ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00275

scarica pdf
Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 691 del 12/10/2016
Abbinamenti
Atto 6/00271 abbinato in data 12/10/2016
Atto 6/00272 abbinato in data 12/10/2016
Atto 6/00273 abbinato in data 12/10/2016
Atto 6/00274 abbinato in data 12/10/2016
Firmatari
Primo firmatario: MARCON GIULIO
Gruppo: SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 12/10/2016
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MELILLA GIANNI SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
SCOTTO ARTURO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
BORDO FRANCO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
D'ATTORRE ALFREDO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
DURANTI DONATELLA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
FARINA DANIELE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
FAVA CLAUDIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
FERRARA FRANCESCO DETTO CICCIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
FOLINO VINCENZO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
FRATOIANNI NICOLA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
GALLI CARLO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
GIORDANO GIANCARLO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
GREGORI MONICA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
KRONBICHLER FLORIAN SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
MARTELLI GIOVANNA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
NICCHI MARISA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
PIRAS MICHELE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
QUARANTA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
RICCIATTI LARA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
SANNICANDRO ARCANGELO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016
ZARATTI FILIBERTO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 12/10/2016


Stato iter:
12/10/2016
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 12/10/2016
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 12/10/2016

INVITO AL RITIRO IL 12/10/2016

PARERE GOVERNO IL 12/10/2016

DICHIARATO PRECLUSO IL 12/10/2016

CONCLUSO IL 12/10/2016

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00275
presentato da
MARCON Giulio
testo di
Mercoledì 12 ottobre 2016, seduta n. 691

   La Camera,
   esaminata la Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2016 (DOC. LVII, n. 4-bis. Allegato I e Annesso);
   premesso che:
    le politiche neo-liberiste, di svalutazione del lavoro e di austerità imposte dall'euro-zona e attuate dal Governo Renzi si confermano ancora una volta, con questo documento, profondamente inique e inevitabilmente recessive, non avendo prodotto crescita e lavoro stabile, non avendo ridotto il debito pubblico e arginato il fenomeno dilagante delle diseguaglianze, della povertà e del disagio sociale nel nostro Paese;
    ne è una chiara dimostrazione, non solo l'imbarazzante iter che ha accompagnato l'esame della Nota di aggiornamento al DEF 2016 in Parlamento dove tutte le stime ivi contenute, tutte riviste al ribasso, sono state nei fatti bocciate da Banca d'Italia, Corte dei Conti, Istat e, infine, dall'Ufficio Parlamentare di Bilancio che, con una decisione senza precedenti, ha formulato un esito non positivo del processo di validazione del quadro programmatico 2017, ma anche l'atteggiamento di assoluto senso di irresponsabilità e pressappochismo con cui si è mosso il Governo nella stesura di uno dei documenti più importanti della programmazione economica di un Esecutivo, da cui dipende in questo momento il quadro di finanza pubblica in cui deve collocarsi la prossima legge di bilancio 2017;
    per comprendere appieno il livello di criticità cui si è arrivati è sufficiente leggere le prime pagine del documento dove il Ministro dell'economia e delle finanze, Piercarlo Padoan, lega – senza alcun riscontro comprovabile – la crescita economica del Paese nel 2017 alla vittoria del «SI» del referendum fissato il prossimo 4 dicembre: una posizione che deve considerarsi valutazione di eccezionale gravità, non solo per la infondatezza e inattendibilità delle stime fissate dal Governo, prima nel DEF 2016 e ora nella Nota di Aggiornamento, ma anche e soprattutto per il tentativo che ne consegue di orientare il voto dei cittadini, oltre che il consenso europeo, sulla base di previsioni che non esistono perché non esiste alcuno studio giuridico, economico e statistico di alcun organismo pubblico che dimostri il legame tra le stime di crescita e l'attuazione della riforma costituzionale. La consultazione referendaria non si è ancora svolta e rispetto agli esiti di tale consultazione, il Governo deve rispettare la Costituzione, anche quando presenta un documento economico, perché la sovranità e, quindi, il libero esercizio del diritto di voto appartiene al Popolo e non certo all'Esecutivo;
    dalla Nota di aggiornamento del DEF si evidenziano le consuete e fallimentari ricette di politica economica dominanti nell'euro-zona, attuate dal Governo Renzi con particolare zelo sul terreno delle cosiddette «riforme strutturali», ricette legate alle politiche liberiste, di svalutazione del lavoro e di austerità (anche quella cosiddetta «espansiva»). Continuare a ridurre o a contenere la spesa pubblica (in particolare quella sociale, per gli investimenti, per le politiche industriali) finalizzando i risparmi a sgravi fiscali a pioggia per le imprese o a bonus fiscali (una tantum o parziali) per le famiglie (come prevede anche questa Nota) non ha funzionato fino ad oggi e non funzionerà in futuro: non produce crescita economica, non fa aumentare la buona occupazione, non fa crescere la domanda interna. Le politiche di «liberalizzazione» del mercato del lavoro: non creano nuovi posti di lavoro con tutele e duraturi, ma fanno aumentare solo il lavoro precario, come dimostra l'esplosione dei voucher. Sono politiche che non riformano il «mercato del lavoro», ma creano un «mercato dei lavoratori», sotto ricatto e senza diritti. Le privatizzazioni non aiutano a ridurre il debito, ma sono un vantaggio per pochi affaristi e determinano una inaccettabile e indiscriminata svendita del patrimonio pubblico. Continuare a «tappare il buco» del problema delle pensioni con misure come l'APE (che beneficiano anche banche e imprese che useranno la misura per licenziare in modo «morbido» i lavoratori in «esubero», oltre a produrre un'ulteriore «privatizzazione» del sistema pensionistico non affronta il problema del futuro delle pensioni per le giovani generazioni e del superamento della legge Fornero attraverso una revisione e riduzione dell'età pensionabile legata alla tipologia dei lavori. Servono altre politiche che nel DEF non compaiono: un programma poderoso di investimenti pubblici, un vero piano del lavoro, la difesa del welfare universale, il rilancio dell'istruzione e della sanità pubblica, una politica fiscale veramente progressiva e – naturalmente – la messa in discussione delle politiche di austerità europee, procedendo unilateralmente all'ampliamento del rapporto deficit-pil al 3 per cento, per finalizzare le maggiori risorse una tantum agli obiettivi che indichiamo in questa nostra risoluzione;
