ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00479

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 233 del 26/05/2014
Abbinamenti
Atto 1/00052 abbinato in data 26/05/2014
Atto 1/00088 abbinato in data 26/05/2014
Atto 1/00146 abbinato in data 26/05/2014
Atto 1/00161 abbinato in data 26/05/2014
Atto 1/00472 abbinato in data 26/05/2014
Atto 1/00475 abbinato in data 26/05/2014
Atto 1/00481 abbinato in data 03/06/2014
Atto 6/00074 abbinato in data 03/06/2014
Atto 1/00482 abbinato in data 03/06/2014
Firmatari
Primo firmatario: BIANCHI DORINA
Gruppo: NUOVO CENTRODESTRA
Data firma: 26/05/2014


Stato iter:
03/06/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 26/05/2014
Resoconto SANTERINI MILENA PER L'ITALIA
Fasi iter:

DISCUSSIONE IL 26/05/2014

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 26/05/2014

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 26/05/2014

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 03/06/2014

RITIRATO IL 03/06/2014

CONCLUSO IL 03/06/2014

Atto Camera

Mozione 1-00479
presentato da
BIANCHI Dorina
testo di
Martedì 3 giugno 2014, seduta n. 238

   La Camera,
   premesso che:
    la Fao ritiene che agricoltura, allevamento e pesca producano una volta e mezzo la quantità di cibo necessaria a sfamare gli abitanti della terra con una dieta adeguata e nutriente. Nel corso degli ultimi 50 anni, metodi sempre più efficaci di produzione agricola hanno notevolmente aumentato la resa dei terreni, l'efficienza degli allevamenti e, complessivamente, la produzione alimentare;
    questa enorme disponibilità, le modalità con cui le industrie alimentari si approvvigionano, lavorano e presentano ai consumatori gli alimenti, hanno favorito nel mondo occidentale una percezione errata sul valore del cibo e sull'enorme lavoro che c’è dietro ogni prodotto commestibile. D'altro canto, l'agricoltura, la pesca e la zootecnia industriali non hanno come principale obiettivo quello di rispondere alle esigenze delle comunità locali, bensì lo scopo di realizzare il maggior profitto possibile vendendo i prodotti sui mercati più redditizi;
    il dato che l'alimentazione influisca per una percentuale inferiore al 20 per cento sui bilanci delle famiglie occidentali genera nei consumatori la sensazione che si tratti di un bene sempre accessibile e di valore relativo; ben diversa è la situazione nei Paesi non caratterizzati dall'economia di mercato, quali ad esempio i Paesi dell'altra sponda del Mediterraneo, dove l'alimentazione influisce per circa il 60 per cento sui bilanci delle famiglie;
    sul mercato internazionale, inoltre, i principali beni alimentari sono trattati come commodity, termine con cui si definiscono i beni per i quali c’è una domanda scarsamente comprimibile, offerti senza differenze qualitative sul mercato e che sono fungibili: come il petrolio, il gas o l'oro e anche il grano, il mais, la soia, il riso, lo zucchero e il caffè. Le commodity, inoltre, possono costituire un'attività sottostante per vari tipi di strumenti finanziari derivati, in particolare per i futures (che sono scommesse sul prezzo futuro dei beni) e, quindi, sono oggetto di speculazione; da tempo taluni Stati dell'Unione europea chiedono di escludere i beni alimentari dal mercato dei derivati, per gli effetti moltiplicativi sui prezzi in caso di diminuzione dei raccolti;
    i numerosi dati diffusi sullo spreco alimentare nel nostro Paese sono sovente sovrastimati e scontano un'impostazione ideologica volta quasi a colpevolizzare i cittadini (gli sprechi di tutta la filiera, ad esempio, sono imputati pro capite); peraltro, molte delle soluzioni redistributive avanzate non tengono sufficientemente conto dei costi di recupero e redistribuzione dei cosiddetti sprechi di cibo: solo una quota di quel che avanza può essere recuperata senza costi superiori ai benefici;
    correttamente gli esperti in materia (in particolare quanti studiano tali problematiche presso il Politecnico di Milano) distinguono tra «eccedenza» e «spreco alimentare»: l'eccedenza è la quantità di cibo prodotto, perfettamente commestibile e che, per vari motivi, non arriva al consumatore attraverso i canali di distribuzione tradizionali. Dunque, è un «di più» rispetto alla domanda di consumo. Il punto è far sì che questa eccedenza venga recuperata a scopo alimentare, cioè donata a chi ne ha bisogno e non gettata in discarica o utilizzata come fonte energetica;
