ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01184

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 583 del 04/03/2016
Abbinamenti
Atto 1/01182 abbinato in data 07/03/2016
Atto 1/01185 abbinato in data 07/03/2016
Atto 1/01186 abbinato in data 07/03/2016
Atto 1/01189 abbinato in data 08/03/2016
Atto 1/01190 abbinato in data 08/03/2016
Firmatari
Primo firmatario: CENTEMERO ELENA
Gruppo: FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Data firma: 04/03/2016
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
CARFAGNA MARIA ROSARIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
PRESTIGIACOMO STEFANIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
BERGAMINI DEBORAH FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
CALABRIA ANNAGRAZIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
CAPOZZOLO SABRINA PARTITO DEMOCRATICO 04/03/2016
MELONI GIORGIA FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE 08/03/2016
CASTIELLO GIUSEPPINA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
CENSORE BRUNO PARTITO DEMOCRATICO 04/03/2016
CESARO LUIGI FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
GELMINI MARIASTELLA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
GULLO MARIA TINDARA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
MILANATO LORENA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
NIZZI SETTIMO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
OCCHIUTO ROBERTO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
PALMIZIO ELIO MASSIMO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
POLIDORI CATIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
SAVINO ELVIRA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 04/03/2016
GIACOMONI SESTINO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE 07/03/2016


Stato iter:
08/03/2016
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 07/03/2016
Resoconto PRESTIGIACOMO STEFANIA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 07/03/2016
Resoconto BINETTI PAOLA AREA POPOLARE (NCD-UDC)
Resoconto RICCIATTI LARA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto DE MARIA ANDREA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto AGOSTINI ROBERTA PARTITO DEMOCRATICO
 
INTERVENTO GOVERNO 07/03/2016
Resoconto FERRI COSIMO MARIA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (GIUSTIZIA)
 
PARERE GOVERNO 08/03/2016
Resoconto DE VINCENTI CLAUDIO SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 08/03/2016
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto FAENZI MONICA MISTO-ALLEANZA LIBERALPOPOLARE AUTONOMIE ALA-MAIE-MOVIMENTO ASSOCIATIVO ITALIANI ALL'ESTERO
Resoconto BECHIS ELEONORA MISTO-ALTERNATIVA LIBERA-POSSIBILE
Resoconto PETRENGA GIOVANNA FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Resoconto SANTERINI MILENA DEMOCRAZIA SOLIDALE - CENTRO DEMOCRATICO
Resoconto SALTAMARTINI BARBARA LEGA NORD E AUTONOMIE - LEGA DEI POPOLI - NOI CON SALVINI
Resoconto GALGANO ADRIANA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto BINETTI PAOLA AREA POPOLARE (NCD-UDC)
Resoconto MARTELLI GIOVANNA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto CENTEMERO ELENA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto SPADONI MARIA EDERA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto GRIBAUDO CHIARA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto VECCHIO ANDREA SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Fasi iter:

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 07/03/2016

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 07/03/2016

DISCUSSIONE IL 07/03/2016

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 07/03/2016

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 08/03/2016

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 08/03/2016

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 08/03/2016

ACCOLTO IL 08/03/2016

PARERE GOVERNO IL 08/03/2016

DISCUSSIONE IL 08/03/2016

APPROVATO IL 08/03/2016

CONCLUSO IL 08/03/2016

Atto Camera

Mozione 1-01184
presentato da
CENTEMERO Elena
testo presentato
Venerdì 4 marzo 2016
modificato
Martedì 8 marzo 2016, seduta n. 585

