (alias Alberti). Già al G.I.
riferì di aver in più occasioni incontrato il sedicente Cannata dal
barbiere Federico e nel negozio di Catrimi (guarda caso erano
entrambi avventori degli stessi esercizi commerciali) e che in tali
occasioni il latitante palermitano gli era stato presentato come
"ingegnere Cannata" e gli era stato descritto come un "gentiluomo",
fra gli altri dall'allora sindaco Vincenzo La Rosa, uomo legato a
doppio filo a don Santo Sfameni ed imparentato con i proprietari
della lavanderia presso cui lavorava Graziella;
Gerlando Alberti jr., dietro la falsa identità dell'insospettabile
ingegner Toni Cannata, dal maggio del 1985, insieme all'amico Sutera,
spacciato come proprio parente, aveva preso in affitto una villetta
nel vicino paese di Rometta Marea, in Via Vini n. 103, di proprietà,
inizialmente, di tale Siragusa Salvatore. In realtà, il contratto di
affitto era stato stipulato a nome di Mancuso Rosa Emilia, moglie
dell'Alberti, il 15 maggio 1985;
a quasi un mese di distanza dall'omicidio di Graziella, si scopriva
che qualche giorno prima dell'8 dicembre 1985 l'ingegner Cannata
aveva lasciato della biancheria alla lavanderia ove lavorava la
giovane. Sbadatamente, in uno degli indumenti consegnati, lasciava un
porta-documenti contenente un'agendina con degli appunti personali.
Avvedutosi di ciò mentre si trovava nel negozio del barbiere
Federico, mostrando evidenti segni di nervosismo, mandava il suo
amico a ritirare il tutto. Sutera, però, tornava a mani vuote,
cosicché l'ingegner Cannata si recava di persona alla ricerca dei
preziosi documenti. Veniva ritrovata soltanto la custodia del
porta-documenti, al cui interno c'era solo un'immaginetta sacra con
l'effigie del Papa. A questo punto, il latitante andava su tutte le
furie, gettando nel cestino gli oggetti rinvenuti. Dal timore che
questi appunti fossero stati ritrovati, all'interno della lavanderia,
da Graziella Campagna e che la ragazza ne potesse parlare con il
fratello Piero, carabiniere, sarebbe nata la necessità dell'uccisione
della diciassettenne. Graziella, dopo essere stata prelevata e
condotta a Forte Campone, sarebbe stata interrogata in ordine al
ritrovamento degli appunti smarriti dall'ingeger Cannata e solo dopo
ciò uccisa;
nonostante nella zona tutti conoscessero l'ubicazione della casa
dell'ingegner Cannata, i carabinieri di Villafranca, guidati dal
maresciallo Giardina, la individuavano soltanto con cinque giorni di
ritardo, il 13 dicembre 1985. Proprio la mattina successiva
all'omicidio, guarda caso, e proprio quella mattina venivano rilevate
all'ingresso dall'abitazione le tracce di fango lasciate nella notte,
segno della fuga repentina. Inspiegabilmente, però, la villetta non
venne perquisita fino all'8 gennaio 1986. Il maresciallo Giardina
giustificò questo ritardo affermando di aver predisposto dei
controlli mirati a sorprendere l'eventuale ritorno sul posto dei
fuggitivi o di qualche loro complice. Il servizio di appostamento
disposto dai Carabinieri nei pressi dell'abitazione di via Vini n.
103, tuttavia, non rilevava alcunché, nemmeno che il 14 dicembre 1985
numerosi soggetti a bordo di due autovetture targate CT A112, con
fare sospetto, erano inutilmente andati a trovare l'Alberti;
risulta all'interrogante che fino al 7 gennaio 1986 non vi fu traccia
alcuna, negli atti di indagine, dell'ingegner Cannata e del fido
aiutante Gianni;
a dire il vero, già l'avvio delle indagini era stato caratterizzato
da alcune stranezze. Era, infatti, avvenuto che a giungere per primi
a Forte Campone e ad eseguire il riconoscimento del cadavere ed i
primi adempimenti del caso fossero stati i poliziotti della Squadra
Mobile. Sennonché, contrariamente alla prassi istituzionale costante
in casi del genere, la conduzione delle indagini era stata delegata,
dalla magistratura, in prima battuta ai Carabinieri;
soltanto il 19 febbraio 1986 Alberti e Sutera venivano denunciati, in
stato di latitanza, dal Nucleo Operativo dei Carabinieri di Messina.
