ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/08034

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 378 del 19/02/2015
Firmatari
Primo firmatario: VACCA GIANLUCA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 19/02/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BRESCIA GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
GALLO LUIGI MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
MARZANA MARIA MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
LOMBARDI ROBERTA MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
CHIMIENTI SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
TRIPIEDI DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
COMINARDI CLAUDIO MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015
CIPRINI TIZIANA MOVIMENTO 5 STELLE 19/02/2015


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA delegato in data 19/02/2015
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

SOLLECITO IL 21/10/2015

SOLLECITO IL 26/07/2016

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-08034
presentato da
VACCA Gianluca
testo di
Giovedì 19 febbraio 2015, seduta n. 378

   VACCA, BRESCIA, LUIGI GALLO, MARZANA, LOMBARDI, CHIMIENTI, TRIPIEDI, COMINARDI e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali . — Per sapere – premesso che:
   a partire dall'anno scolastico 2011/12 e ancora nell'anno scolastico 2014/15 l'amministrazione scolastica colloca a riposo d'ufficio le dipendenti donne sul presupposto che tale personale ha maturato entro il 31 dicembre 2011 uno qualsiasi dei requisiti di età e di anzianità contributiva previsti dalla normativa vigente prima della data di entrata in vigore del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, per il conseguimento della pensione di vecchiaia (quindi anche 61 anni di età anagrafica in quanto donna e 20 ovvero 15 anni di anzianità contributiva);
   in applicazione dell'articolo 24, comma 3, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, il diritto alla prestazione pensionistica, secondo previgente normativa, prevedeva il collocamento a riposo d'ufficio per limiti di età dall'inizio dell'anno scolastico successivo alla data di compimento del 65 esimo anno di età;
   i commi 4 e 5 dell'articolo 2 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 riportavano, in seguito, l'interpretazione autentica del comma 3, primo periodo, e comma 4 dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 per chiarire, che le amministrazioni «devono» procedere al pensionamento di tutti i dipendenti che hanno maturato uno qualsiasi dei requisiti di conseguimento del diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011, in tal modo conferendo forza di legge primaria a un dispositivo che era già stato espresso nella circolare n. 2/2013 del dipartimento della funzione pubblica, condiviso dai Ministeri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali;
   sulla base l'interpretazione autentica dell'articolo 24 comma 3 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, di cui all'articolo 2 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, l'amministrazione scolastica, sul presupposto che «un qualsiasi diritto a pensione entro il 31 dicembre 2011» debba riferirsi anche al raggiungimento, per le lavoratrici donne, del requisito dei 61 anni di età con almeno 20 anni di contributi ovvero 15 per chi era in possesso di una qualsivoglia anzianità contributiva al 31 dicembre 1992, sta procedendo ogni anno scolastico successivo all'a.a. 2011/12 a collocare in pensione d'ufficio il personale scolastico femminile al compimento dei 65 esimo anno di età;
   la problematica interpretativa di fondo scaturisce dal fatto che l'amministrazione scolastica cade in un duplice equivoco: da una parte quello di equiparare il diritto inteso come «accesso al trattamento pensionistico» al «collocamento a riposo d'ufficio» concetti sì collegati ma da non confondere, in quanto non coincidenti; e, dall'altra, quello di considerare il requisito della pensione di vecchiaia anticipata a domanda per le sole donne quale requisito che, prescindendo dal conseguimento dell'anzianità contributiva utile al pieno trattamento pensionistico, determina per sé stesso l'applicazione del limite ordinamentale antecedente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011. Errori concettuali e interpretativi, la cui compresenza nella condotta dell'amministrazione scolastica de qua hanno determinato l'ingaggio di atti, prima contraddittori, e poi illegittimi;
   le dipendenti donne che alla data del 31 dicembre 2011 non hanno maturato né la pensione di anzianità – 40 anni di contributi – né quella mista – quota 96, vale a dire 61 anni di età e 35 anni di servizio ovvero 60 di età e 36 di contributi devono sottostare al limite ordinamentale per il collocamento a riposo d'ufficio previsto dalla nuova normativa a decorrere dal 66o anno di età (per la precisione 66 anni e 3 mesi);
   l'aver compiuto 61 anni entro il 31 dicembre 2011, per le donne lavoratrici costituiva un diritto di accesso al trattamento pensionistico facoltativo che poteva esercitare a domanda, anticipando volontariamente la quiescenza, in alternativa alla pensione di vecchiaia (65 anni);
   emerge con chiarezza che un «qualsiasi requisito» di accesso al trattamento pensionistico di cui ai commi 4 e 5 dell'articolo 2 decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 va inteso con riferimento alla pensione di vecchiaia (65 anni entro il 31 dicembre 2011), al raggiungimento «quota» (criterio misto anzianità-vecchiaia) e della pensione anzianità (40 anni), tutti requisiti comuni ai dipendenti uomini e donne;
