ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00068

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 214 del 17/04/2014
Abbinamenti
Atto 6/00064 abbinato in data 17/04/2014
Atto 6/00065 abbinato in data 17/04/2014
Atto 6/00066 abbinato in data 17/04/2014
Atto 6/00067 abbinato in data 17/04/2014
Atto 6/00069 abbinato in data 17/04/2014
Atto 6/00070 abbinato in data 17/04/2014
Atto 6/00071 abbinato in data 17/04/2014
Firmatari
Primo firmatario: MIGLIORE GENNARO
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 17/04/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MARCON GIULIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
BOCCADUTRI SERGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
MELILLA GIANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
AIELLO FERDINANDO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
BORDO FRANCO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
DI SALVO TITTI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
DURANTI DONATELLA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
FARINA DANIELE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
FAVA CLAUDIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
FERRARA FRANCESCO DETTO CICCIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
GIORDANO GIANCARLO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
FRATOIANNI NICOLA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
KRONBICHLER FLORIAN SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
LACQUANITI LUIGI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
LAVAGNO FABIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
MATARRELLI TONI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
NARDI MARTINA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
NICCHI MARISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PIAZZONI ILEANA CATHIA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PILOZZI NAZZARENO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PIRAS MICHELE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
QUARANTA STEFANO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
RAGOSTA MICHELE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
RICCIATTI LARA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
SANNICANDRO ARCANGELO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
ZAN ALESSANDRO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014
ZARATTI FILIBERTO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 17/04/2014


Stato iter:
17/04/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
DICHIARAZIONE GOVERNO 17/04/2014
Resoconto BARETTA PIER PAOLO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 17/04/2014

DISCUSSIONE IL 17/04/2014

DICHIARATO PRECLUSO IL 17/04/2014

CONCLUSO IL 17/04/2014

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00068
presentato da
MIGLIORE Gennaro
testo di
Giovedì 17 aprile 2014, seduta n. 214

