ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01589

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 777 del 10/04/2017
Abbinamenti
Atto 1/01600 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01601 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01602 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01604 abbinato in data 18/04/2017
Atto 1/01609 abbinato in data 10/05/2017
Atto 1/01626 abbinato in data 10/05/2017
Atto 1/01627 abbinato in data 10/05/2017
Firmatari
Primo firmatario: MARCON GIULIO
Gruppo: SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Data firma: 10/04/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
FRATOIANNI NICOLA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
CIVATI GIUSEPPE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
BRIGNONE BEATRICE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
FARINA DANIELE SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
GIORDANO GIANCARLO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
GREGORI MONICA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
MAESTRI ANDREA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
PASTORINO LUCA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE 10/04/2017


Stato iter:
10/05/2017
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 18/04/2017
Resoconto MARCON GIULIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 18/04/2017
Resoconto CAUSI MARCO PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto FASSINA STEFANO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
 
INTERVENTO GOVERNO 10/05/2017
Resoconto MORANDO ENRICO ERRORE:TROVATE+CARICHE - (ERRORE:TROVATI+MINISTERI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 10/05/2017
Resoconto CAPEZZONE DANIELE MISTO-CONSERVATORI E RIFORMISTI
Resoconto RIZZETTO WALTER FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto ZANETTI ENRICO SCELTA CIVICA-ALA PER LA COSTITUENTE LIBERALE E POPOLARE-MAIE
Resoconto MARCON GIULIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' - POSSIBILE
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto TANCREDI PAOLO ALTERNATIVA POPOLARE-CENTRISTI PER L'EUROPA-NCD
Resoconto MELILLA GIANNI ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Resoconto GIORGETTI ALBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto CASO VINCENZO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto FANUCCI EDOARDO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 10/05/2017
Resoconto MORANDO ENRICO ERRORE:TROVATE+CARICHE - (ERRORE:TROVATI+MINISTERI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 18/04/2017

DISCUSSIONE IL 18/04/2017

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 18/04/2017

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 10/05/2017

DISCUSSIONE IL 10/05/2017

NON ACCOLTO IL 10/05/2017

PARERE GOVERNO IL 10/05/2017

VOTATO PER PARTI IL 10/05/2017

RESPINTO IL 10/05/2017

CONCLUSO IL 10/05/2017

Atto Camera

Mozione 1-01589
presentato da
MARCON Giulio
testo presentato
Lunedì 10 aprile 2017
modificato
Mercoledì 10 maggio 2017, seduta n. 793