   il personale scolastico appartenente al genere femminile subisce una, discriminazione rispetto ai colleghi uomini in quanto è cooptata ad andare in pensione e 65 anni anche dopo l'elevazione del limite ordinamentale della pensione di vecchiaia (ad oggi) a 66 anni e tre mesi, stabilito dal decreto-legge n. 201 del 2011 ma applicabile soltanto agli uomini;
   a giudizio dell'interrogante deriva una disparità di trattamento a svantaggio delle dipendenti donne, che, a fronte di una bassa anzianità contributiva, aspirano a permanere in servizio;
   non può trascurarsi, infatti, la necessità di interpretare il diritto interno e comunque di applicarlo in armonia con il quadro normativo europeo;
   è noto che 13 novembre 2008, la Corte di Giustizia delle Comunità europee, con la sentenza n. C-46/07 riguardo l'inadempimento di uno Stato – articolo 141 CE – Politica sociale – Parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile – Nozione di «retribuzione» – Regime pensionistico dei dipendenti pubblici, ha condannato l'Italia perché l'anticipazione dell'età pensionabile delle donne è stata ritenuta discriminatoria;
   l'inadempienza dello Stato italiano è stata dichiarata per il fatto di mantenere in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diversa o seconda che siano uomini o donne, venendo meno agli obblighi di cui all'articolo 141 CE»;
   la Corte, nelle sue argomentazioni poste a fondamento della decisione, ha respinto l'argomento dello Stato italiano secondo cui la fissazione, ai fini del pensionamento, di un'età diversa secondo il sesso, sarebbe giustificata dall'obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne, ai sensi dell'articolo 141 CE;
   come ha sostenuto la Corte, «i provvedimenti nazionali contemplati da tale disposizione debbono, in ogni caso, contribuire ad aiutare la donna a vivere la propria vita lavorativa su un piano di parità rispetto all'uomo» e «la fissazione, ai fini del pensionamento, di una condizione d'età diversa a seconda dei sesso non è tale da compensare gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici di sesso femminile, aiutando queste donne nella loro vita professionale e ponendo rimedio ai problemi che possono incontrare durante lo loro carriera professionale»;
   la Corte evidenzia che: «Come risulta da una costante giurisprudenza, l'articolo 141 CE vieta qualsiasi discriminazione in materia di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, quale che sia il meccanismo che genera questa ineguaglianza. Secondo questa stessa giurisprudenza, la fissazione di un requisito di età che varia secondo il sesso per la concessione di una pensione che costituisce una retribuzione ai sensi dell'articolo 141 CE è in contrasto con queste disposizione»;
   la disparità di trattamento rilevante nel caso de quo si situa oggettivamente nel combinato disposto della norma transitoria della riforma Fornero, il cui scopo è, paradossalmente, anche quello di eliminare, sulla base delle predette prese di posizione in campo comunitario, la differenza di trattamento pensionistico connesso all'età tra lavoratore uomo e lavoratrice donna: da una parte vi è infatti la norma di cui alla legge 3 agosto 2009 n. 102, che innalza progressivamente l'età della pensione di vecchiaia per le donne allo scopo di allinearla a quella degli uomini, fino a portarla 65 anni, prevedendo entro il 31 dicembre 2011, 61 anni; e dall'altra, l'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 201 del 2011 che in via transitoria, ponendo un limite temporale al 31 dicembre 2011, fa salva la normativa pensionistica previgente a partire dalla decorrenza della riforma;
   se si interpreta l'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 201 del 2011, nel senso di includere il requisito dei 61 anni per sole donne nel dispositivo che regolamenta la transizione di cui ai predetti commi dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 ai fini di individuare la normativa pensionistica da applicare, si produce inevitabilmente effetto discriminatorio censurato dalla Corte di Giustizia europea;
   la direttiva 79/7/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1978, relativa alla graduale attuazione del principio di parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale, veniva esplicitato di perseguire «la graduale attuazione, nel campo della sicurezza sociale e degli altri elementi di protezione sociale di cui all'articolo 3, del principio della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di sicurezza sociale»;
   agli Stati membri veniva imposto di adottare «le misure necessarie affinché siano soppresse le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative contrarie al principio della parità di trattamento»;
   con la direttiva n. 2006/54/CE del 5 luglio 2006, adottata dal Consiglio e dal Parlamento europeo «riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e di impiego», si ribadisce che le pensioni dei dipendenti pubblici sono, a tutti gli effetti, una parte della retribuzione e in quanto tale sono soggette alle regole di parità di trattamento;
   all'articolo 8 della direttiva n. 2006/54/CE del 5 luglio 2006 viene esplicitamente inclusa tra le disposizioni contrarie al principio della parità di trattamento, che si basano direttamente o indirettamente sul sesso, quella che stabilisce limiti di età, differenti per il collocamento a riposo;
