ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00295

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 149 del 10/01/2014
Abbinamenti
Atto 1/00254 abbinato in data 13/01/2014
Atto 1/00058 abbinato in data 13/01/2014
Atto 1/00297 abbinato in data 13/01/2014
Atto 1/00304 abbinato in data 13/01/2014
Atto 1/00306 abbinato in data 13/01/2014
Atto 1/00307 abbinato in data 13/01/2014
Atto 1/00313 abbinato in data 15/01/2014
Firmatari
Primo firmatario: DI SALVO TITTI
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 10/01/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
NICCHI MARISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 10/01/2014
PIAZZONI ILEANA CATHIA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 10/01/2014
AIELLO FERDINANDO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 10/01/2014
MIGLIORE GENNARO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 10/01/2014
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 10/01/2014
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 10/01/2014


Stato iter:
15/01/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 13/01/2014
Resoconto NICCHI MARISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 13/01/2014
Resoconto DI VITA GIULIA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto PESCO DANIELE MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BINETTI PAOLA PER L'ITALIA
Resoconto BARONI MASSIMO ENRICO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto DALL'OSSO MATTEO MOVIMENTO 5 STELLE
 
PARERE GOVERNO 15/01/2014
Resoconto GUERRA MARIA CECILIA VICE MINISTRO - (LAVORO E POLITICHE SOCIALI)
 
INTERVENTO GOVERNO 15/01/2014
Resoconto GUERRA MARIA CECILIA VICE MINISTRO - (LAVORO E POLITICHE SOCIALI)
 
DICHIARAZIONE VOTO 15/01/2014
Resoconto DI GIOIA LELLO MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto GIGLI GIAN LUIGI PER L'ITALIA
Resoconto RONDINI MARCO LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto VARGIU PIERPAOLO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto ROCCELLA EUGENIA NUOVO CENTRODESTRA
Resoconto DI SALVO TITTI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto FUCCI BENEDETTO FRANCESCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto CECCONI ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BOBBA LUIGI PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 13/01/2014

DISCUSSIONE IL 13/01/2014

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 13/01/2014

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 15/01/2014

ACCOLTO IL 15/01/2014

PARERE GOVERNO IL 15/01/2014

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 15/01/2014

VOTATO PER PARTI IL 15/01/2014

DISCUSSIONE IL 15/01/2014

APPROVATO IL 15/01/2014

CONCLUSO IL 15/01/2014

Atto Camera

Mozione 1-00295
presentato da
DI SALVO Titti
testo presentato
Venerdì 10 gennaio 2014
modificato
Mercoledì 15 gennaio 2014, seduta n. 152