   La Camera,
   premesso che:
    per la prima volta dalla firma del Trattato di Roma nel 1957, le spinte verso la disintegrazione prevalgono sulla costruzione di «una Unione sempre più stretta fra i popoli europei». L'Unione europea è ben lungi dalla stabilità, dalla legittimità, dallo sviluppo concertato che avevano garantito le sue classi dirigenti. Alla vigilia dei negoziati della Brexit, che rappresenta un campanello d'allarme sull'impopolarità del «progetto europeo», sembra al contrario che, questo, sia entrato in una crisi irreversibile e la sua stessa esistenza sia messa in questione;
    si sono accumulati ostacoli e contraddizioni la cui coincidenza non dipende dal caso; questi sono:
     a) persistente effetto divaricante e deflattivo dell'euro e conseguente innalzamento dei debiti pubblici in rapporto al Pil senza che si intraveda una soluzione;
     b) tragedia dei rifugiati che l'accordo con la Turchia non ha fatto che spostare temporaneamente da una frontiera all'altra;
     c) continuità delle politiche mercantiliste legate all'austerità e alla svalutazione del lavoro che accelerano la deindustrializzazione dei territori e mettono in concorrenza al ribasso i lavoratori di diverse nazionalità e liquidano le risorse del welfare;
     d) crisi delle istituzioni parlamentari nazionali;
     e) guerra lungo tutti i confini d'Europa, dall'Ucraina alla Siria alla Libia;
    l'obiettivo di un'unione sempre più stretta ha ceduto il passo a un sistema di integrazione a «varie velocità». Le celebrazioni ufficiali per il 60esimo della firma dei Trattati di Roma hanno segnato, di fatto, la decisione di disintegrare l'Europa che, lungo la rotta dei Trattati europei e del Fiscal compact, porta a disintegrare l'Unione europea, con la solita prassi di dichiarare che si tratta di un grande passo in avanti nella direzione del suo rafforzamento;
    l'unione monetaria così come è stata realizzata, all'insegna del mercantilismo tedesco e senza politiche comuni in ambito economico, fiscale e sociale, si è dimostrata insostenibile: si è realizzata attraverso una svalutazione del lavoro, la riduzione della spesa pubblica e degli investimenti pubblici, la privatizzazione del patrimonio collettivo ed ha alimentato gli squilibri geografici, ha depresso l'economia e la crescita, ha fatto crescere le diseguaglianze; l'organizzazione dell'eurogruppo presieduto da Dijsselbloem si è dimostrata per i presentatori del presente atto di indirizzo una struttura opaca, non democratica e senza regole condivise;
    l'euro-riformismo di facciata che chiede «più Europa», la riforma dei trattati, maggiore flessibilità e meno rigore, ma che in realtà si accontenta del piccolo cabotaggio e degli «zero-virgola», rispettoso di regole ingiuste e controproducenti non è una soluzione; è la continuazione di politiche neoliberiste che fanno crescere povertà e diseguaglianze;
    infatti, se le pratiche attuali dell'eurogruppo proseguiranno, si avrà presto una grave crisi politico-finanziaria italiana, che avrà ricadute anche in Germania. Si riaffaccia, inoltre, il progetto della «Kernel Europa», un'Unione europea a più velocità ed a cerchi concentrici subordinati ad un nucleo centrale. Questo piano è destinato al fallimento nel medio termine. In ogni caso, l'Italia ne verrebbe probabilmente esclusa di fatto;
    altre forze politiche nazionaliste e xenofobe premono per una disintegrazione dell'Unione europea, la fine della democrazia liberale e una ricostruzione di muri e frontiere;
    ma oltre la falsa opposizione fra Europa e Stato nazionale, la questione chiave sarà come ricostruire potere popolare per cambiare e democratizzare entrambi;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria» o «Patto di Bilancio Europeo» (cosiddetto «Fiscal compact») è un trattato intergovernativo europeo, sottoscritto dai Paesi dell'eurozona, il quale prevede, in particolare:
     a) il vincolo dello 0,5 per cento di deficit «strutturale» rispetto al Pil;
     b) l'obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di almeno 1/20esimo all'anno per i Paesi con un rapporto superiore al 60 per cento, come previsto dal Trattato di Maastricht;
     c) l'obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil, come previsto dal Trattato di Maastricht;
    per l'Italia – vista la situazione del suo bilancio strutturale e con un rapporto debito/Pil attualmente pari a circa il 133 per cento – si tratterebbe di impostare manovre finanziarie annuali da decine di miliardi di euro, onde rispettare l'accordo;
    il Fiscal compact prevede, inoltre, l'introduzione dell'equilibrio di bilancio per ciascuno Stato in «disposizioni vincolanti di natura permanente - preferibilmente costituzionale»;
    l'Italia ha proceduto non solo al recepimento del Trattato – senza, peraltro, alcuna consultazione popolare, ma solo con un passaggio parlamentare – nel luglio 2012, ed è tra i pochi Paesi dell'eurozona che ha introdotto tale obbligo in Costituzione nel 2012 (legge costituzionale n.  1 del 2012);
    ma lo stesso Fiscal compact ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti «tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente», ma con una semplice indicazione di «preferenza» per il livello costituzionale (articolo 3, comma 2). La scelta dunque di «costituzionalizzare» il princìpio dell'equilibrio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell'ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo;