   già due anni fa il giudice del lavoro di Avezzano, su ricorso presentata da una docente, con ordinanze n. 651 del 10 settembre 2013 precisa il concetto per cui le donne collocate a riposo d'ufficio in quanto avevano, solo loro, 61 anni entro il 31 dicembre 2011 – «si verrebbe a creare una disparità di trattamento con i colleghi uomini che, a parità di requisiti di età e di contributi, fruiscono del nuovo regime previdenziale (considerato più favorevole da quanti, come la ricorrente, avendo una contribuzione minima, hanno interesse a prolungare l'età pensionabile)»;
   anche se l'interpretazione sia quella intesa dal legislatore a tenore del combinato disposto degli articoli 2, comma 4 e comma 5, del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013; in quanto, ai sensi dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione, «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni nel rispetto [...] dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario» – il primato del diritto comunitario si sostanzia nella prevalenza di quest'ultimo sulle norme interne con esso contrastanti, sia precedenti sia successive, e quale ne sia il rango, anche costituzionale;
   la norma interna contrastante con la normativa comunitaria provvista di efficacia diretta – nel nostro caso il combinato disposto dell'articolo 141 del Trattato CE, della direttiva 79/7/CEE del 19 dicembre 1978, della direttiva del Consiglio 2006/54/CE del 5 luglio 2006 e della pronuncia della Corte di Giustizia nei confronti dell'Italia n. C-46/07 del 13 novembre 2008 – non può essere applicata ovvero deve essere disapplicata, con la conseguenza che il rapporto resta disciplinato, per quanto di ragione, dalla sola norma comunitaria;
   le dipendenti donne, al di fuori di ogni logica giuridica, dovrebbero subire gli effetti penalizzanti da un collocamento a riposo d'ufficio per il raggiungimento di un limite ordinamentale (quello dei 65 anni, previgente alla riforma Fornero), che si deve applicare loro, necessariamente e solamente in quanto l'appartenenza al genere femminile la costringe ad accedere a una soglia (61 anni), anche se le si ritorce contro, impedendole di incrementare carriera e retribuzione, mentre i colleghi uomini, con la stessa età, continuano a lavorare, lucrando i connessi benefici stipendiali e previdenziali. Ciò, a giudizio dell'interrogante, determina anche una palese violazione dell'articolo 3 della Costituzione e in particolare del principio di «imparzialità» della pubblica amministrazione di cui all'articolo 97 della Carta Costituzionale;
   il tribunale di Avezzano, nell'ordinanza del 21 ottobre 2014, emessa a seguito di un procedimento d'urgenza presentato da 5 docenti ha accolto il ricorso ordinando, conseguentemente all'amministrazione scolastica il mantenimento del servizio delle ricorrenti fino al compimento del 66o anno e tre mesi di età;
   l'ordinanza del giudice del lavoro del tribunale di Avezzano recita che «cinque delle sei ricorrenti hanno compiuto 65 anni nel 2014 e al 31 dicembre 2011 avevano maturato i requisiti per beneficiare della pensione anticipata di vecchiaia all'epoca vigente (donne di 61 anni di età con almeno 20 anni di contributi o 15 per chi era in possesso di un'anzianità contributiva al 31 dicembre 1992), ma non i requisiti per la pensione di anzianità (40 anni di contributi o quota 96);
   in sostanza nell'anno 2011 il pensionamento era consentito al raggiungimento di 61 anni per le donne e 65 per gli uomini, per entrambi con almeno 15 anni di contributi (se in parte maturati prima del 1993);
   dunque la norma di interpretazione autentica sopra richiamata, avendo ancorato l'applicazione del limite ordina mentale previgente (65 anni) al fatto che una dipendente avesse maturato prima del 31 dicembre 2011 requisiti per fruire della pensione anticipata di vecchiaia (61 anni di età e 15 o 20 di contributi) ha creato disparità di trattamento con i colleghi uomini che, a parità di requisiti di età e di contributi, hanno potuto fruire del nuovo regime previdenziale (considerato più favorevole da quanti, come le cinque ricorrenti, avendo una contribuzione minima, hanno interesse a prolungare d'età pensionabile). Conclude, dunque, che la predetta norma a interpretazione autentica risulta contrastare con la direttiva del Consiglio 2000/78/CE, che sancisce principio di non discriminazione in base all'età, ma che è applicabile anche ad altri casi di discriminazione;
   la direttiva citata nella nota sentenza della Corte di Giustizia, 19 gennaio 2010, C-555/07, Kucukdeveci – riportata dal predetto giudice – in cui si afferma che «È compito del giudice nazionale, investito di una controversia tra privati, garantire il rispetto del principio di non discriminazione in base all'età, quale espresso concretamente nella direttiva 2000/78, disapplicando, se necessario, qualsiasi disposizione contraria della normativa nazionale, indipendentemente dall'esercizio della facoltà di cui dispone, nei casi previsti dall'articolo 267, secondo comma, TFUE, di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione di tale principio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza degli effetti che gli interroganti discriminatori per le dipendenti donne della pubblica amministrazione dell'interpretazione autentica all'articolo 24, commi 3 e 4, del decreto-legge n. 201 del 2011 (riforma Fornero) fornita ai commi 4 e 5 dell'articolo 2 decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, che, a fronte di una bassa anzianità contributiva e quindi di un interesse a rimanere in servizio, le coopta in pensione al conseguimento di 65 anni e non già di 66 anni e tre mesi come per gli uomini e quali iniziative normative intendano assumere in proposito i Ministri interrogati. (4-08034)

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

lavoro femminile

pensionato

condizione di pensionamento