   La Camera,
   premesso che:
    è fin troppo nota la condizione di profonda crisi in cui tuttora versa la società italiana. I dati Istat del 2012 confermano un quadro allarmante in cui 9 milioni e 563.000 persone, pari al 15,8 per cento della popolazione italiana, versano in condizione di povertà relativa, mentre 4 milioni e 814.000 persone, pari al 7,9 per cento della popolazione, si trovano in condizioni di povertà assoluta. Il numero di famiglie in tale, drammatica, situazione sono aumentate, rispetto al 2011, del 33 per cento. Si tratta dell'incremento percentuale più rilevante degli ultimi dieci anni. Sempre stando ai dati del 2012, ben 8,6 milioni di individui fanno parte di nuclei familiari gravemente deprivati, ovvero, famiglie che presentano quattro o più segnali di deprivazione su un elenco di nove, comprendenti, tra l'altro: l'impossibilità di sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie l'anno, lontano da casa; avere debiti arretrati per il pagamento di mutui, canoni di locazione e bollette; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni; non poter riscaldare adeguatamente la propria abitazione; non potersi permettere essenziali elettrodomestici di uso comune; non potersi permettere un'automobile;
    l'incremento vertiginoso degli indicatori sulla povertà assoluta – 2 milioni di persone in più a rischio negli ultimi 5 anni – e di quelli sulla povertà relativa, trovano riscontro nell'aumento dell'indebitamento medio delle famiglie italiane, passato nell'arco temporale 2003-2011, secondo i dati della Banca d'Italia, dal 30,8 per cento al 53,2 per cento del reddito disponibile lordo. Le famiglie si indebitano sempre di più, basti pensare che nei soli primi mesi del 2012 le famiglie indebitate sono passate dal 2,3 per cento al 6,5 per cento e che, secondo l'indagine di Confcommercio e Censis, Outlook Italia 2013, 4,2 milioni di famiglie (il 17 per cento del totale) non riescono a coprire tutte le spese mensili;
    più in dettaglio, gli ultimi rilevamenti dell'Istituto nazionale di statistica (Istat) restituiscono ancora una volta un'immagine drammatica:
     a) nel 2012, il 12,7 per cento delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il 6,8 per cento lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila). Le persone in povertà relativa sono il 15,8 per cento della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l'8 per cento (4 milioni 814 mila);
     b) tra il 2011 e il 2012 aumenta sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1 per cento al 12,7 per cento) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2 per cento al 6,8 per cento), in tutte e tre le ripartizioni territoriali;
     c) la soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2 per cento);
     d) l'incidenza di povertà assoluta aumenta tra le famiglie con tre (dal 4,7 per cento al 6,6 per cento), quattro (dal 5,2 per cento all'8,3 per cento) e cinque o più componenti (dal 12,3 per cento al 17,2 per cento); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta passano dal 10,4 per cento al 16,2 per cento; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9 per cento si raggiunge il 17,1 per cento;
     e) aumenti della povertà assoluta vengono registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8 per cento al 9,1 per cento) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4 per cento al 13,3 per cento);
     f) oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5 per cento al 9,4 per cento) e di lavoratori in proprio (dal 4,2 per cento al 6 per cento), la povertà assoluta aumenta tra gli impiegati e i dirigenti (dall'1,3 per cento al 2,6 per cento) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6 per cento al 5,3 per cento);
     g) la crescita dell'incidenza di povertà assoluta è tuttavia più marcata per le famiglie con a capo una persona non occupata: dall'8,4 per cento è salita all'11,3 per cento se in condizione non professionale, dal 15,5 per cento al 23,6 per cento se in cerca di occupazione;
     h) le dinamiche della povertà relativa confermano molti dei peggioramenti osservati per la povertà assoluta: famiglie con uno o due figli, soprattutto se minori (dal 13,5 per cento al 15,7 per cento quelle con un minore, dal 16,2 per cento al 20,1 per cento quelle con due); famiglie con tutti i componenti occupati (dal 4,1 per cento al 5,1 per cento), con occupati e ritirati dal lavoro (dal 9,3 per cento all'11,5 per cento), con persona di riferimento dirigente o impiegato (dal 4,4 per cento al 6,5 per cento, particolarmente marcata tra gli impiegati), ma soprattutto in cerca di occupazione (dal 27,8 per cento al 35,6 per cento);
     i) l'aumento di fenomeni di pauperizzazione ha colpito soprattutto i giovani e le regioni meridionali: il panorama regionale mette in evidenza il forte svantaggio dell'Italia meridionale e insulare, con una percentuale di famiglie povere più che doppia rispetto alla media nazionale. Nel Mezzogiorno, le famiglie in povertà relativa sono il 23,3 per cento di quelle residenti (contro il 4,9 del Nord e il 6,4 del Centro) e quelle in povertà assoluta ne rappresentano l'8 per cento (contro il 3,7 per cento e il 4,1 per cento rispettivamente). Le situazioni più gravi si osservano tra le famiglie residenti in Sicilia (27,3 per cento) e Calabria (26,2 per cento) dove sono povere oltre un quarto delle famiglie. All'opposto, nel resto del Paese si registrano incidenze di povertà relativa decisamente più contenute: la provincia di Trento mostra l'incidenza più bassa (3,4 per cento), seguita da Lombardia (4,2 per cento), Valle d'Aosta e Veneto (4,3 per cento). Nel Mezzogiorno, inoltre, alla più ampia diffusione della povertà si associa anche una maggiore gravità del fenomeno: le famiglie povere sono di più e hanno livelli di spesa mediamente molto più bassi di quelli delle famiglie povere del Centro-Nord. L'intensità della povertà relativa è, infatti, pari al 22,3 per cento (contro il 18,2 per cento del Nord e il 20 per cento del Centro) e quella di povertà assoluta al 18,8 per cento (contro rispettivamente il 16,4 per cento e il 18,4 per cento);
