ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IMMEDIATA IN ASSEMBLEA 3/00852

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 238 del 03/06/2014
Firmatari
Primo firmatario: PALESE ROCCO
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 03/06/2014


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 03/06/2014
Stato iter:
04/06/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 04/06/2014
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
RISPOSTA GOVERNO 04/06/2014
Resoconto ORLANDO ANDREA MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
REPLICA 04/06/2014
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 04/06/2014

SVOLTO IL 04/06/2014

CONCLUSO IL 04/06/2014

Atto Camera

Interrogazione a risposta immediata in Assemblea 3-00852
presentato da
PALESE Rocco
testo presentato
Martedì 3 giugno 2014
modificato
Mercoledì 4 giugno 2014, seduta n. 239

   PALESE. — Al Ministro della giustizia . — Per sapere – premesso che:
   il 29 maggio 2014 le sezioni unite penali della Corte di cassazione, presiedute dal primo presidente Giorgio Santacroce, accogliendo un ricorso della procura di Napoli contro la decisione del tribunale, che aveva negato ad un condannato recidivo per piccolo spaccio di ottenere il ricalcolo della pena a seguito della sentenza della Corte costituzionale che nel 2012 aveva dichiarato incostituzionale la norma della «legge Fini-Giovanardi» che vietava la concessione delle circostanze attenuanti prevalenti nel caso di recidivi, si sono pronunciate su una questione più generale rispetto alle norme in materia di stupefacenti ovvero «se la dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, ma che incide sul trattamento sanzionatorio, comporti una rideterminazione della pena in sede di esecuzione, vincendo la preclusione del giudicato»;
   la Corte di cassazione ha fornito una soluzione «affermativa», disponendo che l'illegittimità costituzionale di una norma «travolge» anche le condanne già divenute definitive, disponendo conseguentemente che vanno rideterminate al ribasso le condanne definitive per spaccio di droghe leggere, inflitte nel periodo in cui era in vigore la «legge Fini-Giovanardi», dichiarata incostituzionale a febbraio 2014;
   i condannati definitivi con recidiva per piccolo spaccio potranno ottenere in tal modo il ricalcolo della pena per l'incostituzionalità della norma, che vietava loro la concessione delle circostanze attenuanti, ed inoltre il giudice dell'esecuzione incaricato del ricalcolo dovrà tenere presente dell'abolizione della «legge Fini-Giovanardi» nella parte che non distingueva tra droghe leggere e pesanti con effetti di aggravio di pena anche per le ipotesi lievi;
   la sentenza della Corte di cassazione potrebbe avere notevoli ripercussioni anche sul numero di detenuti che stanno scontando una condanna per spaccio di droghe leggere, riaffrontando un tema già affrontato riguardante processi ancora in corso ad imputati per spaccio di droghe leggere per i quali è stato applicato il principio del favor rei, tornando ad applicare la «legge Iervolino-Vassalli»;
   si deve, tuttavia, tener presente che la decisione della Corte di cassazione permetterà a migliaia di detenuti condannati per piccolo spaccio di uscire dal carcere, qualora venisse accolta la loro richiesta di revisione del trattamento sanzionatorio, aumentando, inoltre, di molto il lavoro dei magistrati dell'esecuzione della pena, che nella maggior parte dei casi sono i tribunali e in misura minore le corti d'appello;
   del verdetto della Corte di cassazione «non si possono avvantaggiare i detenuti condannati in via definitiva per spaccio di droghe pesanti commesso con l'associazione a delinquere», ma solo i novemila per spaccio di lieve entità che potranno chiedere il ricalcolo della pena ai giudici dell'esecuzione;
   l'amministrazione penitenziaria sta già provvedendo ad effettuare un calcolo più dettagliato, pur trattandosi di un'operazione complessa, a fronte di un numero di persone detenute per spaccio e detenzione di droga pari a 14 mila, per la sola violazione dell'articolo 73 del testo unico sulle droghe, cifra che sale a 21 mila se si considera il complesso dei reati legati agli stupefacenti;
   Giuseppe Maria Berruti, direttore del massimario della Corte di cassazione, sul verdetto che riduce le condanne per spaccio leggero ha dichiarato che «la decisione della Cassazione mette l'Italia al passo con la giurisprudenza di Strasburgo e, insieme alle due sentenze della Consulta, ci mettono più in regola con la Carta di diritti dell'uomo» e che si tratta di «una decisione molto avanzata, politica nel senso che aiuta il Governo della nostra comunità e non un governo in senso stretto», non nascondendo gli effetti positivi «che questa decisione avrà rispetto all’ultimatum dell'Europa all'Italia per il sovraffollamento carcerario»;
