ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00134

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 414 del 23/04/2015
Abbinamenti
Atto 6/00131 abbinato in data 23/04/2015
Atto 6/00132 abbinato in data 23/04/2015
Atto 6/00133 abbinato in data 23/04/2015
Atto 6/00135 abbinato in data 23/04/2015
Atto 6/00136 abbinato in data 23/04/2015
Firmatari
Primo firmatario: RIZZETTO WALTER
Gruppo: MISTO-ALTERNATIVA LIBERA
Data firma: 23/04/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BARBANTI SEBASTIANO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
ARTINI MASSIMO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
BALDASSARRE MARCO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
BECHIS ELEONORA MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
MUCCI MARA MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
PRODANI ARIS MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
ROSTELLATO GESSICA MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
SEGONI SAMUELE MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015
TURCO TANCREDI MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 23/04/2015


Stato iter:
23/04/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 23/04/2015
Resoconto DE MICHELI PAOLA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
INTERVENTO GOVERNO 23/04/2015
Resoconto DE MICHELI PAOLA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 23/04/2015
Resoconto DI GIOIA LELLO MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto OTTOBRE MAURO MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto BARBANTI SEBASTIANO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA
Resoconto RIZZETTO WALTER MISTO-ALTERNATIVA LIBERA
Resoconto FAUTTILLI FEDERICO PER L'ITALIA - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto MARCON GIULIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO AREA POPOLARE (NCD-UDC)
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto SORIAL GIRGIS GIORGIO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto TAGLIALATELA MARCELLO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 23/04/2015

NON ACCOLTO IL 23/04/2015

PARERE GOVERNO IL 23/04/2015

DISCUSSIONE IL 23/04/2015

DICHIARATO PRECLUSO IL 23/04/2015

CONCLUSO IL 23/04/2015

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00134
presentato da
RIZZETTO Walter
testo di
Giovedì 23 aprile 2015, seduta n. 414

   La Camera,
   premesso che:
    il Documento di economia e finanza è documento fondamentale poiché fissa le cornici macroeconomiche della legge di bilancio e della legge di stabilità che danno coerenza alle decisioni di finanza pubblica da prendere nel corso dell'anno. Dai dati contenuti nel Def si evince che le stime di crescita sono presenti, ma non con precisione, ovvero sottostimate come sotto descritto;
    nel DEF sono contenute anche le conferme relative agli obiettivi di deficit pubblico nel triennio 2015-17. Da ciò ne discende la speranza di non aumentare l'imposizione fiscale né di ridurre le prestazioni. Nel documento è contenuta una lunga lista di riforme intraprese e da fare ma non vi è traccia di riforme di struttura capaci di dare nuove tutele ai cittadini nel mutato contesto economico sociale, riforme appresso specificate;
    il Governo ha indicato un miglioramento dell'andamento economico rispetto a quanto preventivato nell'autunno 2014 pari ad un aumento dello 0,7 per cento del PIL per l'anno 2015, il quale dovrebbe poi attestarsi su un aumento del 1,4 per cento nel 2016 per giungere all'1,5 per cento nel 2017;
    a fronte delle dichiarazioni sulla crescita, gli obiettivi di deficit per il 2015 e per gli anni a venire sono confermati, in percentuale sul Pil, rispettivamente al 2,6 per cento per il 2015, all'1,8 per cento per il 2016 e allo 0,8 per cento per il 2017. Conseguentemente, si è indotti a credere che negli anni a venire si dovrebbe assistere a una naturale discesa del deficit pubblico rispetto ai numeri preventivati l'anno scorso;
    dalle audizioni svolte nelle Commissioni parlamentari competenti è emerso il fatto che il rappresentante della Banca d'Italia e quello della Corte dei conti hanno auspicato entrambi che non venga utilizzato il cosiddetto «tesoretto» mentre il Ministro competente ha definito la dotazione di 1.6 miliardi come una «Dote per le riforme» se ne deduce che le eventuali risorse aggiuntive, prodotte dalla eventuale più rapida crescita economica, non saranno destinate a rendere meno gravoso l'onere dell'aggiustamento fiscale per famiglie e imprese. Infatti, ha specificato che «Le stime di gettito fiscale indicate nel Def potrebbero risultare sovradimensionate». Lo stesso presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, nel corso di un'audizione sul Def davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato a Palazzo Madama, ha dichiarato che «suscita forte perplessità» l'intenzione del Governo di utilizzare il “tesoretto” di 1,6 miliardi di euro derivato dal miglior andamento del deficit». A suo avviso «Sembra prematuro in questa fase dell'anno, quando ancora non si conosce l'andamento del saldo e della prima rata di acconto dell'autotassazione, pensare di utilizzare risorse, sebbene di entità limitata, reputandole già acquisite» aggiungendo che «Una decisione presa ad aprile di “spendere” nell'anno corrente l'effetto del miglioramento del quadro macro rispetto alla previsione dell'autunno precedente, senza attendere prima che tale miglioramento si materializzi, sembra contraria a considerazioni di prudenza»;