    come riporta la relazione al Parlamento dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, presentata il 13 maggio 2013, il dato che più di altri aiuta ad individuare il fallimento delle politiche sinora adottate è quello relativo al rischio di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni: esso è pari al 70 per cento nel Mezzogiorno a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale. Settanta su cento minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno d'Italia rischiano di essere poveri;
    le peggiori condizioni di privazione ricadono, peraltro, sui figli degli immigrati, sui bambini delle famiglie giovani o i bambini con un solo genitore, spesso la madre, che, per il tasso di impiego delle donne molto più basso della media europea, non riesce a mantenere il bambino;
    già nella relazione dell'anno precedente l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza aveva sollevato la problematica relativa all'impatto negativo della mancanza di investimenti, da parte dello Stato, a favore dell'infanzia e dell'adolescenza;
    al forte ridimensionamento dell'intervento pubblico per quanto concerne le politiche sociali, si aggiunge la mancata definizione dei livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale;
    i pesanti tagli agli enti locali attuati in questi ultimi anni non hanno fatto che peggiorare la situazione dal punto di vista delle politiche sociali di contrasto alla povertà e della qualità dei relativi servizi. Il dato di fondo resta sempre l'enorme scarto esistente tra le esigenze delle famiglie e la reale possibilità di soddisfare tali esigenze;
    i dati relativi al tasso di disoccupazione nel nostro Paese mostrano un quadro di assoluta gravità che continua a peggiorare. Si tratta di una vera e propria emorragia di posti di lavoro, che colpisce gli under 30, ma non di meno tutte le altre fasce di età. Quello che più turba è l'enorme crescita di quanti si dicono «scoraggiati», che hanno smesso di cercare lavoro perché ritengono di non trovarlo. La disoccupazione continua a crescere anche nell'ambito del lavoro precario, a riprova del fatto che la scelta di favorire contratti non a tempo indeterminato ha poco o scarso impatto sul problema occupazionale, mentre priva i lavoratori di molti diritti fondamentali;
    sono 2,8 milioni i lavoratori precari; la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12,2 per cento, con punte che sfiorano il 40 per cento tra i più giovani; tra i disoccupati solo uno su quattro riesce a trovare un lavoro, sempre più spesso precario, entro un anno;
    se la disoccupazione giovanile è oltre il 40 per cento, il resto dei giovani è per la maggior parte precario e senza diritti. Tali numeri mettono a rischio la tenuta del sistema Paese. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
    i furti dei generi di prima necessità nei supermercati sono aumentati del 7,8 per cento (dato tratto dal «Barometro dei furti nella vendita al dettaglio» a cura del Centre for Retail Research, ottobre 2011);
    la questione abitativa, aggravata dal costante aumento del numero di famiglie ed individui che, a causa della perdita del lavoro e della drastica contrazione del reddito, scendono al di sotto della soglia di povertà, sta assumendo i caratteri di una vera e propria emergenza nazionale. Si stimano in oltre 430.000 le famiglie in difficoltà per il costo dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state ben 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi 4 anni) di cui l'87 per cento per morosità. Una situazione di vero allarme che riguarda tutto il Paese, anche se con situazioni di vera e propria emergenza per le grandi aree urbane e per le regioni dell'Italia settentrionale, ove, per l'incidenza della crisi economica, le percentuali di sfratti per morosità incolpevole arrivano a superare il 90 per cento e riguardano spesso anche le locazioni di alloggi popolari;
    da quanto si desume dai dati menzionati, sempre più persone – in una composizione sociale mutata comprendente interi nuclei familiari e tutti quei soggetti che rientrano nella definizione di «nuove povertà» – hanno perso, o rischiano seriamente di perdere, la propria abitazione, incrementando il già considerevole e drammatico numero di utenti bisognosi di accoglienza;
    in Italia, i dati relativi alle sentenze di sfratto emesse, diffusi dal Ministero dell'interno, dicono che nel solo 2012 le sentenze di sfratto sono state circa 68 mila e gli sfratti per morosità incolpevole sono stati oltre 60 mila;
    la crisi economica da almeno cinque anni si sta facendo sentire anche nel settore delle locazioni e produce precarietà abitativa, riduzione dei redditi e disagio sociale che spesso sfociano in questioni di ordine pubblico;
