ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00101

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 350 del 16/12/2014
Abbinamenti
Atto 6/00100 abbinato in data 16/12/2014
Atto 6/00102 abbinato in data 16/12/2014
Atto 6/00103 abbinato in data 16/12/2014
Atto 6/00104 abbinato in data 16/12/2014
Firmatari
Primo firmatario: BRUNETTA RENATO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 16/12/2014


Stato iter:
16/12/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
COMUNICAZIONE GOVERNO 16/12/2014
Resoconto RENZI MATTEO PRESIDENTE DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 16/12/2014
Resoconto OTTOBRE MAURO MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto DI LELLO MARCO MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto RAMPELLI FABIO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto TABACCI BRUNO PER L'ITALIA - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto PINI GIANLUCA LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto GALGANO ADRIANA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto ALLI PAOLO AREA POPOLARE (NCD-UDC)
Resoconto BRUNETTA RENATO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto SIBILIA CARLO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto AMENDOLA VINCENZO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto CURRO' TOMMASO MOVIMENTO 5 STELLE
 
PARERE GOVERNO 16/12/2014
Resoconto SCALFAROTTO IVAN SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 16/12/2014

DISCUSSIONE IL 16/12/2014

NON ACCOLTO IL 16/12/2014

PARERE GOVERNO IL 16/12/2014

RESPINTO IL 16/12/2014

CONCLUSO IL 16/12/2014

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00101
presentato da
BRUNETTA Renato
testo di
Martedì 16 dicembre 2014, seduta n. 350

   La Camera,
   premesso che:
    l'ordine del giorno del Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre suona addirittura beffardo, se si considera che esso fa riferimento a «Ulteriori sforzi da compiere per favorire la crescita». Come se quest'ultima fosse stata, in qualche modo, già avviata, quando invece è ormai il devastante pericolo della deflazione ad essere evocato. Meglio sarebbe stato pertanto titolare: «Come arrestare la deriva della deflazione e rimettere in moto il processo di sviluppo dell'Eurozona»;
   i dati, purtroppo, suonano quale triste testimonianza. Nel 2013 nell'Eurozona si è avuta una caduta del Pil dello 0,4 per cento, cui farà seguito, secondo le previsioni, una crescita dello 0,8 per cento nel 2014. Del tutto insufficiente per porre argine a una disoccupazione che, sempre nell'Eurozona, è pari a oltre l'11,5 per cento. L'inflazione risulta essere pari allo 0,5 per cento, quale sintomo evidente di una tendenza deflazionistica alla quale occorre porre rimedio. L'inerzia della politica economica risulta evidente anche solo considerando la caduta del prezzo del petrolio, fermo a poco più di 60 dollari al barile. Per una vasta area economica, qual è l'Eurozona, la disponibilità di energia a basso prezzo poteva essere l'occasione per un forte rilancio produttivo. Il peso di un'ortodossia ormai fuori dal tempo blocca invece ogni possibilità di sviluppo. È un drammatico ritorno agli anni ’30, con l'aggravante che all'orizzonte non si vedono uomini come Franklin Delano Roosevelt o John Maynard Keynes;
   nelle condizioni date, il debito sovrano dell'Eurozona non può che aumentare. Nel 2014, secondo i calcoli della Banca Centrale Europea, esso passerà dal 92,6 al 93,4 per cento. Con un aumento contenuto (0,8 per cento) che maschera, tuttavia, differenze profonde tra i singoli Paesi. Secondo le previsioni della Commissione europea, mentre il rapporto debito/Pil diminuisce in moltissimi Paesi (Germania, Spagna, Grecia e Irlanda) in Italia aumenta di 1 punto percentuale, in Belgio dello 0,7 ed in Francia di 2.5 punti. Una nuova frattura rischia pertanto di separare Paesi più solidi da quelli in crescenti difficoltà finanziarie;
   all'origine di queste divergenze sono problemi di carattere strutturale, che non possono essere risolti in chiave esclusivamente domestica. Anche se il tema della diversa produttività, aziendale e di sistema, resta la grande discriminante di fondo, che richiede interventi dei singoli Stati per rimuovere le proprie strozzature interne. A livello comunitario, invece, colpisce il forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Nel 2014, secondo le valutazioni più recenti della Bce, esso sarà pari al 2,6 per cento del reddito complessivo. Pari a circa 270 miliardi di euro, secondo le valutazioni della Commissione, di cui circa il 90 per cento prodotto solo da Germania e Olanda;
   l'esistenza di un surplus così consistente è la dimostrazione del fatto che l'economia dell'Eurozona marcia ad un ritmo ben al di sotto del suo potenziale produttivo, e che quindi politiche espansive, soprattutto se concentrate su una ripresa degli investimenti, potrebbero portare il suo tasso di sviluppo da quel limitato 0.8 per cento previsto per il 2014 fino al 2,5 per cento in termini reali, con un effetto immediato sui livelli di occupazione;
   al tempo stesso il contenimento del surplus avrebbe un effetto immediato sul valore dell'euro, oggi sopravvalutato nei confronti delle altre monete. Dal maggio scorso, l'euro si è svalutato di circa il 12 per cento nei confronti del dollaro, salvo riprendere quota in questi ultimi giorni. Il movimento al ribasso è stato guidato da una crescente esportazione di capitali verso le altre zone del mondo. A settembre 2014, secondo le valutazioni della Bce, oltre 100 miliardi di euro di investimenti di portafoglio hanno preso la via dell'estero. Si assiste pertanto al paradosso che, non trovando adeguata convenienza a causa delle politiche di austerità, quei capitali che potrebbero essere investiti in Europa per contribuire al rilancio produttivo vengono dirottati altrove. Finanziano, in altre parole, quelle attività economiche che poi fanno concorrenza ai prodotti dell'Eurozona. Se il surplus valutario di origine primaria fosse ridotto da politiche espansive, ne deriverebbe una riduzione fisiologica e non patologica del valore del cambio, capace di innescare un circolo virtuoso dato da un aumento della domanda interna e dal contributo positivo dell'estero, a seguito del ristabilirsi (tendenzialmente un dollaro = un euro) del giusto valore tra le due principali valute dell'occidente;
   per conseguire simili risultati è necessario, da un lato, attivare politiche economiche espansive a livello europeo, dall'altro, accelerare il processo di rimozione delle barriere che ancora segmentano il mercato interno, specie nel campo dei servizi e delle politiche fiscali. Che si traducono in un freno alla concorrenza e in un rallentamento dello sviluppo della «produttività totale dei fattori». Questo era del resto uno dei grandi obiettivi della costruzione europea, come entità al tempo stesso politica ed economica;
   allo stesso modo, tuttavia, è necessario prendere atto delle differenze strutturali che caratterizzano le diverse economie dell'Eurozona. Il macigno del debito pubblico pesa in modo difforme: da Paese a Paese. Mentre le regole di bilancio, rese più stringenti dal Six Pack e dal Two Pack, rimangono uniformi. Un identico vestito che si vorrebbe far indossare ad individui che hanno una diversa corporatura. Non può funzionare. L'esperienza insegna che i cambiamenti di regime giuridico non possono che proiettarsi nel futuro, separando nettamente la situazione passata da quella prospettica. Ne deriva che, ferma restando la cogenza delle nuove regole, ai problemi legati alla diversa consistenza dello stock di debito accumulato si deve provvedere con iniziative diverse;
   la proposta del board della Bce di mettere in campo «misure non convenzionali» che si risolvano nel finanziamento di una parte pregressa del debito sovrano, con modalità da stabilire, deve essere, pertanto, accolta con favore. Occorre fare tutto il possibile affinché si vincano le resistenze che si oppongono a questa prospettiva, in nome di un malinteso senso di conservazione che rischia di alimentare ulteriormente la crisi europea;
   per evitare, tuttavia, rischi di moral hazard è necessario che i singoli Governi marcino spediti lungo la linea di quelle riforme che mirano ad accrescere la produttività aziendale e di settore, intervenendo sulla struttura del mercato del lavoro, con politiche salariali coerenti; riducendo il peso della spesa pubblica, specie di parte corrente; liberalizzando il mercato; riducendo il perimetro della discrezionalità amministrativa; rilanciando gli investimenti; riformando la giustizia e via dicendo;
   il trinomio di un protocollo di politica economica in grado di far uscire l'Eurozona dallo stato comatoso in cui si trova è pertanto dato da: politiche espansive a livello europeo, rivolte al contenimento del surplus delle partite correnti; «misure non convenzionali» per la gestione dello stock di debito accumulato, quale necessario complemento alle regole del Six Pack e del Two Pack; riforme in grado di accrescere la produttività aziendale e di sistema;
   rispetto alla coerenza di questo schema, la proposta della Commissione è quella di reperire risorse pari a 315 miliardi in tre anni per il rilancio degli investimenti. Cifra del tutto insufficiente. Essa corrisponde, infatti a poco più di un terzo del surplus valutario annuo, che si vorrebbe contenere. Sul piano operativo, le risorse effettivamente stanziate sono previste in appena 21 miliardi complessivi. Si suppone poi una leva pari 15 per mobilitare eventuali capitali privati, di cui, tuttavia, non si ha certezza di disponibilità. Lo sforzo effettivo corrisponderebbe, pertanto, a poco più del 2,5 per cento del surplus valutario annuale. Un'inezia rispetto alle risorse potenziali,