   La Camera,
   premesso che:
    il 2 giugno 2016 ricorre il settantesimo anniversario dal referendum istituzionale indetto, per la prima volta a suffragio universale, il 2 e il 3 giugno 1946 con il quale gli italiani furono chiamati alle urne per esprimersi su quale forma di Governo, Monarchia o Repubblica, dare al Paese. Il 2 giugno si celebra la nascita della Repubblica italiana ed è anche la prima volta in cui tutte le donne italiane si recarono alle urne;
    il voto alle donne, o suffragio femminile, è una conquista piuttosto recente del XIX secolo ed è il risultato di un profondo movimento di riforma, politico, economico e sociale, che ha le sue radici nel XVIII secolo e nelle suffragette. In Inghilterra, le battaglie delle suffragette portarono ad un esito positivo con la legge del 2 luglio 1928, con cui fu esteso il suffragio a tutte le donne inglesi;
    per quanto riguarda l'Italia il percorso che portò all'estensione del diritto di voto anche alle donne cominciò all'indomani dell'unificazione, nel 1861. Furono molti i tentativi e i disegni di legge che dall'Unità d'Italia al secondo dopoguerra proposero il diritto di voto alle donne. Molti furono insabbiati finché nel 1919, dopo la prima guerra mondiale, una proposta di legge sull'estensione del voto amministrativo alle donne, il disegno di legge Martini-Gasparotto, fu approvata alla Camera, ma a causa della fine della legislatura il provvedimento rimase «bloccato» al Senato. Ma il voto alle donne fu raggiunto solo il 31 gennaio 1945 quando un decreto legislativo luogotenenziale, pubblicato il 1o febbraio, sancì il suffragio universale. Nel decreto non era però prevista l'eleggibilità delle donne, che venne introdotta solo dal decreto n. 74 del 10 marzo 1946, recante «Norme per l'elezione dei deputati all'Assemblea costituente», il cui articolo 7 recita: «Sono eleggibili all'Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che, al giorno delle elezioni, abbiano compiuto il venticinquesimo anno di età». In Italia le donne votarono per la prima volta nel corso delle elezioni amministrative del marzo del 1946 (436 comuni) e, successivamente, a livello nazionale per il referendum del 2 giugno 1946;
    nel frattempo, le donne entrarono nei pubblici uffici, vi furono le prime nomine pubbliche nei comuni, a livello provinciale, nelle consulte nazionali e regie. Le donne esercitavano un potere pubblico e, dunque, non era più giustificabile l'esclusione dal voto. Già prima della guerra mondiale si chiese il voto per le donne in quanto lavoratrici, contribuenti e consumatrici (tasse dirette ed indirette). Durante la guerra le lavoratrici assunsero ruoli e lavori maschili. Tutto ciò portò nel secondo dopoguerra a concedere alle donne italiane il diritto di voto;
    le guerre hanno rappresentato nella storia un momento cruciale per il raggiungimento di diritti, compreso quello di piena cittadinanza per le donne. È infatti sulla base dell'apporto alla Patria che i gruppi sociali possono ridiscutere i loro diritti. In tutto il mondo, in epoca moderna, dopo la guerra si concedono Costituzioni, si allarga il diritto di voto, si fanno leggi per favorire quelli che si sono prodigati per la Patria. L'Italia non è stata da meno in questo cammino;
    nel 1923 Mussolini promise il diritto di voto e alla fine del 1925 fu approvata una legge in tal senso, pur molto ristretta: sarebbero potute divenire elettrici, facendone richiesta e limitatamente alle elezioni amministrative, le donne con più di 25 anni, provviste di licenza elementare, che esercitavano la patria potestà e pagavano tasse non inferiori alle cento lire annue, e ancora le decorate al valore militare o civile o madri e vedove di caduti. La legge, approvata nel 1925, però non venne applicata perché vennero annullate le elezioni amministrative, introducendo la figura del podestà;
    in attesa del referendum istituzionale del 2 giugno 1946, nell'aprile 1945, si era costituita la Consulta, con il compito di elaborare una legge elettorale per l'Assemblea costituente. La Consulta fu il primo organismo politico nazionale in cui entrarono 13 donne, invitate direttamente dai partiti;
    il 2 giugno 1946 in concomitanza con il referendum istituzionale si svolsero in Italia le elezioni dell'Assemblea costituente. Furono eletti 556 costituenti, tra cui 21 donne, il 3,8 per cento. Il 2 giugno la partecipazione alle elezioni fu massiccia: l'89 per cento di donne e l'89,2 per cento uomini. Le prime donne elette all'Assemblea costituente, le cosiddette «Madri Costituenti» erano nove della DC, nove del PCI, due del PSIUP ed una del Partito dell'Uomo qualunque. Cinque di loro entreranno nella «commissione dei 75», incaricata di scrivere la Carta costituzionale: Maria Federici, Angela Gotelli, Lina Merlin, Teresa Noce e Nilde Jotti. Tra le Madri Costituenti, che è bene ricordare, nove democratiche cristiane (Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio), nove erano comuniste, tra cui cinque dell'UDI (Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi), due socialiste (Angelina Merlin e Bianca Bianchi) e una della lista «Uomo Qualunque» (Ottavia Penna Buscemi); tutte le Madri, con il loro impegno e le loro capacità, segnarono l'ingresso delle donne nel più alto livello delle istituzioni rappresentative, quattordici di loro erano laureate e molte erano insegnanti, qualcuna giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga; quattordici sposate e con figli;