    passando ai numeri e alle tabelle del documento, si rimane colpiti dalla incongruenza delle stime. Se solo si legge la Tavola II. 3, a pagina 43, della Nota di aggiornamento si comprende subito che dello 0,4 per cento di crescita derivante dalle misure espansive del Governo, ben lo 0,3 per cento viene fatto conseguire dal rinvio dell'aumento dell'IVA al 2018, per cui il mancato aumento di un'imposta dovuto al suo rinvio viene fatto passare dal Governo come una misura di riduzione fiscale connessa alla crescita. Un'autentica novità nella storia dell'economia su cui, ovviamente, si sono concentrate le maggiori critiche da parte dei soggetti auditi – in particolare Banca d'Italia – in Commissione Bilancio; colpisce in modo estremamente negativo il divario – frutto ovviamente di valutazioni irrealistiche – tra il quadro tendenziale, a legislazione invariata, e quello programmatico, su cui anche gli organismi auditi hanno ammesso l'impossibilità di formulare giudizi per mancanza di informazioni;
    l'analisi delle ultime stime del Governo, ha dichiarato a chiare lettere il Professor Giuseppe Pisauro, Presidente dell'Ufficio Parlamentare di Bilancio, conduce «a un esito non positivo del processo di validazione del quadro programmatico 2017 e, in particolare, delle stime di crescita del Pil per il prossimo anno, sia in termini reali che nominali. Stime, che appaiono contrassegnate da un eccesso di ottimismo». Sulla stessa linea si è espresso pure il Vice Direttore Generale della Banca d'Italia, Luigi Federico Signorini, che ha sottolineato come «Nello scenario programmatico per il 2017, la dinamica del prodotto è significativamente maggiore di quella del quadro tendenziale. L'obiettivo è ambizioso». Ad avviso della Banca d'Italia all'origine delle stime del Governo risiede quindi un eccesso di fiducia sull'effetto del disinnesco delle clausole di salvaguardia in quanto «il mancato aumento dell'Iva avrebbe un impatto positivo sul tasso di crescita del PIL pari a 0,3 punti percentuali nel 2017, un effetto piuttosto forte rispetto a stime econometriche basate sui dati del passato»;
    ancora più irrealistica l'attribuzione di effetti espansivi, pari a 0,1 per cento di Pil, alla correzione di 0,5 punti percentuali di Pil, necessaria a portare il deficit tendenziale, post sterilizzazione delle clausole di salvaguardia, dal 2,5 per cento al 2,0 per cento del Pil;
    le clausole di salvaguardia, quindi, restano sull'aumento di IVA e Accise nel 2018 e nel 2019 perché il Governo le ha sterilizzate solo per il 2017;
    forti perplessità sulla Nota di aggiornamento al DEF 2016 sono state espresse anche dalla Corte dei Conti che nell'ambito della propria relazione sulle entrate depositata in Parlamento ha evidenziato i propri dubbi sulla tenuta delle coperture previste dal Governo e, soprattutto, sulla politica di bilancio perseguita dal Governo fondata essenzialmente sul principio dell’«adesione spontanea» (compliance), elevata a pilastro della strategia fiscale da inserire nella legge di bilancio. Con riferimento a tali aspetti la Corte dei Conti è molto chiara ed evidenzia come le nuove stime sulle entrate evidenzino un progressivo ridimensionamento dei livelli di gettito disegnati dal DEF 2016. Le entrate tributarie, in particolare, nel 2017 subiscono un raddoppio (fino a –4,4 miliardi) della revisione al ribasso definita per il 2016 e, già dal 2018, subiranno un ulteriore cedimento (fino a oltre –7 miliardi). Infine, scrive la Corte dei Conti: «Con la Nota di aggiornamento al DEF, insomma, la politica di bilancio sembrerebbe destinata a far leva sul contrasto all'evasione per portare avanti interventi selettivi a sostegno dell'economia. Un intento che evoca una rilevante operazione redistributiva in cui i recuperi di evasione ed elusione si farebbero discendere dall'adesione spontanea dei contribuenti (compliance), piuttosto che da un potenziamento dell'attività di controllo; un approccio che – come insegna il passato – non è immune da rischi, nella misura in cui entrate incerte (come quelle, appunto, attese dal recupero di evasione) fossero impiegate in misura elevata per coprire spese o sgravi fiscali certi.»;
    sempre sotto il profilo finanziario, la Nota di aggiornamento al DEF 2016 risulta, inoltre, decisamente ottimista e reticente sulle difficoltà che sta attraversando il nostro sistema creditizio e, soprattutto, sulle politiche necessarie per salvaguardarlo. Bisogna ancora una volta ricordare la spericolata operazione nel cambiamento del management di Monte dei Paschi di Siena, che ha visto, ad avviso dei sottoscritti, il premier Renzi e il ministro dell'economia Padoan intervenire con una inaccettabile ingerenza e subalternità verso la JPMorgan. Il Governo tende a sottovalutare sia le difficoltà endogene sia le conseguenze che potrebbero derivare della crisi della Deutsche Bank. Inoltre, la Nota sottolinea come l'offerta di credito al settore privato sia gradualmente aumentata nel corso del 2016, come il rapporto tra le sofferenze e l'ammontare complessivo dei prestiti si sia pressoché stabilizzato, come gli istituti italiani si confermano solidi e ben capitalizzati. Purtroppo la realtà è ben altra e la situazione del comparto creditizio molto più complessa di quella che il documento rappresenta;
    è in corso una tempesta finanziaria di cui il Governo deve dare atto causata dai problemi della Deutsche Bank, sottoposta agli attacchi fiscali e speculativi in riferimento alle sanzioni definite dalle autorità Usa. La Deutsche Bank rappresenta attualmente, come sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale, una delle maggiori fonti di rischio sistemico in Germania e in Europa a causa dei suoi derivati. Nel marzo 2016 la Deutsche Bank aveva dichiarato un valore «nozionale» dei derivati in suo possesso pari a 52.000 miliardi di dollari, una cifra stratosferica grande oltre 13 volte il PIL tedesco. A questo va aggiunto che la «leva finanziaria» di Deutsche Bank, (vale a dire il rapporto tra impieghi e capitale) è pari ad un fattore 40. Il che significa che una svalutazione degli attivi (ad esempio dei crediti inesigibili) pari ad appena il 2,5 per cento azzererebbe il capitale del colosso tedesco. Il titolo tedesco ha perso in pochi mesi il 50 per cento del proprio valore. E a conferma che la situazione sta divenendo drammatica, proprio il capo economista di DB, David Folkerts-Landau, ha invocato un fondo di 150 miliardi di euro per consolidare tutte le banche europee. Insomma, è vero che l'Italia ha avuto e continua ad avere i suoi problemi con la banca Monte dei Paschi di Siena, ma la bomba inesplosa della finanza europea se non addirittura globale è ben altra;
