ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00613

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 308 del 13/10/2014
Abbinamenti
Atto 1/00272 abbinato in data 13/10/2014
Atto 1/00611 abbinato in data 13/10/2014
Atto 1/00615 abbinato in data 13/10/2014
Atto 1/00620 abbinato in data 11/11/2014
Firmatari
Primo firmatario: NICCHI MARISA
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 13/10/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
MATARRELLI TONI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
DURANTI DONATELLA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
COSTANTINO CELESTE SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
RICCIATTI LARA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
PELLEGRINO SERENA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 13/10/2014


Stato iter:
11/11/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 13/10/2014
Resoconto NICCHI MARISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 13/10/2014
Resoconto BINETTI PAOLA PER L'ITALIA
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
 
INTERVENTO GOVERNO 13/10/2014
Resoconto AMICI SESA SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
PARERE GOVERNO 11/11/2014
Resoconto AMICI SESA SOTTOSEGRETARIO DI STATO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - (PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 11/11/2014
Resoconto LOCATELLI PIA ELDA MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto GEBHARD RENATE MISTO-MINORANZE LINGUISTICHE
Resoconto DI SALVO TITTI MISTO-LIBERTA' E DIRITTI - SOCIALISTI EUROPEI (LED)
Resoconto BINETTI PAOLA PER L'ITALIA
Resoconto RONDINI MARCO LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto NICCHI MARISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto TINAGLI IRENE SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto SALTAMARTINI BARBARA NUOVO CENTRODESTRA
Resoconto MILANATO LORENA FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto MUCCI MARA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto AGOSTINI ROBERTA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto CORSARO MASSIMO ENRICO FRATELLI D'ITALIA-ALLEANZA NAZIONALE
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 13/10/2014

DISCUSSIONE IL 13/10/2014

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 13/10/2014

ATTO MODIFICATO IL 31/10/2014

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 11/11/2014

ACCOLTO IL 11/11/2014

PARERE GOVERNO IL 11/11/2014

DISCUSSIONE IL 11/11/2014

VOTATO PER PARTI IL 11/11/2014

APPROVATO IL 11/11/2014

CONCLUSO IL 11/11/2014

Atto Camera

Mozione 1-00613
presentato da
NICCHI Marisa
testo presentato
Lunedì 13 ottobre 2014
modificato
Martedì 11 novembre 2014, seduta n. 329