Però, ciò avveniva solo per furto e falso per la fuga dal posto di
blocco del giorno 8 dicembre 1985 e non per l'omicidio Campagna, su
cui si ometteva ogni accenno. La circostanza più grave è che la
Squadra Mobile di Messina aveva già denunciato Alberti e Sutera quali
responsabili dell'omicidio Campagna, con rapporto giudiziario dell'11
gennaio 1986;
solo con rapporto giudiziario del 3 settembre 1986 la Legione
Carabinieri di Messina, Compagnia di Messina Centro, dopo aver
tentato di sostenere il movente passionale, denunciava Alberti e
Sutera quali autori dell'omicidio Campagna;
Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera, con provvedimento emesso il
12 dicembre 1988 dal G.I. del Tribunale di Messina, venivano rinviati
a giudizio innanzi alla Corte di Assise di Messina. Tuttavia, la
Corte, presieduta dal dottor Cucchiara, con provvedimento del 10
marzo 1989, dichiarava, su conforme richiesta del P.M., alla quale si
associavano anche i difensori delle parti civili e degli imputati, la
nullità degli atti dell'istruzione formale, "ivi compresa l'ordinanza
di rinvio a giudizio", e disponeva la restituzione degli atti al
P.M.;
nel frattempo, il 4 febbraio 1989, il carabiniere Piero Campagna,
proseguendo le indagini personali sull'omicidio della sorella,
registrava una conversazione avuta nella lavanderia Orchidea di
Rometta Marea (Messina) con la proprietaria di tale negozio, Bertino
Angela, e con Agata Cannistrà, da cui emergono involontarie
confessioni significative ed allarmanti. Infatti, Agata Cannistrà
riferiva che, ai tempi della latitanza di Alberti sotto le mentite
spoglie di ingegner Cannata, il proprio marito, il barbiere Giuseppe
Federico, aveva partecipato ad una cena in un ristorante, nella quale
ospite di lusso era proprio il latitante palermitano e fra i presenti
era il maresciallo Carmelo Giardina e aggiungeva che il modo di fare
di Alberti le era risultato estremamente sospetto. Sempre nel corso
della stessa conversazione registrata, la proprietaria della
lavanderia Orchidea, cognata del boss Santo Sfameni, confidava che
Nino Sfameni, figlio di Santo, aveva fatto in qualche occasione da
autista all'ingegner Cannata. La stessa aggiungeva che aveva saputo
che, al tempo della latitanza, fra le dimore a disposizione di
Alberti e Sutera, vi fosse anche una villetta sita in Villafranca
Tirrena, Via Baronia, adiacente alla caserma dei Carabinieri diretta
dal maresciallo Giardina, circostanze sconosciute agli atti
dell'inchiesta, perché mai verbalizzate;
ripartito il procedimento, il P.M. richiedeva il proscioglimento dei
due imputati, disposto con la sentenza emessa il 28 marzo 1990 dal
G.I. dottor Marcello Mondello;
per lunghi anni, dopo la sentenza di proscioglimento emessa dal
dottor Mondello, sul feroce assassinio di Graziella Campagna calava
l'oblio;
il 24 settembre 1996, oltre 6 anni dopo il proscioglimento dei due
imputati, sulla scorta delle dichiarazioni rese da 9 collaboratori di
giustizia (Ferrara Carmelo, Surace Salvatore, Mancuso Giorgio, Rizzo
Rosario, Di Napoli Pietro, Sparacio Luigi, Giorgianni Salvatore,
Cariolo Antonio, Arnone Marcello), i quali avevano indicato Alberti e
Sutera quali esecutori materiali del delitto, specificando il
contesto mafioso in cui era stato deciso l'assassinio di Graziella,
la Procura di Messina richiedeva la revoca della sentenza di
proscioglimento e la riapertura delle indagini preliminari. Il Gip
accoglieva la richiesta con provvedimento emesso il 5 dicembre 1996,
concedendo 6 mesi per il completamento delle indagini;
venivano espletati nuovi accertamenti dal R.O.S. dei Carabinieri di
Messina, che culminavano nella redazione dell'informativa "Erode" del
5 giugno 1997, nella quale venivano raccolti numerosi riscontri
trovati alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Con
l'informativa di reato, venivano denunciati Alberti e Sutera quali
responsabili dell'uccisione della Campagna, Franca Federico, Franco
Romano, Giuseppe Federico ed Agata Cannistrà per favoreggiamento,
Santo Sfameni per associazione mafiosa;
così come risulta all'interrogante, il 23 dicembre 1997 il P.M.