    l'articolo 16 del Trattato prevede che, entro cinque anni dall'entrata in vigore (1o gennaio 2013) del Fiscal compact, esso venga inserito nell'ordinamento comunitario; di conseguenza che avvenga la sua trasformazione – entro il 31 dicembre 2017 – da accordo intergovernativo in parte integrante dei trattati fondativi dell'Unione europea;
    tale trasformazione imporrà ai Paesi sottoscrittori il pieno dispiegamento dei suoi obblighi, il suo farsi parte costitutiva e fondante dell'Unione europea, e assai più difficoltoso, complesso e arduo procedere alla sua cancellazione o anche solo ad una sua revisione;
    per l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei è necessaria l'unanimità dei consensi;
    il Fiscal compact è solo uno di quelli che appaiono ai presentatori del presente atto i soffocanti paletti imposti dall'inizio della crisi. Infatti, l'Europa ha adottato una serie di regole che – sommate alle storture congenite dell'unione monetaria europea – obbediscono alla stessa logica, quella di evitare la condivisione dei rischi:
     a) nel 2010-2012, il programma straordinario di acquisti di titoli di Stato (Securities Market Programme - SMP), mentre aiutava i Paesi periferici a risollevarsi, ha trasferito 10 miliardi di euro alla Banca centrale europea (Bce) (di cui oltre 2 sono andati alla Bundesbank) sotto forma di interessi pagati sui titoli coinvolti nel programma;
     b) i 2 mega-prestiti a lungo termine (LTRO) da 1.000 miliardi di euro erogati dalla Bce tra dicembre 2011 e febbraio 2012 alle banche della periferia che, con questa liquidità, hanno saldato i debiti con le banche tedesche e comprato titoli emessi dai loro rispettivi governi. Così le banche tedesche hanno ridotto la loro esposizione verso la periferia per oltre 750 miliardi di euro;
     c) a marzo 2012, il Fiscal Compact ha aggravato gli interventi di contenimento della spesa pubblica, compresa quella destinata agli investimenti infrastrutturali, il cui crollo è la causa della perdita di quasi 1/4 della nostra produzione industriale;
     d) nell'autunno 2012, l'accordo sul Meccanismo europeo di stabilità ha imposto clausole di azione collettiva (CAC) sulle nuove emissioni di titoli di Stato a partire dal gennaio 2013, con le quali una minoranza degli obbligazionisti (appena il 25 per cento+1) può bloccare la ridenominazione del debito nella nuova valuta nazionale nel caso un Paese esca dalla moneta unica;
     e) per coprirsi dal rischio del debito privato, a gennaio 2016, è entrato in vigore il bail-in che riversa sui risparmiatori domestici le perdite delle banche dovute a una prolungata congiuntura avversa;
     f) il Quantitative Easing (QE) risponde alla stessa logica di segregazione dei rischi. Le banche centrali nazionali si fanno carico della maggioranza degli acquisti di titoli emessi dai rispettivi Governi e, per farlo, si indebitano con la Bce; perciò, se un Governo non paga, a farne le spese è la sua banca centrale, mentre – proprio come in un derivato di credito – la Bce non subirà perdite. Il saldo negativo più o meno elevato dei Paesi periferici dell'eurozona all'interno del sistema Target2, in larga misura, è dovuto proprio al QE. La liquidità ricevuta dai Paesi periferici nell'ambito del QE non è andata a supportare la loro economia reale, bensì è finita all'estero, pompando il loro disavanzo Target2 e, in parallelo, l'avanzo tedesco. La somma dei saldi negativi di Italia e Spagna corrisponde quasi al surplus Target2 della Germania, cieca 720 miliardi di euro. Per l'Italia, il conto sarebbe di 363 miliardi di euro, oltre il 20 per cento del Pil;
    nel 2016, la Bce ha continuato e addirittura rafforzato la sua politica di creazione di abbondante liquidità. Ma tale politica sembra aver raggiunto i suoi limiti. Nel corso della crisi, la Bce ha acquisito nuovi ampi poteri e responsabilità, che fanno ancora di più della sua indipendenza da tutti gli organi politici dell'Unione europea una forzatura dei principi democratici;
    tali politiche, che hanno imposto l'austerità dei conti pubblici all'insieme dell'eurozona, come ha dovuto ammettere ormai anche la maggior parte degli economisti mainstream, hanno avuto effetti negativi sulla crescita economica;
    nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra, infatti, particolari difficoltà e il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari, imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio delle bilance commerciali dei Paesi in deficit, attraverso drastici interventi sui conti pubblici, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici, il riequilibrio della bilancia commerciale è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), che hanno determinato un aumento del debito pubblico in rapporto al Pil dovuto alla recessione indotta dalle politiche di austerità;
    la gestione neoliberista della crisi economica ha aumentato le asimmetrie e le disuguaglianze esistenti all'interno dei Paesi europei e tra di loro, attuando una competizione sulla base di svalutazioni interne concorrenziali che si sono tradotte in un attacco sistematico al lavoro ed al welfare;