    secondo un'indagine realizzata dalla Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, nel 2012 si stimavano in oltre 50.000 le persone senza fissa dimora, con la concreta possibilità che il numero reale si potesse attestare anche nel doppio, rasentando quasi lo 0,2 per cento della popolazione italiana. Le grandi città rispecchiano compiutamente tale tragico contesto: nella città di Milano si contavano oltre 4.000 adulti privi di una casa, nella città di Torino circa 1.300 persone si sono rivolte alle case di prima accoglienza notturna gestite dal comune e 1.500 persone hanno usufruito di interventi e prestazioni presso l'ambulatorio sociosanitario per persone senza fissa dimora. A Napoli, Bologna e Firenze è stata calcolata la presenza stabile di almeno 2.000 homeless, mentre nella capitale vivrebbero circa 8.000 persone senza fissa dimora, di cui ben 5.500 in strada e 2.500 ospitati nei centri di accoglienza notturni del comune e delle associazioni di volontariato;
    nel quadro delle politiche sociali, in Italia, il tema delle persone senza dimora e del grave disagio abitativo è sempre stato ai margini, in posizione analoga allo spazio occupato da queste persone e dai servizi che se ne occupano all'interno del contesto sociale. Questa dimensione di marginalità e separazione, sia nel quadro sociale, sia in quello politico e legislativo, ha impedito, da sempre, lo sviluppo di azioni programmatiche e di interventi che possono essere qualificati come «buone prassi» diffuse a livello nazionale;
    l'assenza di politiche nazionali strutturate e concrete per affrontare il problema di chi perde la propria abitazione o rimane senza fissa dimora sul territorio italiano sta lasciando sempre più in balia dell'emergenza i comuni;
    sebbene siano auspicabili nuove politiche sociali, capaci di non limitarsi a prevedere esclusivamente trasferimenti monetari verso le persone maggiormente in difficoltà, in un Paese fortemente diseguale come il l'Italia – secondo nei livelli di disparità nella distribuzione dei redditi solo al Regno Unito nell'Unione europea e con livelli di disparità superiori alla media dei Paesi Ocse – appare necessario prevedere stanziamenti adeguati finalizzati a garantire un alloggio a tutte quelle persone che ne sono prive;
    l'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013, ha istituito un fondo nazionale per la morosità incolpevole e ha disposto che i comuni programmino azioni di accompagnamento sociale per il passaggio da casa a casa per sfrattati e ha disposto anche che i prefetti graduino gli sfratti sulla base delle attività di accompagnamento predisposte dai comuni. Resta da emanare il decreto attuativo di quanto disposto dall'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013, in materia di ripartizione delle risorse del fondo contro la morosità incolpevole alle regioni e la definizione della morosità incolpevole valida per quelle regioni e comuni che ad oggi non hanno ancora proceduto alla definizione;
    le politiche messe in atto dagli ultimi Governi ruotano sostanzialmente intorno alla cosiddetta social card di impronta marcatamente assistenzialista e che ha dato scarsissimi risultati pratici;
    mercoledì 18 settembre 2013 è stata presentata a Roma la relazione finale: «Proposte per nuove misure di contrasto alla povertà», elaborata dal gruppo di studio appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali interrogato il 13 giugno 2013. Obiettivo della relazione è quello di descrivere una nuova misura nazionale di contrasto alla povertà assoluta e all'esclusione sociale, il «sostegno per l'inclusione attiva (sia)», che ancora non esiste nel sistema italiano e che dovrebbe rappresentare l'evoluzione naturale delle sperimentazioni già avviate con la carta acquisti;
    nonostante già dal 2008 la Commissione europea abbia emanato una raccomandazione a tutti i Paesi per l'adozione di una strategia d'inclusione attiva, articolata sui tre pilastri del sostegno economico, di mercati del lavoro inclusivi e di servizi personalizzati, e, in particolare, nonostante l'Italia sia stata anche oggetto di una raccomandazione specifica nell'ambito della Strategia Europa 2020, nella quale sia la Commissione europea che il Consiglio europeo hanno chiesto maggiori sforzi nella lotta alla povertà, pur nel contesto di rigore tuttora richiesto al nostro Paese, l'Italia è l'unico grande Paese europeo a non avere ancora una misura di questo tipo;
    secondo la relazione illustrativa, il sostegno per l'inclusione attiva si caratterizzerà: per l'universalità (non è cioè destinato solo ad alcune categorie, come l'assegno sociale o la pensione di invalidità civile, ma a tutti i poveri); per l'erogazione non solo di una semplice elargizione monetaria, ma per il collegamento di questa ad un percorso di inclusione e attivazione dei componenti del nucleo familiare; per la sua disponibilità a tutti i residenti legalmente in Italia da almeno due anni;
    l'Italia è uno dei pochissimi Paesi europei privi di un meccanismo di questo tipo, la cui assenza si è fatta fortemente sentire nel corso della crisi al punto tale che si hanno 5 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta. L'obiettivo del «sostegno per l'inclusione attiva (sia)» sarebbe dunque quello di permettere a tali soggetti l'acquisto di un paniere di beni e servizi ritenuto decoroso. Non si tratterebbe quindi di un reddito di cittadinanza rivolto a tutti indistintamente, ma di un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi. Al sostegno monetario si prevede di associare un progetto di attivazione e inclusione sociale;