impegna il Governo:

   ad avviare un negoziato con tutti i partner europei, volto a individuare le modalità di una politica economica che tenga conto di quanto elencato in premessa, posto che non basta il piano Juncker. Ciò che è necessario è un approccio sistemico in cui politica monetaria, politica di bilancio e riforme, anche nella forma dei contractual arrangements, mantengano una stretta coerenza, prevedendo fin da ora i necessari momenti di verifica a livello europeo, proponendo al tempo stesso una modifica dei Trattati per rendere più stringente il vincolo che regola il surplus valutario dei singoli Paesi, onde impedire gli eccessi di mercantilismo che stanno distruggendo la coesione europea;
   ad evitare inutili toni polemici nei confronti di chicchessia, accogliendo il recente invito del Capo dello Stato, essendo necessario far «ricorso alla difficile arte della convinzione, partendo dai dati che fotografano la situazione oggettiva, come evidenziato in premessa, chiamando ciascun partner europeo alle proprie responsabilità, senza mai perdere di vista quello che è il comune interesse, che corrisponde ad una visione dell'Europa, quale quella che incarnò le speranze dei Padri fondatori, senza peraltro rinunciare alla battaglia politica per affermare con forza le proprie ragioni, consapevoli del fatto ch'esse non rispondono a logiche localistiche, ma sono l'unico vero baluardo che può impedire la crisi irreversibile di quel disegno più ambizioso che ha trovato nella moneta unica il suo momento fondante e che ora rischia l'autodistruzione.
(6-00101) «Brunetta».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

zona euro

Banca centrale europea

debito