    nel 2008 la Germania e la Grecia avevano quasi lo stesso livello di disoccupazione, nel 2015 la Germania l'aveva ridotto dal 7,4 per cento al 4,6 per cento, mentre in Grecia è aumentato dal 7,8 per cento al 25 per cento. La gestione della crisi economica in Europa ha portato benefici al Nord contro il Sud Europa;
    in Italia, la disoccupazione è aumentata ad oltre il 12 per cento (quella giovanile oltre il 43 per cento), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25 per cento (rispetto all'inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2016 al 133 per cento sul Pil che, in 9 anni di crisi, è sceso di oltre 7 punti;
    è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (Pil) è stato, nei Paesi periferici, solo leggermente superiore alla media della zona euro. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
    i risultati di queste politiche economiche sono stati largamente fallimentari ed hanno portato alla stagnazione e alla depressione economica. La disoccupazione è cresciuta del 40 per cento, gran parte dei Paesi della zona euro è stata colpita dalla recessione e – nonostante le politiche dei tagli – il debito pubblico è cresciuto mediamente dal 66 per cento (in rapporto al Pil) del 2008 al 93 per cento del 2015;
    pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (Grecia), il moltiplicatore fiscale, in una fase di recessione, è positivo e l'austerità porterà, quindi, a un calo del Pil maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto tra debito e Pil;
    si è attuata una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali che, secondo i presentatori del presente atto, di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa; tra il 1976 e il 2006, la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia, è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
    le misure economiche varate in questi ultimi 15 anni stanno dunque minando alle radici, insieme alla dimensione sostanziale e sociale del costituzionalismo europeo, lo stesso processo di integrazione dell'Unione europea;
    l'unità politica di un popolo è data dall'uguaglianza nei diritti, stabiliti nelle Costituzioni, di quanti in esso si riconoscono, appunto come uguali. È quanto afferma lo stesso preambolo alla Carta europea dei diritti fondamentali: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà». Prima ancora, del resto, il Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999 aveva dichiarato: «la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell'Unione europea» e «il presupposto indispensabile della sua legittimità»;
    l'Unione europea, ben più che un mercato comune, è quindi un insieme di popoli che si vogliono unificati da comuni valori di civiltà, oggi, però, posposti ai valori dei bilanci dalle inadeguate tecnocrazie comunitarie; le quali, mentre minacciano l'espulsione della Grecia, culla dell'Europa, nulla dicono delle derive autoritarie dell'Ungheria e del riemergere in tanti Paesi di rigurgiti neonazisti, antisemiti e razzisti. Ben più della libera concorrenza, l'unificazione politica dell'Europa richiederebbe, insomma, come presupposto, l'uguaglianza dei cittadini europei e l'indivisibilità dei loro diritti fondamentali;
    l'economia, che dai padri costituenti dell'Europa fu concepita e progettata come un fattore di unificazione – dapprima il mercato comune e poi la moneta unica – è oggi diventata, in assenza di politiche in grado di governarla, un fattore di conflitto e divisione;
    la ricetta giusta per uscire dalla crisi è sopperire alla carenza di domanda privata con la politica di bilancio. In un periodo durante il quale consumi ed investimenti privati faticano a crescere, è lo Stato che deve intervenire con politiche espansive, in particolare aumentando la spesa pubblica per investimenti per stimolare direttamente la domanda. Date le attuali condizioni di sottoutilizzo della capacità produttiva, è altamente probabile che lo stimolo fiscale incrementi a sua volta anche consumi ed investimenti privati, perché l'impatto positivo dell'aumento del reddito sarebbe superiore all'impatto negativo dell'aumento dei tassi di interesse. Grazie all'effetto moltiplicatore, la politica espansiva genera un aumento più che proporzionale dell’output, innescando un circolo virtuoso: maggiore produzione, maggiori investimenti e maggior capacità produttiva;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Matteo Renzi, ebbe a dichiarare nel novembre 2016 che: «Nel 2017 il “fiscal compact”, le regole del pareggio di bilancio dovrebbero entrare nei trattati. Io sono nettamente contrario a questa ipotesi. Monti, Bersani e Brunetta ci hanno regalato il fiscal compact. Nel 2017 l'Italia dirà no al suo inserimento nei trattati», ed ha aggiunto: «Al netto delle elezioni francesi, tedesche e olandesi, sarà l'anno in cui, in un senso o nell'altro, si metterà la parola fine alle discussioni sulle politiche europee. La politica dell’austerity è fallita». C’è da chiedersi se il Governo attualmente in carica, sostenuto dalla stessa maggioranza parlamentare del Governo pro tempore, darà un seguito concreto a tali affermazioni;
