ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00116

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 383 del 27/02/2015
Abbinamenti
Atto 1/00625 abbinato in data 27/02/2015
Atto 1/00675 abbinato in data 27/02/2015
Atto 1/00699 abbinato in data 27/02/2015
Atto 1/00738 abbinato in data 27/02/2015
Atto 1/00745 abbinato in data 27/02/2015
Atto 1/00746 abbinato in data 27/02/2015
Atto 6/00111 abbinato in data 27/02/2015
Atto 6/00112 abbinato in data 27/02/2015
Atto 6/00113 abbinato in data 27/02/2015
Atto 6/00114 abbinato in data 27/02/2015
Atto 6/00115 abbinato in data 27/02/2015
Atto 1/00747 abbinato in data 27/02/2015
Firmatari
Primo firmatario: SIBILIA CARLO
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 27/02/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DI STEFANO MANLIO MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
DI BATTISTA ALESSANDRO MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
SPADONI MARIA EDERA MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
DEL GROSSO DANIELE MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
GRANDE MARTA MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
SCAGLIUSI EMANUELE MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
BERNINI PAOLO MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015
TOFALO ANGELO MOVIMENTO 5 STELLE 27/02/2015


Stato iter:
27/02/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO GOVERNO 27/02/2015
Resoconto GENTILONI SILVERI PAOLO MINISTRO - (AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 27/02/2015
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto ARTINI MASSIMO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA
Resoconto RAMPELLI FABIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto MARAZZITI MARIO PER L'ITALIA - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto PINI GIANLUCA LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto MAZZIOTTI DI CELSO ANDREA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto CICCHITTO FABRIZIO AREA POPOLARE (NCD-UDC)
Resoconto CARFAGNA MARIA ROSARIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto CAPEZZONE DANIELE FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto DI STEFANO MANLIO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto AMENDOLA VINCENZO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 27/02/2015
Resoconto DELLA VEDOVA BENEDETTO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 27/02/2015

DISCUSSIONE IL 27/02/2015

NON ACCOLTO IL 27/02/2015

PARERE GOVERNO IL 27/02/2015

RESPINTO IL 27/02/2015

CONCLUSO IL 27/02/2015

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00116
presentato da
SIBILIA Carlo
testo di
Venerdì 27 febbraio 2015, seduta n. 383

