ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00061

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 65 del 17/10/2018
Abbinamenti
Atto 1/00063 abbinato in data 22/10/2018
Atto 1/00064 abbinato in data 22/10/2018
Atto 1/00065 abbinato in data 22/10/2018
Atto 1/00066 abbinato in data 23/10/2018
Firmatari
Primo firmatario: CONTE FEDERICO
Gruppo: LIBERI E UGUALI
Data firma: 17/10/2018
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
SPERANZA ROBERTO LIBERI E UGUALI 17/10/2018
FORNARO FEDERICO LIBERI E UGUALI 17/10/2018
BERSANI PIER LUIGI LIBERI E UGUALI 17/10/2018
BOLDRINI LAURA LIBERI E UGUALI 17/10/2018
EPIFANI ETTORE GUGLIELMO LIBERI E UGUALI 17/10/2018
FASSINA STEFANO LIBERI E UGUALI 17/10/2018
FRATOIANNI NICOLA LIBERI E UGUALI 17/10/2018
MURONI ROSSELLA LIBERI E UGUALI 17/10/2018
OCCHIONERO GIUSEPPINA LIBERI E UGUALI 17/10/2018
PALAZZOTTO ERASMO LIBERI E UGUALI 17/10/2018
PASTORINO LUCA LIBERI E UGUALI 17/10/2018
ROSTAN MICHELA LIBERI E UGUALI 17/10/2018
STUMPO NICOLA LIBERI E UGUALI 17/10/2018


Stato iter:
23/10/2018
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 22/10/2018
Resoconto CONTE FEDERICO LIBERI E UGUALI
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 22/10/2018
Resoconto FURGIUELE DOMENICO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto SAVINO ELVIRA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto GIORDANO CONNY MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto OCCHIONERO GIUSEPPINA LIBERI E UGUALI
Resoconto BUCALO CARMELA FRATELLI D'ITALIA
Resoconto LOSACCO ALBERTO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto LUCASELLI YLENJA FRATELLI D'ITALIA
 
PARERE GOVERNO 23/10/2018
Resoconto COMINARDI CLAUDIO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (LAVORO E POLITICHE SOCIALI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 23/10/2018
Resoconto CONTE FEDERICO LIBERI E UGUALI
Resoconto GEMMATO MARCELLO FRATELLI D'ITALIA
Resoconto RUSSO PAOLO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto VISCOMI ANTONIO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto PAGANO ALESSANDRO LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto LOVECCHIO GIORGIO MOVIMENTO 5 STELLE
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 22/10/2018

DISCUSSIONE IL 22/10/2018

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 22/10/2018

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 23/10/2018

NON ACCOLTO IL 23/10/2018

PARERE GOVERNO IL 23/10/2018

DISCUSSIONE IL 23/10/2018

RESPINTO IL 23/10/2018

CONCLUSO IL 23/10/2018

Atto Camera

Mozione 1-00061
presentato da
CONTE Federico
testo presentato
Mercoledì 17 ottobre 2018
modificato
Martedì 23 ottobre 2018, seduta n. 69