    ciò premesso, la ricerca del Politecnico di Milano (primavera 2012), realizzata dopo avere intervistato 10 esperti, analizzato 124 studi sul problema e consultato un panel di 6.000 nuclei familiari e alcune food bank impegnate nella raccolta delle eccedenze alimentari, ha stimato, con riferimento a tutta la filiera alimentare, che ogni anno in Italia vengono prodotti 6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari: 2,5 milioni da parte dei consumatori, 2,3 milioni dai produttori primari (gli agricoltori e allevatori) e il resto nella fase di trasformazione (0,18 milioni), distribuzione (0,77 milioni) e ristorazione (0,2 milioni);
    valutando quanto valgono in percentuale queste eccedenze, rispetto alla quantità totale di cibo gestita in ogni stadio della filiera, si scopre così che le eccedenze generate nei campi sono il 2,9 per cento della produzione agricola totale, mentre quelle generate nella fase di distribuzione rappresentano il 2,5 per cento di tutte le merci mobilitate. Nelle aziende di trasformazione le eccedenze sono pari allo 0,4 per cento, mentre sono maggiori gli impatti nella ristorazione (6,3 per cento) e tra i consumatori (8 per cento);
    altro elemento contraddittorio e preoccupante è lo sperpero di tali beni, se si considera che ogni anno vengono sprecate ben 5,5 milioni di tonnellate di cibo per un valore di 12,3 miliardi di euro e solo mezzo milione di tonnellate di quanto prodotto in più viene recuperato a scopo alimentare e donato a fini solidaristici;
    ripercorrendo i vari stadi della filiera, il dato più virtuoso è di nuovo quello della trasformazione, che recupera il 55 per cento delle sue eccedenze. Seguono la produzione primaria, che recupera il 12 per cento, la ristorazione (9 per cento) e la distribuzione (8 per cento). I consumatori invece sprecano praticamente il 100 per cento delle loro eccedenze, per un valore di circa 5,7 miliardi di euro l'anno. Si tratta, inoltre, di un notevole impatto ambientale se si considera che una sola tonnellata di rifiuti alimentari genera fino a 4,2 tonnellate di anidride carbonica. Finiscono nella spazzatura il 19 per cento del pane, il 4 per cento della pasta, il 39 per cento dei prodotti freschi (latticini, uova, carne e preparati) e il 17 per cento di frutta e verdura;
    il rapporto del Politecnico è riferito a dati del 2011, ma queste valutazioni sono in linea di massima confermate dal Rapporto 2013 di Knowledge for Expo e Waste Watchers, da cui emerge che gli italiani sprecano, nel modo al quale si è accennato, ogni settimana dai 4,81 ai 13 euro per famiglia, per un totale di 8,7 miliardi di euro di spesa. Lo spreco domestico è valutato attorno all'8 per cento dei costi sostenuti;
    più elevati sono i valori calcolati (aprile 2014) dalla Confederazione italiana agricoltori, secondo la quale ogni famiglia italiana in un anno spende mediamente 515 euro in alimenti che poi non consumerà, sprecando circa il 10 per cento della spesa mensile; si tratta di oltre 4.000 tonnellate di cibo acquistate dai consumatori e buttate in discarica ogni giorno, pari a 6 milioni di tonnellate in un anno;
    ciò avviene nonostante gli italiani siano tra i più virtuosi nell'ambito dell'Unione europea: in Gran Bretagna ogni anno vanno persi 6,7 milioni di tonnellate di alimenti per un valore di 10 miliardi di sterline. In Svezia ogni famiglia getta nella spazzatura il 25 per cento del cibo comprato, mentre in Cina tale valore si attesta al 16 per cento. Si è, comunque, ben distanti dal dato clamoroso degli Stati Uniti, che nel complesso non utilizzano il 40 per cento della spesa alimentare; enormi risorse sono utilizzate per la produzione di cibo non consumato negli Usa: il 30 per cento di fertilizzante, il 31 per cento delle terre coltivate, il 25 per cento del consumo totale di acqua dolce e il 2 per cento del consumo totale di energia;
