ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00149

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 109 del 31/10/2013
Abbinamenti
Atto 7/00036 abbinato in data 13/11/2013
Firmatari
Primo firmatario: MANFREDI MASSIMILIANO
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 31/10/2013
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BORGHI ENRICO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
MARIANI RAFFAELLA PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
REALACCI ERMETE PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
BRAGA CHIARA PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
BRATTI ALESSANDRO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
IANNUZZI TINO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
COMINELLI MIRIAM PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
ZARDINI DIEGO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
CARRESCIA PIERGIORGIO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
GADDA MARIA CHIARA PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013
MAZZOLI ALESSANDRO PARTITO DEMOCRATICO 31/10/2013


Commissione assegnataria
Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Stato iter:
IN CORSO
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 13/11/2013
MANFREDI MASSIMILIANO PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 13/11/2013
DAGA FEDERICA MOVIMENTO 5 STELLE
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 13/11/2013

DISCUSSIONE IL 13/11/2013

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 13/11/2013

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00149
presentato da
MANFREDI Massimiliano
testo di
Giovedì 31 ottobre 2013, seduta n. 109

   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    a due anni dallo svolgimento dei referendum sull'acqua bene comune, e nonostante episodici interventi normativi che hanno cercato di risolvere parte dei problemi aperti dall'esito referendario, non si è ancora giunti ad una disciplina del servizio idrico integrato pienamente rispettosa della volontà popolare, in particolare per quel che concerne le forme di gestione, le funzioni del soggetto regolatore, le risorse per l'adeguamento infrastrutturale e la manutenzione della rete;
    è, quindi, necessario sciogliere quei nodi che, da un lato, impediscono la piena tutela del bene pubblico delle risorse idriche – così come ribadito dal referendum popolare del 12 e 13 giugno 2011 che ha chiesto di mantenere la natura pubblica del servizio idrico integrato – mentre dall'altro frenano un'equa ed efficiente gestione del servizio medesimo, imperniata sui cardini della sussidiarietà, della trasparenza e della sostenibilità economica, nell'ambito del vigente quadro giuridico comunitario in cui si dispone la libertà di scelta delle modalità di gestione e la natura della tariffa quale copertura dei soli costi di investimento e di esercizio;
    la risoluzione ONU del 28 luglio 2010 dichiara, per la prima volta, il diritto all'acqua un diritto umano universale e fondamentale e sancisce che gli Stati nazionali dovrebbero, tra l'altro, assicurare acqua di buona qualità, accessibile economicamente a tutti e che ciascuno ne possa fruire ad una distanza ragionevole dalla propria casa. L'acqua, pertanto, non può essere annoverata – anche in ossequio della volontà popolare espressa dai cittadini nel referendum del giugno 2011 – tra le «commodity», ma è anzitutto un diritto inalienabile della persona umana quale strumento di sopravvivenza immediata e non merce;
    le conclusioni del convegno di Davos nel 2011 hanno messo in rilievo il legame molto stretto tra risorse idriche, alimentazione ed energia, facendo acquisire la consapevolezza che la geopolitica delle acque sarà centrale nei rapporti internazionali del futuro;
    l'economia globale sembra muoversi oggi verso una commodification, ovvero una «trasformazione in merce» di tutto ciò che serve direttamente alla vita umana, con la conseguenza che si rischia – in assenza di una assunzione di responsabilità della politica e delle istituzioni democratiche – che l'ingresso della natura e dei beni comuni nel calcolo economico e nella dinamica dell'accumulazione dei capitali impatti direttamente sulla stessa sopravvivenza sulla specie umana;