   La Camera,
   premesso che:
    lo Stato negli ultimi 25 anni si è progressivamente ritratto nei confronti del lavoro e del Mezzogiorno e ha determinato, subendo la logica del mercato e del liberismo imposta dai grandi poteri, una diffusione delle disuguaglianze ai più alti livelli d'Europa: non è un caso che il coefficiente di Gini, utilizzato per misurare la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza, collochi l'Italia al penultimo posto in Europa, proprio a causa dei dati del Sud, che a sua volta è ultimo;
    la contrazione del ruolo dello Stato verso il Mezzogiorno si è verificata ancor di più in coincidenza con l'avvento della globalizzazione, con il trionfo del mercato e con il decollo dell'Unione europea: tre elementi che vanno perciò monitorati e diversamente coniugati sia nell'interesse generale che in particolare del Mezzogiorno;
    la mancanza di una politica attiva ha determinato nel Sud:
     a) il blocco del reddito pro capite a circa il 56-57 per cento di quello del Nord;
     b) la perdita di oltre 500 mila posti di lavoro rispetto al 2008, a danno prevalentemente dei giovani, nel mentre, rispetto allo stesso anno, gli occupati delle regioni del Centro-Nord sono aumentati di 242 mila unità;
     c) l'aumento del numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila);
     d) l'aumento del numero delle famiglie in povertà assoluta a 845 mila (145 mila in più del 2016), gran parte delle quali con un capo famiglia under 35 anni;
     e) una rivoluzione demografica che, entro il 2070, determinerà la perdita di 5 milioni di abitanti, con un ridimensionamento del numero e di ruolo delle giovani generazioni e uno spopolamento incontenibile nelle zone interne che farà del Sud la zona più vecchia d'Italia e tra le più anziane d'Europa, con un'età media di 51,6 anni rispetto agli attuali 42;
    rispetto al fenomeno dell'immigrazione, il Sud è segnato da migrazioni verso il Centro-Nord e verso l'estero di tipo biblico, con una perdita di capitale umano e sociale senza precedenti: negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti, la metà aveva un'età tra i 15 e i 34 anni e un quinto di essi era laureato; ben 800 mila non sono più tornati, neppure quando, nel 2016, si sono registrati segni di una piccola ripresa economica; anzi, in piena ripresa, ne sono andati altri 131 mila residenti, un quarto dei quali verso Paesi stranieri;
    la responsabilità principale, nonostante la resilienza della piccola e media impresa meridionale, è dell'apparato pubblico incapace di erogare servizi di scopo alle imprese e ai cittadini;
    la quota di risorse ordinarie della pubblica amministrazione centrale destinate al Mezzogiorno è, allo stato, di poco superiore al 28 per cento, a fronte del 34,4 per cento di popolazione. Al Centro-Nord è del 71,6 per cento, contro il 65,6 per cento di popolazione;
    nel 2016, la pubblica amministrazione ha investito 35,2 miliardi di euro (il 2,2 per cento del prodotto interno lordo nazionale), 3 miliardi in meno rispetto al 2015, taglio che ha riguardato essenzialmente le regioni meridionali; a questo si aggiunge il programma di investimento delle principali aziende pubbliche del Paese, tra le quali Ferrovie dello Stato italiane, che hanno localizzato a Sud solo il 19 per cento dei propri investimenti;
    il decreto-legge del 29 dicembre del 2016, n. 243, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 18, contenente interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno, ha sancito l'obbligo per le amministrazioni centrali di riservare al Sud un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale del 34 per cento, pari alla percentuale della popolazione residente. Ma, ad oggi, non è stata ancora emanata la direttiva di attuazione del Presidente del Consiglio dei ministri;
    se tra il 2009 e il 2015 fosse stata attivata, per le risorse da destinare al Sud, la clausola del 34 per cento, il prodotto interno lordo del Mezzogiorno avrebbe praticamente dimezzato la perdita accusata, che sarebbe stata pari al –5,4 per cento, mentre il calo effettivo è stato del –10,7 per cento; quanto all'occupazione, la diminuzione sarebbe stata pari a –2,8 per cento, invece del –6,8 per cento; vale a dire che si sarebbero persi circa 200 mila posti di lavoro e non mezzo milione e, dunque, di fatto, ne sarebbero stati salvati 300 mila;
    questo avrebbe comportato anche maggiori entrate per lo Stato, generando un circolo virtuoso: invece, la spesa per investimenti è calata per il Sud dai 22 miliardi di euro del 2009 ai 13 miliardi di euro del 2016 e ha determinato a cascata anche minori investimenti dall'estero: tra il 2009 e il 2017 sono stati pari a 25,3 miliardi di euro, di cui solo 4,7 miliardi al Sud;