   La Camera,
   premesso che:
    il più significativo cambiamento sociale dei nostri tempi è rappresentato dalla volontà e dal desiderio delle donne di affermare la loro autonomia e indipendenza;
    tale cambiamento sollecita la responsabilità pubblica a realizzare indispensabili misure volte a: riconoscere la libertà femminile, creare più lavoro per tutte e tutti, superare la tradizionale divisione dei ruoli in tutti i campi, prefigurare un welfare universale, per donne e uomini che lavorano e si adoperano per fare in modo di garantire a tutti i soggetti la libertà di dare il loro contributo alla vita e all'economia secondo diverse strategie personali e familiari;
    indirizzi su cui l'Unione europea è impegnata e su cui, però, emergono nel nostro Paese ritardi e arretratezze da affrontare con rapidità in occasione del semestre italiano della Presidenza del Consiglio dell'Unione europea;
    la Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015 nell'Unione europea, presentata dalla Commissione europea nel settembre 2010, ha previsto specifiche priorità: pari indipendenza economica; pari retribuzione per lo stesso lavoro e lavoro di pari valore; parità nel processo decisionale; dignità, integrità e fine della violenza nei confronti delle donne. Sotto quest'ultimo aspetto il 2013 ha visto da parte dell'Unione europea l'adozione di leggi e azioni volte contrastare la violenza basata sul genere, con un bilancio di circa 15 milioni di euro per finanziare apposite campagne;
    secondo una relazione annuale dell'Unione europea, pubblicata nell'aprile 2014, le disparità uomo-donna stanno diminuendo in Europa, ma i progressi sono ancora lenti. Persistono ancora evidenti disparità fra i due sessi a livello di occupazione, retribuzione e rappresentanza, mentre la violenza contro le donne continua a essere un grave problema;
    nell'ambito dell'Unione europea, malgrado il 60 per cento dei laureati siano donne, le retribuzioni femminili sono ancora del 16 per cento inferiori rispetto a quelle degli uomini per ora lavorata. Inoltre, le donne tendono più spesso a lavorare a tempo parziale (il 32 per cento contro l'8,2 per cento degli uomini) e interrompono la carriera per occuparsi di altri membri della famiglia. Con tutto quello che ciò comporta in termini di divario pensionistico (che si attesta al 39 per cento);
    il tasso di occupazione femminile dell'Unione europea si attesta al 63 per cento contro il 75 per cento per gli uomini;
    la sopradetta relazione dell'Unione europea ricorda, inoltre, che sulle donne incide sensibilmente il lavoro non retribuito in casa e in famiglia e che la presenza femminile ai posti di comando è ancora poco diffusa. Per quanto riguarda, infine, la violenza contro le donne, un'indagine svolta dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali mostra come circa il 33 per cento ha subito violenza fisica e/o sessuale dall'età di 15 anni;
    il 13 giugno 2013, l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (Eige) ha presentato il primo rapporto sull'indice dell'uguaglianza di genere. Un rapporto che rappresenta un indicatore delle disparità di genere nell'Unione europea e nei singoli Stati membri, nei settori del lavoro, del denaro, della conoscenza, del tempo, del potere e della salute;
    il rapporto mostra come le disparità di genere risultino ancora prevalenti nell'Unione europea, nonostante decenni di politiche volte a sostenere l'uguaglianza di genere a livello europeo;
    l'indice dell'uguaglianza di genere, riportato dal sopradetto rapporto dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, ha un valore tra 1 e 100, dove 1 indica un'assoluta disparità di genere e 100 segna il raggiungimento della piena uguaglianza di genere. Ebbene, l'Unione europea ha un indice medio pari a 54, ossia è ancora a metà strada rispetto all'obiettivo della piena uguaglianza fra donne e uomini;
    se si esaminano gli indici dei vari Stati membri, emerge una forte differenza. Assolutamente negativa è la posizione dell'Italia, a cui il rapporto assegna un indice pari a 40,9, collocandosi al ventitreesimo posto su un totale di 27 Paesi. In testa alla graduatoria si trovano i Paesi scandinavi, con valori superiori a 70. Il Regno Unito ha un indice pari a 60,4; la Francia di 57,1; la Spagna di 54 e la Germania di 51,6;
    peraltro, il medesimo rapporto mostra come il nostro Paese sia quello più ricco tra i tredici Paesi che hanno un indice inferiore a 45;
    a livello mondiale, secondo l'analisi annuale del World economic forum sul Global gender gap, nella graduatoria diffusa nel 2013, l'Italia si colloca al settantunesimo posto su 136 Paesi. Per quanto riguarda altri Paesi europei, il Belgio si colloca all'undicesimo posto, la Germania al quattordicesimo, il Regno Unito al diciottesimo e la Francia al quarantacinquesimo posto. L'indice tiene conto delle disparità di genere esistenti nel campo della politica, dell'economia, dell'istruzione e della salute;
    l'Italia si conferma uno dei Paesi europei a più bassa occupazione femminile. E qui la crisi mostra il suo volto nell'impoverimento dei redditi e delle opportunità e, infine, nella sempre maggiore difficoltà di determinare il proprio progetto di vita;
    per quanto riguarda il nostro Paese, il rapporto annuale 2013 dell'Istat riporta i dati 2012 relativi al tasso di occupazione, che confermano – se mai ve ne fosse bisogno – il sensibile divario tra uomini e donne, laddove l'occupazione maschile si attesta al 66,5 per cento, contro il 47,1 per cento femminile. Nel confronto con il resto d'Europa, sempre l'Istat evidenzia come il tasso di occupazione femminile al 47,1 per cento si «scontra» con un 58,6 per cento della media dell'Unione europea a 27 Stati (59,8 Unione europea a 15 Stati);
    il medesimo rapporto Istat ricorda come «la bassa valorizzazione delle competenze, la segregazione occupazionale e la maggiore presenza nel lavoro non standard, sono elementi che concorrono a spiegare la disparità salariale femminile. In media, la retribuzione netta mensile delle dipendenti resta inferiore di circa il 20 per cento a quella degli uomini (nel 2012, 1.103 contro 1.396 euro)», così come la retribuzione oraria delle donne è dell’ 11,5 per cento inferiore rispetto ai maschi;
    i dati regionali indicano un'occupazione femminile al 56,5 per cento nelle regioni del Nord e al 30 per cento nelle regioni del Sud, con un divario molto più alto con l'occupazione maschile;