    risulta essere fallita la logica, promossa da molti governi neoliberisti sia in America Latina che in Africa, della privatizzazione «tout court» del servizio idrico e del Governo delle acque, che ha determinato da un lato un aumento di costi sul consumatore finale col il raggiungimento di livelli tariffari insopportabili e dall'altro la rarefazione del bene e in alcuni casi anche la sua sottrazione in assenza di controllo e pianificazione da parte delle autorità pubbliche;
    l'Unione europea, nel quadro delle sue normative per la protezione ambientale, ha indicato alcuni principi di fondo per la gestione del sistema idrico degli Stati membri, quali l'accesso universale ad acqua potabile di buona qualità, la definizione di standard comuni per la gestione delle strutture idriche e dei sistemi di depurazione, la protezione delle specie acquatiche vulnerabili. La direttiva 23 ottobre 2000, n. 60, «Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque», stabilisce che l'acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale, che la fornitura idrica è un servizio d'interesse generale e induce a integrare maggiormente la protezione e la gestione sostenibile delle acque con altre politiche, nonché a sostenere un utilizzo idrico sostenibile, fondato sulla protezione a lungo termine della risorsa;
    sulla base dell'indice WEI (Water explotation index) dell'Unione europea che quantifica il peso della domanda di acqua sulle risorse disponibili, l'Italia risulta essere tra i paesi europei in crisi idrica, insieme a Belgio, Spagna, Cipro e Malta;
    la gestione dei bacini fluviali è stata, fino a questo momento, la chiave per la politica di armonizzazione dell'idrologia europea, soprattutto della sua specifica connessione con la protezione ambientale, in un contesto nel quale l'Italia ha otto bacini integrati, di cui due con acque internazionali, a ovest con la Francia, al centro con la Svizzera e l'Austria e a est con la Slovenia lungo l'intera catena alpina e in uno scenario nel quale l'integrazione tra il piano europeo e la pianificazione regionale è complicato dalla difforme normativa nazionale;
    il recupero dei costi di erogazione, ovvero l'abbattimento del costo di acquisto del bene-acqua tramite deprezzamento in un periodo di tempo definito, risulta essere bassissimo per il comparto agricolo (in media intorno all'1 per cento), medio per il settore industriale (40 per cento), elevato per il consumo domestico (70 per cento), mentre è ancora difficile definire i costi di «consumo ambientale», ovvero la determinazione di medio termine del costo di acquisizione delle risorse idriche primarie e dei costi di recupero dell'inquinamento a carico di chi inquina o dei costi di recupero del consumo a carico di chi consuma;
    a causa di ciò, in assenza di un'analisi comparata costi-benefici della gestione dei bacini idrici, la tendenza è quella di gestire il prezzo finale dell'acqua come «variabile incontrollata»;
    è necessario affrontare nella sua globalità il tema «acqua», sia sotto il profilo della sua caratteristica di diritto inalienabile di cittadinanza per ciascun cittadino, sia sotto il profilo di materia prima essenziale per produzioni indispensabili nel campo dell'agricoltura e dell'energia, nonché delle produzioni manifatturiere e di molti settori economici;
    in tale prospettiva occorre essere consapevoli che l'acqua potabile rappresenta circa l'1 per cento dell'acqua dolce del pianeta, che si rinnova e purifica solo attraverso piogge e neve con un tasso di riequilibrio delle acque dolci pari a 50.000 chilometri cubi all'anno in tutto il mondo, cifra intuitivamente non sufficiente per le necessità umane e agricole;
    l'urbanizzazione di massa, la diversione artificiale delle acque, l'industrializzazione della produzione agricola e il «climate change» inducono a ritenere che le attuali riserve idriche, già scarse, tenderanno a diminuire rapidamente se non si porranno in essere adeguate policy;
    l'acqua è indispensabile per la salute degli ecosistemi che, a loro volta, determinano la nostra qualità della vita, non svolgendo solo un servizio di approvvigionamento quale materia prima, ma concorrendo anche ai servizi di regolazione del clima che fanno funzionare il nostro pianeta. Ad esempio, le zone umide e di produzione del bene idrico (nelle quali le zone montane italiane svolgono un ruolo primario) forniscono servizi ecosistemici come la depurazione dell'acqua e l'assorbimento del carbonio che, in termini economici, valgono miliardi di euro e che devono essere considerati in un'ottica di ristoro dei servizi ecosistemici e di resilienza;