    nella legge di stabilità 2014 è stata estesa la platea dei possibili beneficiari la sperimentazione della cosiddetta carta acquisti, o come ora viene anche chiamata: «Sostegno di inclusione attiva (SIA)» per il contrasto alla povertà, in primo luogo, ai familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. I destinatari sono principalmente le famiglie povere con minori in cui uno degli adulti ha perso il lavoro negli ultimi tre anni. Si prevede, inoltre, una sorta di presa in carico della famiglia, selezionata dai comuni, in seguito a bandi, che poi verificano se i bimbi sono andati a scuola e dal medico, se il papà o la mamma hanno frequentato i corsi di formazione o fatto domanda di impiego ed altro;
    secondo Maria Cecilia Guerra, Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, la norma consentirà di allargare la platea a 400 mila poveri nel 2014, ovvero 160-170 mila in più del previsto: solo per un minoranza del tutto minima;
    dando vita all'Alleanza contro la povertà in Italia, un insieme molto rappresentativo di soggetti sociali, sindacali, del terzo settore, istituzionali (Acli, Anci, Action Aid, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil-Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano Onlus, Fio-PSD, Fondazione Banco Alimentare, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network) intende promuovere adeguate politiche contro la povertà assoluta, per far fronte al dilagare di questo grave fenomeno, che riguarda ormai l'8 per cento della popolazione;
    in un documento comune i soggetti che aderiscono all'Alleanza contro la povertà in Italia chiedono al Governo di avviare un piano nazionale contro la povertà, di durata pluriennale;
    questo piano, secondo l'Alleanza contro la povertà in Italia, «dovrebbe contenere le indicazioni concrete affinché venga gradualmente introdotta una misura nazionale, rivolta a tutte le persone in povertà assoluta nel nostro Paese, che si basi su una logica non meramente assistenziale ma che sostenga un atteggiamento attivo dei soggetti beneficiari dell'intervento»;
    l'avvio sin dal 2014 del piano nazionale contro la povertà richiederà investimenti, sviluppo di competenze e programmazione: gli enti locali, il terzo settore e le organizzazioni sociali impegnati nel territorio potranno realizzarla solo se riceveranno adeguata risorse economiche;
    il 21 ottobre 2010 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione sul «reddito minimo nella lotta contro la povertà e la promozione di una società inclusiva in Europa», con una maggioranza di 540 voti a favore e 30 contrari;
    tale risoluzione, in modo ancora più netto rispetto ad una precedente sullo stesso tema del 2008, sancisce in modo pieno il riconoscimento di un diritto dei cittadini dell'Unione europea e delle persone che vi risiedano stabilmente ad un reddito che ne salvaguardi la dignità sociale;
    in attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, Carta di Nizza, il reddito minimo viene definito come un diritto sociale fondamentale, destinato a fungere da strumento di protezione della dignità della persona e della sua «possibilità di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale e politica»;
    il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    la piena partecipazione alla vita sociale è richiesta come obiettivo di garanzia della Repubblica italiana, dall'articolo 3 della Costituzione, e è stata richiamata dalla Corte costituzionale tedesca nella sentenza del 9 febbraio 2010, in materia di reddito minino;
    schemi di tutela del reddito sono presenti nella maggior parte dei Paesi europei: infatti, gli Stati membri dell'Unione europea hanno previsto nei loro rispettivi sistemi di protezione sociale un reddito base come fondamento del sistema stesso di integrazione e contrasto alla povertà. Attualmente, tra i ventisette Paesi dell'Unione europea la mancanza di un reddito base è una circostanza riscontrabile solo in Italia, Grecia ed Ungheria;
    la disoccupazione, in particolare quella giovanile, in Italia e in Europa ha raggiunto livelli non più sostenibili e tali da mettere a rischio la tenuta del sistema Paese nel futuro. Un'intera generazione di giovani, per la mancanza del lavoro o per la sua discontinuità, vive situazioni di precarietà strutturale;
    tale situazione non consente a molti giovani di studiare, di fare ricerca, di progettare e realizzarsi nella vita, di creare una famiglia e di mettere al mondo dei figli; li costringe a continuare a dipendere dalle famiglie di origine, anche quando le famiglie sono già, esse stesse, nell'impossibilità di continuare a sostenerli; gli impedisce di concorrere allo sviluppo sociale ed economico dell'Italia, incidendo sulla loro dignità sociale; li discrimina, oggi per il futuro, quando non avranno diritto ad una pensione che possa garantire loro un'esistenza libera e dignitosa;
    il reddito minimo è uno strumento che assicura, in via principale e preminente, l'autonomia delle persone e la loro dignità, e non si riduce ad una mera misura assistenzialistica contro la povertà;
    il reddito minimo è anche uno strumento che tutela la cultura e la dignità del lavoro, perché aiuta ad impedire che lavoratrici e lavoratori siano costretti ad accettare un lavoro purchessia;
    nel corso del 2012, in Italia, è stata avviata una campagna per un reddito minimo garantito, per la presentazione di una proposta di legge di iniziativa popolare, che ha visto il coinvolgimento di molte associazioni della società civile;
    tre proposte di legge d'iniziativa parlamentare di deputati appartenenti ai gruppi di Sinistra Ecologia Libertà, Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, propongono l'istituzione anche nel nostro Paese di un reddito minimo garantito, sia pure con formulazioni parzialmente diverse,

