ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00232

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 110 del 04/11/2013
Firmatari
Primo firmatario: NICCHI MARISA
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 04/11/2013
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PIAZZONI ILEANA CATHIA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
AIELLO FERDINANDO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
MIGLIORE GENNARO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
DI SALVO TITTI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
LACQUANITI LUIGI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
MELILLA GIANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
RICCIATTI LARA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
SANNICANDRO ARCANGELO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 04/11/2013
DURANTI DONATELLA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 05/11/2013
ZAN ALESSANDRO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/11/2013


Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 05/11/2013

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 07/11/2013

Atto Camera

Mozione 1-00232
presentato da
NICCHI Marisa
testo di
Giovedì 7 novembre 2013, seduta n. 113

   La Camera,
premesso che:
con la legge n. 833 del 1978, il nostro Paese ha istituito il Servizio sanitario nazionale. A trentacinque anni esatti, dalla sua istituzione il servizio sanitario nazionale continua, nonostante tutto, a rappresentare un pilastro fondamentale del nostro sistema di welfare. Con tutti i suoi limiti e le iniquità, peraltro sempre più evidenti, la sanità pubblica ha finora garantito ai cittadini la necessaria assistenza sanitaria;
per poter garantire l'universalità e l'equità, la sanità pubblica ha però bisogno di un profondo cambiamento. Un cambiamento che non si può affidare alle risposte del mercato e al maggiore ricorso al privato – che finirebbero per generare ulteriori elementi di disuguaglianze – ma che deve invece trovare gli indispensabili strumenti riformatori proprio avendo come stella polare la difesa di un servizio pubblico realmente accessibile e universale capace di garantire effettivamente a tutti il diritto alla salute e alle cure;
in realtà si sta sempre più andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico sempre più inefficiente e non adeguato, e destinato alle fasce sociali medie e basse, e un sistema misto pubblico privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, e con prestazioni spesso quali-quantitativamente migliori destinate ai cittadini con maggiori possibilità economiche. Le politiche del definanziamento al Servizio sanitario nazionale e dei ticket, stanno quindi, rendendo competitive le prestazioni private e mettono in crisi i diritti alle prestazioni sanitarie di larghe fasce di popolazione;
evidentissimi sono i margini di miglioramento dell'offerta sanitaria pubblica: va recuperata efficienza ed efficacia, contrastando fortemente sprechi e illegalità, e colmando un divario inaccettabile e sempre più pesante tra le diverse aree del Paese che lede lo stesso principio di accesso universale alle cure e all'assistenza. A ciò si aggiungono altri problemi: il bisogno di potenziamento dell'assistenza territoriale (previsto, ma non finanziato); i tagli al sociale ed alla non autosufficienza; la mancata definizione dei nuovi LEA; i contratti di lavoro bloccati da anni e la precarietà nel comparto; le crescenti diseguaglianze in termini di accesso alle cure; la marginalizzazione della prevenzione;
i dati presentati nei mesi scorsi dalla Conferenza delle regioni, indicano che per il periodo 2010-2015 si sono e saranno realizzati tagli rispetto alla spesa tendenziale che arrivano ad una cifra impressionante, intorno ai 30 miliardi di euro. Il serio pericolo è che in questo modo sono a rischio le prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale. Nella scorsa legislatura, il Governo Berlusconi ha infatti previsto 20 miliardi di tagli, ai quali si aggiungono altri 10 miliardi di euro previsti dal successivo Governo Monti;