   La Camera,
   esaminati il Documento di economia e finanza 2014 (DOC. LVII, n. 2) e il Piano Nazionale di Riforma 2014;
   osservato che:
    il termine ultimo per presentare a Bruxelles il DEF 2014 scade il 30 aprile; i documenti sui quali il Parlamento si deve esprimere nell'arco di poco più di una settimana, entro il 17 aprile, constano di circa 1.300 pagine; questo modo di procedere da parte del Governo svilisce il ruolo del Parlamento in nome di un apparente rapidità decisionale che, in questo caso, è solo foriera di improvvisazione e funzionale ad una politica degli annunci più che all'elaborazione di serie riforme;
   premesso che:
    la politica economica europea in generale, e fiscale in particolare, non è stata capace di risolvere gli enormi problemi sociali sopraggiunti dopo la crisi del 2007. Una crisi che per profondità e durata è più lunga della grande crisi del ’29;
    l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici pesantissimi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco). La finanza speculativa e i settori più ricchi della popolazione ne sono usciti rafforzati a spese dei ceti popolari;
    le conseguenze di questa politica sono sotto gli occhi di tutti: oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell'Unione europea. La disoccupazione nell'eurozona è salita dal 7,8 per cento del 2008 al 12,1 per cento del novembre 2013. In Grecia, dal 7,7 per cento al 24,4 per cento e in Spagna dal 11,3 per cento al 26,7 per cento nello stesso periodo. In Europa, i disoccupati con meno di 25 anni sono 4,5 milioni;
    in Italia, dopo il calo del 2,4 per cento nel 2012, anche nel 2013 il Pil è diminuito del 1,9 per cento; nel frattempo il debito pubblico ha registrato un nuovo record arrivando al 132,6 per cento del Pil;
    la disoccupazione è salita al 12,9 per cento ed i consumi sono crollati del 2,6 per cento malgrado la drastica riduzione (- 4 per cento) già registrata nel 2012, raggiungendo così il loro minimo storico dal 1990; nel nostro Paese, tra il 2006 e il 2012, il numero dei poveri è aumentato di ben 3,9 milioni di persone, portando il numero complessivo dei poveri a circa 13,5 milioni;
    il cosiddetto «Fiscal compact» costringerà il Governo italiano a partire dal 2016 a procedere al taglio del debito pubblico per circa 50 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni: un vero massacro sociale;
    sia il FMI che la Bce hanno allertato i Governi europei sul pericolo concreto, dopo il lungo persistere di una fase di recessione, dell'avvio di un pericoloso periodo di deflazione nell'area euro ed europea in generale (quattro Paesi aderenti all'Unione europea sono già in deflazione);
   valutato che:
    il DEF 2014 si muove su un vecchio percorso che è quello illusorio di un'aspettativa di crescita, mantenendo le attuali politiche di austerità e di pareggio di bilancio. Un percorso destinato al fallimento, nonostante lo slittamento del pareggio di bilancio strutturale al 2016, che non produrrà maggiori spazi ed effetti sostanziali nel rilancio degli investimenti e delle politiche pubbliche contro la crisi. Tale timido scostamento è sostanzialmente ininfluente se non viene cambiato il paradigma delle politiche europee e non vengono ridiscussi i vincoli del Patto di stabilità e il pareggio di bilancio;
    al DEF 2014 manca «un disegno organico allo sviluppo dell'Italia» e non rappresenta perciò la risposta adeguata che serve al Paese per uscire dalla crisi, creare lavoro, assicurare maggiore equità. La filosofia del DEF è pienamente coerente con le politiche di austerità e liberiste europee, attendista e rituale nella definizione di politiche e riforme che sono in continuità con quelle del passato;
    in particolare il giudizio negativo sul DEF del 2014 è dovuto alle seguenti ragioni;
    il DEF 2014, pur ritardando di un anno il raggiungimento del pareggio di bilancio è in continuità con le politiche di austerità, liberiste e di riduzione della spesa pubblica, rifiutando persino di utilizzare tutti gli spazi esistenti del rapporto deficit PIL dal 2,6 al 3,0 per cento, per politiche anticicliche, come pure il primo Ministro nelle settimane precedenti al DEF aveva adombrato; il DEF non apre una contraddizione esplicita con l'attuale politica europea;
    il DEF 2014 contiene misure profondamente sbagliate come, ad esempio, le riforme in materia di lavoro che creano vantaggi per le sole imprese, le quali potranno licenziare o scegliere di sfruttare contratti atipici senza limiti. Tuttavia, tali vantaggi non recheranno nessun beneficio al mercato e non determineranno aumenti dell'occupazione, mentre produrranno un'ulteriore erosione certa dei diritti dei lavoratori. Infatti, in Italia la precarizzazione del mercato del lavoro è stata realizzata compiutamente e il Governo Renzi è solo l'ultimo in ordine di tempo a dare il proprio contributo per perfezionare un progetto inutile che non ha creato e non crea maggiore occupazione: l'OCSE nel luglio 2013 ha certificato che la disoccupazione italiana cresce facendo registrare il sesto peggior dato in termini di quota di disoccupati (negli ultimi 5 anni) tra i 34 Paesi aderenti all'organizzazione, nonostante i pochi occupati siano a tempo determinato: infatti oltre un giovane su due in Italia ha un lavoro a precario. In particolare, si tratta del 52,9 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Sempre nel 2013 l'ISTAT ha certificato che i contratti atipici sono prossimi a superare in numero assoluto i contratti standard, ovvero quelli a tempo indeterminato e a pieno compenso; tra l'altro – come ricordato dalla CGIL – nel DEF non c’è più traccia di quanto previsto dalla prima stesura del Jobs Act in cui era presente «una tenue evocazione del piano del lavoro di Obama» (investimenti pubblici in innovazione, green economy, ecc);
    il DEF 2014 prevede coperture incerte e non tiene conto dei costi dei provvedimenti non a «legislazione vigente», come quelli inseriti ogni anno nella Legge di stabilità: per questo molte delle previsioni macroeconomiche sono da rivedere e correggere al ribasso (a «politiche invariate» le maggiori spese dovrebbero essere di ben 6 miliardi nel 2015 e 9 miliardi nel 2016);
    particolarmente discutibili sono le previsioni di aumento del PIL di 2,2 per cento fino al 2018 grazie alle riforme del mercato del lavoro e del 2,3 per cento dei provvedimenti sulle semplificazioni e liberalizzazioni: talmente discutibili che l'ISTAT non ha valutato gli effetti di queste misure sul PIL, perché ancora aleatorie e non quantificabili; il DEF 2014 formula così ipotesi di crescita assolutamente non verificate e che sono destinate ad essere riviste al ribasso;
    il DEF 2014 non prende sostanzialmente e irresponsabilmente in considerazione il rischio deflazionistico (pur segnalato da settimane dal presidente della Bce, Mario Draghi) che può colpire a breve la nostra economia con conseguenze drammatiche per i consumatori e per la produzione industriale;
    come segnalato dalla CGIL nel DEF «il ruolo dello Stato sembra deliberatamente ridimensionato» in quanto si prevedono minori investimenti pubblici, riduzione della spesa sociale, contenimento del lavoro pubblico, enfasi del mercato, privatizzazioni. Si tratta di una filosofia di stampo liberista antitetica a quello di cui ci sarebbe bisogno: maggiore intervento e regia pubblica, maggiori investimenti pubblici, una spesa pubblica intelligente e innovativa;
    il DEF 2014 nella sezione del Programma nazionale di riforme continua a porre per il nostro Paese per la strategia Europa 2020 (aumento dell'occupazione, riduzione abbandono scolastico, aumento investimenti innovazione e ricerca, energie rinnovabili ecc) obiettivi decisamente inferiori rispetto ai target europei: il Governo nel DEF evidenzia una assoluta disattenzione verso questi obiettivi, cosa particolarmente grave alla vigilia dell'assunzione della presidenza del semestre europeo;