    la Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata nel 1948, stabilisce «The equal rights of men and women», principio, questo, che venne ampliato nel 1979 con la Convenzione Cedaw (Convention on the elimination of all forms of discrimination against women), adottata da 189 Stati membri dell'Onu. Tutte le Costituzioni o le Basic laws degli Stati Ocse garantiscono la piena cittadinanza ed uguaglianza per le donne, insieme ai pieni diritti elettorali. Va però sottolineato che molte delle riforme per la cosiddetta uguaglianza formale sono recenti: il diritto di voto per le donne in Svizzera è stato raggiunto solo nel 1971, nel 1976 in Portogallo e nel 1994 in Kazakhstan e in Repubblica Moldova;
    la Costituzione italiana sancisce in molti articoli l'uguaglianza tra donne e uomini. L'articolo 3 sancisce l'uguaglianza dei diritti tra i sessi: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». L'articolo 29 stabilisce l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi; l'articolo 37 decreta la parità e la tutela della donna lavoratrice. L'articolo 51 fissa la parità di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive; l'articolo 117, comma 7, stabilisce l'obbligo per le regioni di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive;
    il 30 maggio 2003 la legge costituzionale n. 1 modificò l'articolo 51, primo comma, della Costituzione; è infatti aggiunto: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini». Si è trattato di un passo importante in quanto, come rilevato dal rapporto «Assessing the impact of measures to improve women's political rappresentation» approvato dalla Commissione equality and non discrimination del Consiglio d'Europa, «progressi nella partecipazione delle donne alla vita politica sono stati raggiunti quando i legislatori hanno introdotto misure che hanno aiutato ad affrontare il tema della bassa presenza delle donne nei corpi elettivi, in particolare attraverso riforme che hanno introdotto uguali diritti costituzionali come il diritto di voto e di essere elette, diritto di accesso ai pubblici uffici ed ulteriori fondamentali diritti e libertà, come il diritto di proprietà, di successione ed eredità, la libertà di matrimonio, la cittadinanza e altro. Tali diritti costituzionali sono finalizzati a rimuovere le discriminazioni basate sul sesso ed ogni altra discriminazione che di fatto limita l'uguale cittadinanza. La previsione nelle diverse Costituzioni di diritti politici e civili per le donne apre la strada all'eguaglianza di genere, ad una eguale cittadinanza ed è il fondamento per più specifiche azioni positive per la parità»;
    dopo l'approvazione della legge costituzionale n. 1 del 2003 e della legge costituzionale n. 2 del 2001, che portarono alla riforma dell'articolo 51 della Costituzione e all'introduzione dell'articolo 117, settimo comma 7 della Costituzione, fu la sentenza n. 4 del 2010 della Corte costituzionale, che, non riscontrando alcun profilo di illegittimità costituzionale nel meccanismo della doppia preferenza di genere, introdotta dalla legge elettorale regionale della Campania, sancì e a diede piena attuazione al quadro costituzionale disegnato nel 2001 e nel 2003. Tale meccanismo infatti è ispirato «al principio fondamentale dell'effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell'articolo 3, secondo comma, Costituzione, che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all'organizzazione politica del Paese» (Corte costituzionale, sentenza n. 4 del 2010);
    nell'ambito sociale vanno inoltre sottolineati molti cambiamenti che hanno riguardato le donne e la loro partecipazione al mercato del lavoro, alla vita familiare, ai gradi di istruzione. È stata una sentenza della Corte costituzionale del 1960 a dichiarare illegittima la norma che escludeva le donne da una vasta categoria di uffici pubblici, tra cui l'ufficio di prefetto. Nel 1970 venne approvata la legge sul divorzio e nel 1975 venne riformato il diritto di famiglia, garantendo parità tra i coniugi e la comunione dei beni, nel 1977 viene approvata la legge di parità, integrata poi nel 1991 dalla legge n. 125 sulle pari opportunità e, nel frattempo, vennero abrogati il reato di adulterio (1968), il delitto d'onore ed il matrimonio riparatore (1981);
    negli anni ’90 furono approvati una serie di provvedimenti per incrementare la presenza delle donne nelle assemblee rappresentative. La legge n. 81 del 1993, che per le elezioni comunali prevedeva che «nelle liste nessuno dei due sessi può essere di norma rappresentato in misura superiore ai due terzi». La legge n. 43 del 1995 che stabilì che nelle elezioni regionali «nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati». La legge n. 277 del 1993 per le elezioni della Camera dei deputati che stabilì che «le liste recanti più di un nome sono formate da candidati e da candidate, in ordine alternato»;
    nel 2012 la legge n. 215 promosse il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli e nelle giunte degli enti locali e nei consigli regionali;
    la legge 12 luglio 2011, n. 120, ha introdotto misure per il riequilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società pubbliche e private e, da allora, il tema è recentemente diventato attuale anche all'interno delle istituzioni, in modo particolare nelle assemblee elettive. Per l'elezione dei consigli comunali, nei comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sono state previste una quota di lista (nessun sesso può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi) e la doppia preferenza di genere. Per gli esecutivi la legge prevede che il sindaco nomini la giunta nel rispetto del principio di pari opportunità tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i sessi;
