ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00067

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 442 del 01/03/2011
Abbinamenti
Atto 6/00060 abbinato in data 01/03/2011
Firmatari
Primo firmatario: GALLETTI GIAN LUCA
Gruppo: UNIONE DI CENTRO
Data firma: 01/03/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DELLA VEDOVA BENEDETTO FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA 01/03/2011
LANZILLOTTA LINDA MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA 01/03/2011


Stato iter:
02/03/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 01/03/2011
Resoconto CALDEROLI ROBERTO MINISTRO SENZA PORTAFOGLIO - (SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 01/03/2011

NON ACCOLTO IL 01/03/2011

PARERE GOVERNO IL 01/03/2011

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 01/03/2011

DICHIARATO PRECLUSO IL 02/03/2011

CONCLUSO IL 02/03/2011

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00067
presentata da
GIAN LUCA GALLETTI
testo di
martedì 1 marzo 2011, seduta n.442

La Camera,
premesso che:
le riforme istituzionali si dovrebbero fare avendo in mente il futuro e l'interesse generale del Paese;
una riforma in senso federalista non può comportare maggiori prelievi fiscali per i cittadini e deve necessariamente tenere conto delle differenze tra contesti regionali locali, in termini di gap infrastrutturali, territoriali ed economici;
la legge delega sul federalismo fiscale, n. 42 del 2009, costituiva un'occasione propizia per eliminare l'enorme confusione che la riforma costituzionale del 2001 ha prodotto nello schema di ripartizione di competenze tra Stato, regioni ed enti locali. In realtà si è prodotto un aumento delle competenze amministrative per gli organi periferici senza che ciò, di contro, comportasse uno snellimento dell'attività dello Stato;
invece è stata approvata una delega in bianco al Governo per individuare la classificazione dei livelli essenziali e per determinare quali imposte si possano manovrare, con il rischio che un utilizzo distorto della leva fiscale possa determinare squilibri e disuguaglianze territoriali;
una corretta attuazione del federalismo fiscale avrebbe dovuto presupporre in particolar modo tre ragioni: ragioni politiche, in quanto il decentramento accentua la partecipazione dei cittadini alle scelte pubbliche rafforzando la democrazia cosicché i rappresentanti politici siano più controllati nel loro operato; ragioni organizzative, in quanto le soluzioni accentrate portano ad un maggior disordine nella divisione del lavoro, mentre il decentramento favorisce una maggiore sperimentazione ed innovazione nella fornitura di servizi pubblici, incentivata da opportuni trasferimenti dal livello superiore di governo e soprattutto dalla competizione e dall'imitazione tra i governi; ragioni economiche, in base alle quali il decentramento dovrebbe produrre un aumento dell'efficienza nello svolgere determinate funzioni da parte degli enti decentrati, in particolare inerenti alla produzione di beni pubblici di interesse locale;
uno dei princìpi cardine per una corretta attuazione del federalismo fiscale consiste nel fatto che una vera e propria autonomia fiscale degli enti locali si giustifica soltanto nel caso in cui sussista una vera e propria autonomia di spesa, con l'attribuzione a detti enti di numerose e qualificanti funzioni, ed una perfetta coerenza tra benefici offerti dagli enti più prossimi ai cittadini rispetto ai contributi fiscali destinati agli enti stessi: solo cosi si rispetta uno dei fondamenti teorici del federalismo fiscale, il «principio del beneficio»;
collegare, infatti, il potere di imposizione tributario con quello di rappresentanza e di spesa consente di realizzare una fortissima saldatura della rappresentanza politica con la responsabilità politica, rendendo più diretta la correlazione tra tassazione e beneficio: tra prelievo effettuato ai cittadini e servizio,