    nel DEF 2014 «non è presente alcun piano di investimenti pubblici», che in 20 anni sono passati dal 3 per cento al 1,5 per cento del PIL; il DEF 2014 non dà alcun segno di inversione di tendenza; nel DEF 2014 non ci sono segno di una minima e attendibile politica industriale, di cui il Paese avrebbe drammaticamente bisogno;
    nel DEF 2014 si sottovalutano gravemente la potenzialità e l'impatto dell'utilizzo dei fondi europei 2014-2020, soprattutto alla luce della stroncatura – non segnalata nel DEF – della Commissione europea che ha svolto 351 osservazioni all'accordo di partenariato e che ha messo in forse l'utilizzo dei 32 miliardi di fondi europei previsti;
    il DEF 2014 prevede per i prossimi anni una riduzione sostanziale della spesa per il welfare, la sanità e la scuola. Il DEF prevede che nei prossimi 15 anni la spesa per la scuola passi dal 4 per cento al 3,4 per cento, la sanità dal 7,3 per cento al 7,1 per cento (nonostante la prevedibile crescita di richiesta di servizi visto l'aumento demografico), mentre la spesa socio-assistenziale rimarrà al 1,1 per cento, nonostante sia tra le più basse in Europa;
    alcune delle misure prospettate nel DEF 2014 – non incidendo sul giudizio di fondo negativo sulla filosofia, l'impostazione e le linee direttrici del DEF – rappresentano delle novità da considerare e valutare attentamente anche per come saranno effettivamente realizzate, in base ai provvedimenti attuativi ancora mancanti (come nel caso del decreto sull'Irpef). In particolare:
     la diminuzione dell'incidenza dell'irpef sui redditi bassi per alcune categorie di lavoratori. È la prima volta dopo anni che si interviene fiscalmente a favore del lavoro dipendente. Va ricordato però che l'impatto di questa misura rischia di essere vanificato e riassorbito dall'aumento della Tasi, dalla cancellazione delle detrazioni per i coniugi a carico e per i dipendenti pubblici dal blocco della contrattazione per altri tre anni; inoltre va ricordato che – come riferito in molte delle audizioni in Commissione Bilancio – l'impatto di questa misura sulla domanda sarà assai modesta;
    il pagamento ulteriore di debiti della PA, iniziato con il Governo Monti e proseguito con il Governo Letta è di fatto già previsto;
    il tetto alle retribuzioni dei manager pubblici, che però non comprende le società quotate;
     l'aumento della tassazione a carico delle banche relativa all'incremento del valore delle quote azionarie possedute dagli istituti di credito nel capitale della Banca d'Italia, beneficiati da un provvedimento che, votato dall'attuale maggioranza che sostiene questo Governo, ha costituito una sorta di «aiuto di Stato» al sistema bancario;
     l'aumento della tassazione sulle rendite finanziarie, che però essendo legato alla riduzione dell'Irap andrà a favore delle imprese e non avrà alcun effetto redistributivo, come ci si potrebbe attendere da un provvedimento di tale natura;
     l'attenzione al credit crunch e l'incremento del Fondo di garanzia a favore delle PMI;
     e al potenziamento dei servizi all'infanzia per stimolare il lavoro femminile, in un contesto – va ricordato – di riduzione complessiva degli stanziamenti per la sanità, la scuola, il welfare e della continuazione di provvedimenti ampiamente criticati e falliti come il «credito per i nuovi nati»;
     il piano casa (1,3 miliardi) ed il piano di edilizia scolastica (2 miliardi) (occorre peraltro rilevare che molte delle relative coperture sono incerte); anche se rimangono sostanzialmente irrisolti i problemi relativi al funzionamento delle strutture scolastiche, tra cui i servizi di pulizia e manutenzione;
    nel DEF sono contenuti errori econometrici, il quadro macroeconomico è sottovalutato, costi e voci di spesa sono sottostimati o non compaiano, le coperture sono incerte e ottimistiche;
    il modello preso a riferimento è quello della Germania basato sul traino delle esportazioni e sulle riforme istituzionali e del mercato del lavoro; si vuole operare per mezzo della svalutazione interna e della precarizzazione;
    ma i dati dimostrano che la deregolazione del mercato del lavoro non crea solo precarietà e perdita di diritti, ma anche perdita di produttività e quindi perdita di capacità di crescita; questa svalutazione del lavoro presuppone imprese di basso valore, che invece di innovare scaricano tutti i costi della competizione internazionale sul lavoro; così facendo ci si rassegna al declino industriale del nostro Paese;
    nei dati del DEF la produttività del lavoro conosce un salto dal 2014 in poi (+1 per cento del Pil nel 2014 e poi ogni anno in media + 0,8 per cento del Pil); da dove deriva effettivamente questa crescita impetuosa della produttività non viene spiegato, tenendo anche conto che la dinamica della produttività è «zero» dal 2000 al 2013. Non sembra che nel nostro Paese ci sia un salto nelle tecnologie produttive tale da indurre questi incrementi, né si possono attribuire alla liberalizzazione nel mercato del lavoro: l'esperienza storica e quella attuale, ad esempio spagnola, insegnano tutt'altro;
    tagliare le imposte e insieme la spesa nello stesso ammontare non determinerà l'atteso aumento della domanda interna; è più probabile anzi che la possa ridurre, visto che buona parte della spesa pubblica è domanda corrente, mentre il potere d'acquisto delle famiglie potrebbe essere momentaneamente accantonato come risparmio. E occorre essere chiari su un altro punto: l'efficientamento della spesa pubblica è un obiettivo doveroso, va intrapreso con decisione al fine di migliorare la qualità dell'intervento pubblico, liberare risorse da destinare agli investimenti e ridurre il peso dell'imposizione; ma ai fini del rilancio della domanda nel breve periodo la distinzione tra spesa pubblica produttiva e improduttiva (qualunque sia la definizione per quest'ultima) è quasi irrilevante. Anche la spesa pubblica meno produttiva consiste infatti di acquisti di beni e servizi da imprese, di pagamento di stipendi, di trasferimenti alle famiglie o alle imprese, che contribuiscono alla domanda interna;
    ma il rilancio della domanda nell'immediato richiederebbe ben altro, a cominciare da un allungamento consistente del sentiero di convergenza al pareggio di bilancio. La considerazione di questa strada è, per il momento, rimandata. E se le famiglie pensassero che si tratta di una mera operazione elettorale, è chiaro che i soldi in più li metterebbero da parte senza spenderli;
    lo shock positivo sull'economia sarà di portata limitata (come d'altronde ammette lo stesso Governo) perché quegli 80 euro in più in busta paga verranno coperti da tagli di spesa, ed anche da altre tasse. Da una parte si immette più denaro nell'economia, dall'altra lo si sottrae ad altri lavoratori e ad altre imprese. Nel migliore dei casi ci sarà un effetto neutro;
    lo stesso Governo si tiene basso: l'effetto netto è previsto in un + 0,2 per cento di crescita del Pil nel triennio 2014-2016 (+ 0,1 per cento nel 2014). Per il 2017-2018 le previsioni appaiono molto più ottimistiche con una crescita dei consumi e del Pil al 2 per cento. Secondo il documento, la riforma del mercato del lavoro e le semplificazioni-liberalizzazioni dovrebbero portare ad una crescita del Pil del 1,4 per cento;
    si prevede un balzo del Pil in 5 anni (2014-2018) del 7,45 per cento, un tasso di crescita superiore persino a quello registrato negli anni del «boom» 2003-2007 (6,5 per cento);
    ma l'export non sembra garantire tale trend: 2013: + 0,1 per cento, gennaio 2014 su dicembre 2013: -1,5 per cento; il DEF prevede nel 2014 un aumento delle esportazioni del 4 per cento e nel periodo 2014-2018 addirittura del 20,8 per cento (nel periodo del «boom» 2003-2007 l'aumento dell'export è stato del 23 per cento);