    le risorse europee, come già era avvenuto per l'intervento straordinario, sono diventate sostitutive di quelle ordinarie e non sono finalizzate a una politica di riequilibrio sociale e d'integrazione territoriale, ma, come emerge dalle ultime manovre finanziarie, ad altre finalità;
    dai conti pubblici territoriali 2017 redatti dall'Agenzia per la coesione emerge che nel triennio 2013-2015, su 691 euro di spesa in conto capitale che la pubblica amministrazione ha effettuato per un singolo cittadino meridionale solo 239 euro sono arrivati dai fondi ordinari, cioè quelli esclusivamente statali, mentre il resto è arrivato dai fondi europei; queste proporzioni risultano ribaltate per il Centro-Nord: qui 508 euro sono stai prelevati dai fondi statali e solo 87 euro da fondi straordinari;
    secondo i dati dell'Osservatorio sui conti pubblici, se il reddito pro capite del Sud fosse pari a quello del resto del Paese sarebbe di 32.500 euro contro i 27.500 attuali (2016), quindi del 18 per cento più alto, quasi pari a quello della Francia, con un miglioramento del saldo tra entrate e uscite di 6-7 punti percentuali del prodotto interno lordo;
    il Mezzogiorno, se sostenuto, poteva essere la dinamo del proprio autosviluppo e di quello nazionale; invece, come segnala la Svimez con le anticipazioni del suo rapporto 2018, l'economia meridionale, malgrado un triennio di crescita consolidata pari se non superiore alla media nazionale, sconta, per la mancanza di investimenti produttivi, di nuovo un forte ritardo dal resto dell'Europa e dal resto del Paese: nel 2019 subirà un ulteriore rallentamento, con una crescita prevista dello +0,7 per cento rispetto al + 1,2 per cento nel Centro-Nord;
    sul versante della formazione il sistema scolastico e universitario del Meridione esprime professionalità che il tessuto produttivo locale, anche perché scollegato dall'alta formazione e dalla ricerca universitaria, non riesce ad assorbire e valorizzare, relegando molti giovani nella condizione di dover scegliere fra l'emigrazione, l'arrangiarsi e l'inattività;
    sul fronte dei servizi, tutti gli indicatori di qualità segnalano un divario crescente, con un riferimento marcato al socio-sanitario, alla cura, alla vivibilità, alla sicurezza e all'istruzione primaria che interessa i grandi e i piccoli centri;
    Svimez, Banca d'Italia, Istat e Unioncamere concordano nell'analisi di una realtà meridionale in profonda regressione dal punto di vista sociale, economico, culturale e civile, aggravata dalla situazione relativa a procedure fallimentari, liquidazione e scioglimenti di società di persone e di capitale;
    nonostante ciò l'apparato produttivo rimasto al Sud sembra essere in condizioni di ricollegarsi alla ripresa nazionale e internazionale, come dimostra anche l'andamento delle esportazioni. Tuttavia, permane il rischio che in carenza di adeguate politiche di sostegno non riesca a mantenere neppure gli standard attuali;
    la questione meridionale è stata considerata da alcuni come la legittima aspirazione del Sud a farsi Stato, da altri come un problema tecnico-amministrativo da risolvere con rimedi della stessa natura; la diversità di impostazione ha segnato e tuttora segna un diverso modo di concepire lo Stato: una sola cosa con la società e il territorio di cui si compone o come un'entità sovrastante, rispetto alla quale c’è chi ne fa parte a pieno titolo e chi no, come il Mezzogiorno;
    le cause della questione meridionale non sono riconducibili a un destino cinico, né tantomeno ai meridionali in quanto popolo subordinato per indole e appartenenza territoriale o per una storica inferiorità civile, ma allo Stato che, come imprenditore, ha oscillato tra la massimizzazione del profitto e il monopolio pubblico, come responsabile dell'amministrazione pubblica ha perpetuato le inefficienze del passato, e come programmatore non è riuscito a dare continuità ed efficienza agli interventi più tipici per lo sviluppo: Mezzogiorno, infrastrutture, politica industriale, politica energetica e ambientale;
    lo Stato si è disposto positivamente, almeno in parte, verso il Mezzogiorno, come imprenditore e programmatore, solo in due periodi: nel dopoguerra con la Cassa per il Mezzogiorno e tra gli anni ’80 e ’90 fino al Governo Ciampi, con il nuovo meridionalismo; a queste politiche si deve molto, pur con tutte le riserve e la diversità di giudizio sulla loro gestione e sul fatto che abbiano oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il Centro-Nord (si è rivelato fallimentare quello assistenziale e non premiante quello imitativo);