    il quadro normativo italiano dal 1994 ad oggi ha avuto diverse evoluzioni, molte volte in contraddizione tra loro, fino ad una sorta di federalismo regionale e talvolta provinciale che ci consegna una mappa dei modelli di gestione nel nostro Paese molto diversificata che rappresenta una dei punti di criticità più rilevanti in vista della definizione del nuovo quadro normativo nazionale;
    anticipando l'impostazione della politica comunitaria in materia di acque, la legge n. 36 del 1994 (cosiddetta legge Galli) aveva introdotto una moderna disciplina del Servizio idrico integrato (SII) poi trasfusa nel decreto legislativo n. 152 del 2006, con l'obiettivo di favorire lo sviluppo dell'industria dei servizi idrici, promuovendone una gestione imprenditoriale in grado di superare modelli gestionali obsoleti e di far fronte ai cospicui investimenti, di cui necessitava il settore negli anni 90. Subito dopo l'emanazione della legge n. 36 del 1994, le regioni sono state chiamate a determinare i confini e le modalità istitutive degli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), le cui Autorità erano preposte ad effettuare la ricognizione delle opere, la programmazione delle infrastrutture idriche e l'affidamento del Servizio idrico integrato a gestori secondo le forme e i modi previsti dalla legge;
    l'attuazione della disciplina sul Servizio idrico integrato non ha, tuttavia, risposto agli obiettivi principali ai quali era finalizzata: tutelare l'inalienabile diritto all'accesso all'acqua potabile per tutti i cittadini e la qualità di un bene prezioso come l'acqua in tutti gli ambiti della sua utilizzazione e garantire un elevato livello di funzionalità, di economicità e di trasparenza dei meccanismi e degli strumenti di controllo e di gestione del medesimo servizio idrico integrato;
    con riferimento alla regolazione, è stata disposta – dall'articolo 1, comma 1-quinquies, del decreto-legge 2/2010 – la soppressione delle autorità di ambito (AATO) stabilendo nel contempo il trasferimento da parte delle regioni delle funzioni ad esse spettanti a enti di livello regionale, entro il termine del 1o gennaio 2011, più volte e con diversi atti normativi prorogato, da ultimo al 31 dicembre 2012. La gestione del servizio idrico integrato – nel quadro di un più ampio disegno di privatizzazione forzata dei servizi pubblici locali – era disciplinata dall'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, rispondente all'obiettivo di favorire la diffusione dei principi di concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, a tal fine prevedendo il principio della gara come regola generale degli affidamenti di servizi e una specifica normativa in deroga per le fattispecie che «non permettono un efficace ed utile ricorso al mercato», prevedendo al contempo un'ampia delegificazione del settore attuata con il regolamento governativo n. 168 del 2010;
    il 12 e 13 giugno 2011 il citato articolo 23-bis è stato sottoposto a referendum popolare e, all'esito del referendum medesimo, abrogato dal decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 2011, n. 113, a decorrere dal 21 luglio 2011;
    per colmare il conseguente vuoto normativo, è intervenuto sulla materia l'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, più volte novellato (articolo 9, comma 2, della legge n. 183 del 2011, articolo 25, comma 1, del decreto-legge n. 1 del 2012 e, da ultimo, l'articolo 53 del decreto-legge n. 83 del 2012), che introduce una nuova disciplina generale dei servizi pubblici locali, le cui linee portanti in tema di affidamenti hanno ripreso quelle della disciplina varata nel 2008, come successivamente modificata e integrata in sede di delegificazione; la nuova disciplina, introdotta dal richiamato articolo 4, aveva previsto una clausola di generale applicazione di tutte le norme ai servizi pubblici locali di rilevanza economica, con prevalenza sulle relative discipline di settore incompatibili, escludendo dall'ambito di applicazione – a differenza della precedente disciplina – il servizio idrico;
    sulla disciplina recata dall'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011 è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 199 del 2011 che ha dichiarato l'illegittimità dello stesso articolo 4 e delle successive modificazioni, in quanto dirette a ripristinare norme abrogate dalla volontà popolare espressa attraverso il referendum, pertanto in contrasto con il divieto previsto dall'articolo 75 della Costituzione. In virtù della caducazione della nuova normativa, il servizio idrico integrato risulta oggi così disciplinato:
     dalla normativa comunitaria: il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, sottolinea, in particolare, l'importanza dei servizi di interesse economico generale – ai quali sono omologati i servizi pubblici locali (Corte costituzionale 325/2010) – nell'ambito dei valori comuni dell'Unione e il loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale, al punto che gli Stati membri e l'Unione garantiscono l'applicazione a tali servizi delle regole della concorrenza solo ove ciò non osti all'adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Per effetto delle richiamate disposizioni comunitarie, secondo la giurisprudenza costante della Corte di giustizia, la gestione diretta del servizio pubblico da parte dell'ente pubblico (cosiddetto affidamento in house) è ammessa se lo Stato membro ritiene che l'applicazione delle regole di concorrenza sia un ostacolo, in diritto od in fatto, alla speciale missione del servizio pubblico medesimo. Al fine di evitare che il meccanismo dell'affidamento diretto a soggetti in house si possa risolvere in una ingiustificata compromissione dei principi che presiedono al funzionamento del mercato, la giurisprudenza della Corte di giustizia ha tuttavia imposto l'osservanza di talune condizioni legittimanti l'attribuzione diretta della gestione di determinati servizi a soggetti «interni» alla compagine organizzativa dell'autorità pubblica (controllo dell'ente pubblico sulla società «analogo» a quello esercitato sui propri servizi e svolgimento da parte della società della parte più importante della propria attività con l'ente che detiene il controllo);
     dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, introdotto dall'articolo 25 del decreto-legge n. 1 del 2012 e non incluso nel perimetro dell'illegittimità costituzionale disposta con la sentenza n. 199 del 2011, da ultimo modificato dall'articolo 34 del decreto-legge n. 179 del 2012, il quale detta una disciplina relativa agli ambiti territoriali e ai criteri di organizzazione dei servizi pubblici locali;
    le questioni sollevate dal referendum con le relative soluzioni non esauriscono i problemi del ciclo delle acque: tra gli altri, il raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici, previsti dalla direttiva comunitaria 2000/60, il deficit di depurazione, l'assenza di politiche di riduzione dei consumi, le perdite delle reti di trasporto e distribuzione dell'acqua potabile e il mancato decollo del riutilizzo per scopi produttivi delle acque reflue depurate. Azioni di risanamento che devono essere integrate nella pianificazione territoriale, in primo luogo nei piani di gestione dei distretti idrografici e in quelli di sviluppo rurale, in quanto fortemente interdipendenti nel raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici fluviali, lacustri e costieri. Nel nostro Paese, infatti, rimangono ancora irrisolti gli annosi problemi relativi agli scarichi inquinanti civili e industriali, ai depuratori mal funzionanti, all'artificializzazione dei corsi d'acqua. Delle 549 stazioni di monitoraggio censite nell'annuario 2010 dell'Ispra, solo il 52 per cento raggiunge o supera il «buono stato» per lo più nei tratti montani dei corsi d'acqua, il 35 per cento delle stazioni è appena sufficiente e quasi un quarto delle stazioni presenta uno stato scarso o addirittura pessimo;
    altra sfida importante è quella della crisi idrica, problema che non riguarda più solo il Mezzogiorno ma tutte le regioni italiane. Un'emergenza che si combatte con la lotta agli sprechi e con un utilizzo più razionale e sostenibile della risorsa idrica, dal settore agricolo, migliorando e modificando le tecniche di irrigazione, all'utilizzo civile dove sono sempre più urgenti regolamenti edilizi che prendano in considerazione anche l'aspetto idrico, con approcci e tecniche innovativi: sanitari a basso consumo, sistemi per la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie, passando per l'uso efficiente nell'industria. Occorre ripensare la pianificazione territoriale e urbanistica per ridurre l'artificializzazione e l'impermeabilizzazione dei suoli che fanno confluire nelle fogne le acque meteoriche andando a sovraccaricare inutilmente i depuratori;