    altre perplessità derivano dal previsto boom degli investimenti; intanto l'attuale produzione industriale registra un - 25 per cento rispetto al 2007, non a caso, perché senza domanda si assiste ad un crollo degli investimenti (infatti: 2008: - 3,7 per cento, 2009: - 11,7 per cento per cento, 2010: + 0,6 per cento, 2011: - 2,2 per cento, 2012: - 8,0 per cento, 2013: - 4,7 per cento); il DEF invece prevede nel 2014 un incremento degli investimenti del 2 per cento, e nel periodo 2014-2018 del + 16,2 per cento circa (investimenti durante il «boom» 2003-2007: + 7,2 per cento); anche in questo caso si attendono spiegazioni convincenti;
    per gli investimenti delle pubbliche amministrazioni non ci sarà alcun rilancio, almeno in termini di spesa complessiva, ma c’è da aspettarsi piuttosto un'ulteriore flessione. È quanto si legge nel DEF alla voce del rapporto investimenti fissi lordi/Pil: nel 2013 questo valore si è fermato all'1,7 per cento, peggio di quanto fosse previsto dai Governi Monti e Letta (1,8 per cento), mentre la previsione 2014 lo colloca all'1,6 per cento, poi all'1,5 per cento nel 2015 e 2016, all'1,4 per cento nel 2017 e 2018;
    colpisce la riduzione degli investimenti nel 2013, con una caduta dell'ordine del 10 per cento, da 29.979 a 27.132 milioni di euro; la riduzione prevista dal Def riguarda anche i valori assoluti degli investimenti fissi lordi, che nella gran parte sono lavori infrastrutturali. Anche qui la tendenza è tutta in discesa: dai 25.730 milioni del 2014 ai 24.835 del 2015 ai 24.453 del 2016, per poi accennare a una leggera risalita nel 2017 (24,857) e nel 2018 (25,019). Dal 2011, quando gli investimenti fissi lordi ammontavano a 31.907 milioni, al 2014, si sono persi circa 6,1 miliardi di investimenti annui, circa il 20 per cento;
    la spesa in conto capitale del settore pubblico arranca ormai da decenni, con un'accelerazione della caduta nell'ultimo quinquennio. II rapporto investimenti fissi lordi/Pil era del 3,5 per cento nel 1981, quando la politica di debito pubblico era centrale, per poi scendere al 3,1 per cento nel 1991 e al 2,4 per cento nel 2001. Sceso via via al 2 per cento, fu il Ministro Giulio Tremonti negli anni scorsi a prevedere un ulteriore scalino verso il basso all'economia dal 2 all'1,7 per cento, avendo largamente teorizzato la necessità di aprire l'era delle «infrastrutture finanziate da privati». Anche il Governo Renzi prova a rilanciare nel DEF il Project financing come strumento di finanziamento dei privati alternativo a quello pubblico, immaginando anche misure di accorpamento delle concessioni e di efficientamento dei lavori da realizzare. Ma i risultati del recente passato non autorizzano al riguardo nessun facile ottimismo;
    il totale delle risorse a disposizione del Quadro di coesione e sviluppo per il ciclo 2014-2020 ammonta a circa 130 miliardi di euro di cui il 20 per cento alle regioni più sviluppate, il 4 per cento alle regioni in transizione e il 76 per cento alle regioni meno sviluppate, salvo la quota riservata alle amministrazioni centrali dello Stato. Tali fondi, peraltro, vista la necessità dello Stato italiano di operare costanti tagli in particolare sulla spesa pubblica, costituiscono gli unici strumenti certi per il finanziamento alle politiche di sviluppo e alla lotta contro la disoccupazione nei prossimi anni;
    in proposito è particolarmente critico e imbarazzante il giudizio (con numerosissimi rilievi, 351 per l'esattezza) che la Commissione europea ha espresso sullo schema di Accordo di partenariato trasmesso dall'Italia a Bruxelles lo scorso 10 dicembre;
    anche con il DEF 2014 il nuovo Esecutivo ha confermato la sua politica di totale disimpegno nei confronti di un'area del Paese, il Mezzogiorno, che con la sua produzione contribuisce ad un quarto del PIL nazionale, dimostrando in tal modo di sottovalutare la dimensione nazionale e le ricadute della questione meridionale e l'impossibilità per una nazione di mantenere la propria unità se parti di essa procedono a velocità diverse, accentuando fra loro il disequilibrio;
    il documento è infatti privo di misure programmatiche di sviluppo orientate verso quei territori che registrano una dinamica di crescita complessivamente ancora debole rispetto a quella delle altre aree del Paese, limitandosi piuttosto ad enunciare, in maniera anche disorganica, gli effetti di disposizioni per il sud adottate dai precedenti Governi;
    il DEF 2014 risulta quindi essere totalmente manchevole rispetto alle aspettative di quei territori, non fornendo alcuna indicazione strutturale e non individuando alcuna forma aggiuntiva di finanziamento per sostenere l'attuazione di un improcastinabile piano straordinario per il Mezzogiorno che sia orientato, in primis, all'adeguamento e allo sviluppo della sua rete infrastrutturale, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord-Sud e Est-Ovest e per agevolare i flussi turistici, facendo in tal modo candidare l'intera area, fisicamente e storicamente proiettata nel Mediterraneo, a zona di libero scambio;
    sarebbe quindi auspicabile che il nuovo Governo faccia un'inversione di rotta e ricomprenda nella sua agenda politica e nella sua compagine governativa le istanze e le energie delle tante forze vive presenti nel tessuto sociale ed imprenditoriale del Mezzogiorno, al fine di farle emergere ed esprimersi nei contesti internazionali e sui mercati con maggiore facilità, senza rimanere penalizzate, come troppo spesso oggi accade, da fattori di contesto;
    d'altra parte, nel corso degli anni le politiche per il Mezzogiorno hanno oscillato tra due paradigmi, quello assistenziale e quello compensativo, in funzione della diminuzione più o meno graduale del gap con il centro-nord, e che si sono rivelati fallimentari e non premianti;
    sarebbe auspicabile una riforma della governance dei fondi strutturali europei, divenuti un volano di crescita per molti paesi, per un utilizzo più oculato, consapevole e meno dispersivo degli stessi;
    sul versante della formazione i sistemi scolastico ed universitario del meridione esprimono professionalità con buoni livelli di qualifica che il tessuto produttivo locale non riesce però ad assorbire e valorizzare adeguatamente, relegando molti giovani alla condizione di dover scegliere fra l'emigrazione e l'inattività;
    molto ottimistiche risultano le previsioni del Def sui consumi delle famiglie che nel periodo 2014- 2018 dovrebbero aumentare del 5,6 per cento;
    i numeri dunque non tornano: il Def annuncia manovre restrittive ma non ne calcola l'impatto sulla crescita;
    infatti, secondo le previsioni del Def per il periodo 2014-2018 le entrate sono sostanzialmente stabili, i tagli alla spesa per il personale dovrebbero essere del 12 per cento, delle pensioni del 3 per cento, degli investimenti pubblici del 12 per cento, mentre l'avanzo primario dovrebbe salire dal 2,2 per cento del Pil del 2013 al 4,4 per cento nel 2018;
    il documento esprime dunque continuità con le politiche neo-liberiste e di austerità degli ultimi anni, una strategia politico-economica che punta a crescita ed all'incremento dell'export con ulteriori tagli, precarietà, liberalizzazioni e privatizzazioni;
    il Governo ha prospettato il raggiungimento del pareggio di bilancio strutturale nel 2016, politica che deprimerà ulteriormente una domanda ed un'economia già asfittiche e del cui impatto non si tiene minimamente conto nel Def;
    il livello della pressione fiscale non varia di molto, ed è pari al 44 per cento del Pil per il 2014, in leggero calo rispetto al 44,2 per cento stimato dal «Documento programmatico di bilancio» del Governo Letta. Nessuna variazione nel 2015, con un modesto profilo discendente nel periodo successivo:
     43,7 per cento nel 2016;
     43,6 per cento nel 2017;
     43,7 per cento nel 2018.
    nel frattempo Banca d'Italia registra a febbraio una netta ulteriore flessione su base annua dei prestiti al settore privato (- 5,1 per cento per i crediti alle imprese, -1,2 per cento per le famiglie);
    si prevedono circa 11,2 miliardi di privatizzazioni annui già nel 2014 a decremento dello stock del debito, somma difficilmente raggiungibile almeno che non si faccia intervenire (ma si tratterebbe di un trucco contabile) la Cassa depositi e prestiti;
    gli effetti sociali ed economici delle politiche di austerità stanno compromettendo anche gli obiettivi di consolidamento fiscale, a partire dalla riduzione del debito che continua, infatti, ad aumentare;
    nel 2014 l'indebitamento netto è previsto attestarsi al 2,6 per cento del Pil per poi scendere all’ 1,8 per cento nel 2015 e allo 0,9 per cento nel 2016. Il dato del deficit 2014 si deve ascrivere per - 0,3 per cento a minori entrate fiscali, e a - 0,2 per cento punti a una diminuzione delle entrate non fiscali. È stata contabilizzata anche la riduzione per circa 3,2 miliardi (lo 0,2 per cento del Pil) di minori spese per interessi, grazie alla discesa dello spread e a un profilo dei tassi più favorevole rispetto allo scenario ipotizzato lo scorso settembre (Nota di aggiornamento del Def 2013) dal Governo Letta;
    nel 2013 la Commissione UE aveva chiesto all'Italia di «conseguire e mantenere l'obiettivo di medio termine (il pareggio di bilancio strutturale) a partire dal 2014». Il DEF 2013 lo aveva «promesso» per il 2015, adesso slitta al 2016;
    il rapporto debito/Pil salirà dal 133 per cento del 2013 al 135 per cento del 2014 (per via del pagamento per ulteriori 13 miliardi di debiti della Pubblica Amministrazione), per poi, nelle previsioni, decrescere lentamente negli anni successivi;
    si sarebbe potuto tenere conto, a ridurre la crescita annua del debito, della componente corrispondente ai «profitti» della Banca d'Italia, ovvero degli introiti annui che derivavano allo Stato dal potere di battere moneta e da altre entrate ancora oggi collegate alle funzioni pubbliche della banca centrale nazionale; tali introiti, tuttavia, dopo essersi ambiguamente accumulati per molti anni nei bilanci della banca centrale, sono serviti a inizio anno per ricapitalizzare la stessa Banca d'Italia e sono stati privatizzati, prevedendo che la stessa banca centrale li paghi come dividendi ai soci, pur entro un limite nell'ordine dei 450 milioni annui (cfr. la legge n. 5 del 2014);
    il Def si basa su un modello economico palesemente disfunzionale il quale rappresenta la vera causa della crisi e che andrebbe, più che proseguito o ammorbidito, rigettato una volta per tutte;
    il Governo ha promesso di tagliare di 80 euro in media le lasse sulle buste paghe per i redditi da lavoro dipendente fino a 25mila euro; per i dipendenti pubblici questa misura non copre che in maniera del tutto parziale i tagli subiti dal non rinnovo dei contratti di lavoro che si prolunga da anni. Secondo stime sindacali, alla fine del 2014, a causa del blocco dei contratti in vigore dal 2010, i dipendenti pubblici avranno perso in media 240 euro al mese di potere d'acquisto (circa 3.100 euro annui); peraltro pur avendo il Governo smentito il blocco della contrattazione per il pubblico impiego fino al 2020 (in pratica, si deciderà più avanti), rimane confermato il blocco già deciso fino al 2017;
    ma si tenga conto – al di là del problema delle coperture indicate – che l'articolo 5 del disegno di legge delega «Jobs Act», recante delega al Governo in materia di maternità e conciliazione, al comma 2, lettera c), contiene il seguente principio direttivo: «c) abolizione della detrazione per il coniuge a carico ed introduzione del tax credit, quale incentivo al lavoro femminile per le donne lavoratrici, anche autonome, con figli minori e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare»; in pratica, si tolgono dagli 800 ai 690 euro annui alla stessa fascia di lavoratori ai quali si è promesso uno sconto fiscale di 1.000 euro. Nel Mezzogiorno questa misura sarà poi particolarmente pesante; la versione definitiva del Jobs Act parla più pudicamente di: «armonizzazione del regime delle detrazioni per il coniuge a carico», ma la sostanza non cambia;
    inoltre le nuove tasse – ha calcolato la UIL in un suo «focus» – mangeranno nei prossimi otto mesi oltre il 40 per cento del bonus degli 80 euro previsti dal governo Renzi. Se con una mano – si legge – il contribuente beneficerà dell'aumento mensile con l'altra dovrà tirare fuori 35 euro in più al mese rispetto allo scorso anno tra l'introduzione della Tasi e le addizionali Irpef regionali; la UIL ha calcolato che il lavoratore dipendente medio si troverà in tasca 640 euro in più ai quali però dovrà sottrarre 278 euro (Tasi più addizionali comunali Irpef) per un totale di 362 euro. Ciò significa la riduzione al 56 per cento dei benefici;
    secondo l'economista Tito Boeri, se il Governo vorrà poi ampliare l'operazione agli incapienti, 4 milioni di persone, dovrà trovare altri 4 miliardi, mentre parrebbe assurdo – come è stato ipotizzato – dare di meno (25 euro mensili) a chi ha di meno; altri milioni di pensionati, lavoratori autonomi e partite Iva (che spesso nascondono lavoro subordinato) sono comunque esclusi da questo provvedimento anche se molti di loro hanno redditi di pura sopravvivenza;
    lo sgravio fiscale di quest'anno peserà 6,6 miliardi (10 miliardi annui a regime) e sarà garantito da tre voci diverse:
     4,5 miliardi di tagli di spesa;
     circa un miliardo di prelievo supplementare dagli istituti di credito sul guadagno di 7 miliardi registrato a seguito dell'aumento delle loro quote azionarie in Bankitalia;
     circa un miliardo del maggior gettito IVA prodotto dal pagamento degli arretrati della Pubblica amministrazione alle imprese.
    Quest'anno si tratta di otto mesi, ma a regime occorreranno dieci miliardi e mezzo, e questo significa che si inciderà su capitoli molto importanti di spesa sociale; le coperture indicate sono molto problematiche. Innanzitutto circa 2,2 miliardi derivano da misure una tantum per finanziare un taglio di tasse che invece è permanente. Tra le una tantum, la scelta di raddoppiare la tassazione sulla plusvalenza determinatasi in capo ai maggiori gruppi bancari per la rivalutazione delle quote di Bankitalia; a fronte del vantaggio ricevuto, l'imposta inizialmente prevista era francamente troppo esigua. Ma occorre ricordare che la Commissione europea ha aperto un'indagine per capire se la rivalutazione delle quote azionarie di Bankitalia in possesso dei nostri istituti di credito non configuri un aiuto di Stato. Dunque, questa copertura è ad alto rischio qualora la Commissione Ue bocciasse la rivalutazione delle quote azionarie;
    se poi le banche realizzassero la loro plusvalenza rivendendo le proprie azioni alla stessa Banca d'Italia (come previsto dal decreto legge relativo), quindi girando al Tesoro parte del ricavato, in base alle regole europee questo potrebbe configurare un finanziamento monetario del deficit: un ritorno agli anni ’70, la violazione più radicale delle regole a fondamento dell'euro;
    le entrate dell'IVA legate alla liquidazione dei debiti della Pubblica amministrazione per 13 miliardi aggiuntivi rispetto a quelli già preventivati non rappresentano nuove risorse, ma solo l'anticipo di ciò che sarebbe successo in futuro quando quelle fatture sarebbero comunque state pagate. In altri termini, si sta spostando una posta di bilancio da un anno all'altro e si creerà dunque un ammanco equivalente nei prossimi esercizi;