    nella riforma delle province e delle città metropolitane, legge n. 56 del 2014, è stato previsto che nelle liste per le elezioni nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 60 per cento;
    nel 2006, il codice delle pari opportunità ha disposto, come misura transitoria (2004 e 2009), disposizioni per favorire la rappresentanza di genere nelle elezioni del Parlamento europeo, prevedendo che, nell'insieme delle liste di candidati presentate da ciascun partito, nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi. La legge n. 13 del 2014, sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, ha previsto una sanzione pecuniaria per i partiti nelle cui liste alle elezioni politiche ed europee uno dei due sessi sia rappresentato in misura inferiore al 40 per cento;
    la legge del 22 aprile 2014 ha modificato l'articolo 14, primo comma, della legge 24 gennaio 1979, n. 18, in relazione alla promozione dell'equilibrio di genere nella rappresentanza politica alle elezioni per il Parlamento europeo, introducendo la cosiddetta «tripla preferenza di genere»: nel caso in cui l'elettore decida di esprimere più di una preferenza, la scelta deve comprendere candidati di entrambi i generi, pena l'annullamento della seconda e terza preferenza;
    dopo la modifica degli articoli 122 e 123 della Costituzione che hanno dato avvio al processo di elaborazione di nuovi statuti regionali e di leggi per l'elezione dei consigli nelle regioni a statuto ordinario, tutte le regioni, che hanno adottato norme in materia elettorale, hanno introdotto disposizioni specifiche per favorire la parità di accesso alle cariche elettive, in attuazione dell'articolo 117, settimo comma, della Costituzione. Le misure adottare però sono diverse da regione a regione, variando dall'obbligo di inserire nelle liste una quota minima di candidati, all'alternanza nelle liste alla doppia preferenza di genere e i risultati raggiunti in termini di rappresentanza sono inadeguati;
    l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige), agenzia autonoma dell'Unione europea, il 13 giugno 2013 ha pubblicato il primo indice Eige sull'uguaglianza di genere «rapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere», frutto di tre anni di lavoro. Per la prima volta è stato elaborato un indicatore sintetico ma esaustivo delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri. L'indice, che prende in considerazione 6 diversi settori (lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute), ha un valore tra 1 e 100, dove 1 indica un'assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere;
    nonostante più di 50 anni di politiche per l'uguaglianza di genere a livello europeo, il rapporto ha mostrato come le disparità di genere risultino ancora prevalenti nell'Unione europea. Con un indice medio di 54,0, l'Unione europea è ancora a metà nel cammino per raggiungere l'uguaglianza;
    la posizione dell'Italia, con un indice di 40,9, è al di sotto della media europea e si attesta al 23o posto su 27 Stati membri, a parità con la Slovacchia e sopra solo alla Grecia, Bulgaria e Romania. In cima alla graduatoria spiccano i Paesi scandinavi, con valori superiori a 70, mentre il Regno Unito ha un indice di 60,4, la Francia di 57,1, la Spagna di 54,0 e la Germania di 51,6;
    a livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global gender gap, nella graduatoria diffusa nel 2014, l'Italia si colloca al 69o posto su 142 Paesi (era al 71o nel 2013, all'80o nel 2012, al 74o nel 2011 e nel 2010, al 72o nel 2009, al 67o posto nel 2008, all'84o nel 2007 e al 77o nel 2006). L'aumento registrato dall'Italia nella graduatoria globale è determinato principalmente dal significativo aumento del numero delle donne in Parlamento (dal 22 per cento nel 2012 al 31 per cento nel 2013). Nella graduatoria generale svettano i Paesi del Nord Europa; per quanto attiene agli altri Paesi europei, il Belgio si colloca al 10o posto, la Germania al 12o, la Francia al 16o ed il Regno Unito al 26o posto. L'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute;
    per ciò che attiene in particolare al settore della politica, il nostro Paese si colloca al 37o posto della graduatoria, risalendo dopo il brusco calo degli anni precedenti, che poteva probabilmente essere ascritto alla sostanziale staticità dell'Italia in questo campo, a fronte dei progressi registrati in altri Paesi (l'Italia era al 44o posto, al 71o nel 2012, al 55o nel 2011, al 54o nel 2012 e al 45o nel 2009);
    il World economic forum redige periodicamente anche un rapporto sulla competitività dei Paesi a livello globale ed è interessante notare come emerga una correlazione tra il gender gap di un Paese e la sua competitività nazionale. Dal momento che le donne rappresentano la metà del talento potenziale di un Paese, la competitività nel lungo periodo dipende significativamente dalla maniera in cui ciascun Paese educa ed utilizza le sue donne;
    i dati relativi alla presenza femminile negli organi costituzionali italiani hanno sempre mostrato una presenza contenuta nei numeri e molto limitata quanto alle posizioni di vertice;