    l'Italia è tra i Paesi più ricchi di risorse idriche: 2.800 metri cubi per abitante l'anno, pari ad una disponibilità teorica di circa 52 miliardi di metri cubi, distribuiti in tutta la penisola con ovvie differenze nelle disponibilità reali tra le diverse are geografiche, che garantisce, comunque, una quota media disponibile di almeno 400 metri cubi per abitante, dieci volte superiore alla quota disponibile nei paesi del sud del Mediterraneo;
    nonostante ciò, abbiamo problemi di scarsità idrica nei mesi caldi, al Sud come al Nord; il settore agricolo è di gran lunga il principale utilizzatore d'acqua con almeno 20 miliardi di metri cubi l'anno, seguono il settore civile con 9 miliardi/anno, l'industria con circa 8 miliardi/anno e la produzione di energia con circa 5 miliardi/anno. Il prelievo eccessivo per oltre 40 dei 52 miliardi di metri cubi disponibili, provoca problemi di qualità delle acque superficiali e sotterranee, perché non permette la circolazione idrica naturale necessaria a mantenere vivo l'ecosistema e a diluire gli inquinanti nei corpi idrici. Quantità e qualità in questo caso vanno di pari passo, per questo bisogna puntare ad aumentare le portate negli alvei e nelle falde, se vogliamo raggiungere entro il 2015 il «buono stato di qualità» dei corpi idrici, previsto dalla citata Direttiva quadro, 2000/60/CE. Per uso civile utilizziamo 152 metri cubi per abitante l'anno, molto più di Spagna (127 m3), Regno Unito (113 m3) e Germania (62 m3). Il settore agricolo, com’è stato sottolineato, incide tantissimo perché l'irrigazione è in gran parte basata su tecniche vecchie e inefficienti: è stato calcolato che un miglioramento delle tecniche irrigue permetterebbe un risparmio dell'ordine del 30 per cento. Ulteriori riduzioni sarebbero possibili scegliendo colture e varietà più resistenti alla siccità e soprattutto combattendo le produzioni eccedentarie e gli sprechi alimentari;
    anche per coniugare l'efficienza del servizio con la tutela della risorsa è essenziale la rivisitazione del sistema tariffario: dovrà essere garantita, innanzitutto una quota giornaliera minima gratuita di sopravvivenza pro capite per le categorie più indifese, per le fasce sociali più deboli, come pensionati al minimo, cassintegrati, precari, disoccupati e famiglie numerose e una tariffazione progressiva che scoraggi i grandi consumi e gli sprechi, in attuazione del fondamentale principio «chi inquina paga». Il sistema tariffario dovrà garantire a tutti e a prezzi sostenibili una adeguata dotazione idrica per gli usi alimentari ed igienici. Va considerata, infine, una fascia di consumi per gli usi legati al moderno modello di vita dai cittadini a prezzi coerenti con i reali costi delle infrastrutture e dei servizi;
    l'investimento di capitale necessario ad organizzare e produrre i servizi idrici è contraddistinto da tre caratteristiche: la dimensione, la lunga durata della vita utile delle infrastrutture e la distribuzione degli interventi nel tempo, tutti questi elementi influenzano profondamente il ciclo dell'investimento nel settore dei servizi idrici. L'elevata intensità di capitale genera un elevato fabbisogno assoluto di finanziamenti, a fronte di modesti rendimenti; la lunga durata della vita utile delle infrastrutture determina un lungo periodo per il rimborso dell'investimento, che si estende anche oltre la durata massima degli affidamenti. Per far fronte a questa situazione sarebbe possibile accordare alle imprese a totale capitale pubblico dei periodi di affidamento più lunghi, finanche degli affidamenti perpetui, che sarebbero soggetti a revoca solo a determinate condizioni, tra cui il completo rimborso dei finanziamenti contratti per realizzare gli investimenti, e svincolando le società pubbliche dall'elemento legato alla scadenza degli affidamenti, si potrebbero prevedere dei piani di rientro dei finanziamenti più lunghi e in ogni caso compatibili con l'ammortamento degli investimenti realizzati;
    l'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, prevede che anche le società affidatarie in house sono assoggettate al patto di stabilità, secondo modalità da definirsi con apposito decreto; spetta all'ente locale (o all'ente di governo locale dell'ambito o del bacino) vigilare sul rispetto del patto di stabilità, tale previsione non tiene conto che le società affidatarie in house nell'ambito del servizio idrico intergrato, sono regolate dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas, con particolare riferimento alla tariffa che deve rispettare il principio del recupero dei costi; tale principio e di conseguenza la regolazione tariffaria assicura che non vi sia nessuna circostanza per la quale nella società in house si possa produrre un effetto sulla finanza pubblica;