   La Camera,
   premesso che:
    la politica estera italiana ha cercato sostanzialmente di mantenere per lo più alcuni punti fermi adottati negli ultimi decenni: il contributo al processo di integrazione europea, la partecipazione all'Alleanza Atlantica, il ruolo nelle Nazioni Unite, la presenza nel «gruppo di testa» delle maggiori potenze industrializzate, ancorché in qualità di media potenza; questo scenario è da qualche tempo in pieno mutamento e motivo costante di riflessione globale sulla tenuta nel tempo di questi capisaldi ma anche sulla loro stessa natura; siamo in presenza, infatti, di una mutevolezza degli equilibri verso una direzione sempre più multipolare, dimensione nella quale il nostro Paese fatica a definire una coerente strategia di politica estera. Volerci ostinare a mantenere gli equilibri attuali è lesivo. Questo tipo di politica è chiaramente fallimentare;
    stanno venendo drammaticamente al pettine le scelte politiche sbagliate che hanno guidato l'Italia e l'Europa da dopo lo scioglimento del Patto di Varsavia ad oggi. Invece di costruire un continente libero da patti militari, denuclearizzato e inclusivo si è portato avanti il piano di rilancio della Nato da un lato e dall'altro, un'architettura economica dell'Unione Europea basata sulla centralità esclusiva del mercato e della moneta unica;
    l'attuale strategia deriva dalla inspiegabile volontà a perseguire un mito. Il mito che sostiene che il mercato unico sta creando un «villaggio globale» di pace e di intenti comuni. Pertanto va esportato e sostenuto. Questo mito è da sfatare. L'attuale modello sta in realtà sottolineando la competizione per i lavori scarsi e un ristretto numero di commodities globali, aumentando il conflitto e minando l'identità culturale ed individuale in tutto il mondo;
    la deregolamentazione del mercato e della finanza internazionale ha permesso a un piccolo gruppo di corporazioni, banche e speculatori finanziari globali di divenire più potenti dei Governi sovrani;
    essi usano la loro influenza per ottenere agevolazioni fiscali e sussidi, per indirizzare a loro favore i regolamenti e le regole di mercato, per imporre il debito, manipolare il valore delle monete e – quando le cose vanno male – per estorcere immensi salvataggi ai contribuenti;
    per la grande maggioranza delle persone, la devozione al mercato «unico e libero» ha significato maggiore competizione per lavori scarsi e una caduta dei salari e dei benefici e ha rimpiazzato le responsabilità della cittadinanza con un obbligo al consumo; ha significato un mondo omogeneizzato in cui la diversità culturale viene erosa per valere dell'efficienza globale del mondo degli affari; ha letteralmente portato alla bancarotta gli Stati nazionali; ha significato la morte dei sistemi di conoscenza locale simboleggiati da millenni di adattamento a luoghi particolari. Essa ha, infine, minacciato le fondamenta stessa della democrazia;
    il mercato «unico e libero» che guida la strategia di politica estera è una catastrofe. In tutto il mondo aree selvagge e fragili ecosistemi vengono sacrificati sull'altare della crescita globale. Un numero sempre maggiore di specie viene guidata verso l'estinzione, e i cambiamenti climatici si stanno intensificando. Dagli atomi al Dna degli organismi viventi essa è stata modificata;
    nell'idea di economia della crescita, ogni cosa è in vendita, nulla sembra sacro. Nonostante la retorica dell'inevitabilità che la supporta, questa teoria sta alla base di un processo politico di cambiamento pianificato. Guidato dalle politiche dei Governi che supportano l'agenda dei profitti delle grandi aziende e delle grandi banche. Queste politiche includono la deregolamentazione del commercio internazionale e delle finanze attraverso gli accordi di «libero mercato» e comportano che la costruzione della rete di trasporti, di comunicazione e delle infrastrutture, dell'educazione, siano legati ai bisogni delle grandi corporazioni, favorendo contemporaneamente il sovraregolamento delle imprese locali e l'uso di riferimenti ingannevoli come il Pil;