    si prevedono, nell'ambito della cosiddette «spending review» tagli per 4,5 miliardi nel 2014, 17 nel 2015 e 32 miliardi a decorrere dal 2016 a regime (da chiarire se sono aggiuntivi a quelli già previsti dal Governo Letta o se li assorbono); i sindacati si sono detti preoccupati per il fatto che le coperture si appoggiano solo sulla spending review: essi temono che per fare cassa si realizzino i soliti tagli lineari al welfare ed ai servizi sociali;
    infatti, all'interno del PNR è riportato l'impatto finanziario delle riforme che verranno intraprese nei prossimi anni con l'indicazione nell'area di policy «lavoro e pensioni» un risparmio di un miliardo e 548 milioni nel 2014 e di un miliardo e 731 milioni a partire dal 2015, senza un'indicazione precisa della provenienza di tali entrate se non una mera registrazione dell'esito dei provvedimenti già approvati, senza alcuna indicazione per il futuro;
    sarebbe particolarmente grave se i risparmi della spending review venissero da tagli alla sanità. I risparmi e le riduzioni di spesa nella sanità dovranno essere utilizzati per eliminare i ticket e accorciare le liste d'attesa;
    sembrerebbe, secondo le prime stime della Ragioneria, che almeno 3 di quei 4,5 miliardi siano già impegnati da misure previste nell'ultima manovra del Governo Letta. Se questi calcoli della Ragioneria fossero esatti, i 10 miliardi di tagli permanenti all'Irpef sono coperti in maniera permanente solo per 1,5 miliardi;
    il resto sono provvedimenti una tantum e misure incerte, con l'obbligo quantomeno di triplicare i tagli dal 2015 (a prescindere dall'entrata in vigore del Fiscal Compact per la parte concernente la riduzione annuale di un ventesimo del differenziale tra la percentuale dello stock del debito ed il 60 per cento; 135-60/20 = 3,75 per cento del Pil, ossia circa 50 miliardi);
    per quanto concerne il taglio dell'Irap del 5 per cento (900 milioni) questo anno e del 10 per cento l'anno prossimo, esso sarà finanziato dall'aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento, che, in realtà, copre tale agevolazione solo fino al 5 per cento; inoltre, la misura massima di incremento riconosciuta l'anno scorso come copertura dal Servizio Bilancio della Camera e dalla Ragioneria (oltre, gli investitori preferirebbero altre tipologie d'investimento riducendo così la base imponibile e determinando un decremento del gettito atteso) è di 3 punti percentuali (23 per cento). Appare dunque problematico l'aumento dell'aliquota al 26 per cento;
    i dubbi sulle coperture fanno nascere l'ipotesi di una manovra correttiva nel prossimo autunno;
    si prevede una nuova tranche di 13 miliardi nel 2014 (7 meno rispetto alle prime ipotesi di Def) per il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. Non si capisce se saranno sufficienti per smaltire tutto l'arretrato (la cui quantificazione non è peraltro certa). Anche i tempi dell'operazione non sono chiari; così come non è chiaro se si pagheranno anche i debiti dovuti a spese in conto capitale che per le regole di bilancio entrano nel budget della Pubblica amministrazione al momento dell'effettivo pagamento incidendo dunque non solo sul debito come le spese correnti (già iscritte a bilancio per competenza) ma anche sull'indebitamento (deficit);
    mentre nella «spending review» il Governo promette una riduzione di 300-500 milioni nel bilancio della difesa – senza dire nulla sugli F35 –, mentre l'Italia sta assumendo nella Nato crescenti impegni che portano a un inevitabile aumento della spesa militare, diretta e indiretta;
    all'interno del documento manca del tutto una proposta di politica energetica e ambientale che garantisca il forte impegno dell'Italia per un'economia e una società low carbon, tale da garantire un'azione efficace di contrasto dei cambiamenti climatici attraverso obiettivi di riduzione dei gas-serra e di spinta verso una economia a impatto sostenibile che incentivino in maniera decisa lo sviluppo delle fonti rinnovabili e gli interventi di efficienza energetica a livello nazionale;
    il rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), presentato il 31 marzo scorso a Berlino riporta dati allarmanti, e richiama l'attenzione sulle opportunità economiche che tutti i governi devono cogliere ora per affrontare il cambiamento climatico, a livello globale. Le emissioni, causate principalmente dalla combustione di carbone, petrolio e gas naturale, devono essere tagliate del 40 per cento, per giungere al 70 per cento entro la metà del secolo, in modo da avere almeno il 50 per cento di possibilità di sfuggire alle peggiori conseguenze del riscaldamento globale. Più si ritarderanno le politiche di mitigazione, maggiori dovranno essere gli sforzi e i costi della riduzione delle emissioni. Per raggiungere questi obiettivi bisognerà triplicare o quadruplicare le fonti di energia a basso impatto, come l'energia solare o quella rinnovabile. È necessario, quindi, rendere disponibili al più presto nuove tecnologie nella produzione di energia pulita in tutto il mondo pena un aumento continuo delle temperature globali;
    secondo il rapporto IPCC in Europa, la regione mediterranea è quella che risentirà più di tutte dei cambiamenti climatici a causa dei notevoli impatti attesi sul turismo, sull'agricoltura, sulle attività forestali, sulle infrastrutture, sull'energia e sulla disponibilità di acqua che costituirà il fattore limitante per la produzione agricola, Sono in aumento i rischi di inondazioni, di erosione costiera e di danni alle infrastrutture già con l'attuale livello di climate change (+0.61oC per cento rispetto al periodo preindustriale) mentre le misure di mitigazione possono ridurre il rischio entro limiti accettabili;
   considerato che:
    dalla crisi si esce solo con la fine delle politiche di austerità, con politiche espansive ed un nuovo intervento dello Stato; d'altronde il precedente della crisi del ’29 parla chiaro, le alternative sono due; o il New deal rooseveltiano oppure i fascismi europei; oggi o con un green new deal europeo oppure con le politiche della destra populista che sta crescendo in tutta Europa;
    servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, indicando le policy tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti. L'asse portante è quello di «Europa 2020», a cui dovrebbe far seguito un bilancio pubblico europeo coerente e sganciato dai trasferimenti degli Stati. Servirebbe un bilancio pubblico europeo non inferiore al 4 per cento del Pil europeo, una imposta europea capace di finanziare il bilancio pubblico senza mediazione degli Stati, degli investimenti (eurobond) tesi a industrializzare la così detta green economy, il ripristino della piena e buona occupazione come orizzonte della società europea;
    in attesa di un riordino normativo europeo teso a promuovere lo sviluppo e la buona occupazione via autonomo bilancio pubblico europeo con una imposta sul valore aggiunto, il Governo italiano, in ambito di semestre europeo, potrebbe sostenere delle misure una tantum per i governi dell'area euro, con il concorso della BCE, tese a rilanciare lo sviluppo via investimenti che anticipano gli obiettivi europei di 20-20-20;
    in particolare, si dovrebbe operare uno scorporo di alcune tipologie di spese e di investimenti dal calcolo dei saldi validi al fine del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Tale scorporo, più volte proposto da autorità politiche ed esperti economici in Italia e in Europa, permetterebbe una ripresa della domanda pubblica che è necessaria – in assenza di un'adeguata dinamica della domanda per consumi, investimenti ed export – per condurre l'economia fuori dall'attuale depressione. Gli investimenti nei suddetti settori sono rilevanti in primo luogo per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del Pil e quindi un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi di Europa 2020 in una varietà di campi sociali e ambientali,