    come giustamente osservato da molti economisti la discussione sui limiti all'intervento pubblico nei salvataggi delle banche in crisi deve rientrare nella più ampia riflessione sulla riforma del sistema bancario e sulle sorti dell'Unione bancaria europea. La lunga depressione che ha colpito l'Italia ha fatto crollare gli investimenti delle imprese; le politiche di austerità hanno drasticamente tagliato gli investimenti pubblici. La grande liquidità offerta dalla BCE al sistema bancario non si sta traducendo in nuovi investimenti perché le scelte delle banche favoriscono impieghi a basso rischio e di breve termine. Tutto questo evidenzia un grave vuoto del sistema bancario e finanziario del Paese: l'assenza di una banca pubblica d'investimento che alimenti un flusso di risorse verso la ricostruzione di capacità produttive avanzate, infrastrutture necessarie e le capacità di fornire beni pubblici adeguati alle esigenze del Paese. Negli ultimi anni a coprire alcune di queste funzioni – di natura prettamente estemporanea ed emergenziale – è stata chiamata la Cassa Depositi e Prestiti, che nel breve periodo potrebbe essere riorganizzata per svolgere un ruolo simile, ma nel medio termine è necessario che si costruisca un soggetto specifico adatto a operare in modo flessibile come banca pubblica d'investimento analogamente a quando già esiste in quasi tutti i paesi. La nuova banca pubblica d'investimento avrebbe un ruolo centrale nello sviluppo di una nuova politica industriale che permetta al paese di trovare una nuova traiettoria di sviluppo dopo la lunga depressione: tutto questo non c’è nei documenti e nell'azione del Governo Renzi La Nota di Aggiornamento al DEF 2016 sembra quasi ignorare il problema, per non parlare del fatto che il Paese attende ancora che vengano riviste le regole del bail in;
    per quanto attiene alle politiche per il lavoro, ciò che si attendeva nella Nota di Aggiornamento al DEF 2016 era senza dubbio l'impegno a garantire risorse adeguate per assicurare il rinnovo dei contratti per i lavoratori della Pubblica Amministrazione, visto che la vera spending review è stata sostenuta dalle lavoratrici e dai lavoratori della Pubblica Amministrazione tra il 2009 e il 2015, con una diminuzione della spesa per i redditi dei dipendenti pubblici di 10 miliardi di euro e un calo del numero dei dipendenti pubblici di 110.000 unità. Nulla di tutto ciò, nella Nota di Aggiornamento al DEF 2016 non emergono indicazioni sulle risorse da destinare al rinnovo dei contratti dei dipendenti della Pubblica Amministrazione lasciando ancora nella indefinitezza e nell'incertezza migliaia di lavoratori. A ciò si aggiunga che il blocco del turn over nel pubblico impiego non ha prodotto né una razionalizzazione efficace, né un miglioramento dei servizi e delle prestazioni, ma ha rappresentato una delle voci ragionieristiche di spending review i cui effetti sono stati catastrofici per i lavoratori e per i cittadini, nonostante le decantate riforme della pubblica amministrazione di cui la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 fornisce prontamente l'elenco;
    il programma «Garanzia Giovani» continua a produrre, nonostante l'ingente destinazione di risorse ad esso dedicate, risultati pessimi. La Nota di aggiornamento al DEF 2016 ne riporta l'aggiornamento segnalando rispetto al dicembre 2015 un incremento del 50,9 per cento del numero dei giovani che hanno fruito di una delle misure previste dal Programma che, come noto, consiste quasi sempre nello svolgimento di un tirocinio. Vi sarà pure una crescita delle registrazioni al Programma, ma di fatto solo il 40 per cento dei giovani riesce a concludere il percorso in Garanzia Giovani con una occupazione e solo il 30 per cento di questi giovani risulta occupato con contratti a tempo indeterminato;
    ma ciò non preoccupa minimamente il Governo che si ostina pervicacemente a utilizzare questo strumento che, come quello dei voucher, è solo servito a legalizzare nel nostro Paese la precarizzazione del mercato del lavoro a basso costo, senza reali effetti positivi sulla emersione e il contrasto del lavoro nero;
    i dati dell'occupazione forniti dalla Nota di aggiornamento al DEF 2016 parlano di un andamento del tasso di occupazione attestato al 57 per cento e un tasso di disoccupazione sceso al 11,6 per cento (-0,7 per cento rispetto al 2015). Ma la verità è che la percentuale maggiore di crescita di posti di lavoro riguarda le persone con più di 55 anni, perché di fatto le esperienze derivanti dagli sgravi contributivi, dal Programma «Garanzia Giovani» e nondimeno il Jobs Act, a fronte di una spesa di 18 miliardi di euro non hanno sedimentato alcuna inversione concreta di tendenza e i dati forniti dal Governo sui pochi decimali in più ne rappresentano la prova provata, visto che si basano sul principio del riconoscimento di minori diritti per i lavoratori e dell'evoluzione legalizzata del lavoro precario; è stata inutilmente spesa una ingente cifra per la decontribuzione con risultati minimi;
    sulle pensioni la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 propone un Focus dal quale si evince che la minore incidenza della spesa in rapporto al PIL derivante dal complessivo processo di riforma avviato nel 2004 è pari a circa 60 punti percentuali del PIL fino al 2050 e un terzo di questa minore incidenza sul PIL deriva dalla Riforma Fornero. In particolare, il documento prevede di inserire nella prossima legge di bilancio 2017 una serie di misure disorganiche e differenziate che lasciano aperta la questione principale che bisognerebbe affrontare in materia di pensioni: e cioè quella di avviare interventi strutturali capaci di superare radicalmente la legge Fornero che, sino ad oggi, ha solo prodotto vincoli e rigidità, innalzato l'età di pensionamento, aumentato gli anni di contribuzione necessari con effetti devastanti in relazione al blocco dell'entrata nel mondo del lavoro da parte del giovani;
    in buona sostanza, dalla Nota di Aggiornamento al DEF 2016 non emerge alcuna rilettura critica dell'applicazione e degli effetti prodotti dalla Riforma Fornero. Addirittura non risulta neanche citato il finanziamento dell'ottava clausola di salvaguardia per affrontare in via definitiva la questione degli esodati. Su questo punto deve registrarsi un atteggiamento gravemente contraddittorio da parte del Governo anche a fronte delle dichiarazioni rese in sede parlamentare dove si era impegnato a ufficializzare i dati relativi al numero dei lavoratori che dovrebbero beneficiarne;