    il Presidente dell'Istat, anch'esso audito innanzi alle Commissioni Bilancio congiunte ha dichiarato che «La pressione fiscale si mantiene nel 2015 allo stesso livello del 2014 al 43,5 per cento e aumenta di 6 decimi di punto nel 2016, circa 10 miliardi di euro. Scende al 44 per cento e al 43,7 per cento negli ultimi due anni della previsione»;
    le simulazioni realizzate dall'istituto suggeriscono che i rischi relativi al quadro programmatico contenuto nel Def sono prevalentemente concentrate sul proseguimento delle condizioni favorevoli del commercio internazionale e del tasso di cambio nel 2016;
    in tema di imposizione fiscale, il Presidente del Consiglio dei ministri ha promesso riduzioni di imposte, ma naturalmente si tratta di mere ipotesi poiché le riduzioni di aliquote per il 2016 si realizzeranno solo «se ci saranno le condizioni» cioè solo se la spending review produrrà effettivamente risultati di minori spese superiori rispetto ai 10 miliardi che sono necessari per realizzare gli obiettivi relativi al deficit pubblico;
    il Governo si è auto attribuito preventivamente, solo con dichiarazioni pubbliche, il merito di aver tagliato le tasse per 18 miliardi nel 2015 oltre all'eliminazione della clausola di salvaguardia, misura che vale 3 miliardi, esborso per i cittadini che verrà scongiurato solo se contenuta effettivamente nella legge di stabilità 2015;
    c’è poi il problema relativo alla veridicità del quadro programmatico descritto nel DEF. La nota illustrativa della Ragioneria generale dello Stato alla Legge di stabilità 2015 riporta un aumento ufficiale di entrate pari a 10 miliardi per il 2015, con un peso sul Pil sostanzialmente inalterato al 48,3 per cento. L'aumento di entrate poi è, a nostro avviso, inattendibile. Infatti, se si calcolano correttamente le uscite relative agli 80 euro, il cosiddetto bonus bebé e il credito d'imposta previsto per gli investimenti in ricerca e sviluppo come riduzioni di imposta e non come aumenti di spesa, la qual cosa la Ragioneria è obbligata a fare seguendo le convenzioni europee, se ne deduce che le imposte pagate complessivamente dagli italiani non sono destinate a scendere nel 2015;
    nel testo, come già sopra evidenziato, è contenuta la disposizione con la quale si è scelto nelle sedi istituzionali di non dar seguito alla misura più volte annunciata mediaticamente relativa all'aumento dell'IVA. A tal proposito si ricorda che in mancanza di tale deliberazione essa sarebbe stata aumentata automaticamente, arrivando nel 2018 a toccare l'apice con un'imposizione pari 25,5 per cento;
    a nostro avviso nonostante la misura sia meritoria, rimane una preoccupazione poiché il Governo, pur dopo aver disinnescato le cosiddette «clausole di salvaguardia», non potrà tener fede agli impegni e continuerà a far lievitare la pressione fiscale che, secondo le nostre stime, attualmente è pari al 43,5 per cento e farà registrare un aumento effettivo pari al 44,1 per cento nel biennio 2016-2017 e una piccola riduzione dello 0,4 per cento, raggiungendo un valore pari al 43,7 per cento;
    di ciò non sono consapevoli i contribuenti poiché i dati forniti dall'esecutivo, grazie al ricorso ad alcuni artifici contabili, fa apparire agli italiani un quadro opposto, naturalmente più favorevole al contribuente;
    secondo le dichiarazioni del Governo, infatti, l'imposizione fiscale sarebbe in netto calo: dichiarata al di sotto del 43 per cento per quest'anno (42,9 per cento), essa si ridurrebbe al 41,6 per cento entro il 2019. I modi usati dall'esecutivo per opacizzare l'andamento effettivo delle imposte sono, a nostro avviso, i seguenti: nel calcolo, si tiene conto di due misure che, in realtà, falsificano le valutazioni. Il primo è relativo al famigerato bonus di 80 euro, calcolato al netto della classificazione contabile. L'agevolazione, secondo il Governo, si traduce in una minore pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente. Si omette però di enunciare il fatto che il bonus degli 80 euro in busta paga interessa solo una parte limitata della popolazione. Inoltre la cosiddetta disattivazione delle clausole di salvaguardia (relative all'aumento dell'IVA e delle accise sulla benzina, oltre alla revisione delle detrazioni fiscali, che se attuate avrebbero comportato l'innalzamento della pressione fiscale), non attuandosi vengono considerate riduzioni effettive delle imposte;