    il pareggio di bilancio strutturale dei nostri conti pubblici, calcolato al netto del ciclo e delle una tantum, era previsto in origine nel 2014, ma è slittato di anno in anno. Lo stesso calcolo dell’output gap (la differenza tra crescita effettiva e crescita potenziale) è una costruzione artificiosa, tant’è che esistono diverse metodologie di calcolo che danno risultati molto diversi: con i criteri della Commissione europea, si è in deficit, ma per i criteri Ocse si è in surplus, mentre per i criteri del Fondo monetario internazionale si è in pareggio;
    l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei avrebbe effetti moltiplicativi di queste politiche fallimentari, oltre ad alimentare un clima di distacco e sfiducia delle popolazioni europee verso l'Unione europea. Tale clima potrebbe contribuire a determinare una vera e propria disintegrazione dell'Unione europea e portare all'acuirsi del consenso a soggettività politiche che individuano in politiche nazionalistiche e di colpevolizzazione dei migranti le responsabilità della situazione venutasi a creare;
    il dogma dell'obbedienza cieca ai parametri del Fiscal compact è stato contraddetto anche dalla sentenza della Corte costituzionale italiana n.  275 dell'ottobre 2016, dove si indica – in estrema sintesi – che servizi primari incomprimibili per i cittadini non possono venir negati da vincoli di bilancio e che il corpus normativo costituzionale nazionale ha primazia sul rispetto dei trattati medesimi (anche se inserito in un singolo articolo della Carta costituzionale). Aspetto, quest'ultimo, già sentenziato dagli organi preposti dello Stato tedesco;
    l'8 marzo 2016 la Commissione europea ha presentato una prima stesura del «Pilastro europeo dei diritti sociali». Il 31 dicembre 2016 si è conclusa la consultazione europea che ha visto la partecipazione di istituzioni, parlamenti, sindacati e associazioni; ora si tratta di procedere alla stesura definitiva che dovrà avvenire entro il 2017;
    il «Pilastro europeo dei diritti sociali» rappresenta un obiettivo condivisibile se il risultato finale è quello di fissare principi essenziali da garantire in tutti i Paesi aderenti all'Unione europea. Nel «Pilastro europeo dei diritti sociali», si afferma tra gli altri, il diritto ad un reddito minimo; ma non viene posto in essere un vincolo giuridico per stabilire a livello europeo un reddito minimo, né tantomeno per gli altri diritti sociali in esso contenuti. Se la volontà è di andare in questa direzione, allora occorre definire questo diritto e renderlo effettivo per tutti gli Stati aderenti come misura fondamentale di lotta all'esclusione sociale;
    la politica macroeconomica dell'Unione europea richiede un approccio alternativo che, nel breve periodo, generi una dinamica di sviluppo capace di auto sostenersi, che assicuri la piena occupazione e, in una prospettiva di lungo periodo, una crescita equa e capace di correggere gli evidenti squilibri macroeconomici;
    è necessario ottenere innovazioni radicali dei trattati che regolano le relazioni intraeuropee, a partire dal Fiscal compact, in almeno sei distinte aree:
     a) il requisito di bilancio in pareggio deve essere sostituito da un requisito di bilanciamento dell'economia, che includa fra gli obiettivi livelli di occupazione alti e sostenibili. Merita ricordare che, nelle versioni consolidate del Trattato dell'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ricorrono pochissime volte espressioni che impegnino l'Unione a promuovere «un elevato livello di occupazione». Tale obiettivo non risulta attualmente un impegno dell'Unione, bensì appare come l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione e le sue istituzioni (Banca centrale europea in testa) hanno promosso. La modifica dei trattati dell'Unione europea nel senso indicato può segnare il ritorno allo spirito della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, che «pone la persona al centro della sua azione», ridisegnando la sua «costituzione economica», contro quella «costituzione finanziaria» che, acriticamente assunta, ha sottratto linfa allo spirito e alla lettera della Carta dei diritti fondamentali e alla costruzione del «popolo europeo»;
     b) in una prospettiva di lungo termine, le dimensioni del budget comunitario devono aumentare sostanzialmente, così da poter finanziare investimenti europei, insieme a beni e servizi pubblici e poter mettere in atto una politica fiscale anticiclica europea, a supporto delle politiche fiscali nazionali;
     c) piuttosto che concentrare l'attenzione solamente sulla crescita complessiva, dare priorità anche al superamento delle disuguaglianze regionali e intersettoriali;
     d) è necessaria una strategia europea per gli investimenti a lungo termine, finalizzata allo sviluppo europeo, nazionale e locale;
     e) politiche per la (re)industrializzazione dei Paesi periferici, che richiedono l'introduzione di specifiche misure protezionistiche. Le politiche anti-cicliche di breve periodo dovrebbero includere misure per la promozione di una ristrutturazione del tessuto produttivo esistente. Tutto ciò richiede, ovviamente, specifici interventi di messa in discussione dell'attuale regolamentazione europea e dell’acquis comunitario;
     f) l'odierna strategia deflazionistica di svalutazione competitiva deve essere rimpiazzata da una strategia di crescita dei salari che assicuri un'inflazione stabile e la partecipazione dei lavoratori alla crescita del reddito nazionale;
     g) vanno poste in atto misure incisive per combattere la concorrenza fiscale,