Marino formulava richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di 6
imputati: Gerlando Alberti jr. e Giovanni Sutera per il reato di
omicidio, Franca Federico, Franco Romano, Giuseppe Federico e Agata
Cannistrà per favoreggiamento, richiesta accolta dal Gip Salamone,
che disponeva il rinvio a giudizio di tutti gli imputati innanzi alla
Corte di Assise, Prima Sezione, per l'udienza del 10 dicembre 1998;
iniziato il dibattimento, anche grazie alle rivelazioni di numerosi
collaboratori di giustizia, emergeva uno spaccato inquietante fatto
di commistioni fra pezzi dello Stato e mafiosi in carriera. Per la
prima volta si riusciva a far venir fuori che il "patriarca" di
Villafranca Tirrena, Santo Sfameni, è un importante uomo di Cosa
Nostra, "burattinaio" manovratore di giudici e processi, che
dall'alto della sua influenza massonica riusciva a far sedere insieme
magistrati, avvocati e latitanti;
con l'esame testimoniale di Piero Campagna, il 22 dicembre 1999,
venivano fuori le circostanze più sconcertanti. Riferiva, infatti, il
Campagna che, pochi giorni dopo l'omicidio, era stato raggiunto a
casa da poliziotti della Squadra Mobile, insieme ai quali era salito
in automobile per riferire loro tutti i sospetti che aveva
sull'assassinio della sorella. L'auto della Polizia veniva bloccata
da una pattuglia dei carabinieri. Ne nasceva una colluttazione fra
poliziotti e carabinieri. Finiva che gli agenti della Mobile,
stizziti per l'accaduto e per le incredibili accuse di imprecisate
ingerenze investigative, andavano via. Il Campagna veniva convocato
in caserma dal maresciallo Giardina, dal quale veniva redarguito per
avere fornito notizie alla Polizia e invitato a recarsi al Comando
Provinciale dei Carabinieri, nell'ufficio dell'allora maggiore
Antonio Fortunato, Comandante del Reparto Operativo, che aveva
manifestato il suo disappunto per l'accaduto. Ricevuto dal Fortunato,
Campagna veniva nuovamente investito da una reprimenda per avere
collaborato con i poliziotti e gli veniva intimato di fornire ogni
dettaglio utile per le indagini esclusivamente allo stesso maggiore
Fortunato o al maresciallo Giardina;
nella stanza del Fortunato, da questi veniva presentata a Piero
Campagna un'altra persona, indicata dal Fortunato come proprio
collega, a nome Giuseppe Donia, il quale assistette all'incontro e
partecipò alla discussione, anche intervenendo per tranquillizzare il
fratello della vittima sullo scrupolo che sarebbe stato impiegato
nelle indagini. Si tratta della stessa persona che Campagna,
nuovamente recatosi al Comando Provinciale, qualche giorno dopo
incontrò nel cortile della caserma e che gli confidò di essersi
personalmente occupato della perizia balistica espletata sui
proiettili utilizzati per uccidere Graziella;
Piero Campagna a distanza di qualche anno incontrò il Donia a Falcone
(Messina), il paese nel quale dal 1989 Gerlando Alberti e la sua
famiglia vivevano. In tale occasione apprese dai carabinieri di
Falcone che il Donia non era in realtà un ufficiale dei carabinieri,
ma che si spacciava falsamente come tale, e che, soprattutto, era un
soggetto strettamente legato a Gerlando Alberti jr;
risultando agli atti del processo una sola perizia balistica, firmata
dal professor Ortese, e, viceversa, non risultando, secondo
l'interrogante, da nessuna parte l'intervento del finto "colonnello"
Donia, il P.M. di udienza, dottoressa Raffa, avviò un'indagine sui
fatti raccontati dal Campagna, anche sulla scorta della deposizione
del maresciallo del R.O.S. dei Carabinieri Salvatore Puglisi, che,
sentito nella stessa udienza nella quale era stato escusso Piero
Campagna, aveva confermato che negli anni '80 il Donia,
qualificandosi falsamente come ufficiale dei Carabinieri, frequentava
il Comando Provinciale di Messina;
nel corso delle indagini sul Donia, questi, interrogato il 1o aprile
2000, ammetteva che la sera del rinvenimento del cadavere di
Graziella Campagna, il 14 dicembre 1985, era stato "contattato
telefonicamente dal capitano Acampora. Costui mi sollecitava a
recarmi presso la stazione dei carabinieri di Villafranca portando
con me un fucile da caccia con un munizionamento da caccia grossa.