    ciò rappresenta una falsificazione della realtà fattuale, poiché si ricorre all'escamotage di prospettare, prima del DEF, un aumento esponenziale delle tasse previste dalla legislazione per il futuro ma bisognose di ulteriori provvedimenti confermativi i quali non essendo ancora attuati di fatto non sono vigenti e non incidono effettivamente sull'entità complessiva della percentuale di reddito destinato al pagamento di imposte e tributi, al fine di indurre in errore il cittadino contribuente e ostentare mediaticamente una riduzione della pressione fiscale che in realtà non vi sarà poiché ancora non realizzato l'aumento solo previsto nelle norme antecedenti;
    è vero che gli indicatori di pressione fiscale calcolati sulla base di tale quadro programmatico tengono conto delle variazioni che verranno apportate nell'ambito operativo del programma di stabilità e, quindi, si discostano dagli indicatori basati, invece, sul quadro tendenziale, ossia calcolati in base alla legislazione vigente;
    vero anche che tale differenza è esplicitata nel Focus su «Pressione fiscale: un profilo decrescente», nel quale si indicano dapprima gli indicatori di pressione fiscale a legislazione vigente, sui quali producono effetto tutti i provvedimenti normativi intervenuti sino al 10 aprile 2015, data di approvazione del DEF, tra cui anche la legge di stabilità per il 2015. Tuttavia, successivamente, viene proposto un esercizio di ricalcolo di tali indicatori di pressione fiscale, tenendo conto del programma di stabilità proposto dal Governo e della riclassificazione del provvedimento. Con ciò confermando il rispetto formale della legge ma la sostanziale falsificazione della realtà fattuale rappresentata ai cittadini, elettori, contribuenti;
    è noto che le previsioni contenute nel DEF sono sempre poco affidabili tanto che viene da chiedersi se davvero valga la pena di impegnare così tante risorse umane e tempo prezioso dei lavori parlamentari attorno a questi documenti, che sono diventati ormai delle enciclopedie – si ricorda che lo scorso anno il Def si componeva di 5 parti, per un totale di 1.069 pagine, solo di poco diminuite quest'anno – che il più delle volte restano in larga parte disattese;
    per avere un'idea di quanto infondate si siano rivelate le previsioni sul prodotto interno lordo dall'inizio della crisi a oggi, basta mettere a confronto le stime fatte con i documenti di finanza pubblica nell'autunno precedente, l'anno in questione e la variazione del Pil che poi c’è effettivamente stata;
    per l'Italia la crescita dell'economia, se si fossero avverate le stime del governo fatte solo tre mesi prima che cominciasse l'anno, sarebbe stata più alta del 14,2 per cento in sette anni, dal 2008 al 2014. Insomma le stime si sono rivelate davvero poco affidabili e il gap tra previsioni e realtà sarebbe ancora maggiore se il confronto si facesse sul precedente Def rilasciato lo scorso aprile, anziché sulla nota di aggiornamento che, a settembre, puntualmente fa una prima correzione dei dati; questi confermano come l'economia sia una scienza non solo triste ma anche inesatta tanto è vero che, il gap cumulato nel periodo 2008-2014 tra previsioni e realtà, è molto alto anche quando si confrontano le stime fatte di anno in anno da Banca d'Italia, Commissione europea, Fondo monetario internazionale e Ocse;
    come sopra detto, il Def oggi in discussione contiene l'indicazione di un prudente aumento del Pil per il 2015 pari ad un tenue incremento dello 0,7 per cento e per non incorrere di nuovo in un'eccessiva sovrastima, come nei Def dello scorso anno in cui era prevista per il 2015 una crescita dell'1,3 per cento, corretta poi nella nota di aggiornamento di settembre 2014 a un dato reale inferiore corrispondente solo allo 0,6 per cento di incremento, quest'anno si è scelta la via della prudenza, forse per poter poi tirare fuori un «asso nella manica» e vantare risultati maggiori di quelli oggi indicati e avere un più alto gradimento futuro tra gli elettori. Fatto sta che, di regola, per capire come veramente si evolverà lo scenario economico è necessario attendere, come riconosce lo stesso Governo in un focus sugli «errori di previsione nelle stime ufficiali», il dato sull'anno in corso contenuto nella nota di aggiornamento pubblicata in settembre, cioè tre mesi prima che finisca l'anno, quando la sovrastima si riduce in media a 0,2 punti percentuali rispetto alla realtà. Naturalmente la nostra speranza è che la previsione di un incremento pari allo 0,7 per cento per l'anno in corso non si riveli invece sottostimato, replicando quanto accadde nel 2010;