   il tema, che le sezioni unite hanno affrontato, attiene al quesito se tutti coloro che siano condannati con sentenza passata in giudicato, in forza dell'applicazione delle norme abrogate, possano ottenere la rimodulazione e riquantificazione della pena patita;
   a seguito della declaratoria di incostituzionalità delle modifiche operate con gli articoli 4-bis e 4-viciester, che riverberavano diretto effetto sul trattamento sanzionatorio previsto dall'articolo 73 (e che unificavano le pene, quale concreta conseguenza dell'unificazione delle tabelle di cui agli articoli 13 e 14), molti commentatori ed anche parte della giurisprudenza avevano, infatti, ritenuto possibile il ricorso all'istituto dell'articolo 673 del codice di procedura penale, quale strumento processuale per provocare la rimodulazione della pena inflitta e passata in giudicato. Tale norma prevede, infatti, l'attivazione dell'incidente di esecuzione, nella specifica ipotesi di abolizione del reato. Di contro, invece, la tesi opposta escludeva che si potesse ottenere la revoca della sentenza di condanna, al di fuori di ipotesi di declaratoria di incostituzionalità che si riferisse e colpisse integralmente la norma incriminatrice, vale a dire al precetto violato (citando esemplificativamente l'oltraggio di cui all'articolo 341 del codice penale, che era stato del tutto abrogato prima della sua reintroduzione);
   le sezioni unite della Corte di cassazione, fornendo una soluzione affermativa al problema sollevato, paiono ribadire un'interpretazione estensiva dell'articolo 136 della Costituzione e della legge n. 87 del 1953, articolo 30, commi 3 e 4, sulla scia della tesi propugnata da Cass. Sez. 1, n. 977 del 27 ottobre 2011 (dep. 13 gennaio 2012, P.M. in proc. Hauohu, Rv. 252062) che ebbe a riferirsi all'applicabilità della circostanza aggravante della clandestinità, dichiarata incostituzionale;
   in quell'occasione, la Corte di cassazione affermò che il combinato disposto dalla norme sopra richiamate non consente «l'esecuzione della porzione di pena inflitta dal giudice della cognizione in conseguenza dell'applicazione di una circostanza aggravante che sia stata successivamente dichiarata costituzionalmente illegittima. Sicché spetta al giudice dell'esecuzione il compito di individuare la porzione di pena corrispondente e di dichiararla non eseguibile, previa sua determinazione ove la sentenza del giudice della cognizione abbia omesso di individuarla specificamente, ovvero abbia proceduto al bilanciamento tra circostanze»;
   significa che una persona che sia stata condannata in virtù di una pena che sia stata definita successivamente – in via diretta od in via indiretta – illegale, come nel caso di specie, ha diritto a rimettere in discussione anche una sentenza divenuta definitiva. Il giudicato non è, quindi, più un dogma assoluto di intangibilità, a fronte di una pronunzia di incostituzionalità che non colpisca direttamente la norma, ma si riferisca solo ad una parte – seppure essenziale – quale è la pena;
   la decisione della Corte di cassazione determina, quindi, la possibilità di chiedere la revoca della sentenza passata in giudicato – attraverso l'attivazione del rimedio processuale previsto dall'articolo 673 del codice di procedura penale – anche nelle ipotesi in cui, attinte dalla declaratoria di incostituzionalità, siano le norme penali incidenti sul trattamento sanzionatorio;
   dunque, pare di potere ricavare il principio per cui l'intervento delle sezioni unite riconosca la facoltà di richiedere la rimodulazione della sanzione inflitta sulla base di una pena, dichiarata illegale (come avvenuto per la «legge Fini-Giovanardi»), basandosi su di una lettura corretta della legge n. 87 del 1953, articolo 30, commi 3 e 4, la quale presenta una previsione più ampia dell'articolo 673 del codice di procedura penale e che rimane lo strumento processuale per riproporre la questione al giudice dell'esecuzione;
   la decisione della Corte di cassazione, oltre a rompere col consolidato indirizzo conservativo, reiterato nel tempo, fa vacillare il dogma dell'intangibilità del giudicato, togliendo certezza all'applicazione delle decisioni dei magistrati e privando in tal modo il cittadino della sicurezza in ordine all'applicazione del diritto e delle conseguenti garanzie per la propria incolumità –:
   come il Ministro interrogato intenda intervenire, per quanto di competenza, a fronte della problematica segnalata in premessa. (3-00852)

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

sanzione penale

punto di vendita

interpretazione del diritto

stupefacente

detenuto

traffico di stupefacenti

esecuzione della pena

circostanza aggravante

tesi

codice penale