a ciò si aggiunga il taglio del Fondo sanitario per il 2013 di circa 1 miliardo, rispetto al Fondo sanitario nazionale 2012 (FSN 2013: 106.824 milioni; FSN 2012: 107,880 milioni);
a questi vanno sommati i tagli alle politiche socio-assistenziali, ai fondi per le non autosufficienze. Va quindi presa piena consapevolezza che il nostro Servizio sanitario in questi anni ha già dato, e non può sopportare ulteriori tagli e definanziamenti, pena l'impossibilità di garantire i livelli di assistenza e quindi l'equità nell'accesso alle prestazioni sanitarie;
come riporta il «Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica» della Corte dei conti, «se da un lato sono sempre stringenti i vincoli per un superamento delle inefficienze, dall'altro sono forti le tensioni che si cominciano a manifestare sul fronte della garanzia di adeguati livelli di assistenza, mentre restano da chiarire le dimensioni di persistenti squilibri finanziari (...). Non mancano, infatti, segnali preoccupanti sul fronte della qualità dei servizi garantiti ai cittadini. Sono ancora previsti rilevanti tagli delle risorse destinate al settore mentre, cresciute le compartecipazioni alla spesa, sempre più limitate, appaiono le possibilità di ricorrere ad ulteriori entrate straordinarie e limitati sono i margini di flessibilità per tutte le realtà territoriali»;
la prima immediata conseguenza è il costante peggioramento della qualità dell'assistenza e addirittura la mancata erogazione degli stessi LEA in particolare da parte delle regioni sottoposte a piani di rientro;
peraltro gli incredibili livelli di disuguaglianza raggiunti nel nostro Paese, unitamente alle conseguenze della drammatica crisi economica che stiamo attraversando, stanno peggiorando le condizioni di vita di moltissime persone;
una crisi economica iniziata nel 2007-2008, e che sta sempre più accentuando le criticità rispetto alla tenuta in termini di qualità, di accessibilità, e di differenziazione geografica del nostro sistema sanitario pubblico;
se prima la crisi colpiva le famiglie, costringendole a fare a meno di alimenti, vestiario e generi di consumo, oggi è in difficoltà anche la capacità di procurarsi medicine;
secondo un recente dossier realizzato dalla Fondazione banco farmaceutico Onlus, infatti, in Italia dal 2006 al 2013 è aumentata la povertà sanitaria. Sono raddoppiati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare medicinali, anche quelli con prescrizione medica. È uno scenario di eccezionale gravità che colpisce in modo profondo il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini più deboli e bisognosi;
a questo si aggiunge una politica miope che sta compromettendo seriamente il servizio sanitario pubblico, creando grandi disparità di accesso e di cure tra le persone. Soprattutto dal 2008 in poi, il Servizio sanitario nazionale ha subito tagli molto pesanti, con effetti negativi sulle prestazioni, erogate, sulla qualità dei servizi, sull'assistenza territoriale, sui finanziamenti all'edilizia sanitaria;
in questi ultimi anni si è infatti assistito a politiche economiche basate prevalentemente sul contenimento e il definanziamento della spesa pubblica, e la sanità è il settore che ha subito i colpi più pesanti, laddove i tagli sono serviti, più che a rendere maggiormente efficiente il sistema e a ridurre i veri sprechi, a trovare con «facilità» risorse immediate per finanziare le manovre economiche che in questi anni si sono succedute;
il ricorso allo strumento del ticket e della compartecipazione al costo in ambito sanitario, è da questo punto di vista esemplare. I dati, presentati il 9 maggio 2013 dall'Agenas, l'Agenzia nazionale per servizi sanitari regionali, nell'ambito del progetto Remolet (Rete di monitoraggio dei livelli essenziali tempestiva), hanno evidenziato il sostanziale fallimento del «superticket» sull'assistenza specialistica introdotto dal Governo Berlusconi, con la finanziaria per il 2011. Avrebbe dovuto compensare un mancato finanziamento al Servizio sanitario nazionale di 830 milioni, ma le stime dicono che complessivamente dovrebbe aver prodotto un gettito di soli 244 milioni di euro;