    per quanto concerne le stime ci appaiono errate anche quelle relative alla crescita. Per capire il sistema si deve tornare a uno scritto del 1969, redatto dal Nobel per l'economia Clive Granger nel quale faceva notare che quelli che fanno le previsioni, anche i politici, «prendono posizione» sapendo di andare incontro a perdite di credibilità in caso di errori, con perdite tanto maggiori quanto maggiore è l'errore di previsione compiuto. Se gli errori per eccesso e quelli per difetto facessero perdere credibilità nello stesso modo, ci si dovrebbe attendere che in media i previsori siano affidabili, non avendo una ragione per essere esageratamente ottimisti né pessimisti. Poiché il Governo per anni ha fornito previsioni sbagliate è ipotizzabile che la previsione sia stata strategicamente e volutamente errata. A questa conclusione giunse Granger 50 anni fa, teoria poi ampiamente utilizzata con il termine tecnico di «funzione di perdita asimmetrica», per spiegare la presenza di errori sistematici, ma correggibili, nelle previsioni economiche istituzionali;
    quello che i dati dovrebbero confermare è che il Governo italiano soffre di una chiara asimmetria nella funzione di perdita degli errori di previsione che cerca di minimizzare. In fase recessiva la funzione di perdita penalizza maggiormente errori al ribasso rispetto a errori al rialzo e quindi il Governo tende ad indicare numeri superiori ai valori che si attende. È plausibile che in fase espansiva la direzione dell'asimmetria si ribalti. In fase recessiva non si vuole incidere in maniera negativa sul sentimento degli agenti economici mentre in fase espansiva il costo di essere troppo ottimisti diventa più alto di quello di essere prudenti e conservativi;
    le dichiarazioni governative sul tema sono una chiara indicazione sull'asimmetria nella funzione di perdita in fase espansiva: è evidente che nel 2015 i costi per il nostro Governo di prevedere una crescita più alta di quella che si realizzerà sono superiori a quelli di un errore del segno opposto, che si verificherebbe nel caso in cui le cose andassero meglio del previsto. Possiamo quindi inferire che il valore atteso per la crescita in Italia da parte del nostro Governo sia decisamente superiore allo 0,7 per cento e forse anche superiore all'1 per cento, come indicato da Confcommercio;
    le implicazioni pratiche sono semplici ma importanti. Se le aspettative del Governo sono corrette da oggi alla fine 2015 vedremo diverse revisioni al rialzo delle previsioni per la crescita economica. Queste revisioni non dipendono necessariamente dalla inesattezza della scienza economica ma piuttosto dalle preferenze delle autorità di politica economica, che sono preoccupate delle reazioni del pubblico in caso di discrepanza tra previsione e realizzazione;
    a nostro avviso, anche per questi motivi il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato sin dal momento del positivo voto di fiducia del Parlamento «Non ci saranno tagli alle prestazioni per i cittadini ma c’è bisogno che la macchina pubblica dimagrisca un po’ e se i sacrifici li fanno i politici o salta qualche poltrona nei cda male non fa»;
    queste dichiarazioni d'intenti sono naturalmente condivisibili, nella speranza che si realizzino poi effettivamente, ma nulla dice sull'effettivo potenziale di crescita del Paese, soprattutto se si realizzassero efficienti e efficaci riforme di struttura;
    è doloroso quindi constatare che nell'intero documento è totalmente assente un riferimento a numerose necessità prioritarie dell'intero sistema Paese, a partire dalla riforma del welfare che adegui le prestazioni sociali alle peggiorate condizioni demografiche e di crescita economica rispetto ai decenni passati, anni nei quali la legislazione sul welfare attualmente vigente è stata ideata e realizzata;
    sarebbe opportuno, a nostro avviso, che il Presidente del Consiglio dei ministri estendesse la sua «rivoluzione comunicativa» anche in questo ambito per poi tramutarla in fatti concreti. Si ricorda qui solo incidentalmente la lunga lista di importanti riforme di già incardinate nei lavori d'aula o che lo saranno (la riforma costituzionale, la legge elettorale, la riforma della Pa, la revisione del Patto per la salute, una riflessione sul ruolo delle sovrintendenze dei beni culturali, la riforma della scuola, l'attuazione del Jobs act) la quale è destinata a rimanere monca se non integrata con la nostra proposta, poiché è una componente cruciale per la tenuta economico sociale del Paese;
    come noto la spesa pubblica italiana è molto alta, e ciò è la causa dell'enorme pressione fiscale poiché la spesa, nonostante le dichiarazioni di intenti che di anno in anno si rinvengono nel DEF descritte, è poi sistematicamente superiore alle entrate fiscali, producendo negli anni un elevatissimo debito pubblico;
