ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01294

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 633 del 07/06/2016
Firmatari
Primo firmatario: GHIZZONI MANUELA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 06/06/2016
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
COSCIA MARIA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
COVELLO STEFANIA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
DALLAI LUIGI PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
PICCOLI NARDELLI FLAVIA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
ASCANI ANNA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
BLAŽINA TAMARA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
BONACCORSI LORENZA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
CAROCCI MARA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
COCCIA LAURA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
CRIMI' FILIPPO PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
D'OTTAVIO UMBERTO PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
IORI VANNA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
MALISANI GIANNA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
MALPEZZI SIMONA FLAVIA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
MANZI IRENE PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
NARDUOLO GIULIA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
PES CATERINA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
RAMPI ROBERTO PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
ROCCHI MARIA GRAZIA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
SGAMBATO CAMILLA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
VENTRICELLI LILIANA PARTITO DEMOCRATICO 06/06/2016
VEZZALI MARIA VALENTINA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA 08/06/2016
MOLEA BRUNO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA 08/06/2016
VICO LUDOVICO PARTITO DEMOCRATICO 08/06/2016
BOLDRINI PAOLA PARTITO DEMOCRATICO 21/06/2016


Elenco dei co-firmatari che hanno ritirato la firma
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma Data ritiro firma
VEZZALI MARIA VALENTINA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA 07/06/2016 07/06/2016
MOLEA BRUNO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA 07/06/2016 07/06/2016
Stato iter:
22/06/2016
Fasi iter:

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 08/06/2016

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 21/06/2016

RITIRATO IL 22/06/2016

CONCLUSO IL 22/06/2016

Atto Camera

Mozione 1-01294
presentato da
GHIZZONI Manuela
testo presentato
Martedì 7 giugno 2016
modificato
Martedì 21 giugno 2016, seduta n. 639

   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale Education at a glance prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento; gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
    secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento; il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
    la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
    nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
    il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti il calo di matricole tocca il -30 per cento al Sud, il -22 per cento al Centro ed è pari solo al -3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
    tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-Nord – fenomeno di mobilità di per sé non negativo nella misura in cui consente ai giovani di esprimere al meglio il proprio talento e le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni – ma che si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale;
    a questo proposito il rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a 5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
    dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto Achab (Affording college with the help of asset building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
    il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto Anvur 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
    lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali e tra gli studenti del Meridione e delle Isole;
    tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario, nonostante il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio e solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
    è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti); anche in questo caso si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
    eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
    anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
    il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio il rapporto annuale dell'Istat valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia ma dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
    riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio il rapporto annuale dell'Istat certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati; dati simili sono forniti anche dal XVIII rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
    il XXI rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato OD&M consulting, mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
    i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
    gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
    nonostante che la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
    ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n. 107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
    occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi; la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
    in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
    a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 adesso si dispone di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o Isee, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento di riforma dell'Isee;
    a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n. 240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
    tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
     a) la quantificazione dei costi di studenti in ritardo, perché studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti fuori corso);
     b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
     c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
   ad emanare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (Isee) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo sulla base del fabbisogno regionale – come stabilito dall'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 68 del 2012 – rendendo altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo statale ricevuto;
   nel rispetto dell'autonomia delle università e con l'intento di rendere più equa e progressiva l'imposizione, a valutare la possibilità di assumere iniziative per passare dall'attuale sistema di controllo della contribuzione universitaria nelle università statali collegato ad un limite massimo sul gettito totale (articolo 5, commi 1, 1-bis e 1-ter, del decreto del Presidente della Repubblica n. 306 del 1997) ad un nuovo sistema collegato invece ad un limite massimo della contribuzione che deve essere pagata da ciascuno studente di famiglia con Isee medio-basso, fino anche a pervenire, per Isee bassi, ad annullare tale contribuzione con una specifica no-tax area;
   ad assumere iniziative per disporre che una quota del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, nonché, relativamente alle regioni dell'obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n. 88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione della riduzione di gettito che deriva loro dagli studenti che non pagano contribuzioni o le pagano in misura molto ridotta, anche per diminuire l'effetto finanziario disincentivante dell'immatricolazione di studenti di famiglie poco abbienti;
   a valutare la possibilità di rivedere, dopo il primo anno di applicazione, le modalità di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda:
    a) il calcolo degli studenti part-time, per i quali è ancora mancante una chiara normativa di riferimento;
    b) l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n. 240 del 2010, dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università;
    c) il calcolo del finanziamento spettante a ciascun ateneo in presenza di corsi di studio con numero di studenti iscritti in corso inferiore alla dimensione ottimale;
    d) una migliore articolazione, rispetto alle diverse classi di corsi di laurea e ai diversi territori di riferimento delle università, delle dimensioni ottimali dei corsi di studio in termini di numero di studenti;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01294) «Ghizzoni, Coscia, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Vezzali, Molea, Vico, Paola Boldrini».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

insegnamento superiore

politica dell'istruzione

studente