uno degli effetti negativi evidenti, prodotti dall'introduzione del superticket, è individuabile nel fatto che i cittadini non esenti abbiano richiesto al Servizio sanitario nazionale il 17,1 per cento in meno di prestazioni specialistiche. Si tratta o di casi in cui si è rinunciato per ragioni economiche, o di prestazioni acquistate direttamente dal privato, che le offre a prezzi concorrenziali, ponendo anche problemi in termini di qualità e sicurezza;
non c’è dubbio che, anche a causa di risorse insufficienti o di tempi di attesa molto lunghi, si sta diffondendo in maniera preoccupante un atteggiamento di rinuncia alle cure sanitarie da parte dei cittadini meno abbienti;
è evidente che anche in conseguenza dei tagli alla sanità che vengono da anni costantemente inflitti, ormai senza più limiti, gli aumenti dei ticket – soprattutto per le regioni commissariate – diventano praticamente inevitabili. Questo fa sì, contemporaneamente alla decrescita rapida del livello di reddito delle persone, che anche quel ticket, che viene vista come una spesa sostanzialmente sostenibile, diventi qualcosa di insuperabile, e che mette molti cittadini nelle condizioni di non potersi curare;
ricordiamo che il Servizio sanitario nazionale ha «beneficiato» di un incremento dei ticket che in ambito pubblico sono cresciuti di ben il 13,4 per cento rispetto al 2011, per l'effetto anche della reintroduzione della quota fissa, per ricetta o delle misure equivalenti introdotte dalle regioni;
come ricorda la Corte dei conti, nel 2012 le entrate per le diverse forme di compartecipazione hanno subito una accelerazione. Nel complesso le entrate di tale tipologia son risultate superiori ai 2,9 miliardi, di cui 1,5 miliardi per la specialistica e altre prestazioni e 1,4 miliardi per la farmaceutica. L'aumento rispetto al 2011 è superiore al 9 per cento: +13,4 per cento per la specialistica e altre prestazioni e +5,2 per cento per i farmaci;
il decreto-legge n. 158 del 2012, il cosiddetto decreto Balduzzi, aveva previsto il rilancio dell'assistenza territoriale per l'intero arco della giornata, adottando forme organizzative in grado di erogare prestazioni assistenziali tramite il coordinamento e l'integrazione dei professionisti delle cure primarie del sociale a rilevanza sanitaria, nei limiti però delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale assegnate alle regioni;
attualmente le regioni dovrebbero privilegiare la costituzione di reti di poliambulatori territoriali aperti h24 e collegati telematicamente con gli ospedali. Un obiettivo condivisibile destinato a rimanere sostanzialmente sulla carta in assenza delle risorse necessarie;
il costante aumento della vita media sta comportando inevitabilmente un aumento delle malattie croniche e degenerative, con una conseguente modifica dei bisogni sanitari. Va quindi rivisitato il sistema di protezione sociale, che dovrà essere rivolto sempre più alla persona, per soddisfare le esigenze non solo sanitarie ma anche quelle assistenziali;
la sanità, soprattutto in relazione alle malattie croniche, deve essere sempre maggiormente programmabile, ed è indispensabile che le strutture pubbliche e private accreditate, operino sempre più in sinergia al fine di migliorare le politiche della salute territoriale e della qualità dei percorsi di cura. Sotto questo aspetto andrebbe sviluppata la cosiddetta «sanità di iniziativa», ossia strutture socio-sanitarie che operano per prevenire le diverse patologie e comunque in grado di gestirle al meglio e prevenirne le complicanze;