    a nostro avviso la spesa è concentrata soprattutto sulle pensioni e gli interessi sul debito, ma è elevata anche in molti altri ambiti a causa dei quali (ad esempio, rispetto alla Germania) l'Italia spende di più (in proporzione al Pil) e male concentrandola nelle seguenti voci: difesa, ordine pubblico, organi legislativi, esecutivi e diplomatici, sovvenzioni a settori economici non più redditizi quindi fuori mercato e non più strategici per il sistema Italia;
    complessivamente, le spese fuori linea rispetto alla Germania superano l'11 per cento del PIL. La spesa pubblica è al contrario bassa, relativamente alla Germania, soltanto in pochissimi ma fondamentali settori per garantire coesione e equità sociale: l'assistenza ai disoccupati e alle famiglie e la spesa universitaria;
    se l'Italia è uno dei primi Paesi per spesa in interessi sul debito e per i costi della politica (organi legislativi, esecutivi e diplomatici), non altrettanto può dirsi della quantità e qualità dei servizi resi. Il risultato è un'esagerata pressione fiscale che disincentiva la produzione e diminuisce la competitività della nostra economia. Inoltre la spesa pubblica in deficit ha portato al formarsi del terzo debito pubblico del mondo, con la conseguente instabilità finanziaria che caratterizza l'economia italiana, nonché l'elevata spesa per interessi da sostenere;
    nel complesso, la situazione non è degenerata quasi per caso e si vede un piccolo barlume di crescita economica grazie all'indebolimento dell'euro e al calo del prezzo del petrolio. Da considerare anche la disciplina di bilancio UE che ha allargato le sue maglie concedendoci deroghe alle norme contenute dei Trattati, acuendo però gli squilibri dei conti già presenti. Squilibri che aumentano in maniera preoccupante, soprattutto per la disuguale distribuzione dei redditi tra la popolazione;
    tra le ulteriori sofferenze del sistema Paese si segnalano in particolare le urgenze relative alle riforme necessarie da realizzare in ambiti molto importanti come quello relativo alla modificazione della legislazione, quindi delle condizioni in cui versano le cosiddette partite iva, i micro, piccoli e medi imprenditori, i liberi professionisti, i giovani e le donne, soggetti particolarmente colpiti dalla mancata occupazione, tutto il meridione che vede gran parte della propria disponibilità economica dispersa nel pagamento delle spese sanitarie contratte dai governanti precedenti, non lasciando risorse sufficienti per i malati attuali, disattendendo i principi dell'equità intergenerazionale, che ha privilegiato la generazione dei padri ai danni dei figli o quella dei nonni a danno dei nipoti. Non per caso si cerca di cercare del buono anche in questa anomalia, ricordando che il cosiddetto welfare familiare, il trasferimento di beni e denari tra generazioni della medesima famiglia, sopperisce alle carenze del welfare pubblico;
    dalla comparazione delle tabelle contenute a pagina 30 e a pagina 473 del DEF, ad esempio, emerge una pessima distribuzione del reddito prodotto poiché i dati calcolati sul medio periodo relativi all'occupazione stimano un aumento nel quinquennio compreso solo tra lo 0,2 per cento e lo 0,6 per cento con un picco pari allo 0,9 per cento previsto per il solo anno 2019, mentre i dati relativi all'aumento del pil vedono un aumento pari al solo 1,8 per cento nell'anno 2020;
    particolarmente nebuloso appare poi il tema della riforma del mercato del lavoro, nonostante il contratto a tempo indeterminato sia presentato come la soluzione, fatto opinabile, e le coperture siano indicate solo per il primo anno. A questo proposito non si dimentichi che non si è realizzata la reductio ad unum delle tipologie contrattuali perché ne esistono ben 46. Per reperire i fondi necessari alle riforme, nuovi introiti potrebbero realizzarsi con la cessione del patrimonio immobiliare, fatto cum grano salis, evitando cioè un eccesso di offerta che farebbe perdere valore di mercato ai beni, con la destinazione incentrata sul cosiddetto sociale e nuove forme di welfare alternative possibili;
    preoccupante, date le dimensioni, rimane il fenomeno della disoccupazione e inoccupazione, soprattutto per chi ha una formazione professionale che gli consentirebbe l'impiego nel settore della fornitura di servizi. Ciò è il frutto di un'abnorme incidenza del fenomeno dei fallimenti delle imprese, riconducibili a fattori come il credit crunch. Si arriva al paradosso nei casi in cui le imprese, nonostante abbiano nel proprio portafoglio commesse già acquisite, non possono produrre beni o servizi già ordinati poiché sottocapitalizzate e bisognose di credito bancario che non gli giunge, nonostante il fatto che i profitti garantirebbero la restituzione dei debiti contratti;