    il trattato di «libero scambio» TTIP (acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership) è un esempio di come la regolamentazione internazionale venga pensata per favorire le multinazionali e banche a scapito delle piccole e medie imprese operando su scala globale. Le politiche sovrane spesso non sono sufficienti a contrastare questi progetti portati avanti da soggetti che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono «mostri antidemocratici» come la Commissione europea in istituzionale complicità con le lobby dell'industria atlantica;
    banche e multinazionali ecco i fattori che guidano la politica estera degli Stati, complici giustificati della nascita di nuovi e continui fenomeni terroristici globali;
    la cosiddetta lista Falciani ha rivelato migliaia di nomi provenienti da tutto il mondo che tenevano ben protetti i propri capitali nelle banche private, in particolare la banca HSBC. Il quotidiano Le Monde ha rivelato infatti la presenza, nella lista, di esponenti della Golden chain, il gruppo di finanziatori di al-Qaeda scoperto nel 2002 dopo un blitz in una fondazione di copertura a Sarajevo. Nell'organizzazione, secondo le indiscrezioni di Le Monde, ci sarebbero un principe saudita, noto per aver fornito protezione a Osama Bin Laden, ed un altro esponente della famiglia reale la cui moglie avrebbe fornito denaro a uno degli attentatori dell'11 settembre. Sempre della stessa fondazione, secondo gli investigatori, farebbero parte anche l’ex tesoriere di un'organizzazione accusata di riciclaggio di denaro per al-Qaeda e il proprietario di una fabbrica bombardata dagli USA perché sospettata di produrre armi chimiche per il mercato nero del terrorismo internazionale;
    questi sono i fatti inoppugnabili oramai noti alle cronache. Narcotrafficanti e terroristi protetti dalle banche d'affari mondiali per continuare i loro traffici all'infinito. Per cosa? Per il mercato ”unico e libero” naturalmente;
    ecco cosa determina poi la nascita di oltre 36 gruppi terroristici dal 2001 ad oggi. Ecco dove vanno a finire gli oltre 4.400 miliardi di dollari che sono stati spesi globalmente dal 2001 ad oggi per la lotta al terrorismo, finanziamenti a pioggia che non riducono il problema anzi lo acuiscono perché direttamente o indirettamente lo finanziano; questo è il sistema che ricopre il ruolo tra i più alti della piramide. Tutto il resto diventano conseguenze;
    banche, criminali e politici agiscono impunemente. Alimentano un circolo produttivo fatto di grandi centri multinazionali di sfruttamento delle risorse del sistema che, con i grossi introiti determinati da leggi che favoriscono questo genere di produzioni, reinvestono i propri introiti per mantenere lo status-quo di evidente vantaggio. Pertanto perpetrano e alimentano il sistema, un sistema decisamente asimmetrico che ricorda tutt'ora il sistema coloniale fatto di oppressi e oppressori;
    questo sistema crea destabilizzazioni a suo piacimento, a suo uso e consumo. Basti pensare alla situazione in Siria oggi, alla situazione in Iraq, alla situazione in Ucraina e alla situazione in Libia;
    tutte guerre e destabilizzazioni create ai fini di creare un nuovo equilibrio energetico mondiale. A favore di qualcuno (multinazionali e intermediari) e a scapito di qualcun altro (popolazioni che vedono sfruttare le proprie risorse);
    l'effetto delle guerre e delle destabilizzazioni comporta diaspora dei popoli e pressione migratoria. Milioni di persone sono costrette a trovare territori in pace e scappare da quelli belligeranti. Per cui l'Unione europea non ha alternativa che quella di dover far fronte alla gestione del flusso migratorio. Come possiamo ben notare, gli attuali Paesi in conflitto nei dintorni dell'Unione europea, sono tutti grandi fornitori di energia degli stessi paesi della Unione europea; dunque, ennesima conseguenza o parte del circolo vizioso: redistribuzione dell'energia;
    l'Italia fa saldamente parte dell'Europa, ma la recente iniziativa tedesco-francese, come è più corretto definirla, di tentare di riprendere il dialogo diplomatico con la Russia per bloccare l’escalation militare nell'Ucraina dell'est è stato solo l'ultimo degli episodi che ha evidenziato la mancanza di una rilevanza internazionale della nostra diplomazia, ancorché di una unitaria politica estera europea;