impegna il Governo:

1) ad intervenire con forza, in tutte le sedi europee, assumendo iniziative per una radicale riscrittura dei Trattati europei per ridurne le contraddizioni con i princìpi delle Costituzioni dei Paesi dell'Unione europea, nate dopo la II Guerra mondiale. In assenza di tale riscrittura, a rifiutare di inserire il Fiscal compact nei Trattati europei, opponendo il veto in sede europea;

2) a promuovere la rimozione delle disposizioni pro-cicliche (come quelle contenute nel Fiscal compact) e lo scorporo della spesa per investimenti dal calcolo del saldo strutturale dal momento che, senza investimenti pubblici, è impensabile che il Pil possa riprendere a crescere oltre lo zero virgola, e quindi permettere al Paese di creare da sé le risorse necessarie per finanziare il fabbisogno del settore pubblico e ridurne il debito;

3) a proporre la mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing e l'introduzione, a livello europeo, di politiche di bilancio di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, esattamente come accadrebbe in una unione monetaria completata dall'unione politica (si veda l'esempio degli Stati Uniti d'America);

4) a proporre una conferenza europea sui debiti sovrani per affrontare le situazioni nazionali più critiche;

5) a proporre, in sede europea, che i titoli di Stato comprati dalle banche centrali nazionali nell'ambito del Quantitative Easing siano trasferiti nell'attivo di bilancio della Banca centrale europea e successivamente congelati a tempo indefinito, senza alcuna sterilizzazione;

6) ad assumere iniziative per reperire, in sede europea, le necessarie risorse finanziarie e, per garantire, specialmente nei Paesi più poveri, che i trasferimenti sociali ai rifugiati non siano a loro spese, e per realizzare diversi interventi di sostegno sia verso i richiedenti asilo, che verso le aree più sotto pressione dai flussi migratori considerato che entrambi gli obiettivi potrebbero essere perseguiti se l'Unione europea potesse incanalare in tale direzione almeno una parte della moneta creata attraverso il Quantitative Easing della Banca centrale europea;

7) a mettere in discussione l'aumento delle spese militari dell'Unione europea, respingendo le proposte di rafforzamento della capacità militare dell'Unione in risposta alla crisi, dato che il ricorso alla coercizione nazionale e internazionale non potrà risolvere i problemi socio-economici più di quanto non abbia fatto in passato;

8) a proporre l'utilizzazione, a livello europeo, di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, e la riconversione ecologica del sistema produttivo;

9) a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;

10) a proporre un programma europeo, una sorta di « social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali, nel quale inserire, in particolare, un'indennità di disoccupazione europea;

11) a promuovere una modifica dei Trattati e del diritto dell'Unione europea nel senso di includere la lotta alla disoccupazione e la promozione di un'elevata occupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione, nonché ad assumere iniziative per integrare e a modificare lo Statuto del sistema europeo di Banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea (Bce), al fine di includere tra i princìpi generali per le operazioni di credito a banche dell'eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare promuovere sicuramente l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente;

12) ad assumere iniziative per fare sì che, in sede di Unione europea, la stesura finale del «Pilastro europeo dei diritti sociali»:
  a) sia approvata definitivamente entro giugno del 2017;
  b) si riferisca espressamente all'articolo 151, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ovvero alla armonizzazione verso l'alto, e che non si limiti alla sola necessità di una maggiore convergenza degli Stati, affermando che i principi sociali di riferimento siano da garantire in tutti Paesi aderenti all'Unione europea;

13) a sostenere, a livello nazionale, attraverso risorse adeguate, azioni, programmi ed iniziative di carattere normativo, il diritto ad un reddito minimo e tutti i diritti recati dal «Pilastro europeo dei diritti sociali»;

14) ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n.  1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali;

15) ad assumere le opportune iniziative anche al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n.  243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, alla cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, alla cosiddetta «regola della spesa», alle modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, alla definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento.
(1-01589) «Marcon, Fratoianni, Civati, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Placido».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

zona euro

politica comunitaria