    l'iva per cassa, il cui utilizzo è oggi consentito e limitato alle sole imprese con un fatturato pari a 2 milioni di euro, ha reso la sua introduzione di scarso impatto poiché la misura è applicabile alle sole microimprese. Tutte le altre si trovano a dover pagare una imposta poco dopo aver emesso una fattura nonostante l'incasso, non gli giunga precedentemente. Ciò non è normale e, di fatto, essi divengono erogatori non solo di beni ma anche di credito ai loro clienti morosi, comprese le amministrazioni pubbliche. Il fenomeno del ritardo dei pagamenti è diffuso nella Pa quanto tra imprese private ed è favorita dalla disastrosa condizione in cui versa la giustizia civile, dove sono favoriti i «furbi» considerati i lunghissimi tempi necessari per ricevere quanto dovuto nel caso in cui viene adito il giudice. Ciò scoraggia quasi ogni ricorso, perché razionalmente considerato una ulteriore fonte di spreco di tempo e denaro, preferendo subire perdite economiche e morali piuttosto che sottoporsi alla gogna dei tempi biblici della giustizia, fatto conosciuto e sanzionato con multe ai danni dell'erario anche dalla Unione europea e da altre corti sovranazionali;
    è da considerare con particolare attenzione, poi, il disagio per gli intermediari creditizi di dimensioni medio piccole che son quelli che maggiormente hanno erogato credito alla spina dorsale della nostra economia, le PMI;
    in un tema fondamentale per il benessere, ovvero l'ambiente, si segnalano interventi in parte negativi ma alcuni positivi;
    quelli da migliorare riguardano la semplificazione burocratica prevista nel provvedimento, che può essere efficace solo se affiancata da un processo di partecipazione attiva della cittadinanza;
    equa ci appare la volontà di riformare il codice degli appalti e delle concessioni purché effettuato recependo correttamente le direttive in materia di appalti e concessioni (2014/23/UE, 2014/24/UE);
    utile appare la scelta di metter mano al riordino normativo in materia di protezione civile, tanto che ALTERNATIVA LIBERA, sul medesimo argomento ha presentato una proposta di legge di delega al Governo per la sua realizzazione;
    in tema di fiscalità ambientale si prevede la costituzione di comitato per una riforma fiscale ecologica al fine di riallocare il carico fiscale dal lavoro dalle imprese virtuose ai soggetti che sono produttori di inquinamento, cercando di limitare le esternalità negative e di imputarne i costi ai produttori inefficienti perché inquinanti, incentivando l'utilizzo di risorse naturali ed il passaggio ad un'economia a basse emissioni di carbonio, fornendo una speranza per un futuro migliore del Paese, ovvero per l'ambiente e quindi per i suoi cittadini,

impegna il Governo:

   ad emanare le norme ritenute più opportune ed efficaci per far diminuire il fenomeno della disoccupazione, attualmente pari al 12,7 per cento, in aumento di 0,2 punti percentuali su base annua, prova ne sia il fatto che rispetto all'anno precedente, si è registrato un aumento dei disoccupati pari a 67 mila unità;
   a realizzare in tempi celerissimi l'attuazione della legge delega in materia di lavoro recentemente approvata dal Parlamento;
   a individuare le coperture finanziarie, attualmente limitate al primo anno, relative al cosiddetto Jobs act contenenti disposizioni sul contratto di lavoro a tutele crescenti, per l'intero periodo dei tre anni iniziali;
   a prevedere una riforma dell'attuale assetto normativo su cui si basa il nostro stato del benessere, modello di welfare superato perché fondato quasi esclusivamente su uno Stato che raccoglie e distribuisce risorse tramite il sistema fiscale e i trasferimenti monetari;
   a introdurre quindi un welfare che sia in grado di rigenerare le risorse già disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell'intera collettività. Si propone l'introduzione del cosiddetto welfare generativo che prevede un welfare redistributivo, ove le politiche pubbliche di inclusione sociale sono da adattare e adottare in una realtà complessa come quella attuale, passando al tipo di welfare proposto. A tal fine è necessario partire «dalla logica del costo a quella del rendimento», passare dall'enfasi sul valore consumato a quella sul valore generato. Ciò significa superare «l'amministrazione senza rendimento» con soluzioni capaci di trasformare le risorse a disposizione, puntando sull'innovazione delle risposte e non solo sul loro efficientamento. Si propone di passare dal welfare attuale che si limita a raccogliere e redistribuire, a un welfare innovativo che, oltre a raccogliere e a redistribuire, rigenera le risorse, rendendo il sistema più efficiente, grazie alla responsabilizzazione legata a un nuovo modo di intendere diritti e doveri sociali;