nell'ambito della riorganizzazione della rete sanitaria territoriale andrebbe incentivata la diffusione delle «Case della Salute», un nuovo punto di riferimento per la salute dei cittadini, dove i servizi di assistenza primaria si integrano nel territorio con quelli specialistici, della sanità pubblica, della salute mentale e con i servizi sociali e le associazioni di volontariato, nonché per la presa in carico dei portatori di handicap alle cure per i malati cronici. In questo senso l'integrazione socio-sanitaria è essenziale, e la collaborazione con i comuni è indispensabile per portare avanti programmi multisettoriali;
la realtà è che in ambiti quali la prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale, la razionalizzazione delle reti ospedaliere, sarebbe necessario investire oggi per ottenere risparmi, complessivi per il Servizio sanitario nazionale domani;
va peraltro sottolineato che a fronte di tagli pesantissimi volti a ridurre il peso della spesa sanitaria sul bilancio statale, il nostro servizio sanitario pubblico rimane tra i meno costosi al mondo. Nelle statistiche internazionali, l'Italia si presenta con una spesa più bassa della media OCSE e della media Unione europea;
il 26 settembre scorso, è stato presentato il IX rapporto Ceis (Centre for economic and international studies) dell'università di Roma «Tor Vergata», dal titolo «Crisi economica e sanità»;
i dati che emergono dal Rapporto parlano di un calo degli investimenti (ma solo nel pubblico), e di una spesa che si sposta sui cittadini, soprattutto nelle regioni in «rosso»;
per quanto riguarda la spesa sanitaria italiana, il Rapporto conferma che, considerando, sia la componente pubblica che privata, è ormai tra le più basse d'Europa: quasi il 24 per cento in meno rispetto alla media dell'Europa a 15, in sostanza la «vecchia» Europa, dove sono compresi, oltre all'Italia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia;
nel 2011 la spesa sanitaria complessiva (pubblica e privata) pro-capite in Italia è stata inferiore di circa il 23,9 per cento rispetto ai Paesi appartenenti all'EU 15. Con un'incidenza complessiva sul PIL che formai inferiore al 9 per cento (fonte OECD). Un quadro negativo che si ritrova, anche nella spesa pubblica per la protezione sociale;
è necessario difendere le caratteristiche del nostro Servizio sanitario nazionale, e che sono la tutela della salute, l'equità, di accesso ai servizi sanitari, l'universalità e il finanziamento pubblico;
nella nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2013, presentata dal Governo a settembre scorso, si legge, tra l'altro, che il sistema sanitario dovrà essere sempre più «selettivo», occorrendo in particolare «ridisegnare il perimetro dei LEA». Ovvero queste affermazioni rischiano di comportare inevitabilmente una rivisitazione delle prestazioni cui hanno diritto i cittadini;
di fatto, prosegue il definanziamento della sanità pubblica per i prossimi anni, ma con in più, una probabile riduzione delle tutele;
i dati presentati, dalla nota di aggiornamento al DEF 2013, parlano infatti di una spesa sanitaria a legislazione vigente per gli anni 2012/2017, che passa dal 7,1 per cento del PIL del 2013 e del 2014, al 6,8 per cento per il 2016, e al 6,7 per cento del PIL per il 2017;
le necessarie risorse da «liberare» al fine di un finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale, devono infatti trovarsi in gran parte da una vera lotta alla corruzione, al controllo rigoroso degli accreditamenti, alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, piuttosto che con una riduzione dei diritti e dell'universalismo, e nei tagli lineari che da anni stanno interessando il Servizio sanitario nazionale;
la legge n. 191 del 2009 e il decreto-legge n. 95 del 2012, hanno previsto che la prosecuzione ed il completamento da parte delle regioni interessate dal piano di rientro e non commissariate, sono le condizioni per l'attribuzione a dette regioni di una quota premiale annua, pari allo 0,25 per cento delle risorse ordinarie previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, qualora dette regioni abbiano adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari;