    ora, i punti di riferimento per lo sviluppo e i modelli economici sono diventati la modernità, la globalizzazione e l'Europa, che vanno condivisi, a condizione che si coniughino questi nuovi riferimenti dal punto di vista del Sud, nel contesto di cui è stato ed è espressione;
    la politica dell'austerità, che è uno dei pilastri della strategia economica europea, è negativa per l'Italia e, in particolare, per il Mezzogiorno, perché valuta tutti gli investimenti, i cattivi come i buoni, improduttivi, se vanno oltre i parametri stabiliti; in tal modo non contiene la congiuntura economica, ma la peggiora: con la crisi del 2007, la produzione industriale è calata del 25 per cento per mancanza d'investimenti;
    dopo la crisi del 2008, l'Unione europea per contenere lo spread, che esprime il disvalore tra i diversi titoli di Stato dei Paesi che hanno aderito all'euro rispetto ai bond tedeschi, ha varato quattro manovre di finanziamento con conseguenze inique e inaccettabili. E l'Italia ha visto passare la sua posizione da un saldo positivo di 54,8 miliardi di euro del 2009, a un saldo negativo di 411,6 miliardi di euro ad aprile 2017, mentre, nello stesso periodo, il saldo positivo della Germania è passata da 115,3 miliardi di euro a 843,4 miliardi di euro;
    il consolidamento finanziario e la riduzione del debito pubblico, i due pilastri su cui si regge la politica economica dell'Unione europea, impedisce lo sviluppo e le politiche redistributive e avvalora la tesi che, di fatto, «l'Europa è già a due velocità», con l'Italia in seconda fila e il Mezzogiorno che segue in terza fila. E hanno, sia l'Italia sia il Mezzogiorno, scarse possibilità di scalare in avanti per ragioni strutturali;
    il modello economico sul quale si regge l'Europa è quello tedesco: si basa sulla stabilità dei prezzi e sul rigore dei conti pubblici, una visione diversa da quella delineata nella Costituzione basata sull'equilibrio tra democrazia, economia e lavoro, che si ispira alla politica keynesiana e individua negli investimenti infrastrutturali lo strumento per contrastare la recessione e la disoccupazione; inoltre, consiglia di provvedervi, in mancanza di risorse sufficienti con la politica del deficit spending: indebitarsi per investire in sviluppo e ricostruire, così, le condizioni per un incremento del reddito nazionale e dell'occupazione;
    in Italia è prevalsa, lo dimostrano anche il programma e i primi atti di questo Governo, la filosofia del modello europeo, secondo il quale la produttività va sostenuta comprimendo il costo del lavoro, favorendo con le riforme le grandi imprese e riducendo il debito pubblico; una politica che, attuata senza tenere conto della realtà e senza misure compensative, ha avuto un impatto devastante sul Mezzogiorno;
    il prodotto interno lordo pro capite del Sud è il 55,6 per cento di quello del Centro-Nord, la percentuale delle persone a rischio di povertà è al 33,8 per cento rispetto al 13,8 del Centro-Nord, quella giovanile è oltre il doppio;
    dal 2001 al 2016 l'aspettativa di vita al Sud, che attiene al tenore sociale nel suo complesso, è passata da +1 anno a –4 anni rispetto alla media nazionale;
    il nodo è il livello di indebitamento che l'Unione europea ha fissato medio tempore per i Paesi membri al 60 per cento dei rispettivi prodotti interni lordi. Sicché, l'Italia che ha superato quel limite di molto (133,1 per cento), è chiamata a ridurlo destinandogli tutti gli avanzi annuali del proprio bilancio;
    è un problema che non si risolve con l'uscita dall'euro: sarebbe come scegliere di andare in serie B e competere con i Paesi in via di sviluppo e non con quelli più progrediti, coltivando l'illusione di tornare in alto con la lira e la svalutazione competitiva;
    la mappa della crisi italiana – circostanza da non sottovalutare – è quasi completamente sovrapponibile, socialmente e territorialmente, alle zone in cui maggiore è stata la diffusione elettorale del populismo: il Mezzogiorno e le periferie urbane, ovvero le aree di maggiore sofferenza del Paese;
    i partiti euroscettici premiati dal Sud, in ragione della rappresentanza acquisita, non dovrebbero limitarsi alla protesta qualunquista, magari per ottenere qualche linea di flessibilità in più, che come è stato verificato nel recente passato non avrebbe effetti decisivi, ma proporre in maniera credibile e responsabile una riforma dell'architettura istituzionale dell'Unione europea, che è essenziale ad ogni cambiamento, almeno quanto il capitale umano e le conoscenze, mettendo in conto sia la necessità di tempi lunghi per il raggiungimento di tali obiettivi sia l'esigenza di un coinvolgimento della Germania, condizionando e non contraddicendo il suo ruolo, come spesso viene fatto solo a parole, per orientarlo verso una prospettiva di riforma delle istituzioni europee, accompagnata da un programma a medio termine di nuovi investimenti in cui sia centrale il Mezzogiorno;