    dalle valutazioni effettuate nel 2011 dalla Commissione europea (Consumer Empowerment in the EU – SEC(2011) 469), i rifiuti alimentari nei 27 Stati membri ammonterebbero a circa 89 milioni di tonnellate, che aumenteranno, sempre secondo attendibili stime, a 126 milioni di tonnellate nel 2020 (ossia 179 chilogrammi pro capite l'anno, di cui 108 in Italia) che potrebbero aumentare fino a 238: questo senza contare gli sprechi a livello di produzione agricola o ittica (le catture di pesce rigettate in mare);
    sulla base di questi dati, il 19 gennaio 2012 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione (2011/2175(INI)) sullo spreco di alimenti nella quale si cerca di individuare le strategie per migliorare l'efficienza della catena alimentare nell'Unione europea al fine di ridurre gli sprechi alimentari del 50 per cento entro il 2025, anche in considerazione del fatto che nell'Unione europea 79 milioni di persone (il 15 per cento) vivono ancora al di sotto della soglia di povertà (cioè con un reddito inferiore al 60 per cento del reddito medio del Paese di residenza) e che, di questi, circa 16 milioni hanno ricevuto aiuti alimentari attraverso enti di beneficenza;
    la risoluzione del Parlamento europeo rileva che lo spreco alimentare ha origine per diversi motivi: la sovra-produzione, l'errata individuazione del target del prodotto (forma o dimensioni inadatte), il deterioramento del prodotto o dell'imballaggio, le norme di commercializzazione (problemi di aspetto o imballaggio difettoso), oppure l'inadeguatezza della gestione delle scorte e delle strategie di marketing; infine, l'errata valutazione negli acquisti da parte dei consumatori;
    quanto alle soluzioni, la risoluzione del Parlamento europeo insiste sulla necessità di adottare una strategia coordinata al fine di evitare gli sprechi alimentari e di migliorare l'efficienza della catena agroalimentare: a) promuovendo relazioni dirette fra i produttori e i consumatori; b) accorciando la catena dell'approvvigionamento alimentare; c) invitando tutti gli attori coinvolti a proseguire sulla strada della condivisione delle responsabilità; d) potenziando il coordinamento per migliorare ulteriormente la logistica, il trasporto, la gestione delle scorte e gli imballaggi;
    invita, pertanto, la Commissione europea ad introdurre misure atte a ridurre gli sprechi alimentari a monte, come, ad esempio, l'etichettatura con doppia scadenza (commerciale e di consumo) e le vendite scontate di prodotti in scadenza o danneggiati;
    nel mese di aprile del 2014, la Spagna ha deciso di abolire la data di scadenza su alcuni prodotti, conservando solo la data più appropriata per il consumo. Inoltre, i rivenditori non saranno più obbligati a ritirare la merce dagli scaffali da uno a tre giorni prima della data di scadenza: un fatto che potrebbe davvero contribuire in modo significativo a ridurre lo spreco, soprattutto se i supermercati offriranno gli alimenti vicini alla scadenza a prezzi vantaggiosi; analogamente diversi Stati membri (in prima fila ci sono Olanda e Svezia) starebbero spingendo per ampliare l'elenco dei prodotti alimentari il cui termine minimo di conservazione non deve essere specificato in base al diritto comunitario. In concreto: la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» potrebbe presto sparire dalle confezioni di pasta, riso, tè, caffè e formaggio duro. Già oggi non è obbligatoria per prodotti quali zucchero, sale o aceto;
    quanto al sostegno agli indigenti, va ricordato il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti (Pead), nato nel 1987 nell'ambito della Politica agricola comune (Pac), al fine di consentire che le eccedenze della produzione agricola europea potessero essere utilizzate anziché distrutte. Nel 2013 l'Italia ha ricevuto da questo programma circa 98 milioni di euro; con riferimento alla programmazione pluriennale dell'Unione europea per il periodo 2014-2020, si prevede che il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti sia coperto con i fondi del Fondo sociale europeo, prevedendo 2,5 miliardi di euro per i sette anni della nuova programmazione finanziaria comunitaria;