la necessità di «premiare» le regioni che hanno avviato un percorso virtuoso di rientro dal deficit sanitario, andrebbe rafforzato prevedendo che la suddetta quota premiale di riparto venga attribuita anche per quelle regioni sottoposte ai piani di rientro che avviino processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini;
vale peraltro la pena evidenziare che – come riporta la CGIL nel suo «Una sanità di tutti» del 22 gennaio 2013 – oltre a garantire il diritto alla salute e alle cure, la spesa, per il Servizio sanitario nazionale potrebbe invece rappresentare un eccellente investimento economico. Il valore aggiunto diretto e indotto derivante dalle attività della filiera della salute supera i 150 miliardi di euro, pari a circa il 12 per cento del PIL;
negli ultimi dieci anni, accanto alla farmaceutica, vi è stata una notevole crescita, dei servizi professionali e di quelli, informatici, delle telecomunicazioni e dei dispositivi medici. Nei servizi sanitari l'intreccio tra il terziario avanzato e i settori ad alta tecnologia, ha impatti rilevanti sia in termini occupazionali che di remunerazione degli investimenti. Per ogni euro speso in sanità si generano 1,7 euro circa;
la necessità di confermare e rafforzare l'universalità e l'equità del nostro Servizio sanitario nazionale, deve altresì passare anche attraverso un ampliamento del diritto alla salute anche per le persone senza fissa dimora, finora escluse. Una carenza da colmare attraverso una modifica della legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale. Le persone senza fissa dimora non patiscono solo il degrado delle condizioni di vita, dalla mancanza, d'alloggio alla sopravvivenza quotidiana, ma risultano anche «invisibili» dal punto di vista sociale e istituzionale e quindi fuori, da una rete formale e informale di sostegno che non sia quella caritativa. Uno degli elementi più evidenti di questa condizione è infatti che queste persone senza fissa, dimora non hanno il requisito della residenza anagrafica e questo gli impedisce, di accedere ai servizi del servizio sanitario pubblico;
la legge n. 833 del 1978, individua infatti nella residenza il criterio normale di collegamento tra utente e azienda sanitaria locale (ASL) e in base all'articolo 19, tale criterio poggia sulla residenza anagrafica. Alla persona sprovvista di residenza è quindi di fatto precluso l'esercizio del diritto alla salute, poiché l'articolo citato stabilisce che per accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale occorre essere iscritti presso l'ASL nel cui territorio l'utente ha fissato la sua residenza. Questo comporta che le persone senza fissa, dimora, non potendo essere iscritte al Servizio sanitario nazionale, non possono esercitare la facoltà di scelta del medico di base. Per loro l'assistenza di base è garantita solo dagli, ambulatori gestiti da medici volontari e l'assistenza ospedaliera è limitata alla gestione delle situazioni di emergenza attraverso le prestazioni erogate dal servizio di pronto soccorso;
va altresì evidenziato come le emergenze ambientali-sanitarie nel nostro Paese si fanno sempre più acute, interessando tantissime aree sia a vocazione industriale sia di pregio paesaggistico-agricolo. Basti pensare alla produzione chimica, metallurgica, e altro, sia nel nord che nel sud del Paese, a cui va aggiunto l'insostenibile inquinamento ambientale di vaste aree del nostro territorio: dai siti interessati da interventi di bonifica, alla «terra dei fuochi» in Campania con la presenza diffusa di materiali, nocivi e rifiuti tossici smaltiti illegalmente, e a fortissimo impatto di inquinamento e di danno alla salute pubblica. Tutto ciò suggerisce come la separazione tra problematiche ambientali e tutela della salute pubblica indebolisca fortemente le possibilità di monitorare e contrastare i rischi dell'inquinamento e i conseguenti, danni sanitari. Dovrebbero a tal fine, essere riconsiderati i rapporti tra attuale prevenzione collettiva e le attività svolte dalle Agenzie regionali per l'ambiente,