    la nuova questione meridionale sta nell'apertura delle nuove frontiere mediterranee e il suo destino è strettamente connesso a questo processo, che va indirizzato con il potenziamento di un asse di sviluppo verso i Paesi del Sud: un progetto strategico che ne rimodelli l'assetto e la struttura produttiva e connetta nelle forme possibili tutti i Paesi del bacino Mediterraneo che, per storia, cultura e interessi economici, può rendere europee anche le regioni africane confinanti, dando, così, una risposta alta e risolutiva anche al problema delle migrazioni;
    Mediterraneo significa logistica, grandi infrastrutture e scambi commerciali, da animare e servire differenziando la rotta che per circumnavigare l'Europa, passa da Rotterdam e Amburgo con l'inclusione di Gioia Tauro e della nostra rete portuale, nel suo percorso;
    un progetto che unisca, attraverso il Mediterraneo, il Mezzogiorno d'Italia, l'immenso continente africano e lo spazio europeo appare necessario; se non si collegano questi due mondi, il destino dell'Italia meridionale è rimanere uno dei «Mezzogiorni dell'Europa» e quello dell'Europa di essere irreversibilmente sbilanciata verso i Paesi dell'Est che, alla lunga, la renderebbe marginale rispetto al mondo esterno, Asia e Africa comprese;
    l'area del Mediterraneo non è fuori dalla logica della globalizzazione; nel suo ambito si sono articolate e convivono tre aree omogenee: il Mediterraneo comunitario, con Spagna, Francia, Grecia e Italia; il Mediterraneo arabo, con Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Libano, Siria; il Mediterraneo orientale, cui possono ascriversi Malta, i Balcani con le loro articolazioni, fino alla Turchia, Cipro e Israele. Rappresentano un mondo, attraversato da dinamiche sociali ed economiche, demografiche e culturali caratterizzate da grandi diversità; tuttavia, i livelli di interdipendenza fisica, funzionale, economica e di scambi sono largamente prevalenti e cospirano per l'integrazione;
    la politica estera dell'Italia è essenziale per i commerci e l'economia, ma non può prescindere dall'Europa e dall'esigenza che essa si espanda verso l'asse meridionale e non ceda alle interferenze della Russia e degli Usa, le due principali potenze che a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo ne insidiano l'unità e lo sviluppo;
    il Governo in carica, pur avendo un Ministro senza portafoglio per il Sud, manca di una proposta organica; nel «contratto di governo» al Sud sono state destinate poche righe, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo evasive e blande da cui non si evince alcuna strategia, che non è emersa né con il documento di economia e finanza, né con la nota di aggiornamento allo stesso documento di economia e finanze approvati in Parlamento;
    il Veneto, la Lombardia e sulla loro scia altre undici regioni si sono di recente attivate per ottenere maggiori poteri e risorse; in particolare è stata formalizzata, con un referendum, dal Veneto e dalla Lombardia una richiesta di nuove competenze ai sensi dell'articolo 116 della Costituzione, che secondo i firmatari del presente atto di indirizzo avrebbe un chiaro tratto secessionista;
    la richiesta mira ad ottenere insieme alle nuove competenze, il trasferimento delle risorse ritenute necessarie calcolate in base ai «fabbisogni standard» che tengano conto dei bisogni della popolazione e dei territori e, soprattutto, del gettito fiscale territoriale: di fatto, il livello dei diritti dei cittadini di quelle regioni verrebbero garantiti, a seconda del reddito dei loro residenti;
    la proposta, che replica in peius il federalismo fiscale, va, ancora una volta, a discapito delle regioni del Sud e in favore di quelle del Centro-Nord, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in aperta violazione con i principi di uguaglianza sanciti dalla Costituzione;
    dal 2001 nessun Governo ha fissato i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili da garantire in misura omogenea su tutto il territorio nazionale, a prescindere dalla localizzazione geografica; senza i livelli essenziali delle prestazioni sociali e civili diventa più agevole immaginare forme di distribuzione delle risorse legate alla ricchezza territoriale e di fatto discriminatorie;
    sarebbe auspicabile, in vista della sessione di bilancio, un impegno da parte del Governo a ricomprendere nella sua agenda politica specifiche misure per sostenere e rilanciare le tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, partendo dalla presa d'atto che molte leggi sono valide per il Nord e non lo sono per il Sud e viceversa, e vanno, quindi, armonizzate,