   a rivedere le regole del cosiddetto «Regime dei Minimi» dopo la riforma del 2012, alla luce del nuovo forfait al 15 per cento introdotto dalla Legge di Stabilità 2015. Si lamenta che ciò è stato fatto senza l'adeguamento alle nuove concessioni della Unione europea che dal 2014 consentirebbero di innalzare la soglia di reddito, ripristinando la gerarchia delle fonti del diritto che vede quello comunitario prevalere su quello domestico. L'entrata in vigore del nuovo regime forfettario sostituisce i precedenti regimi agevolati con la cosiddetto «clausola di salvaguardia» per i contribuenti «minimi», ovvero quei soggetti che nel periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2014 si avvalevano del regime fiscale di vantaggio di cui all'articolo 27, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 98 del 2011 e che possono continuare ad avvalersene per il periodo che residua al completamento del quinquennio agevolato e comunque fino al compimento del trentacinquesimo anno di età;
   a rivedere quindi la normativa che ha eliminato il sistema di determinazione dei redditi con codici ateco, prevedendo un unico limite di reddito di riferimento per tutte le categorie di lavoratori autonomi, pari a 40.000 euro di fatturato;
   a ridefinire la procedura di rilevazione del reddito imponibile attraverso l'applicazione del coefficiente unico di redditività fissa del 60 per cento e di mettere mano alla riforma del sistema innovativo ai fini della dichiarazione dei redditi, considerando il fatto che la capacità di fare impresa in modo competitivo è ostacolata dalla complessità amministrativa e dagli elevati oneri burocratici a carico degli esercenti una libera professione;
   a provvedere con urgenza ad emanare norme volte ad assicurare una maggiore tutela degli intermediari creditizi di dimensioni medio piccole, limitatamente a quelle che forniscono credito all'economia reale, quindi alle imprese creditizie che maggiormente hanno assicurato l'erogazione del credito durante la fase massima di stretta creditizia adottata dalle imprese finanziarie di maggiori dimensioni;
   a intervenire sul meccanismo che stabilisce l'ammontare dei contributi delle banche al Fondo unico – ora nelle bozze di Atto Delegato della Commissione Europea – che si scosta senza spiegazione alcuna dai principi e dagli obiettivi essenziali rinvenibili nella Direttiva BRR e nel Regolamento SRM che, si ricorda, sono relativi a:
    a) assicurare la protezione dei contribuenti e la stabilità finanziaria;
    b) fornire i giusti incentivi alle banche per quanto riguarda l'assunzione dei rischi e porre argini al problema del cosiddetto too-big-to-fail;
    c) assicurare un quadro di risanamento e di risoluzione delle banche coerente con il principio di proporzionalità stabilito nel Considerando 14 della Direttiva che contiene l'indicazione di tener in considerazione il tipo di attività, la struttura azionaria, la forma giuridica, il profilo di rischio, le dimensioni, la complessità delle attività degli intermediari, nonché della eventuale appartenenza a un sistema di tutela istituzionale o ad altri sistemi di solidarietà mutualistica per le società di credito cooperativo, con particolare riguardo al criterio della proporzionalità da applicarsi alle banche di piccole e medie dimensioni poiché esse sono le imprese finanziarie sane, quelle più vicine al territorio e alla produzione di beni e servizi e molto distanti dalla finanza speculativa;

   ad intervenire normativamente per una più equa distribuzione del carico fiscale sui redditi in generale al fine di migliorare la situazione attuale, individuando idonei strumenti al fine di ridurre eventuali distorsioni con particolare riguardo alle fasce di reddito medie e basse, sempre più impoverite a fronte di una ricchezza complessiva mal distribuita e dimostrata grazie agli studi disponibili resi noti dalla Banca d'Italia. Dagli ultimi dati pubblicati risulta che, alla fine del 2013, la ricchezza netta delle famiglie italiane era pari a 8.728 miliardi di euro, corrispondenti in media a 144.000 euro prò capite e a 356.000 euro per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 60 per cento del totale delle attività, quelle finanziarie il restante 40 per cento. Le passività, inferiori a 900 miliardi di euro, erano di poco superiori al 9 per cento delle attività complessive. Nel 2013 il valore della ricchezza netta complessiva è diminuito rispetto all'anno precedente dell'1,4 per cento a prezzi correnti; la flessione del valore delle attività reali (-3,5 per cento), dovuta al calo dei prezzi medi delle abitazioni (-5,1 per cento), è stata solo in parte compensata da un aumento delle attività finanziarie (2,1 per cento) e da una riduzione delle passività (-1,1 per cento). In termini reali (utilizzando il deflatore dei consumi) la ricchezza netta si è ridotta dell'1,7 per cento rispetto al 2012. Dalla fine del 2007 la flessione a prezzi costanti è stata complessivamente pari all'8 per cento. Nel primo semestre del 2014 la ricchezza netta delle famiglie italiane sarebbe ulteriormente diminuita dell'1,2 per cento in termini nominali rispetto al dicembre 2013. Ciò non sarebbe eccessivamente grave se non emergesse con forza il fatto che