    per quanto attiene alle politiche della sanità, la Nota di aggiornamento al DEF 2016 conferma ancora una volta la scelta politica di questo Governo di attuare la costante decrescita e il definanziamento programmato del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Ancora una volta la spesa sanitaria in rapporto al PIL si conferma in diminuzione. Il che significa che in termini reali la fetta di risorse spettante alla sanità pubblica continuerà a ridursi nei prossimi anni. La realtà è che le spese sostenute per finanziare il Servizio sanitario nazionale vengono equiparate a qualsiasi altro centro di costo, e la conseguenza di questa visione miope è che al pari di altri costi, diventa azione virtuosa quella di ridurne gradualmente la sua incidenza rispetto al PIL. Questo è quello che si sta facendo da anni con la nostra Sanità pubblica. La spesa sanitaria che viene stimata al 6,8 per cento in rapporto a! PIL per quest'anno e per il 2017, vede ridursi al 6,7 per cento nel 2018, e quindi al 6,6 per cento nel 2019. Per gli anni successivi, continua a far fede quanto già riportato nel Documento di Economia e finanza 2016 dell'aprile scorso, dove si evince che per ritornare ai livelli spesa sanitaria/PIL del 2010, che era del 7 per cento, si dovrà aspettare il 2030-2035. Ossia bisognerà attendere 15-20 anni. Ed è grave che questo costante definanziamento del Servizio sanitario nazionale, avvenga nonostante che nel rapporto spesa sanitaria/PIL, siamo da tempo al di sotto della media dei rispettivi valori della UE a 15 (8,7 per cento). Dopo l'Italia ci sono solo Spagna Grecia e Portogallo. Una forbice che si allarga anno dopo anno. Nella Nota di aggiornamento al DEF 2016, come aveva già anticipato alla stampa il Presidente del Consiglio Renzi, non si dice nulla sul finanziamento del Servizio sanitario, e bisognerà attendere la legge di Bilancio che sarà presentata entro il prossimo 20 ottobre. Il rischio più che concreto è che, come sta sempre avvenendo in questi ultimi anni, il Governo, con la legge di bilancio, certificherà anche questa volta un finanziamento del Fondo sanitario nazionale più basso di quello programmato e concordato in sede di intesa Stato regioni. Ricordiamo che in questi anni, la sanità pubblica ha avuto stanziamenti effettivi sempre inferiori a quelli che di volta in volta venivano indicati e promessi dai vari Documenti di economia e finanza presentati al Parlamento. Il caso dell'anno 2016 è sotto questo aspetto emblematico: dai 117,6 miliardi stimati dal DEF 2013, si è passati a 116,1 con il DEF 2014 e a 113,4 con il DEF 2015, per giungere a un finanziamento reale ed effettivo di 111 miliardi (legge di stabilità 2016), peraltro comprensivi degli 800 milioni di euro da destinare ai nuovi LEA. Quest'anno ci si aspetterebbe che il finanziamento al Fondo sanitario risulti perlomeno di 113 miliardi. Un impegno assunto dalla Ministra Lorenzin, e ribadito con l'intesa Stato-Regioni dell'11 febbraio 2016. Ma tutto lascia pensare che questa cifra – peraltro del tutto insufficiente – sarà ancora una volta disattesa e probabilmente limata a 112 miliardi di euro. Il Presidente del Consiglio potrà così ancora una volta dire che il Fondo Sanitario Nazionale è aumentato di un miliardo (da 111 a 112 miliardi), mentre per l'ennesima volta saremo di fronte a una riduzione delle risorse promesse alle regioni per garantire i servizi socio-sanitari. Vale peraltro la pena sottolineare che i nuovi LEA, in via di approvazione dopo che vi sarà il passaggio in Parlamento per il previsto parere, potranno contare, come ricorda la Nota di aggiornamento in commento, solamente su 800 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità 2016. In realtà per finanziare adeguatamente i nuovi LEA servirebbero sui 2-3 miliardi. E il fatto che gli 800 milioni stanziati sono insufficienti e inadeguati lo sanno anche le stesse regioni, che hanno infatti chiesto una verifica entro l'anno per valutare il reale impatto economico dei nuovi livelli di assistenza. Nulla, infine, dice la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 sulle risorse necessarie a finanziare i farmaci innovativi, e per la cura dell'epatite C;
    sul fronte delle politiche sociali la Nota di aggiornamento al DEF 2016 non dice praticamente nulla sulle misure messe in atto dal Governo per proteggere le fasce più deboli della popolazione. I recenti dati Istat, parlano di 1 milione e 582.000 famiglie in povertà assoluta, pari a 4 milioni e 598.000 persone: il numero più alto dal 2005. Per quanto riguarda i minori in povertà assoluta, questi pari al 10,9 per cento; ossia più di un minore su 10 (nel 2005 la percentuale era del 3,9 per cento). Soltanto il 3 per cento delle prestazioni sociali erogate in Italia va alla parte più povera della popolazione. A fronte di questa situazione, ci si limita a richiamare l’iter avviato alla Camera del disegno di legge per il contrasto alla povertà. La Nota di aggiornamento in commento, ricorda come il disegno di legge delega al Governo per il contrasto della povertà, che doveva essere uno dei fiori all'occhiello di questo Esecutivo, e approvato dalla Camera il 14 luglio scorso, risulta praticamente fermo in Commissione al Senato. Un provvedimento, peraltro, che può contare solamente su circa un miliardo di euro l'anno, laddove sono circa 7 i miliardi stimati che sarebbero necessari a regime per sostenere realmente le famiglie e le persone in situazione di povertà e di disagio estremo. Non c’è alcun percorso di avvicinamento ad una garanzia di reddito per tutti coloro che versano in povertà assoluta. Si assiste solamente a un sostegno per una piccolissima parte, circa un quinto, dei poveri assoluti. È evidente che accanto a un sensibile incremento di risorse per il contrasto alla povertà e per il rafforzamento delle politiche sociali, è necessario prevedere l'esclusione dal Patto di stabilità interno delle spese sostenute per la spesa sociale e il sistema del welfare, così come risulta ormai indispensabile interrompere la continua politica di tagli perpetrati alle Regioni e agli Enti locali che devono assicurare i relativi servizi. Nel testo infine, si fa riferimento alle risorse per il Fondo di aiuti europei agli indigenti (FEAD) pari a 789 milioni. Si sottolinea peraltro che le risorse stanziate provengono per oltre l'85 per cento dalla UE. Infine, nella Nota di aggiornamento al DEF 2016 si segnala la totale assenza di qualsiasi riferimento alla revisione dell'ISEE su cui il Governo si era impegnato formalmente in Parlamento attraverso l'approvazione di numerosi atti di indirizzo;
    sul fronte della scuola, l'università, la ricerca, la Nota di aggiornamento al DEF 2016 non dice sostanzialmente nulla e meno che mai offre indicazioni rispetto alta soluzione di molteplici questioni costantemente denunciate in Parlamento ed evidenziate in sede di discussione del DEF 2016 nell'ambito della Risoluzione al Documento di Economia e Finanza 2016 presentata dal Gruppo Sinistra Italiana. Eppure l'Italia è ampiamente al di sotto della media europea per quel che riguarda gli investimenti pubblici in scuola, università, ricerca e cultura. Questo spiega la bassa qualità della nostra produzione di merci e servizi e la nostra difficoltà a uscire dalla crisi. La differenza su questo terreno tra l'Europa del Nord, che ha aumentato nella crisi gli investimenti in istruzione e ricerca, e i Paesi dell'Europa mediterranea, che li hanno diminuiti, è la spaccatura più grande che attraversa l'Europa. Per uscire dall’impasse oltre ad un robusto stanziamento di risorse per Università e ricerca, occorrerebbe risolvere definitivamente ed in un sol colpo la condizione di precariato storico nella quale versa un esercito di oltre 600.000 docenti che, a vario titolo e legittimamente, aspirano ad una cattedra. Appare quindi necessario attuare un percorso di graduale stabilizzazione di tale personale, gran parte del quale escluso dal piano straordinario di assunzioni previsto dalla cosiddetta Buona scuola, attraverso lo stanziamento di un ulteriore miliardo di euro all'anno, oltre a quanto già stanziato dal Governo con la richiamata riforma, per un Piano pluriennale che preveda anche la sostituzione