    l'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha istituito il Fondo per la distribuzione delle derrate alimentari alle persone indigenti, gestito dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), con lo scopo di raccogliere le derrate alimentari eccedenti, che gli operatori della filiera o le imprese di trasformazione volontariamente donano a titolo liberale o come eccedenza di produzione; il fondo provvede alla redistribuzione agli indigenti sul territorio nazionale mediante organizzazioni caritatevoli. L'articolo 1, comma 224, della legge di stabilità per l'anno 2014, ha rifinanziato il fondo con 10 milioni di euro;
    il nostro Paese sta allestendo Expo 2015, un evento di eccezionale importanza e una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico dell'Italia intera; il tema della manifestazione «Nutrire il Pianeta. Energia per la vita» riguarda, tra l'altro, le risorse alimentari del pianeta e la loro distribuzione ottimale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per aumentare la dotazione del Fondo per la distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti, di cui all'articolo 58 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012;
   ad adottare periodiche campagne al fine di sensibilizzare i consumatori circa la riduzione dei rifiuti alimentari e le migliori tecniche di conservazione dei cibi in casa ed a favorire le donazioni dirette di derrate alimentari da distribuire agli indigenti o alle organizzazione dedicate a questo scopo (banchi alimentari), oltre che al fine di coinvolgere le scuole di ogni livello e grado, allo scopo di evitare gli sprechi di cibo all'interno di mense e caffetterie e per favorire l'adozione di diete sane ed equilibrate;
   a riconsiderare lo scarto alimentare come rifiuto, differenziando invece la raccolta per categorie di prodotti e, in tale ambito, a consentire, mediante modifica delle norme vigenti, il ritiro diretto del pane prodotto in eccedenza dai forni da parte delle organizzazioni caritatevoli, al fine della distribuzione gratuita;
   ad istituire un programma nazionale di ricerca per identificare la quantità e le cause strutturali delle eccedenze degli sprechi di alimenti, al fine di individuare, a livello nazionale, gli obiettivi e i metodi di riduzione;
   a valutare, in seno all'evento di Expo 2015, la possibilità di affrontare in sede internazionale il problema dello spreco alimentare, definendo orientamenti e strategie globali per migliorare l'efficienza della catena agroalimentare;
   ad avviare un processo di standardizzazione delle etichette sui prodotti alimentari al fine di aiutare i consumatori circa la scelta e l'uso dei prodotti, favorendo, così, la riduzione degli sprechi e ad assumere iniziative per apportare modifiche alle normative sulla commercializzazione e la vendita dei prodotti agroalimentari, introducendo una doppia scadenza, oltre alla data di produzione, con le indicazioni anche organolettiche del prodotto (con la dicitura «preferibilmente entro» – data di scadenza commerciale), essendo comunque indispensabile e necessario indicare la data di scadenza vera e propria, con la dicitura «da consumarsi entro», posto che essa è relativa alla salubrità del prodotto alimentare;
   ad assumere iniziative normative che, in relazione al processo di aggiudicazione di appalti pubblici, conferiscano dei vantaggi alle imprese che concretamente si adoperano per combattere gli sprechi alimentari, favorendo l'utilizzo di prodotti locali e la tutela della qualità dei prodotti medesimi;
   a tutelare e sostenere modelli di organizzazione in grado di recuperare la totalità delle tipologie di prodotti, che possano essere incluse nelle categorie «freschi» e «freschissimi»;
   ad assumere iniziative dirette ad adottare misure anche fiscali volte a favorire lo sviluppo della filiera corta alimentare;
   ad impegnarsi in sede comunitaria al fine di intraprendere un'azione congiunta, volta ad impedire speculazioni finanziarie sulle commodity alimentari, quali grano, mais, soia, riso e zucchero.
(1-00479) «Dorina Bianchi».