Poiché io opponevo qualche resistenza mi passò al telefono (il
maggiore) Fortunato, che mi fece ulteriori e definitive pressioni.
Giunto in caserma vi trovai Fortunato, Acampora e Giardina. Mi fu
richiesto di comparare informalmente alcuni reperti balistici con la
mia arma e le mie munizioni e fornii le mie conclusioni";
pur ammettendo inusuali rapporti di frequentazione con il Donia, il
maggiore Fortunato ed il capitano Acampora negavano di avere mai dato
quell'incarico peritale al Donia;
in realtà, Giuseppe Donia, formalmente privato cittadino, è un
soggetto del tutto fuori dal normale ed i suoi rapporti con gli
ambienti militari e giudiziari sono talmente irrituali da allarmare.
Così scriveva di sé il 24 febbraio 1994 in un'istanza al Procuratore
della Repubblica di Patti, susseguente ad un sequestro di armi e
munizioni eseguito in casa sua il 7 gennaio 1994 dai carabinieri
della compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto: "A titolo di
informazione (il sottoscritto) aggiunge di essere stato chiamato
quale perito balistico, con facoltà di servirsi a discrezione delle
infrastrutture civili e militari della Repubblica, dai Giudicati di
Istruzione presso le Procure della Repubblica di Modena, Bologna,
Parma, Reggio Emilia, consulente, a titolo assolutamente gratuito,
del Reparto Operativo dell'ex Gruppo CC. di Messina, dal quale veniva
a volte convocato, in occasione di fatti di sangue, per fornire
indicazioni sui reperti balistici sequestrati ed ancora di essere
stato nominato dai Prefetti di Bologna e Modena, Istruttore e
Direttore di Tiro, e di avere questa qualifica anche presso il
poligono di Milazzo". E così in una lettera inviata nello stesso
frangente al colonnello Antonio Ragusa, Comandante Provinciale CC. di
Messina: "Premesso che la mia passione del tiro accademico è ben
datata, risale infatti ad una assidua frequentazione e collaborazione
con l'allora capitano CC. Alberto Romoli, Comandante del centro
Perfezionamento Tiro presso l'8o Btg. CC. di Roma, nei primi anni
'70, proseguita nel tempo anche con la partecipazione tecnica
all'addestramento di alcuni poi noti Sottufficiali dell'Arma, a
particolari sedute diurne e notturne; chi Le scrive è stato
istruttore di Tiro e Direttore di Tiro con nomina dei Prefetti di
Bologna e Modena, Perito del Giudicato d'Istruzione presso le Procure
di Modena, Bologna, Parma, Reggio Emilia, nonché consulente
balistico, a titolo assolutamente gratuito, del Reparto Operativo
dell'ex Gruppo CC. di Messina, al quale ha fornito indicazioni in
occasioni di fatti di sangue, sui reperti balistici sequestrati";
che il falso colonnello Donia effettivamente si presentasse, e
venisse presentato in giro, come ufficiale dei Carabinieri in
pensione è un fatto talmente certo da essere attestato da una nota
del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Modena inviata l'8 aprile
1981 ai Carabinieri di Roccavaldina (Messina), nella quale si
comunicava anche che Donia vantava di avere fatto amicizia anche con
il maresciallo Numa, comandante della stazione competente sul
territorio di sua nuova (a quel tempo) residenza, Scala Torregrotta.