    nell'ottica della gestione pubblica della rete e al fine di garantire l'equità e l'efficienza dei servizi idrici, un ruolo importante spetta al soggetto cui compete istituzionalmente la regolazione del settore, a cominciare dalla determinazione di tariffe congrue e sostenibili articolate per consumi, ma anche per regolare gli affidamenti e controllare il pieno rispetto dei contratti da parte dei soggetti gestori e i costi del servizio, con l'obiettivo di premiare il consumo responsabile. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, cui è stata recentemente attribuita tale funzione, deve al più presto dotarsi delle indispensabili competenze, in un quadro legislativo che fornisca all'Autorità stessa, oltre che agli operatori e agli utenti, indirizzi chiari e coerenti con la qualificazione di bene comune attribuita all'acqua come risorsa e al complesso dei servizi idrici integrati come mezzo per la fruizione e la tutela della risorsa medesima;
    il Partito Democratico ha proposto l'istituzione di un Fondo per il finanziamento delle opere idriche che sostenga anche gli interventi urgenti e immediati, nel quale, oltre ad una quota ragionevole degli introiti tariffari, potrebbero confluire le risorse derivanti da contributi comunitari e quelle assicurate da soggetti istituzionali quali la Cassa depositi e prestiti. Altre risorse potrebbero essere assicurate da strumenti e iniziative finanziarie innovative con finalità sociali, che integrino gli interessi perseguiti dalla pubblica amministrazione con l'intervento di soggetti che non abbiano finalità speculative, quali le fondazioni bancarie. In questo quadro, anche sulla base delle considerazioni che precedono, deve affermarsi la necessità che sia esclusa per gli investimenti nel settore delle opere idriche l'applicazione del patto di stabilità;
    secondo un recente studio della CGIA di Mestre vi sono stati aumenti vertiginosi negli ultimi 10 anni sulle tariffe pubbliche. A fronte di un incremento del costo della vita pari al 24 per cento, le bollette dell'acqua sono cresciute del 69,8 per cento. Emerge dall'indagine annuale realizzata dall'Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva, che aumenti importanti si siano verificati anche nell'ultimo anno: nel 2012 i costi sono cresciuti su base nazionale in media del 6,9 per cento, con oltre 80 città che hanno visto ritoccate all'insù le tariffe, in 16 casi con aumenti a due cifre. Negli ultimi 6 anni il costo dell'acqua non ha fatto che aumentare: +33 per cento di media e al 33 per cento si attesta anche il valore relativo alla dispersione idrica, con un costo, derivante dall'acqua sprecata, pari a 3,7 miliardi di euro ogni anno, più del valore di una manovra finanziaria. Dal 2007 le tariffe sono raddoppiate o quasi in molte città e più che raddoppiate a Lecco (+126 per cento) e Reggio Calabria (+164,5, per cento). In altre 35 città, gli incrementi hanno superato il 40 per cento;
    logicamente questi aumenti riscontrati da più studi non possono essere frutto soltanto del tema della remunerazione del capitale posto dal referendum. Paradossalmente in molti casi, nel variegato sistema di gestione idrico presente in Italia, ha inciso sugli spropositati aumenti tariffari soprattutto la carente gestione della rete idrica con una perdita media nazionale pari al 30 per cento, in altri la cattiva gestione, a prescindere dalla tipologia del modello gestionale, con piante organiche spropositate e altrettante ingiustificate cessioni di sub appalti e inoltre la prassi non poco frequente di caricare sulle utenze spese di investimento (ampliamenti della rete, manutenzione, depurazione, e altro) a monte degli interventi con la semplice approvazione in sede di bilancio e non a valle dando così la possibilità all'utenza di verificare la reale ed efficace realizzazione degli interventi stessi. In virtù di ciò grande attenzione, infine, deve essere posta ai temi del diritto all'informazione e della partecipazione dei cittadini. Sarà compito della riforma del settore prevedere le modalità per garantire da una parte la pubblicità e dall'altra adeguate forme di partecipazione e di intervento dei cittadini, organizzati e non, nelle decisioni strategiche riguardanti la gestione dei servizi idrici,