    l'assenza al menzionato vertice sulla crisi in Ucraina, tenuto nella capitale bielorussa Minsk, dell'Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, rimasta ai margini dell'iniziativa tedesco-francese, è stato per molti il segnale dell'ennesima occasione mancata per l'Europa, incapace di parlare con una sola voce attraverso la figura creata appositamente per questo ma che nei fatti rimane ancora solo un incarico di prestigio, certamente, ma di scarsa incidenza visto che le cancellerie che contano in Europa – Parigi, Londra, Berlino – non hanno alcuna intenzione di cedere un minimo di sovranità nazionale per ciò che concerne la politica estera;
    tra l'altro, il recente semestre di presidenza italiana dell'Unione, e più in generale la sua azione negli scacchieri internazionali più caldi, è apparso lontano dalla sufficienza mentre, invece, anche alla luce dei drammatici avvenimenti che stanno sconvolgendo il Mediterraneo e il Vicino Oriente, avrebbe potuto determinare uno spostamento a Sud delle politiche europee vista anche l'emergenza immigrazione; d'altra parte, ciò avrebbe consentito di rimarcare quella «vocazione mediterranea» che ha rappresentato, in passato, il meglio della nostra politica estera;
    l'Europa (e soprattutto i Paesi euromediterranei) non può assistere da spettatrice a quanto di drammatico sta accadendo a pochi chilometri dalle nostre coste e dai nostri confini in quanto avrà immediate conseguenze sulle future decisioni che presto questi Governi saranno chiamati a prendere, in termini di sicurezza e non solo; infatti, l'ascesa dello Stato Islamico di Abu Bakr al-Baghdadi e del suo esercito di tagliagole ne è una drammatica riprova;
    con riferimento, in particolare, agli interessi legati alla sicurezza e agli obbiettivi strategici del nostro Paese è inevitabile dunque partire dall'analisi dei fenomeni che stanno attraversando in questo periodo il bacino del Mediterraneo. Lo sguardo va rivolto soprattutto alla Libia. Sì, perché se le parole hanno un peso specifico, l'Italia, già con il precedente Governo, si era assunta l'impegno di essere il Paese europeo che avrebbe garantito la stabilizzazione della Libia post-Gheddafi, ovvero contribuire a dar vita, ex novo, a istituzioni democratiche, addestrare un esercito e, soprattutto, disarmare le oltre 250 milizie che oggi dettano legge in quel Paese, alcune delle quali sono oggetto di infiltrazioni di uomini che stanno utilizzando il «marchio califfale» dell'Isis per il reclutamento. Tuttavia è un compito che il nostro Paese non ha portato a termine e questo, per una nazione che vuole contare di più nel mondo, certamente ha pesato in termini di credibilità;
    in questo contesto non sono apparse molto adeguate le recenti dichiarazioni degli attuali titolari dei dicasteri degli affari esteri e della difesa, i quali hanno rispettivamente annunciato che «L'Italia è pronta a combattere, naturalmente nel quadro della legalità internazionale» e «L'Italia potrebbe inviare anche truppe di terra ... dipenderà dallo scenario... è pronta a guidare in Libia una coalizione di Paesi dell'area, europei e dell'Africa del Nord»;
    dovremmo riesumare la defunta Unione per il Mediterraneo, naturale conseguenza del cosiddetto Processo di Barcellona del 1995, che è stato un organismo internazionale i cui scopi istitutivi riguardavano la risoluzione delle problematiche relative all'immigrazione dai Paesi meridionali verso quelli settentrionali, la lotta al terrorismo, il conflitto israelo-palestinese, la tutela del patrimonio ecologico mediterraneo e far avvicinare l'Unione europea alle nazioni mediorientali e africane che si affacciano sul mar Mediterraneo. Fu presentato, su iniziativa dell'allora presidente di turno francese, a Parigi il 13 luglio 2008; il processo si è poi arenato, anche a seguito delle complicazioni sopravvenute per il riacuirsi della questione israelo-palestinese e delle rivolte meglio conosciute, come primavere arabe, mentre, per contro, per una buona riuscita del progetto euromediterraneo (magari rilanciandolo come Alleanza Euromediterranea) è determinante garantire una presenza forte dell'Unione europea attraverso una politica estera coerente e la volontà di impiegare tutte le risorse necessarie a realizzarla;