integrale e costante del turn over mediante assunzioni a tempo indeterminato di personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario di ogni ordine e grado, in deroga alle vigenti limitazioni di contingente delle dotazioni organiche. Infine, appare quanto mai urgente assicurare un vero «diritto allo studio» così da garantire su tutto il territorio nazionale borse di studio, alloggi per gli studenti fuori sede e sconti per la mobilità studentesca. Si contano svariate situazioni ignobili in cui gli studenti vincitori di borsa non ne risultano beneficiari, per non parlare del fatto che sono migliaia nelle città le studentesse e gli studenti che devono affrontare spese insostenibili onerose per trovare un alloggio e poter studiare. Infine, ogni giorno sono tantissimi gli studenti pendolari che viaggiano dalla propria città verso scuole e università e devono avere a che fare con un sistema di trasporti ridotto ai minimi termini. Le risorse destinate al diritto allo studio sono necessarie anche a favorire politiche di agevolazione nell'acquisto degli abbonamenti per i trasporti che sono tra i costi più considerevoli che gli studenti si trovano ad affrontare;
    la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 non affronta in alcun modo la questione delle politiche abitative, stante il mancato finanziamento del «Fondo contributo affitto», azzerato dall'ultima legge di stabilità e il mancato incremento della dotazione del fondo morosità incolpevole, così come non si evince alcuna indicazione di sorta sull'applicazione dell'articolo 26 del cosiddetto «Decreto Sblocca-Italia», in particolare, avendo riguardo alle previsioni contenute nel comma 1-bis con cui si dispone che prima di procedere alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del demanio civile e militare questi debba essere valutato ai fini dell'utilizzo per contrastare la precarietà abitativa;
    sotto tale profilo, ovvero quello delle politiche abitative occorre pure considerare che in questo momento le banche italiane appaiono gravate da circa 198 miliardi di euro di sofferenze lorde. Fra queste, almeno 40 miliardi di euro circa hanno una garanzia immobiliare e sarebbero quindi relative a mutui di famiglie in difficoltà o a fallimenti di imprese di costruzioni. Nello stesso tempo è forte la difficoltà di trovare casa, soprattutto nelle grandi città, i redditi di chi lavora risultano insufficienti, il lavoro stesso è spesso precario e soprattutto non esiste più una vera disponibilità di edilizia residenziale pubblica. Eppure, le case popolari dovrebbero servire non solo agli indigenti, ma anche favorire il diritto ad abitare di tutte e di tutti. Ci sono, quindi, molte case vuote che appesantiscono i bilanci delle banche e i cittadini che di quelle case hanno realmente bisogno e per questi motivi, bisognerebbe invece intervenire per trasformare un problema in una opportunità costituendo un fondo ad hoc presso la Cassa Depositi e Prestiti in grado di acquistare Non Performig Loans (NPL) con sottostante immobiliare all'attuale prezzo di mercato, pari spesso alla metà del valore originario. Se abitate, queste case dovrebbero essere lasciate agli attuali mutuatari, con ristrutturazione e ricadenzamento del debito. Se vuote, dovrebbero essere immediatamente messe a disposizione delle graduatorie per l'accesso alla casa. Ci guadagnerebbe la comunità, che finalmente vedrebbe crescere il patrimonio edilizio pubblico, ne avrebbero sollievo le famiglie che vedono con angoscia il rischio di esproprio, favorito anche di recente dal Governo e se ne avvantaggerebbe il sistema economico italiano, finalmente sgravato di una parte delle sofferenze;
    in materia ambientale la Nota di aggiornamento al DEF 2016 riporta di fatto il cronoprogramma del Governo relativamente alle riforme in materia ambientale. Quello che emerge è un'attività legislativa del Ministro dell'ambiente e dell'Esecutivo in questo ambito, assolutamente insufficiente e del tutto inadeguata. Sotto questo aspetto, è importante sottolineare come in questi oltre 2 anni e mezzo di Governo, i diversi provvedimenti positivi in materia ambientale, e diventati legge dello Stato, sono stati quasi tutti di iniziativa parlamentare. Questo vale, per esempio per l'inserimento nel Codice Penale dei delitti contro l'ambiente, come per la riforma delle Agenzie ambientali. Lo stesso «Collegato ambientale», divenuto legge n. 221 del 2015, è in realtà un'eredità del precedente Governo Letta. Il Governo, all'attivo ha ben pochi suoi provvedimenti. Tra questi, il Nuovo Codice dei Contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016). Il testo che apporta indubbiamente dei miglioramenti al precedente Codice degli appalti e alla normativa vigente, ma che già a poche ore dalla sua approvazione definitiva, ha evidenziato ben 181 errori nel testo, e attualmente il Parlamento ha avviato un'indagine conoscitiva sulle ipotesi di modifica della nuova disciplina sui contratti pubblici. Per il resto ciò che il Governo e il Ministro dell'ambiente possono vantare, è il pessimo decreto «Sblocca Italia»; le norme «spalma incentivi» introdotte con il decreto-legge n. 91 del 2014 con le quali si sono ridotti gli incentivi e le agevolazioni alle fonti energetiche rinnovabili; la sequenza orribile di decreti sull'ILVA di Taranto, sempre attenti ai futuri acquirenti dello stabilimento piuttosto che dare priorità assoluta alla salute dei cittadini e dell'ambiente. Le criticità ambientali sono purtroppo ancora tutte lì: praticamente finora poco si è fatto per dare una risposta alle infrazioni comunitarie in materia ambientale; poco o nulla in materia di amianto e bonifiche; ancora niente per la localizzazione del deposito nazionale unico per i rifiuti radioattivi; «al palo» gli interventi per la lotta all'inquinamento e al conseguente allarme sanitario;
    lo stesso « Green Act», un disegno di legge che dovrebbe intervenire in materia di fiscalità ambientale, economia circolare, mobilità, rinnovabili, e doveva rappresentare un fiore all'occhiello del Ministro Galletti e del Governo, continua a rimanere un oggetto misterioso. Annunciato dal Premier Renzi nel lontano gennaio 2015 (poco meno di due anni fa), è stato di continuo rimandato nel tempo. Ora, la Nota di aggiornamento in commento, sposta di nuovo il termine a «entro il 2017». Il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, dopo i drammatici eventi sismici dell'agosto scorso, si è impegnato a varare un programma di messa in sicurezza del Paese. La Nota di aggiornamento al DEF in esame, ne fa cenno laddove si esplicita che il Governo «intende inoltre attuare ulteriori misure volte a mettere in sicurezza il territorio, il patrimonio abitativo e le infrastrutture scolastiche (...). Il pacchetto di misure per le emergenze costituisce una priorità economica e sociale per il Paese. Esso verrà dettagliato nella Legge di Bilancio 2017 (...). Al di là della necessaria ricostruzione delle zone colpite dal terremoto, i tragici eventi succedutisi negli ultimi anni rendono prioritario programmare interventi antisismici per mettere in sicurezza la popolazione, il territorio e il patrimonio abitativo, artistico e culturale del Paese.». Intanto il cosiddetto decreto-legge «Terremoto» annunciato sulla stampa nazionale non risulta ancora entrato in vigore, come neanche il cosiddetto Programma Casa Italia;