impegna il Governo:

1) a concordare, nell'ambito di una più complessiva azione politica per arrivare ad una riforma istituzionale ed economica dell'Unione europea, il calcolo, per l'immediato e per un periodo limitato, del pareggio di bilancio con riferimento a spese correnti e a imposizione tributaria, accettando per gli investimenti non solo la tassazione di scopo ma anche l'emissione flessibile, contrattata e regolamentata di titoli di Stato, o l'emissione «misurata» di Eurobond, collocata sul mercato in conto dell'Unione, da destinare prioritariamente a un progetto strategico, per l'integrazione del bacino del Mediterraneo con l'Europa;

2) al fine di consentire una spesa efficiente dei fondi europei destinati quantomeno agli enti locali, senza intaccare la competenza delle regioni, ad adottare iniziative per costituire presso la Cassa depositi e prestiti un fondo in cui far confluire le risorse europee, integrate delle somme previste per la compartecipazione dello Stato, che le regioni meridionali intendono destinare ai comuni e agli altri enti locali sulla base di un piano di investimenti in cui si distinguono i progetti di interesse locale da quelli di interesse regionale;

3) ad adottare iniziative per prevedere nel bilancio dello Stato un capitolo in cui far confluire le somme destinate al Mezzogiorno che non risultino spese nell'anno di competenza, in particolare quelle che siano inferiori alla clausola del 34 per cento per modo che possano essere impegnate e spese per l'anno successivo;

4) ad adottare iniziative normative perché sia presentato in allegato al documento di economia e finanza annuale il monitoraggio della ricaduta nel Mezzogiorno dei provvedimenti finanziari, economici e sociali, compresi quelli agevolativi e di fiscalità di vantaggio rispetto al Centro-Nord, specificandone l'ammontare e le cause e indicando gli eventuali rimedi correttivi;

5) a definire con le singole regioni meridionali un piano per innalzare gli standard dei servizi al livello della media nazionale, programmandone costi e tempi di realizzazione, in quanto presupposto di ogni possibile politica di sviluppo a scala nazionale ed europea;

6) a non effettuare nessun trasferimento di poteri e risorse a una o più regioni finché non siano definiti e garantiti i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali» (articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione) e ad ancorare il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle regioni esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori collegati all'introito fiscale;

7) ad adottare iniziative per prevedere, a decorrere dal 1o gennaio 2019, l'attuazione della no tax area per cinque anni per persone fisiche e imprese, con un reddito inferiore a 25 mila euro, ricadenti nei parchi nazionali e regionali e nelle aree protette delle regioni meridionali, limitatamente ai comuni che hanno subito negli ultimi dieci anni uno spopolamento superiore al 30 per cento dei residenti;

8) ad adottare iniziative per il rinvio al 2021 della riforma delle banche di credito cooperativo, con sede legale nel Mezzogiorno, onde consentire il loro adeguamento strutturale per evitare che vengano assorbite dal sistema del Centro-Nord, come è successo con le banche di credito ordinario, accompagnandone il decollo con adeguate misure organizzative che, soprattutto nel Mezzogiorno, preservino gli impieghi sul territorio a favore delle famiglie e delle imprese;

9) ad adottare iniziative per coordinare, regione per regione, il ruolo delle università pubbliche e private, nel rispetto della loro autonomia, per favorirne da un lato l'internalizzazione e, dall'altro, l'integrazione con il sistema produttivo locale, sia sotto il profilo della didattica sia della ricerca e della sperimentazione, onde farne un volano per la formazione del capitale umano, iniziativa che va accompagnata con un ripensamento del rapporto scuola/lavoro/famiglia.
(1-00061) «Conte, Speranza, Fornaro, Bersani, Boldrini, Epifani, Fassina, Fratoianni, Muroni, Occhionero, Palazzotto, Pastorino, Rostan, Stumpo».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

Mezzogiorno

soppressione di posti di lavoro

regione mediterranea CE