impegna il Governo

   in applicazione del secondo comma dell'articolo 81 della Costituzione, in considerazione del persistere, anzi dell'aggravarsi degli effetti del ciclo economico negativo che si protrae ormai da troppi anni, a farsi promotore in sede europea della necessità di ricorrere, a causa del possibile pericolo di deflazione, ad un congruo indebitamento a sostegno di una seria e condivisa programmazione di politiche di crescita;
   a proporre una Conferenza sul debito che ricalchi quanto deciso nel 1953 sulla Germania, cui vennero condonati i debiti di guerra, prevedendo l'europeizzazione del debito che eccede il 60 per cento del Pil;
   a proporre un piano europeo per l'occupazione (un green new deal) il quale stanzi almeno 100 miliardi di euro l'anno per 10 anni per dare occupazione ad almeno 5-6 milioni di disoccupati o inoccupati (di cui un milione in Italia): tanti quanti sono quelli che hanno perso il lavoro dall'inizio della crisi, dando priorità a interventi che rispettano il diritto ad un ambiente sano e integro, al contrario di quanto fanno molte grandi opere che devastano il territorio e che creano poca occupazione, agevolando la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili, la creazione di un'agricoltura biologica e multifunzionale, il riassetto idrogeologico dei territori, la valorizzazione non speculativa del patrimonio artistico, il potenziamento dell'istruzione e della ricerca, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, la riforma e il rinnovamento della Pubblica amministrazione e del welfare, l'innovazione e la sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese, eccetera);
   a scorporare nel bilancio delle Pubbliche amministrazioni gli investimenti pubblici relativi ai settori sottoelencati dal computo dell'indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni rilevante per i vincoli dei Trattati europei:
   a) pubblica istruzione, università, ricerca;
   b) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
   c) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
   d) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
   e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
   f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
   g) potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
   h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
   a verificare in parallelo la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi anche negli altri paesi dell'Eurozona – siano finanziati a livello europeo per consentire all'insieme dell'Unione di uscire dal ristagno economico proponendo:
   a) la concessione di crediti da parte della Bce al tasso d'interesse più basso, riservata a istituzioni finanziarie pubbliche – in Italia la Cassa Depositi e Prestiti – impegnate a realizzare il programma di investimenti pubblici necessario all'uscita dalla crisi;
   b) l'emissione di titoli garantiti dall'Eurozona finalizzati alla realizzazione di tali investimenti;
   c) l'emissione di liquidità in modalità non convenzionali da parte della Bce a copertura di tale programma d'investimenti;
   ad attivarsi in sede europea per il superamento di tutti i trattati e regolamenti che imponendo rigide regole di bilancio sono causa delle politiche di austerità ed a promuovere politiche, misure e strumenti di politica economica, fiscale e di spesa, di carattere espansivo a favore dell'occupazione, dello sviluppo sostenibile, del welfare;
   a prevedere altresì adeguamenti pensionistici, a partire dalle fasce più deboli, al fine di un aiuto e un sostegno concreti per fronteggiare i continui aumenti delle tariffe e dell'imposizione fiscale diretta e indiretta;
   a modificare la controriforma delle pensioni Fornero e risolvere il problema per tutti i cosiddetti «esodati», ad iniziare dai 4000 dipendenti scolastici («quota 96») che da oltre due anni chiedono di poter accedere al trattamento pensionistico sia di vecchiaia che di anzianità, in merito ai quali la Risoluzione 8-00042 approvata dalle Commissioni V e XI della Camera impegnava il Governo a reperire, nell'ambito del DEF 2014, le risorse necessarie;
   ad escludere categoricamente qualsiasi intervento sulle pensioni tantomeno su quelle impropriamente definite «d'oro» relative a redditi che non superano i duemila e cinquecento euro lordi mensili;
   a sostenere con determinazione la politica dell'Unione europea perché si impegni entro l'inizio del 2015 a realizzare una riduzione dei gas serra al di sotto del 40 per cento rispetto ai limiti del 1990, nell'ambito dei negoziati internazionali per un nuovo accordo mondiale sul clima, che si concluderanno a Parigi alla fine del 2015;
   a prevedere una efficacie strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici attraverso la immediata elaborazione di piani di mitigazione che siano adeguati alle ultime conoscenze in materia di emissioni di gas serra e di mezzi per contenere l'incremento della temperatura media del pianeta contenute nell'ultimo rapporto IPPC sui cambiamenti climatici;
   a garantire che il piano energetico nazionale preveda la centralità delle fonti energetiche rinnovabili e che le linee guida e le incentivazioni in esso contenute siano coerenti e conformi con le reali esigenze del Paese, attraverso la necessaria modifica della Strategia Energetica Nazionale (SEN) per adeguarla agli obiettivi definiti, anche a livello europeo, nonché al sostegno, con mezzi idonei ed efficaci, dell'innovazione tecnologica nel campo della produzione di energia da fonti rinnovabili;
   ad aumentare gli sforzi per una maggior efficienza energetica da parte del comparto privato, del comparto pubblico e del comparto industriale, in linea con quanto fatto già dall'industria europea in termini di investimento e realizzazione in questo settore e al fine di ridurre il fabbisogno energetico;
   ad intervenire comunque, in considerazione della pesante crisi in cui è immerso il nostro Paese, con le seguenti misure nazionali per uscire dalla recessione e promuovere un modello di politica economica che faccia leva prioritariamente sullo sviluppo della domanda interna e rilanci l'occupazione:
   a) una spesa pubblica aggiuntiva di 20-30 miliardi di euro per i prossimi due-tre anni, in particolare per promuovere un Piano straordinario per il lavoro, con entrate da fonti che non riducono il reddito del Paese;
   b) il pieno utilizzo delle somme relative al quadro di coesione e sviluppo 2014-2020 pari a 130 miliardi per le priorità indicate nel presente documento;
   c) la redistribuzione del peso fiscale dai redditi bassi alle rendite ed ai patrimoni che avrebbe un benefico effetto espansivo;
   c-bis) ad innalzare, concordemente a quanto autorizzato dalla decisione 2013/678/Ue del Consiglio dell'Unione europea, a 65.000 euro annui i limiti di reddito per i quali i soggetti di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117 della legge n. 244 del 2007 possono richiedere di aderire al regime fiscale cosiddetto dei minimi;
   d) l'utilizzo dei fondi della CDP che potrebbero finanziare un programma di «piccole opere» di investimenti degli enti locali, restando fuori dal bilancio consolidato delle pubbliche amministrazioni valido per il calcolo dell'indebitamento netto;
   e) la revisione del Patto di stabilità interno per consentire gli investimenti degli enti territoriali;
   f) interventi sulle emergenze sociali quali la proroga delle CIG e delle mobilità in deroga almeno fino alla fine del 2014, il rinnovo dei contratti per i precari della Pubblica amministrazione impiegati in servizi;
   g) attuare un piano straordinario per il lavoro (all'interno o indipendentemente da quello europeo prima proposto) che preveda misure per creare da subito centinaia di migliaia di posti di lavoro veri, qualificati, utili. L'asse di un piano per il lavoro, deve consistere innanzitutto nella messa in sicurezza del nostro territorio e degli edifici scolastici, la cura e la valorizzazione del paesaggio e dei beni culturali, il rilancio di un'agricoltura multifunzionale, la riqualificazione delle città, l'efficienza energetica degli immobili, l'innovazione tecnologica, alla riforma e al rinnovamento della Pubblica amministrazione e del welfare, all'innovazione e alla sostenibilità delle reti (trasporti, energia, digitalizzazione del Paese,...);
   h) la definizione di interventi prioritari di politica industriale, concernenti l'innovazione e la ricerca;
   i) ad approvare un ambizioso piano per la messa in sicurezza del territorio italiano, in termini di sicurezza geologica, idrogeologica ed agro alimentare, in grado di tutelare il territorio ed i suoi abitanti e sviluppare un comparto industriale con potenzialità di volano per l'economia nazionale e elevata qualificazione degli operatori anche per i mercati esteri;
   k) la previsione di un reddito minimo garantito per i soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione; garantire risorse almeno per tutto il 2014 per la CIG in deroga;
   l) ridurre le spese con le seguenti misure:
    1) revisione delle priorità della legge obiettivo (ossia le grandi opere pubbliche): investire le limitate risorse pubbliche disponibili in opere infrastrutturali che siano realizzabili in tempi certi e con modalità sostenibili, sia in termini di vincoli di bilancio, che, soprattutto, dal punto di vista ambientale e sociale, procedendo innanzitutto a riequilibrare le risorse di provenienza pubblica tra quelle destinate alla costruzione di grandi opere e quelle devolute ad un programma di opere pubbliche di piccole e medie dimensioni, con particolare riferimento ad interventi di manutenzione in ambito stradale e ferroviario;
    2) riduzione delle spese militari a partire delle spese per sistemi d'arma (Fregate FREMM e F35); fine della missione militare in Afghanistan;
    3) chiusura dei centri di identificazione ed espulsione (CIE);
    4) uso di software open source per le pubbliche amministrazioni;