    in Italia, quindi, più di 5 donne su 10 sono senza reddito da lavoro e, per quelle che lo hanno, la retribuzione media pro capite (calcolata tra impiegate e operaie) si ferma sotto i 25 mila euro annui, mentre quella di un uomo sfiora il tetto dei 31 mila. Un divario che incide non solo sul quotidiano, ma che si ripercuote anche sulla consistenza della futura pensione;
    una delle vie maestre per risolvere il problema della diversa incidenza della disoccupazione femminile sta certamente nell'investire nelle politiche sociali;
    le donne sono ancora le uniche interpreti del lavoro di cura, con margini di tempo per loro stesse estremamente ristretti e con evidenti minori possibilità di occupazione e crescita professionale, e spesso costrette a lasciare il proprio lavoro dopo la nascita dei figli;
    l'autonomia delle donne è ancora ostacolata da condizioni svantaggiate: precarietà; insufficienza dei servizi di welfare quali strumenti di sostegno nella gestione del lavoro di cura e della vita professionale; dimissioni in bianco; mancato riconoscimento sociale della maternità e dei congedi di paternità; carenza di strutture per l'infanzia; un welfare con alti costi e forti disparità nell'offerta tra le diverse aree del Paese; assenza di politiche organiche e attive di sostegno al lavoro femminile. Questa è la fotografia del nostro Paese in materia di politiche di sostegno alle responsabilità familiari e alle scelte delle donne;
    nella relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza del 2012, l'Autorità aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte dello Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
    il dossier 2012 di Cittadinanza attiva ha sottolineato come le strutture comunali su cui possono contare le famiglie superano di poco quota 3.600 e sono in grado di soddisfare circa 147 mila richieste di iscrizione. Il 23,5 per cento dei bambini restano in lista d'attesa e i genitori sono costretti a rivolgersi altrove;
    è inevitabile che l'insufficienza nell'offerta dei servizi socio-educativi per l'infanzia aggravi la fatica delle donne alla loro partecipazione al mercato del lavoro;
    un importante ambito che condiziona fortemente e incide sulle opportunità e sulle prospettive di accesso al lavoro, di carriera, di tempo dedicato alla persona, è certamente quello relativo al depotenziamento dei servizi territoriali socio-assistenziali. I tagli di questi anni al sistema del welfare e, più in generale, alle regioni e agli enti locali, hanno visto indebolirsi la rete dei servizi territoriali e l'assistenza socio-sanitaria;
    insomma, se si vuole promuovere una buona e stabile occupazione femminile nel nostro Paese, vanno avviate efficaci politiche per incrementare l'offerta qualitativa e quantitativa della scuola, del tempo pieno, dei servizi socio-educativi per l'infanzia e dell'assistenza socio-sanitaria;
    riguardo al mercato del lavoro va sottolineata la pratica delle «dimissioni in bianco» del lavoratore o della lavoratrice, una delle piaghe più sommerse in questo ambito, una clausola nascosta nel 15 per cento dei contratti di lavoro a tempo indeterminato che costituisce un ricatto che vede coinvolto circa il 60 per cento delle lavoratrici donne e il 40 per cento dei lavoratori maschi;
    secondo i dati forniti dagli uffici vertenza della Cgil, ogni anno circa 2 mila donne chiedono assistenza legale per estorsione di finte dimissioni volontarie. Si può essere dimissionati con molti pretesti, ma i motivi più frequenti sono la nascita di un figlio, una malattia, il rapporto con il sindacato ed altro;
    il Governo ha deciso di non porre fine immediatamente a questa pratica, ma piuttosto di rinviare il necessario intervento normativo alla delega del cosiddetto «Jobs act», appena approvato dal Senato della Repubblica, e dunque di «annullare» così, di fatto, la proposta di legge in materia, già approvata in prima lettura alla Camera dei deputati;
    si ricorda che detta proposta di legge approvata dalla Camera dei deputati vincola la validità della dichiarazione di dimissioni volontarie all'utilizzo di appositi moduli usufruibili solo attraverso gli uffici provinciali del lavoro e le amministrazioni comunali, assicurando che gli stessi siano contrassegnati da codici alfanumerici progressivi e da una data di emissione che garantiscano la loro non contraffazione, e, al tempo stesso, la loro utilizzabilità solo in prossimità dell'effettiva manifestazione della volontà del lavoratore di porre termine al rapporto di lavoro in essere. Viene così meno la possibilità di estorcere al momento dell'assunzione la contestuale sottoscrizione di una possibile, postuma lettera di dimissioni volontarie;
    è inoltre necessario intervenire per aumentare gli sgravi fiscali, in particolare per le micro e piccole imprese, sulle quali incidono in misura proporzionalmente maggiore i costi delle misure a favore della maternità delle lavoratrici;
    per favorire le madri lavoratrici occorre intervenire con incentivi a favore della destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo;
    in considerazione del costo che la maternità ha in termini di salute e di dedizione totale del proprio tempo a favore dei figli, andrebbe riconosciuta a tutte le donne madri la contribuzione figurativa di almeno un anno per ogni figlio, indipendentemente dallo svolgimento di attività lavorativa al momento della gestazione e un'ulteriore integrazione contributiva per i periodi di lavoro part-time legati alla maternità;
    così come andrebbero rivisti i congedi parentali, ancora troppo poco utilizzati dai padri, estendendoli a tutte le tipologie contrattuali;
    l'articolo 24 della legge n. 92 del 2012, cosiddetta legge Fornero, ha introdotto alcune disposizioni volte a sostenere la genitorialità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
    in particolare, si prevede la possibilità, in via sperimentale per gli anni 2013-2015, di concedere alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di maternità, per gli undici mesi successivi e in alternativa al congedo parentale, la corresponsione di voucher di 300 euro, per l'acquisto di servizi di baby-sitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da richiedere al datore di lavoro;
    in risposta all'interrogazione n. 5-03085 del 25 giugno 2014, in Commissione XII (Affari sociali), a prima firma dell'onorevole. Nicchi, vertente sul suddetto bonus, il Sottosegretario di Stato Franca Biondelli dichiarava che si sta valutando l'opportunità di aumentare l'importo del voucher da 300 a 600 euro. Tale aumento sembra, infatti, compatibile con lo stanziamento finanziario disponibile e mira a rendere più conveniente tali voucher rispetto ai congedi parentali,