    l'Italia più di altri contribuisce ad alcune attività Onu, incluse le cosiddette missioni di pace, ma importanti impegni globali, come gli aiuti allo sviluppo o il contrasto ai cambiamenti climatici, non ci vedono certo all'avanguardia;
    è tempo dunque di tornare a ridiscutere seriamente del ruolo internazionale dell'Italia, il che significa esaminare con più attenzione i nostri interessi nazionali ma anche decidere in quale ottica farlo. Un peso non da poco, poi, riveste negativamente il fatto che il bilancio del Ministero degli Affari esteri (da qualche mese rinominato con l'aggiunta «e della cooperazione internazionale»), pari a 1,68 miliardi di euro, è ritornato a livelli assoluti inferiori a quelli del 2001, al di sotto dello 0.2 per cento del bilancio statale, mentre i nostri partners internazionali destinano alla politica estera stanziamenti ben superiori: la percentuale di bilancio, compresa la cooperazione allo sviluppo, della Francia è dello 0,42 per cento; quella inglese è dell'1,27 per cento; la Germania dedica alla politica estera l'1,1 per cento del bilancio statale; la Spagna lo 0,45 per cento e l'Olanda addirittura il 2,5 per cento; e non ha certo aiutato il cosiddetto «valzer della Farnesina» dove in un anno e mezzo si sono succeduti ben cinque responsabili della politica estera;
    l'Italia sembra invece rassegnata a un pragmatismo di basso profilo, senza la forza per rimettere in discussione le alleanze e le partnership esistenti, cercando piuttosto di difendere questo o quel suo interesse particolare, ma evitando conflitti dirompenti (vedi la vicenda legata ai Marò), continuando a contribuire a varie iniziative internazionali ma restando ai margini dei processi decisionali che contano;
    a proposito di decisioni che tardano ad arrivare, è il riconoscimento dello Stato palestinese la nota più dolente. I Parlamenti di Gran Bretagna, Spagna e Francia, oltre che il governo della Svezia, si sono espressi favorevolmente in tal senso. Il voto dei Parlamenti di Spagna e Francia, come quello britannico, non vincola i rispettivi governi, è vero, ma certo riveste una forte valenza politica e dà conto di un protagonismo che incide sulle dinamiche mediorientali. Il nostro Paese, invece, come ha rimarcato il nuovo titolare della Farnesina, ha deciso di attendere, non perché in disaccordo, in linea di principio, ma perché non si ritiene sia il momento opportuno;
   considerato inoltre che:
    segnatamente, le strategie delineate dal Nuovo Modello di Difesa e del Nuovo Concetto strategico della Nato nei primi anni ’90, l'espansione della Nato a Est, l'adesione e la partecipazione dell'Italia, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo in contrasto con l'articolo 11 della Costituzione, a un'infinità di guerre fuori area (Somalia, Kossovo, Iraq, Libia, Afghanistan, eccetera) hanno reso ancora più insicuro il nostro continente (si pensi alla guerra in Ucraina) e destabilizzato intere aree del pianeta (il Medio Oriente, area mediterranea compresa);
    le guerre «costituenti» di un presunto nuovo ordine mondiale, mostrano oggi tutto il loro fallimento, avendo alimentato i pozzi d'odio, procurato migrazioni bibliche, distrutto città e convivenze, rafforzato il fondamentalismo e il terrorismo religioso, sfregiato agli occhi dei popoli il prestigio e il ruolo d'istituzioni internazionali come l'Onu;
    proseguire sulla strada delle guerre e dell'interventismo militare per tutelare gli interessi occidentali significa perseverare nell'errore e nel rinunciare definitivamente al ruolo storico che la collocazione geografica dell'Italia ci assegna. Si pone il problema di una alleanza dei popoli e delle Nazioni del Mediterraneo – la terza economia mondiale – sul modello dell'Alba latinoamericana che dia nuova prospettiva alle attuali politiche dominanti,