    nel rapporto della Commissione equality and non discrimination del Consiglio d'Europa, «Assessing the impact of measures to improve women's representation», in cui si analizza la presenza delle donne nelle Assemblee parlamentari nazionali tra il 2005 e il 2015 e le misure messe in atto dai 47 Paesi del Consiglio d'Europa per accrescere la presenza femminile nelle cariche elettive, si evidenzia che l'Italia si colloca al 15o posto essendo passata da una rappresentanza femminile alla Camera dei deputati dell'11,5 per cento nel 2005 al 31 per cento delle elezioni del 2013. I risultati delle elezioni politiche del 24-25 febbraio 2013 presentano, infatti, un segnale di inversione di tendenza: infatti, la media complessiva della presenza femminile nel Parlamento italiano, storicamente molto al di sotto della soglia del 30 per cento, considerato valore minimo affinché la rappresentanza di genere sia efficace, è salita dal 19,5 della XVI legislatura al 30,1 per cento dei parlamentari eletti a Camera e Senato nella XVII legislatura (la media dell'Unione europea è il 27 per cento);
    nei consigli regionali i dati sono negativi e molto diversificati in quanto la rappresentanza delle donne è affidata all'applicazione da parte delle regioni. I dati rilevano, infatti, una presenza di donne nei consigli regionali che va dal 34,7 per cento dell'Emilia-Romagna e al 27,5 per cento della Toscana al 19 per cento della Lombardia, al 3,3 per cento di Calabria e all'assenza di donne elette nel consiglio regionale della Basilicata;
    nella risoluzione del Consiglio d'Europa «Accessing the impact of measures to improve women's political representation» si evidenzia che i dati mettono in luce che «la parità di genere e la partecipazione delle donne alla vita politica dipenda da vari fattori e dalla varietà dei contesti politici, economici, sociali e culturali di ogni paese». Tra i fattori politici vengono rilevati il sistema elettorale, la presenza di quote obbligatorie o volontarie, i partiti politici e il loro funzionamento. Tra i fattori economici viene rilevato in particolare «il gender pay gap e l'accesso alle carriere e alle professioni». Nella risoluzione si invitano gli Stati membri a considerare anche «i fattori culturali che determinano la possibilità per le donne di partecipare alla vita politica, economica e allo sviluppo economico del paese. L'educazione e la formazione sono cruciali, poiché sono una precondizione per acquisire le competenze necessarie e per eliminare gli stereotipi che impediscono ancora il raggiungimento della piena e reale parità. Per le donne che sono attive in politica, l'accesso ai media, la rappresentazione e lo spazio nei media durante le campagne politiche sono elementi cruciali, così come il finanziamento per la campagna stessa»;
    nella risoluzione del Consiglio d'Europa agli Stati membri viene suggerito inoltre che: «Per raggiungere la parità e l'equilibrio di genere nella vita politica, è necessario seguire un approccio olistico e una prospettiva di parità in tutte le aree della società. È inoltre necessario identificare l'ampia varietà di fattori socio-economico, culturale e politico che possono ostacolare o facilitare l'accesso delle donne alle cariche elettive a tutti i livelli»;
    nella pubblicazione «Women and men in Sweden facts and figures 2014» del Governo svedese si afferma che: «Gender equality significa semplicemente che le donne e gli uomini hanno la stessa possibilità di costruire e cambiare la società e le loro vite, il che implica le stesse opportunità, gli stessi doveri e gli stessi diritti in tutte le sfere della vita». La parità di genere è una delle pietre angolari dell'uguaglianza ed ha aspetti quantitativi e aspetti qualitativi. L'aspetto quantitativo implica una uguale presenza delle donne e degli uomini in tutti i campi e le aree della società, come l'istruzione, il lavoro, il tempo libero e le posizioni di potere. Se un gruppo comprende più del 60 per cento di donne, è dominato delle donne, come ad esempio avviene nell'istruzione primaria e secondaria. Se gli uomini sono rappresentati più del 60 per cento allora quel gruppo sarà dominato dagli uomini, come avviene per esempio tra i magistrati o i manager delle società pubbliche o private. L'aspetto qualitativo implica invece che alle conoscenze, alle esperienze e ai valori di donne e di uomini è dato lo stesso peso e lo stesso valore e che donne e uomini sono impiegati per arricchire e dirigere tutte le sfere e tutti i campi della società, e che dunque non sono utilizzati sono in alcuni ambiti piuttosto che in altri;
    sebbene in Europa metà della popolazione sia costituita da donne e nonostante le raccomandazioni del Consiglio d'Europa la presenza delle donne nelle istituzioni è ancora sottorappresentata. La Commissione di Venezia, Commissione sulla democrazia attraverso la legge, nelle linee guida sulle regolamentazione dei partiti politici afferma che «lo scarso numero di donne in politica rimane un aspetto critico che determina il non pieno funzionamento del processo democratico»;
    la ricorrenza del 2 giugno 2016 costituisce un importante anniversario per ricordare il diritto al voto acquisito dalle donne, ma costituisce anche l'occasione per monitorare ed implementare il raggiungimento della parità, sostanziale e non solo formale, tra donne e uomini, attraverso azioni che rispondano alla visione olistica indicata dal Consiglio d'Europa,