Altrettanto certi sono i rapporti di amicizia fra Giuseppe Donia e
Gerlando Alberti, l'imputato dell'omicidio di Graziella Campagna: le
relazioni di servizio dei carabinieri di Falcone del 29 ottobre 1991
e del 29 maggio 1992 sono inequivoche sugli incontri fra i due e fra
Donia, la moglie di Alberti ed il guardiaspalle, tale Geraci
Antonino, dello stesso mafioso palermitano;
a dire il vero, però, ciò che appare più destabilizzante,
all'interrogante, è il tenore dei rapporti intrecciati dal Donia
prima dell'omicidio di Graziella Campagna con alcuni rappresentanti
istituzionali che dell'omicidio ebbero ad occuparsi nell'esercizio
delle loro funzioni, nel modo non troppo accurato che già sopra si è
visto. Il Donia, infatti, pur non essendo colonnello, appare tale e,
pur non essendo perito balistico, svolge in segreto delicate perizie.
Solo che questa sua passione per le armi è condivisa con soggetti di
tutto spessore. Il 13 dicembre 1982, ad esempio, Donia segnalava
formalmente alla Stazione dei Carabinieri di Fondachello Valdina
(Messina), diretta dal maresciallo Numa, di avere ceduto a titolo
gratuito una pistola Beretta semiautomatica cal. 7,65 al dottor Rocco
Sisci, nato ad Amendolara (Cosenza) il 6 ottobre 1936, in quel
momento (ed anche nel dicembre 1985) Sostituto Procuratore della
Repubblica a Messina. Il 1o luglio 1983 il Donia segnalava alla
stessa Stazione dei Carabinieri di avere ricevuto in regalo dal
capitano Acampora Fernando, proprio colui che dirigerà, quale
comandante del Nucleo Operativo della Compagnia Messina Centro, le
indagini sull'assassinio, tante armi da sembrare un arsenale;
in definitiva si hanno: due imputati di omicidio, Gerlando Alberti e
Giovanni Sutera, latitanti in Villafranca Tirrena protetti da Santo
Sfameni; quattro imputati di favoreggiamento, in intimi rapporti con
quegli stessi latitanti e legati da rapporti di parentela con
l'allora sindaco La Rosa, buon amico ed accompagnatore del latitante
Alberti ed in stretto collegamento con il boss Sfameni; un
intoccabile "puparo", Sfameni; un pugno di Ufficiali e Sottufficiali
dei Carabinieri (Fortunato, Acampora, Giardina ed altri) che hanno
devastato le indagini, con comportamenti fuori da ogni codice,
peraltro condividendo con l'Alberti talune amicizie non propriamente
commendevoli; un falso colonnello (Donia) che compie perizie non
verbalizzate, che collabora, fuori ruolo, alle indagini, che è amico
del principale imputato, che regala armi a magistrati e criminali e
ne riceve da parte di ufficiali dei carabinieri, che viene accusato
(unitamente a molti sottufficiali dei carabinieri) da collaboratori
di giustizia e mai perseguito -:
se siano mai stati avviati accertamenti dai Ministri interrogati sui
gravi fatti raccontati e quali siano le relative risultanze;
se siano state rilevate responsabilità in capo ai rappresentanti dei
Carabinieri menzionati e quali siano ed a carico di chi i
procedimenti disciplinari avviati su tali vicende, con specifico
all'allora maggiore Antonio Fortunato, al capitano Fernando Acampora,
al maresciallo Carmelo Giardina, al colonnello Antonio Ragusa;
quali accertamenti siano stati fatti sul Donia Giuseppe e sui suoi
rapporti di collaborazione con i Carabinieri;
se non ritengano, in ogni caso, che le suddette vicende meritino
l'avvio di immediati provvedimenti, come richiede il sangue innocente
di una martire della mafia: Graziella Campagna.
(4-33068)
Classificazione EUROVOC:
CONCETTUALE:
CARABINIERI, INDAGINI GIUDIZIARIE, MAFIA E CAMORRA, OMICIDIO
SIGLA O DENOMINAZIONE:

GEO-POLITICO:

VILLAFRANCA TIRRENA (MESSINA+ SICILIA+)