    in modo oltremodo insufficiente la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 parla di sviluppo economico, politiche per il Mezzogiorno, comunicazioni, infrastrutture e trasporti. Tutto si concentra nell'esaltazione del Programma Industria 4.0 di cui non si vede ancora nulla e degli interventi adottati per il cosiddetto «Patti per il Sud» dove latita ancora la destinazione diretta alle Regioni del Mezzogiorno di oltre 10 miliardi di euro a valere sulle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020. Neanche una parola sulla necessità di contrastare il fenomeno dilagante delle delocalizzazioni che attanaglia il nostro Paese e causa migliaia di licenziamenti giorno dopo giorno. Un discorso a parte lo merita il capitolo relativo alle privatizzazioni. Il Governo ne rivede al ribasso le entrate conseguenti. Nella Nota di aggiornamento al DEF 2016 si legge, infatti, che «per quanto riguarda le privatizzazioni, le entrate previste per quest'anno vengono riviste al ribasso, dallo 0,5 allo 0,1 per cento del PIL». «Il Governo ha attuato la prevista dismissione del 46,6 per cento di Enav e ulteriori entrate proverranno da dismissioni immobiliari». «Resta ferma l'intenzione di proseguire il processo di privatizzazione, compatibilmente con le condizioni di mercato. Si mantengono le previsioni di introiti da privatizzazioni per i prossimi tre anni». Al riguardo si evidenzia che la notevole complessità degli aspetti regolatori dell'operazione di privatizzazione di Ferrovie dello Stato prevista entro il 2016, afferenti in particolar modo alla definizione della proprietà e della gestione della rete infrastrutturale, ha comportato una dilatazione dei tempi connessi alla sua realizzazione, con plausibile rinvio al 2017. Il Governo, dunque, fa una sostanziale marcia indietro sul percorso di privatizzazione del gruppo Ferrovie dello Stato. Il Gruppo parlamentare Sinistra Italiana durante tutto il 2016 è stato fautore di iniziative parlamentari volte a bloccare il processo di privatizzazione nel convincimento che le Ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese ed una risorsa per tutti gli italiani, ma l'attuale Governo, nel farsi promotore e forte sostenitore della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane, sembra dimenticare i temi ancora caldi da sciogliere a partire dal rapporto con Rete ferroviaria italiana (la controllata che gestisce la rete) e Trenitalia con i vari contratti (dalla lunga percorrenza sino a tutta la partita del trasporto locale). Soprattutto, il timore è che il Gruppo Ferrovie dello Stato verrebbe, in sostanza, svuotata di valore e di contenuti e il tutto per raccogliere pochi miliardi di euro (tra i 5 e i 10 miliardi a quanto risulta) che non sono assolutamente nulla rispetto ai 2.000 miliardi di debito pubblico accumulati dal nostro Paese. Analogo discorso per quanto riguarda il processo di privatizzazione del Gruppo Poste Italiane, se nel DEF 2016 si faceva riferimento all'operazione di quotazione di una seconda tranche di azioni del Gruppo che avrebbe di fatto eliminato il controllo pubblico dall'azienda, nella Nota di aggiornamento alla voce privatizzazioni è stato eliminato ogni riferimento. Nella Nota si segnala solo che la conformazione dell'assetto azionario di Poste Italiane, il cui percorso è iniziato con l’Initial Public Offering (IPO) dell'ottobre 2015, è stata recentemente ridefinita dal decreto ministeriale del 25 maggio 2016 che ha autorizzato il Dipartimento del Tesoro a sottoscrivere l'aumento di capitale a pagamento deliberato dalla CDP. Tale aumento di capitale, approvato in giugno per assicurare il rafforzamento patrimoniale della CDP in misura idonea a garantire la realizzazione degli obiettivi del proprio piano industriale, è stato interamente riservato al Ministero dell'economia e delle finanze e sarà liberato mediante il conferimento, entro la fine del 2016, di una partecipazione al capitale di Poste Italiane, nella misura del 35 per cento. A riguardo, il gruppo parlamentare di Sinistra Italiana ha più volte rilevato una serie di criticità nel conferimento dell'azionariato di maggioranza del gruppo Poste Italiane in capo a CDP, come ad esempio il possibile conflitto di interessi tra le fondazioni bancarie, azioniste di Cassa, e l'attività bancaria che Poste Italiane esercita. Per quanto riguarda i trasporti, la Nota di aggiornamento ribadisce l'impegno di 12 miliardi per riattivare la cosiddetta cura del ferro. Tale obiettivo sembra contrastare con il recente piano industriale presentato da Ferrovie dello Stato, di cui il Governo è azionista, che vuole il 70 per cento degli investimenti al di fuori del tradizionale perimetro delle attività in particolare puntando allo sviluppo del trasporto su gomma con l'azienda BusItalia. Al contrario andrebbe, invece, adottata ogni iniziativa di competenza, garantendo il pieno coinvolgimento delle regioni, per promuovere finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana ed extraurbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei;
    in modo del tutto vacuo e inconsistente la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 interviene sulle questioni afferenti alla giustizia e vere riforme, alla difesa e soprattutto le politiche migratorie per cui rimangono irrisolte tutte le criticità già a suo tempo stigmatizzate dal Gruppo Sinistra Italiana nell'ambito della propria Risoluzione al DEF 2016. Non esiste ancora una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi. Latitano gli strumenti di prevenzione e controllo che incentivino la celerità dei processi, nonché misure efficaci per garantire l'accesso alla giustizia come previsto dall'articolo 24 della Costituzione con particolare riferimento ai non abbienti. Non sono state promosse concrete misure a tutela e sostegno delle vittime dei reati. Non esiste ancora una diversa regolamentazione della Cannabis e, in particolare, la sua legalizzazione. Ancora non esiste nel nostro ordinamento il reato di tortura in spregio ai richiami europei. I Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie) e i Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo (Cara) sono ancora aperti. Non è stata avviata alcuna riduzione progressiva del sistema di accoglienza straordinario a vantaggio di quello ordinario (Sprar – Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) che andava potenziato attraverso nuovi stanziamenti, dando risorse aggiuntive agli interventi di inclusione sociale e lavorativa dei migranti e rifugiati, fortemente ridimensionati negli anni futuri, come pure le risorse per i centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Meno che mai risultano ridotti gli investimenti per i Programmi d'armamento e i fondi dello Sviluppo economico attualmente messi a disposizione della Difesa che potrebbero essere utilmente destinati ad altre finalità;
   considerato che:
    la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 si presenta come un documento irreale oltre che incompleto e gravemente deficitario in molti suoi ambiti tanto da non essere neanche accompagnato da tutti gli allegati che dovevano essere presentati;
    che rimangono in piedi la stragrande maggioranza se non tutte le questioni e criticità messe in rilievo dal Gruppo Sinistra Italiana nell'ambito della propria Risoluzione al DEF 2016 presentata lo scorso aprile;
    appare ormai chiaro sotto gli occhi di tutti che nel nostro Paese continuano a crescere le diseguaglianze, la disoccupazione e le povertà. La nostra economia non riparte. Le politiche del Governo Renzi non riescono a fare decollare la ripresa che stenta ed è molto inferiore a quelli degli altri Paesi europei;
    il 57 per cento dei giovani italiani sotto i 25 anni è precario in base ai dati Ocse. In dieci anni il tasso di occupazione giovanile è crollato. Per le persone oltre i 55 anni la disoccupazione di lungo termine è la condizione del 65 per cento dei senza lavoro;
    il Jobs Act non ha prodotto risultati significativi se non quelli di regalare risorse alle imprese. Per chi, invece, ha un'occupazione i salari diminuiscono. Neanche il bonus di 80 euro ha dato slancio ai consumi;
    più di 4,6 milioni di persone sono in condizione di povertà assoluta, mentre 8,3 milioni di italiani sono in povertà relativa;
    11 milioni di italiani rinviano le cure o vi rinunciano del tutto perché non ce la fanno a pagarsele o per carenze delle strutture di offerta;
    la precarietà dei giovani prepara l'avvento di un'intera generazione di pensionati poveri;
    nella classifica dei 34 Paesi più industrializzati del mondo, l'Italia è ultima per numero di giovani laureati e quart'ultima per soldi investiti nell'università in rapporto al PIL, mentre diminuiscono gli iscritti alle università;
    per sbloccare veramente l'Italia serve una totale inversione di rotta, una manovra triennale complessiva per il lavoro, lo sviluppo, l'innovazione, la ricerca e per i diritti sociali di oltre 30 miliardi annui, un vero e proprio « Social compact» alimentato da risorse nazionali, nonché dalle risorse rinvenienti dallo sforamento di un punto percentuale per tre anni del tetto al deficit stabilito dalla normativa europea,

impegna il Governo:

   a modificare in modo profondo la Nota di Aggiornamento al DEF 2016 al fine di prevedere spazi finanziari tali da poter inserire nell'ambito della prossima legge di bilancio 2017 disposizioni finalizzate prioritariamente:
    a) all'adozione di un Green New Deal, triennale, per uno sviluppo eco-sostenibile e per il «lavoro di cittadinanza», ossia la buona e piena occupazione, per l'innalzamento delle risorse per il contrasto alla povertà, il tutto pari a circa un punto di PIL di spese in deficit (16 miliardi di euro annui), in disapplicazione delle regole UE e, in particolare, adottando:
     1) un Piano triennale per il lavoro per 36 miliardi di euro nell'arco del triennio. Un Programma di investimenti pubblici (di cui una quota pari al 45 per cento riservata al Mezzogiorno con il ripristino della «clausola Ciampi») prioritariamente finalizzati alla manutenzione e messa in sicurezza del territorio, al miglioramento delle periferie urbane, alla bonifica di zone di territorio compromesso da inquinamento, al recupero di strutture pubbliche da destinare ad uso abitativo, uso sociale e/o produttivo, ad investimenti per l'efficienza energetica negli immobili della Pubblica Amministrazione, per la costruzione di asili nido, per la messa in sicurezza delle scuole, per l'introduzione della banda larga e ultra-larga nelle scuole, con la previsione di misure specifiche misure a sostegno dell'occupazione delle donne;
     2) un Programma per la mobilità sostenibile per 6 miliardi di euro nell'arco del triennio finalizzato al rinnovo e l'integrazione dello stock di treni per i pendolari e di autobus urbani e extraurbani;
     3) l'innalzamento da 1 a 3 miliardi di euro delle risorse attualmente previste dal Governo per il contrasto alla povertà;
     4) specifiche misure volte alla riduzione dell'aliquota contributiva previdenziale al 24 per cento per i lavoratori a partita IVA per 1 miliardo di euro annui a decorrere dal 1 gennaio 2017;
    b) misure finanziarie vigorose sul fronte dell'istruzione con lo stanziamento di almeno 3 miliardi di euro annui finalizzati:
     1) ad avviare un Piano pluriennale di stabilizzazione dei precari della scuola con uno stanziamento iniziale di 1 miliardo di euro l'anno che si affianchi alla contestuale introduzione di nuove misure che, ridefinendo l'attuale rapporto classe-alunni ed elevando l'obbligo scolastico, rendano disponibili nuove cattedre;
     2) ad incrementare le risorse per l'università e a favore della ricerca pubblica per almeno un miliardo di euro l'anno come primo passo per portare la spesa in ricerca italiana ai livelli della media europea e avvicinarsi all'obiettivo posto a Lisbona dall'Europa di portare in ogni Paese la spesa in ricerca al 3 per cento del PIL;
     3) a stanziare non meno di 1 miliardo di euro per il diritto allo studio al fine di garantire su tutto il territorio nazionale il riconoscimento di borse di studio, eliminando la vergognosa situazione in cui versano studenti vincitori di borsa ma non beneficiari; nonché favorire la costruzione di nuovi alloggi per gli studenti fuori sede e la ristrutturazione di quelli esistenti, rafforzando gli strumenti di agevolazione per gli affitti agli studenti delle case nelle città; e, infine, introdurre sconti per la mobilità studentesca favorendo politiche di agevolazione proprio nell'acquisto degli abbonamenti per i trasporti per gli studenti pendolari costretti peraltro a scontrarsi quotidianamente con un sistema di trasporti al collasso;
    c) misure finalizzate ad evitare lo smantellamento strisciante del servizio sanitario nazionale, così da garantire l'universalità del Servizio sanitario nazionale portando la spesa sanitaria verso il 7 per cento del PIL e recuperando i tagli perpetrati negli ultimi anni, finanziando adeguatamente i LEA per almeno 3 miliardi di euro, sopprimendo i super ticket, riducendo le liste di attesa, sbloccando il turn over nel comparto sanitario; assicurando una vera lotta alla corruzione e agli sprechi affinché le risorse risparmiate diventino realmente risorse per la salute, quindi, per i farmaci innovativi e le nuove tecnologie, per la cura delle malattie croniche, per la medicina di genere, per l'assistenza ai non autosufficienti, ai senza fissa dimora, ai migranti; garantendo il reale diritto all'interruzione volontaria di gravidanza; e infine, promuovendo politiche di piena inclusione dei cittadini con disabilità e politiche per il benessere psicologico e psichiatrico;
    d) misure destinate ad assicurare la reale sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale pubblico che matura in questo momento una vera e propria emergenza sociale per l'impossibilità di garantire nel prossimo futuro una copertura pensionistica adeguata alla generalità dei lavoratori. Sotto tale profilo l'intervento pubblico deve articolarsi su tre assi di intervento prevedendo uno stanziamento complessivo di 18 miliardi di euro nell'arco del prossimo triennio volto ad assicurare:
     1) la ricongiunzione tra le varie casse previdenziali, consentendo l'unificazione gratuita dei contributi versati in diverse gestioni dai lavoratori sempre più mobili e quindi prevedendo il ritorno alla gratuità della ricongiunzione vigente prima del 1o luglio 2010;
     2) una pensione minima di dignità, in luogo dell'assegno sociale (una forma di reddito minimo garantito per gli anziani) elevando dagli attuali 448,07 euro (2016) per 13 mensilità, a 600 euro (7.800 euro l'anno), per anziani ultra sessantacinquenni, come prima tappa per arrivare a garantire a tutti gli anziani il reddito equivalente alla soglia di povertà (circa 760 euro al mese – 9.120 euro all'anno);
     3) a modificare i criteri di pensionamento attualmente vigenti attraverso un superamento radicale della legge Fornero che punti a un'uscita generale per tutti a 65 anni di età e 35 anni di contribuzione, fatta salva la possibilità di prosecuzione dell'età lavorativa su base volontaria, in particolare, per coloro che raggiunta l'età di 65 anni non possiedono i 35 anni di contributi, operando contestualmente, e fermi restando il requisito dei 65 anni di età e 35 anni di contributi, una riduzione dell'età pensionistica e degli anni di contributi necessari per tutte quelle attività individuate in base al tipo e alle specificità di rischio delle attività e delle mansioni svolte tenendo conto delle peculiarità di ciascuna attività e prevedendo un coefficiente usurante associato alla mansione svolta che si basi su evidenze scientifiche e della medicina del lavoro. Con tali fattori di riferimento si potrebbero individuare i periodi in riduzione dell'età lavorativa e dei contributi necessari, senza operare penalizzazioni;
    e) misure finanziarie finalmente efficaci in materia di politiche abitative e per la casa prevedendo innanzitutto l'istituzione di un fondo presso la Cassa depositi e prestiti che serva ad acquistare Non Performing Loans con sottostante immobiliare all'attuale prezzo di mercato;
   a reperire inoltre le relative risorse necessarie, al netto del citato innalzamento dell'obiettivo deficit programmato per 16 miliardi di euro annui attraverso:
    a) misure di equità fiscale quali:
     1) contrasto all'evasione fiscale a partire da quella dell'IVA secondo le proposte elaborate dal NENS (invio telematico delle fatture; limitazioni all'uso del contante) che possono determinare entrate per 6 miliardi dal primo anno di applicazione, crescenti negli anni successivi. Sotto tale profilo si propone di utilizzare solo 6 miliardi di euro annui e di destinare il resto dell'incremento di gettito determinato dall'introduzione di queste misure al Fondo per la riduzione della pressione fiscale (articolo 1, comma 431, della legge n. 147 del 2013);
     2) l'abrogazione dell'articolo 1, comma 61 della legge n. 208 del 2015 evitando la riduzione dell'aliquota IRES a partire dal 1 gennaio 2017;
     3) la reintroduzione della Tasi per il 10 per cento delle abitazioni con i valori di mercato più alti che produrrebbe un incremento di gettito di almeno 800 milioni di euro annui di maggiori entrate;
     4) una modifica della tassa sulle transazioni finanziarie, estendendola ai derivati e a tutte le operazioni – e non puramente al saldo di fine giornata – con un incremento di gettito di almeno 200 milioni di euro annui;
     5) una riduzione delle franchigie sulla tassa di successione e l'applicazione di aliquote crescenti che porterebbe ad un incremento di gettito di almeno 500 milioni di euro;
     6) la riduzione e/o la soppressione di alcune agevolazioni fiscali per un ammontare complessivo non inferiore a 1 miliardo di euro l'anno. Le agevolazioni fiscali sono 307 (Allegati A e B alla Tabella 1 delle entrate del Bilancio di previsione per il triennio 2016-2018) per un valore nel 2017 pari complessivamente a 175,7 miliardi di euro;
     7) l'obbligo di apertura della partita IVA per gli operatori pubblicitari del web: i soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati in siti telematici, anche attraverso centri media e operatori terzi, dovranno acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria, italiana, e gli spazi pubblicitari in siti telematici ed i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca, servizi di search advertising, visualizzabili nel territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio telematico attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, dovranno essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti titolari di partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria italiana;
     8) il contrasto alle pratiche elusive delle multinazionali del web (dopo il caso Apple-Irlanda) per quanto riguarda il pagamento delle imposte sui profitti.
    b) l'attuazione di una spending review alternativa attraverso:
     1) la riduzione o soppressione di alcune spese per armamento per 1,4 miliardi di euro l'anno, a partire dalle risorse stanziate annualmente per gli F35. Si tratta di risorse in conto capitale che potrebbero essere riorientate per sostenere spese per la ristrutturazione dei debiti dei comuni italiani, in particolare lo stock verso Cassa Depositi e Prestiti, sottoscritto a tassi di interesse superiori al 5 per cento;
     2) la riduzione per il 2017 e il 2018 di almeno 400 milioni di euro del Fondo per le esigenze indifferibili ex articolo 1, comma 200, della legge n. 190 del 2014;
     3) la riduzione e il progressivo azzeramento dei sussidi alle fonti fossili con un programma di decarbonizzazione della nostra economia, anche attraverso un preciso piano di sensibile riduzione, e quindi azzeramento, degli aiuti pubblici e dei sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili, prime responsabili delle emissioni di CO2, dell'inquinamento e dei cambiamenti climatici;
     4) l'azzeramento degli stanziamenti per la TAV Torino-Lione, destinandoli al potenziamento delle ferrovie locali e dei treni per i pendolari;
    c) l'utilizzo di 11 miliardi di euro delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione della programmazione 2014-2020 che ad oggi non risultano ancora destinate;
    d) l'utilizzo di risorse aggiuntive della Cassa depositi e Prestiti che dovrebbe essere indotta dal Tesoro a costituire un fondo per il finanziamento a tassi agevolati del programmi del Green New Deal;
    e) l'utilizzo dei fondi pensioni della previdenza complementare. In Italia, infatti, tutti i fondi pensioni della previdenza complementare gestiscono un patrimonio di circa 130 miliardi di euro. Il flusso annuo di contributi è di circa 12 miliardi di cui circa il 70 per cento è allocato all'estero. L'allocazione interna è pressoché interamente assorbita dai titoli di stato (27,5 per cento). I Fondi dovrebbero partecipare – con finanziamenti garantiti direttamente o indirettamente dal settore pubblico – al Piano di sviluppo del Paese tramite enti e/o strutture della Pubblica amministrazione o la Cassa Depositi e Prestiti.
(6-00275) «Marcon, Melilla, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Martelli, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

finanziamento pubblico

investimento pubblico