impegna il Governo:

   in ordine alla drammatica situazione internazionale in atto:
    ad operare un'importante stretta fiscale sul tracciamento dei grandi capitali in quelle banche d'affari che garantiscono criminali, narcotrafficanti e terroristi;
    a promuovere la medesima attività a livello globale allo scopo di «togliere l'aria» alla prima fonte dalla quale si abbevera il terrorismo: il denaro;
    a non prevedere alcuna partecipazione dell'Italia a eventuali missioni, ancorché deliberate in sede Onu, che impegnino all'uso di uomini e mezzi militari sul territorio libico;
    a farsi promotore di una forte iniziativa – anche a guida italiana – di concerto con i partner internazionali e con il coinvolgimento degli attori arabi regionali e dell'Unione africana, tesa a preparare le condizioni di una riconciliazione nazionale della Libia, consentendo la ricostruzione del tessuto istituzionale e la stabilizzazione interna, la smilitarizzazione delle milizie irregolari e favorendo la formazione di un'autorità statuale;
    a promuovere strategie di «localizzazione» o riacquisizione di sovranità da parte di tutti i Paesi che ne hanno ceduta in condizioni impari rispetto ad altri (in rispetto dell'articolo 11 della Costituzione della Repubblica italiana);
    a rivedere le politiche monetarie opprimenti che hanno distrutto la domanda interna italiana;
    ad aumentare la tassazione per le multinazionali e applicando una legislazione tesa a riequilibrare il potere di questi sproporzionati e insostenibili centri produttivi in favore dei piccoli e medi produttori molto più legati all'economia locale e a diretto contatto con il benessere delle persone;
   in ordine alla politica di contrasto all'ISIS e al terrorismo di matrice islamica:
    chiedere al Qatar, Turchia e Arabia Saudita di recidere i legami economici, diplomatici e politici con le organizzazioni salafite che predicano lo scontro di civiltà, l'odio verso altre religioni ed etnie e praticano sequestri ed esecuzioni di civili e militari;
    a proporre in sede Onu una indagine per la ricerca e la tracciabilità di tutte le fonti economiche che finanziano forze armate irregolari e/o non riconosciute ufficialmente;
    a riconoscere lo Stato di Palestina così da iniziare una nuova stagione di dialogo nell'area medio-orientale;
   in ordine al rilancio delle politiche nell'area Euromediterranea:
    ad adottare le necessarie e opportune iniziative in sede europea per il rilancio del Processo di Barcellona facendosene promotore e attore principale e a perseguire e sostenere una politica estera forte verso la regione euromediterranea;
    a elaborare una nuova e più forte strategia di rilancio della propria azione esterna attraverso il recupero della «vocazione mediterranea», favorendo la tutela dei diritti umani e il riequilibrio tra Nord e Sud del mondo, l'impegno sul disarmo e la non proliferazione, l'impegno per l'attuazione per l'Agenda Globale post-2015;
   in ordine alla guerra civile in corso in Ucraina:
    a far assumere un ruolo più attivo e collegiale da parte dell'Unione Europea nella crisi, anche tramite l'Alto Rappresentante che non può continuare ad avere solo un ruolo di spettatore, ancorché di prestigio;
    a proporre la revoca delle sanzioni economiche della Ue alla Russia in quanto inefficaci e controproducenti;
    a congelare in questa fase ogni ulteriore adesione alla Nato di Paesi dell'ex Unione Sovietica, sostituendo l'attuale politica di espansione a est con politiche di buon vicinato che abbassino la tensione e avviino un percorso di disarmo convenzionale e nucleare in tutto il continente europeo;
    a porre termine alla partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali in Afghanistan e in Iraq riconvertendo quelle risorse finanziarie nonché uomini e mezzi, in un piano straordinario per la sicurezza delle nostre città e nell'opera di contrasto al terrorismo e alla criminalità organizzata favorendo il prosperare dell'economia interna finanziando il cardine principale ovvero le piccole e medie imprese;
   in ordine ad un mutamento favorevole per l'Italia della politica estera del futuro:
    a rinegoziare i trattati commerciali per regolare le banche e le corporazioni globali. I cosiddetti trattati di «libero commercio» hanno dato alle TNC la capacità di spingere le nazioni una contro l'altra, sventrando leggi e regolamenti che proteggono il lavoro, le risorse e l'ambiente;
    a spostare le tasse e i sussidi che attualmente favoriscono ciò che è grande e globale. Piuttosto che tassare pesantemente il lavoro mentre si sussidiano l'uso di energia e tecnologia, le politiche devono promuovere la creazione del lavoro e i mezzi di sostentamento, minimizzare lo spreco di energia e altre risorse;
    a spostare gli investimenti pubblici in infrastrutture che attualmente favoriscono il grande e il globale. Miliardi di dollari vengono ancora investiti nel creare e migliorare infrastrutture basate sul mercato – grandi autostrade, terminal per navi e aeroporti – mentre i bisogni delle economie locali vengono negati;
    a controllare e regolare la creazione di saldi e debito. Lasciare questi elementi chiave delle economie moderne nelle mani di banche e istituzioni finanziarie che non hanno alcun controllo giuridico ha condotto alla speculazione avventata e al collasso economico, oltre che ad un abisso crescente tra ricchi e poveri.
(6-00116) «Sibilia, Manlio Di Stefano, Di Battista, Spadoni, Del Grosso, Grande, Scagliusi, Paolo Bernini, Tofalo».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

terrorismo

politica estera

regione mediterranea CE