impegna il Governo:

ad invertire la linea di riduzione drastica delle risorse del sistema di protezione sociale, a partire dai servizi sociosanitari, e interrompere la pericolosa spinta verso il secondo pilastro delle assicurazioni complementari o integrative per tutte le prestazioni comprese quelle previste dai LEA;
ad attivare opportune ed efficaci iniziative, anche normative, volte a intensificare il contrasto alle frodi e alla corruzione, purtroppo troppo presente in questo settore, nonché alle diseconomie e agli sprechi tutti interni alla sanità, anche al fine di liberare risorse importanti per il finanziamento del nostro Servizio sanitario nazionale;
a promuovere, per quanto di competenza, un sistema di accreditamento più rigoroso e di qualità all'interno della programmazione pubblica e con valutazione dei risultati;
a rinnovare con adeguate risorse il sistema delle cure primarie, investendo sulla prevenzione, l'assistenza domiciliare e territoriale soprattutto ad alta integrazione sociale (anziani, salute mentale, disabilità), e sulla razionalizzazione delle reti ospedaliere salvaguardando piccoli presidi in zone disagiate, così come chiesto anche dall'Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM);
ad assumere iniziative, unitamente alle regioni, affinché la razionalizzazione della rete ospedaliera sia contestualmente affiancata da un uno sviluppo dell'assistenza territoriale h24, in modo tale che l'eventuale riduzione/riconversione delle strutture ospedaliere avvenga solo in presenza di una contemporanea offerta a garanzia dei livelli di assistenza socio sanitaria distrettuale (centri h24, domiciliare integrata, residenziale e semiresidenziale);
a rilanciare in particolare la sanità, territoriale per affrontare le novità, demografiche ed epidemiologiche attraverso un modello socio-bio-psico-sociale, e percorsi assistenziali condivisi tra clinici, e pazienti secondo il principio «niente che mi riguarda può essere fatto senza di me»;
a promuovere e mettere a sistema la scelta delle «Case della Salute», strutture di base del sistema, luogo di partecipazione dei cittadini, programmazione e strutturazione dell'organizzazione sanitaria territoriale nell'ambito di politiche che assicurino continuità assistenziale: assistenza domiciliare integrata, ospedalizzazione domiciliare, cure intermedie;
a rivedere radicalmente la politica dei ticket e quindi la compartecipazione alla spesa sanitaria, anche attraverso forme di compartecipazione che tengano conto della componente reddituale e patrimoniale delle famiglie, della eventuale presenza di patologie o invalidità, al fine di individuare forme più eque che garantiscano effettivamente l'universalità della sanità pubblica e il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini a cominciare dalla parte più debole e bisognosa, con l'obiettivo di ridurre il loro peso complessivo e di evitare la sempre più frequente rinuncia «obbligata» di molti cittadini all'acquisto di farmaci o all'accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche, e la spinta verso i sistemi privati soprattutto quelli «low cost»;
ad avviare le opportune normative affinché la prevista quota premiale di riparto delle risorse previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale a favore delle regioni che abbiano adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari, venga attribuita anche per quelle regioni sottoposte ai piani di rientro che avviino processi efficaci di riorganizzazione dei servizi sanitari, e assistenziali in grado di rispondere in modo appropriato ai bisogni di cura e di salute dei cittadini;
ad invertire gradualmente la tendenza in atto in questi ultimi anni, prevedendo una ripresa dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale e alle politiche sociali, entrambi al di sotto della media Unione europea ed OCSE, lo sblocco del turn-over e la stabilizzazione dei precari – che spesso assicurano i LEA – al fine di consentire la riorganizzazione e riqualificazione della nostro Servizio sanitario nazionale e sociale;
ad avviare una politica di maggiori investimenti e incentivi finalizzati ad estendere la ricerca (pubblica e privata) in campo medico e biologico, nelle biotecnologie e nella strumentazione medica, nei sistemi di cura e riabilitazione, per far crescere, anche in questo modo, nuove attività economiche e nuovi servizi pubblici, con ricadute importanti per il settore, per l'occupazione e per la nostra economia;
a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze e d'intesa con le regioni, una efficace politica di prevenzione volta ad un rafforzamento della collaborazione e delle sinergie tra le aziende sanitarie e le Arpa regionali, anche tramite la costituzione di nuove entità organizzative integrate ambientali-sanitarie, inserite nei servizi sanitari regionali, tra le Agenzie ambientali regionali e una parte degli, attuali servizi e attività presenti nei dipartimenti prevenzione delle Asl;
ad assumere un'opportuna iniziativa normativa di modifica della legge n. 833 del 1978 istitutiva del Servizio sanitario nazionale, al fine di consentire alle persone senza fissa dimora, prive della residenza, anagrafica, di poter essere iscritte negli elenchi, riportanti gli utenti del Servizio sanitario nazionale relativi al comune in cui si trovano, e poter così accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale.
(1-00232) «Nicchi, Piazzoni, Aiello, Migliore, Di Salvo, Lacquaniti, Melilla, Pannarale, Ricciatti, Sannicandro, Duranti, Zan».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

diritto alla salute

servizio sanitario

prevenzione delle malattie

sanita' pubblica

prestazioni sanitarie gratuite

spese sanitarie

servizio sanitario nazionale

trattamento sanitario