impegna il Governo:

   a rafforzare, di concerto con le regioni, sia in termini di incremento quantitativo che di crescita qualitativa, le politiche a favore dei servizi socio-educativi, attraverso la previsione di maggiori e più adeguate risorse finanziarie per la messa in sicurezza e l'incremento delle strutture e dei servizi socio-educativi per l'infanzia e, in particolare, per la fascia neonatale e pre-scolastica, con particolare attenzione alla riduzione delle attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per valorizzare, nel contesto sopraindicato, la rete dei nidi intesi non più come «servizi a domanda individuale»;
   a sostenere politiche attive e misure efficaci per ripensare il rapporto tra tempi di lavoro e di cura al fine di promuovere una maggiore condivisione della cura da parte degli uomini, e favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, valorizzandone la differente soggettività e rimuovendo la disparità economica ancora persistente;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per potenziare – anche attraverso adeguate risorse – la rete dei servizi territoriali e l'assistenza socio-sanitaria e, più in generale, le politiche sociali del nostro Paese;
   ad assumere iniziative per incrementare il bonus attualmente previsto in 300 euro, e introdotto dall'articolo 4 della legge n. 92 del 2012, per l'acquisto di servizi di baby-sitting ovvero per far fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, dando così seguito all'impegno preso dal Governo in risposta all'interrogazione in Commissione XII (Affari sociali) n. 5-03085 del 25 giugno 2014, a prima firma l'onorevole Nicchi;
   ad adottare iniziative per introdurre incentivi a favore della destandardizzazione degli orari, sotto forma di orari flessibili e riduzioni volontarie temporanee o durature dell'impegno lavorativo, per favorire le madri lavoratrici;
   ad adottare iniziative per stanziare adeguate risorse finanziarie volte ad aumentare gli sgravi fiscali delle misure a favore della maternità delle donne lavoratrici che ricadono sui datori di lavoro, con particolare riguardo alle piccole e micro imprese, sulle quali i costi incidono in misura proporzionalmente maggiore;
   ad assumere iniziative per elevare a diciotto mesi la durata dei congedi parentali incentivandone il ricorso da parte dei padri, con un aumento della quota indennizzata (almeno al 60 per cento), e prevedendone una maggiore flessibilità e l'estensione graduale a tutte le tipologie contrattuali;
   a considerare le fasi della vita dedicate alla cura, come crediti ai fini pensionistici con il riconoscimento di: contributi figurativi legati al numero dei figli o ad eventuali altri impegni di cura; integrazioni contributive per i periodi di lavoro part-time per ragioni di cura, possibilità di anticipo della pensione per necessità di accudimento di persone non autosufficienti nel quadro di una revisione del sistema pensionistico che contempli flessibilità e libertà di scelta;
   ad adottare, nell'ambito delle proprie competenze, le opportune iniziative volte a favorire la conclusione dell’iter parlamentare della proposta di legge sulle «dimissioni in bianco», già approvata dalla Camera dei deputati.
(1-00613)
(Nuova formulazione) «Nicchi, Pannarale, Matarrelli, Scotto, Duranti, Costantino, Ricciatti, Pellegrino, Airaudo, Placido».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

eguaglianza uomo-donna

lavoro femminile

retribuzione del lavoro