impegna il Governo:

   ad assumere, in coerenza con le risoluzioni europee del 2008 e del 2010, ulteriori iniziative per introdurre il reddito minimo garantito, predisponendo un piano che individui la platea degli aventi diritto, con particolare riferimento alle situazioni di disagio sociale descritte in premessa;
   ad assumere iniziative per incrementare le risorse per le politiche sociali, per l'infanzia e l'adolescenza e per fornire adeguate risorse ai comuni per gli interventi di sostegno alle famiglie ed ai singoli in difficoltà;
   ad assumere iniziative per prevedere interventi, anche di tipo fiscale, per il sostegno alle famiglie in condizione di povertà estrema;
   nelle more degli adempimenti previsti dall'articolo 6, comma 5, della legge n. 124 del 2013 a valutare la possibilità di assumere iniziative per dare modo alle regioni e ai comuni di procedere alla programmazione e alle attività necessarie per affrontare la questione degli sfratti in maniera strutturale e basata sul passaggio da casa a casa, nonché per dare modo al Governo stesso di avviare i provvedimenti già illustrati dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   a valutare la possibilità di prevedere, compatibilmente con le prerogative dei diversi livelli di Governo e in coordinamento con tali enti, un piano nazionale per la messa in atto di interventi di alloggiamento a favore di persone senza fissa dimora che preveda chiaramente che, in ogni contesto territoriale nel quale siano presenti delle persone senza dimora, sia affrontato e programmato un intervento a favore di queste persone che comprenda servizi di accoglienza di primo livello, a bassa soglia di accesso, e servizi alloggiativi di secondo livello, capaci di dare risposte che possano trasformarsi in interventi stabili e duraturi nel tempo;
   a prendere le opportune iniziative per:
    a) il recupero di decine di migliaia di case popolari oggi inutilizzate;
    b) a valutare la possibilità di sostenere gli affitti agevolati con una ulteriore riduzione della cedolare secca;
    c) un aumento delle risorse a favore del Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle abitazioni in locazione (cosiddetto fondo affitti).
(1-00295)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Di Salvo, Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Airaudo, Placido».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

locazione

diritto di soggiorno

problema sociale

sfratto

disoccupazione