impegna il Governo:

   a prevedere iniziative di carattere nazionale e locale, nel corso del 2016, per ricordare il settantesimo anniversario del raggiungimento del diritto di voto alle donne ed il percorso, dall'Assemblea costituente ad oggi, che ha portato ad aumentare la partecipazione e la rappresentanza delle donne nella vita politica a tutti i livelli, sottolineando altresì il ruolo delle donne dell'Assemblea costituente e delle successive Assemblee parlamentari e prestando particolare attenzione alle istituzioni scolastiche;
   ad assumere iniziative per recepire le indicazioni dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa e a mettere in atto un approccio globale e qualitativo che, interessando tutti i settori e valorizzando i talenti, favorisca l’empowerment delle donne e implementi la parità sostanziale, dando uguale possibilità di incidere nella società e le stesse opportunità, gli stessi doveri e gli stessi diritti in tutte i settori, politico, sociale, economico, finanziario, lavorativo, educativo e nei media alle donne.
(1-01184) «Centemero, Carfagna, Prestigiacomo, Bergamini, Calabria, Capozzolo, Giorgia Meloni, Castiello, Censore, Luigi Cesaro, Gelmini, Gullo, Milanato, Nizzi, Occhiuto, Palmizio, Polidori, Elvira Savino, Giacomoni».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

partecipazione delle donne

eguaglianza uomo-donna

diritti della donna