il calo in questione ha investito in particolar modo le classi medie, determinando per queste un calo medio nel potere d'acquisto nell'ordine del 25 per cento. Segno opposto invece per i ricchi, che hanno visto il loro potere d'acquisto addirittura aumentare. Poi ci sono i poveri e i poverissimi, per i quali il calo è stato inferiore rispetto alla classe media, ma naturalmente più incidente. A fronte di una perdita di circa dieci punti percentuali, per la maggior parte delle famiglie che già nel 2007 galleggiavano appena sopra il livello di povertà, è stato sufficiente per spalancare a molte di loro le porte del tunnel dell'insolvenza. Ad oggi, quindi, il 3 per cento delle famiglie non è in grado di far fronte nemmeno alle spese più elementari, come cibo, vestiti e bollette. La distribuzione della ricchezza, si legge nel rapporto della Banca d'Italia, è caratterizzata «da un elevato grado di concentrazione». I dati sono simili a quelli di un paese in via di sviluppo, se è vero che la metà più povera delle famiglie italiane detiene il 9,4 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco ha il 45,9 per cento;
   a prevedere sistemi di incentivazione fiscale alle imprese finanziarie (e in particolare prevedendo la deducibilità in un solo anno in luogo dei 5 per le svalutazioni su crediti, e un sistema di imposizione fiscale agevolata per gli interessi derivanti da credito), al fine di diminuire il rischio di credito e quindi di facilitare la concessione di prestiti alle imprese ed alle famiglie subordinatamente all'effettiva erogazione di credito all'economia reale da parte degli intermediari finanziari;
   a prevedere la completa deducibilità dei costi ulteriori sostenuti dai lavoratori autonomi in seguito all'introduzione dell'obbligo di accettare i pagamenti superiori ai 30 euro anche attraverso le carte di debito e credito, ovvero tramite Pos, facendo aumentare i costi di più dell'1 per cento, compreso il costo della installazione e affitto dei POS e i relativi canoni mensili;
   a realizzare una semplificazione burocratica centrata sui principi del processo partecipato, della scelta delle priorità in base alla segnalazione dei territori, contenute in atti dei comuni (ordini del giorno, mozioni, consultazioni popolari) che ne attestino il senso di utilità e necessità avvertito dalla popolazione;
   a rafforzare la cooperazione tra pubblico e privato equilibrando costi e ricavi, oggi sperequati;
   al finanziamento effettivo e non solo simbolico, come è attualmente, degli interventi territoriali previsti dal «programma 6000 campanili» e altri interventi di carattere locale;
   a prevedere interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico considerando che è assente la quantificazione sulle risorse messe a disposizione, estendendo l'ambito non solo alle opere degli interventi strutturali, ma anche a quelli non strutturali come i sistemi di previsione e monitoraggio, i piani di emergenza, la pianificazione urbanistica resiliente;
   a prevedere ulteriori interventi normativi più incisivi per garantire la riduzione del consumo di suolo;
   a prevedere un'accelerazione dell’iter di definizione ed attuazione del Piano nazionale degli aeroporti al fine di evitare inutili sprechi come, ad esempio, nel caso dell'ampliamento dell'aeroporto di Firenze;
   a individuare in modo certo le risorse da destinare alla Mobilità sostenibile, al Trasporto pubblico locale e quello ferroviario, interventi necessari per invertire la rotta di un Paese ancora troppo legato al trasporto su gomma, sostituendolo soprattutto con quello ferroviario di cui è auspicabile un potenziamento effettivo e celere;
   a dare piena attuazione all'agenda digitale e ad individuare e realizzare le infrastrutture fisiche e digitali necessarie allo sviluppo del e-commerce e delle imprese digitali al fine di agevolare il raggiungimento dell'obiettivo del 15 per cento della quota di fatturato delle imprese derivante dalla vendita on line di beni e servizi, attualmente stimata solo prossima al 6 per cento;
   ad adottare le misure più opportune eventualmente anche in sede comunitaria al fine di introdurre in favore delle regioni del Mezzogiorno una serie di misure, anche in via temporanea, di carattere eccezionale sia di alleggerimento fiscale e contributivo che finanziarie, volte a consentire il rilancio dell'economia locale;
   a prevedere la messa a regime nei documenti di programmazione del Governo di una sezione contenente un «focus sul Mezzogiorno» che contempli, tra le altre cose, la situazione macroeconomica, l'impatto delle norme proposte sull'economia del Mezzogiorno e gli altri interventi specifici per tale area.
(6-00134) «Rizzetto, Barbanti, Artini, Baldassarre, Bechis, Mucci, Prodani, Rostellato, Segoni, Turco».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

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