impegna il Governo:

   a garantire che sia data, finalmente, piena e corretta attuazione alla volontà popolare espressa nella consultazione referendaria del 12 e 13 giugno del 2011;
   a effettuare urgentemente una mappatura dei diversi sistemi gestionali presenti sul territorio nazionale e delle iniziative legislative in essere in alcune regioni italiane al fine di avere un quadro chiaro e definito dello stato attuale della gestione dei servizi idrici presenti nel nostro Paese prima di procedere al varo del nuovo quadro normativo al fine di poterne valutare i vari impatti in sede di definizione e redazione;
   a definire, in particolare, sulla base degli indirizzi di cui in premessa e nel quadro della disciplina e nel rispetto dei principi dell'Unione europea, modalità e forme di una gestione efficiente ed efficace dell'acqua in quanto bene pubblico e comune come sancito dal referendum del 2011 e anche alla luce del recente successo dell'iniziativa dei cittadini europei lanciata ai sensi dell'articolo 11 del Trattato di Lisbona, volta a promuovere l'idea che l'acqua è un servizio pubblico essenziale che deve essere accessibile a tutti e che ha portato, il Commissario per il Mercato interno e i servizi Michel Barnier, con una nota del 21 giugno 2013, a proporre l'esclusione dell'acqua dalla proposta di direttiva sull'aggiudicazione dei contratti di concessione proprio per tenere conto delle preoccupazioni espresse da tanti cittadini in merito alla possibile privatizzazione del servizio idrico;
   ad assumere iniziative dirette a modificare l'articolo 151 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in particolare il comma 2, lettera b) in modo da escludere gli affidamenti a società interamente pubbliche dal termine massimo di durata di trenta anni, assicurando così che queste gestioni non siano penalizzate dalle scelte tariffarie tese ad incentivare le aggregazioni societarie consentendo loro di finanziare in modo adeguato gli investimenti necessari;
   a escludere dall'assoggettamento al patto di stabilità interno, nel provvedimento che dovrà definire le modalità di applicazione dello stesso patto secondo quanto previsto dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, le società in house che hanno ricevuto l'affidamento nel settore dei servizi idrici;
   ad assumere iniziative dirette a garantire il monitoraggio e controllo a livello nazionale della qualità e potabilità dell'acqua, intervenendo anche, in particolare, sul controllo e sulla risoluzione dei casi, riguardanti molti comuni italiani, di contaminazione dell'acqua a causa dell'elevata concentrazione di arsenico, fluoruri e vanadio;
   ad assumere iniziative, anche normative, per definire indirizzi per la fissazione di tariffe eque e adeguate all'esigenza di salvaguardare l'integrità della risorsa, strumenti e mezzi economici per gli investimenti necessari alla modernizzazione del ciclo delle acque, con particolare riguardo ai fini della tutela idrogeologica delle zone di produzione del bene in un quadro di ristoro dei servizi ecosistemici;
   a favorire, infine, l'informazione e la partecipazione dei cittadini alle scelte strategiche relative alla gestione pubblica dei servizi idrici integrati;
   ad approfondire e valutare l'ipotesi di separazione tra i costi di mantenimento ed investimento e quelli di gestione della rete, sulla scorta anche delle direttive dell'Unione europea, mediante il coinvolgimento di soggetti di investimento quali la Cassa depositi e prestiti, ad adottare una specifica disciplina fiscale che consenta la piena deducibilità dell'Iva e a rendere trasparenti le modalità di formazione dei prezzi di gestione e di acquisizione del bene, al fine di diminuire i costi all'utenza finale;
   ad avviare (sulla scorta anche di positive esperienze condotte in Paesi confinanti quale la Confederazione elvetica) una specifica campagna di educazione nazionale sul risparmio idrico, al fine di aumentare il grado di consapevolezza nell'opinione pubblica circa l'uso responsabile e limitato dell'acqua.
(7-00149) «Manfredi, Borghi, Mariani, Realacci, Braga, Bratti, Tino Iannuzzi, Cominelli, Zardini, Carrescia, Gadda, Marchi, Mazzoli».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

salvaguardia delle risorse

prestazione di servizi

gestione delle acque

protezione delle acque

direttiva CE

referendum