lo schema di decreto sul federalismo municipale, approvato in prima lettura dal Governo il 4 agosto, è stato trasmesso alle Camere nel novembre successivo senza che si raggiungesse l'intesa con la Conferenza Unificata. Successivamente, a conclusione di un lungo e approfondito esame da parte delle Commissioni parlamentari, il relatore della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo, istituita ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 42 del 2009, ha proposto un parere favorevole corredato di una serie di condizioni il cui eventuale accoglimento prefigurava un testo radicalmente nuovo. Tale parere peraltro, messo ai voti, è risultato respinto. Di conseguenza non si è neppure espressa la Commissione bilancio della Camera, mentre la Commissione bilancio del Senato si è espressa sulla bozza di parere poi bocciata dalla bicamerale;
di fronte a questa plateale bocciatura sia del testo originario (totalmente riscritta dal relatore della bicamerale) che della proposta presentata dal relatore d'intesa con il Governo, l'Esecutivo ha tentato di fare come se nulla fosse e di approvare il testo bocciato in Parlamento nel corso di una riunione del Consiglio dei ministri convocata in fretta e furia, laddove invece l'articolo 2, comma 4, della legge n. 42 del 2009, stabilisce che «Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, ritrasmette i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni e rende comunicazioni davanti a ciascuna Camera. Decorsi trenta giorni dalla data della nuova trasmissione, i decreti possono comunque essere adottati in via definitiva dal Governo. Il Governo, qualora, anche a seguito dell'espressione dei pareri parlamentari, non intenda conformarsi all'intesa raggiunta in Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla stessa Conferenza unificata una relazione nella quale sono indicate le specifiche motivazioni di difformità dall'intesa.»;
dalla disposizione citata si ricava che, affinché il Governo, «qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari», sia legittimato ad apportare al testo originario del decreto (che rimane quello del 4 agosto) «osservazioni e modifiche», occorre che un parere positivamente espresso dalle Commissioni parlamentari esista;
nel caso dello schema di decreto legislativo sul federalismo municipale, al contrario, i pareri parlamentari non esistono e non perché non sia stato espresso un parere ma perché la proposta è stata respinta. È quindi opinabile che questa procedura sia conforme alla legge, che avrebbe sicuramente consentito, decorsi i termini, o di approvare il testo originario di agosto (soluzione peraltro impraticabile in quanto tale testo avrebbe determinato la sollevazione dei Comuni); ovvero, non conformandosi al parere respinto, di recepire le principali motivazioni di quel voto, apportando al testo alcune sostanziali modifiche. Sarebbe stato poi in ogni caso necessario un nuovo vaglio da parte della Conferenza Unificata;
dunque, lo spirito della legge sarebbe formalmente violato se i decreti attuativi del federalismo fiscale, cioè di una riforma che coinvolge l'intero sistema istituzionale, amministrativo, fiscale e finanziario della Repubblica, non fossero attuati con il massimo della condivisione e del coinvolgimento del Parlamento e del sistema delle autonomie;
ciò determina conseguenze di carattere giuridico e di natura politica: in primo luogo, il decreto sul federalismo municipale sarebbe esposto al giudizio di incostituzionalità del giudice delle leggi, esponendo così all'incertezza e alla precarietà l'intero sistema della finanza locale. I bilanci degli enti locali sarebbero approvati sulla base di norme che la Corte costituzionale potrebbe dichiarare incostituzionali; in secondo luogo il prosieguo dell'attuazione del federalismo non potrebbe più giovarsi di quel clima di leale cooperazione tra istituzioni che la complessità di tale processo esige e che sarebbe invece irrimediabilmente messo in crisi se il Governo dimostrasse, con il suo comportamento, di ignorare il ruolo delle Commissioni parlamentari, e, innanzi tutto, della Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale, il cui deliberato verrebbe del tutto vanificato. Così come concepito, questo modello di federalismo fiscale è pericoloso innanzi tutto perché viene portato avanti esclusivamente per meri obiettivi politici piuttosto che spinto dalla necessità di risolvere realmente i problemi del Paese e la disparità tra territori e regioni per natura profondamente diversi;