    5) riduzione dei costi della politica riducendo i livelli di governo, le auto blu, decurtando le società partecipate dallo Stato e dagli enti decentrati, riducendo il numero dei membri dei relativi CdA e contenendo la proliferazione dei servizi «esternalizzati», riducendo drasticamente le consulenze, provvedendo altresì alla revisione dei compensi per i manager ed i rappresentanti politici, nonché riformando radicalmente le attuali norme per i rimborsi elettorali ai partiti, nonché la progressiva eliminazione del ricorso agli arbitrati per quanto concerne le pubbliche amministrazioni, eccetera;
    a ripensare la «questione meridionale» ricollocandola fattivamente al centro dell'agenda politica come parte di un progetto organico, sistematico e generale per lo sviluppo e la crescita dell'intero sistema paese, anche recuperando, se non si vuole correre il rischio di una desertificazione industriale, quella logica industriale che ha ispirato le politiche di intervento straordinario per il Mezzogiorno del dopoguerra;
    a ridefinire una strategia che migliori l'efficienza delle misure di sviluppo per il Mezzogiorno ponendo maggiore attenzione che nel passato alla qualità delle politiche ordinarie come fattore di sviluppo: sanità e assistenza, istruzione e formazione, giustizia e sicurezza;
    a sviluppare il sistema delle telecomunicazioni ed a provvedere all'ottimizzazione delle linee ferroviarie del Sud, in particolare di quelle capaci di ottimizzare il trasporto pubblico locale, anche al fine di trasferire il trasporto di merci e passeggeri dalla gomma al ferro;
    ad intensificare gli investimenti nel settore della sostenibilità ambientale nel Mezzogiorno, anche attraverso il ricorso alle energie alternative, alla difesa del suolo ed il recupero dei centri storici delle città, fronteggiando al tempo stesso l'emergenza rifiuti e l'emergenza idrica;
    ad introdurre nel nostro sistema tributario, valutati i profili di compatibilità con la disciplina dell'Unione europea, la fiscalità di vantaggio a regime per promuovere l'aggregazione tra le imprese operanti nel Mezzogiorno, al fine di favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale puntando sul rafforzamento dei legami di rete e cooperazione;
    ad incentivare nel Mezzogiorno, anche introducendo nel sistema tributario a regime forme di fiscalità di vantaggio, la creazione di distretti industriali, sistemi produttivi locali e reti di piccole e medie imprese per migliorare le produttività, il tasso di innovazione e il livello di apertura internazionale delle imprese che, singolarmente, non possiedono le capacità di rischio e di investimento necessarie;
    a sostenere, anche in sede europea, la necessità di dedicare risorse per l'istituzione nel Sud di zone franche urbane, al fine di sviluppare nuove logiche di implementazione o di ristrutturazione industriale;
    a prevedere, inoltre, a favore delle regioni ad obiettivo convergenza:
   a) la messa a regime di forme di credito d'imposta automatico sugli investimenti in ricerca, innovazione e formazione, a favore delle imprese disposte ad investire nel Mezzogiorno;
   b) lo sfruttamento del potenziale che ha il Sud per là produzione di energie tramite fonti rinnovabili attraverso il riconoscimento di significative tariffe incentivanti, come attualmente previsto dal V conto energia, ma limitata ai parchi solari su terreni delle pubbliche amministrazioni e sui tetti e le serre fotovoltaiche, per evitare ulteriori speculazioni sui terreni agricoli;
   c) l'avvio di un'innovativa programmazione dei fondi strutturali europei, non solo per accelerare la capacità di spesa, ma anche per migliorarne la qualità e l'efficacia, attraverso la concentrazione degli stessi su alcuni obiettivi, come scuola, formazione, ferrovie, agenda digitale, occupazione, servizi di cura per bambini e anziani, anche attraverso una maggiore responsabilizzazione delle strutture politico-amministrative centrali, con un orientamento ai risultati tramite obiettivi misurabili; e con la concentrazione su alcuni obiettivi prioritari che non dovrà comunque prescindere dall'ammodernamento dell'intera rete infrastrutturale del Sud, presupposto determinante per sfruttarne le potenzialità di piattaforma logistica e di collocamento geo-strategico che ne fanno il crocevia naturale degli scambi internazionali lungo le direttrici Nord Sud e Est Ovest;
   d) un impegno straordinario per sconfiggere la criminalità organizzata e tutti quei fenomeni di illegalità, dal lavoro sommerso alla microcriminalità, che determinano un ambiente sfavorevole agli investimenti ed allo sviluppo;
   sul terreno fiscale:
   a) a rafforzare le misure di contrasto all'evasione;
   b) a prevedere una redistribuzione del carico fiscale dai redditi da lavoro, dal costo del lavoro per le imprese e dalla prima casa alle rendite ed ai patrimoni mediante le seguenti misure:
    la riforma del catasto e il superamento dell'arretratezza del sistema di attribuzione delle rendite catastali;
    l'aumento della progressività dell'imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) prevedendo un'ulteriore aliquota per i redditi complessivi lordi che superano i 90 mila euro annui;
    l'incremento delle detrazioni per lavoro dipendente e carichi familiari e degli assegni familiari;
    l'alleggerimento graduale a favore delle piccole e medie imprese del carico fiscale sui fattori di produzione consentendo loro di dedurre dalla base imponibile IRAP la quota corrispondente al costo del lavoro;
   c) a calmierare il continuo aumento del prezzo dei carburanti introducendo nel nostro ordinamento l'accisa mobile, meccanismo già introdotto con la legge finanziaria del 2008 ma rimasto finora inapplicato, che sterilizza i perversi effetti moltiplicatori degli aumenti del prezzo industriale dei carburanti sull'Iva, al fine di sostenere il potere d'acquisto dei consumatori;
   d) a stabilire l'inclusione nell'imponibile della tassa sulle transazioni finanziarie di tutti i derivati;
   e) a sopprimere molte delle agevolazioni fiscali generiche ed inutili alle imprese;
    ad attuare, infine, nel corso della legislatura, le seguenti indispensabili riforme:
   a) promuovere e sostenere una rapida approvazione di una legge efficace per contrastare i conflitti di interessi;
   b) ripristinare e rafforzare il controllo di legalità in tutto il ciclo economico pubblico e privato in cui tracciabilità e prescrizione sulla regolarità dei procedimenti siano assunti come punti di forza nella lotta alle mafie; limitare le condotte penalmente rilevanti ai fatti realmente gravi e punire con adeguate sanzioni amministrative le condotte illecite che non creano danni o allarme sociale; procedere ad interventi incisivi sulla struttura e i tempi del processo civile, rinforzando inoltre gli strumenti di mediazione non obbligatoria e di risoluzione stragiudiziale delle controversie;
   c) promuovere una legge sulla rappresentanza sindacale; abolire l'articolo 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138; ritirare le disposizioni sui contratti a tempo determinato e sull'apprendistato di cui al decreto-legge n. 34 del 2014, ripristinare la legge n. 188 del 2007, di contrasto al fenomeno delle dimissioni in bianco;
   d) innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, contrasto alla dispersione scolastica specie nel Mezzogiorno; politica del diritto allo studio; incrementare, nell'ambito del piano nazionale della ricerca, l'indicazione di misure volte al raggiungimento degli obiettivi europei relativamente alla percentuale di Pil, che dovrebbe raggiungere il 3 per cento entro il 2020, da investire nella ricerca e nello sviluppo;
   e) ripublicizzazione del servizio idrico, riorganizzazione dei servizi pubblici locali per bacini di utenza;
   f) rafforzare il fondo centrale di garanzia per consentire maggiori finanziamenti alle PMI; stabilire limiti alla distribuzione dei dividendi e dei bonus a manager ed amministratori; introdurre il divieto delle vendite allo scoperto, regolamentare l'utilizzo dei derivati; adottare ogni iniziativa utile alla netta separazione tra le banche d'affari e le banche commerciali;
   g) sviluppo di un vero programma di edilizia abitativa che ponga al centro l'offerta di alloggi di edilizia residenziale da destinare alle categorie sociali svantaggiate nell'accesso al libero mercato degli alloggi in locazione; provvedere a un congruo rifinanziamento della legge n. 431 del 1998 per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione per le fasce sociali più disagiate;
   h) rifinanziamento del fondo rotativo per il finanziamento delle misure finalizzate all'attuazione del Protocollo di Kyoto;
   i) a garantire nella legge di bilancio 2015 l'impegno minimo di aumento dei fondi alla cooperazione allo sviluppo nell'ordine del 10 per cento annuale come previsto dal DEF 2013 e confermato dal DEF 2014, per proseguire nel riallineamento dell'Italia alla media dei Paesi Ocse;
   j) rifinanziamento su base triennale del fondo per la non autosufficienza, incrementando le risorse ad esso assegnate, attualmente del tutto inadeguate, ed incrementare le risorse assegnate al fondo per le politiche sociali, e più in generale, reintegrare i tagli alle risorse per le politiche socio-assistenziali e di sostegno alla famiglia;
   k) incrementare le somme a disposizione del «Fondo per le vittime dell'amianto» previsto dalla Legge finanziaria 2008 (Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1 commi 241-246);
   l) rimettere al centro la cultura e i beni culturali e paesaggistici per favorire la crescita sociale ed economica del Paese. Gli interventi devono riguardare politiche efficaci ed efficienti di tutela, promozione, fruizione e gestione sostenibile del patrimonio culturale italiano; ma anche l'investimento nella produzione culturale e creativa attraverso una progettazione strategica che coinvolga Stato, enti locali, operatori del settore e imprese.
(6-00068) «Migliore, Marcon, Boccadutri, Melilla, Aiello, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Di Salvo, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Matarrelli, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

pareggio del bilancio

finanziamento pubblico

investimento pubblico

rendimento energetico

zona euro

Mezzogiorno

debito