anziché procedere in modo frettoloso all'attuazione del federalismo fiscale probabilmente sarebbe stato più opportuno rivedere il sistema istituzionale, in modo tale da stabilire le competenze da attribuire ai vari livelli di Governo così da delineare in modo chiaro «chi fa che cosa»;
il federalismo fiscale sarebbe dovuto essere la parte finale di una più precisa riforma istituzionale;
in particolar modo le riforme da intraprendere avrebbero dovuto riguardare innanzi tutto il ridisegno dell'assetto statale, in modo da renderlo più «snello», «leggero» e meno burocratico; la riduzione del numero dei parlamentari, visto che appare superfluo mantenerne un così alto numero con il nuovo assetto federale; l'abolizione delle province, considerate come enti di governo periferici inutili e costosi; l'accorpamento dei comuni, considerato che in Italia ci sono 6 mila comuni con meno di 5 mila abitanti;
inoltre il federalismo fiscale non attua, come sempre si era annunciato, una riforma e una semplificazione dell'amministrazione locale (aggregazione dei comuni, riduzione dei livelli di governo, specificazione-specializzazione delle funzioni) ma lascia tutto com'è. Il risultato sarà che l'efficienza si perseguirà solo riducendo i servizi e non migliorando l'organizzazione e i costi;
il provvedimento attuativo del cosiddetto federalismo municipale sembra un'operazione di dubbio apprezzamento e costruito non tenendo affatto conto di una dotazione di risorse drasticamente ridotte rispetto al passato: sostituire la logica dei trasferimenti con la devoluzione dei tributi è sicuramente inconsistente se non si recuperano i tagli operati agli enti locali con le ultime manovre finanziarie;
il decreto legislativo in discussione in realtà comporta, infatti, un aumento mascherato dell'imposizione fiscale che ricadrà sui cittadini: sembrerebbe che il Governo stia cercando di offrire ai comuni la possibilità di aumentare l'imposizione fiscale per ovviare agli ingenti danni provocati dai tagli ai trasferimenti operati dalle ultime manovre finanziarie;
il sistema proposto non assicura la copertura finanziaria del fabbisogno dei comuni. Ciò vorrà dire che l'addizionale IRPEF e le altre nuove tasse (di soggiorno, di scopo) serviranno non a finanziare spese aggiuntive ma a coprire il fabbisogno ordinario;
la cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti, che in realtà è un'imposta sostitutiva dell'IRPEF sulle locazioni di abitazioni, è un provvedimento oltremodo iniquo, in quanto sposta l'imposizione immobiliare rendendola proporzionale anziché progressiva: le imposte proporzionali favoriscono indubbiamente i redditi più alti rispetto a quelli più bassi;
rispetto alla versione originaria del decreto, già insufficiente ed inconsistente, l'ultima previsione sull'istituzione della cedolare sugli affitti non prevede alcun beneficio fiscale per le famiglie affittuarie con figli;
nato con l'obiettivo di combattere l'evasione fiscale nelle locazioni immobiliari, il recupero di gettito fiscale non è quantificabile e certo, soprattutto perché non è prevista alcuna forma di contrasto di interessi tra locatore e conduttore; sarebbe molto più opportuno prevedere una deducibilità crescente degli affitti in funzione del numero dei componenti del nucleo familiare;
l'istituzione dell'imposta di soggiorno è del tutto ingiustificata e ha solo l'obiettivo di aumentare l'imposizione fiscale dei comuni e stimolare oltre tutto una competizione tra località turistiche limitrofe basata sul peso delle imposte di soggiorno applicate; costituisce inoltre un palese deterrente per l'attrazione di turisti stranieri in Italia;
le imprese del settore turistico subiranno in modo particolare l'imposta, in quanto dovranno rivedere al ribasso i loro prezzi a fronte di costi che resterebbero comunque immutati; tutto questo mentre l'OCSE, proprio di recente, ha bocciato il settore turistico italiano;
la tassa di scopo sulle opere pubbliche è in realtà un'imposta patrimoniale mascherata. È un'evidente discriminazione perché le opere pubbliche che per il 60 per cento attualmente sono fatte dai comuni non saranno più a carico della fiscalità generale ma ricadranno sui cittadini che rischiano di doverle pagare attraverso una patrimoniale sulle infrastrutture;
l'istituzione dell'imposta municipale propria penalizzerà soprattutto le imprese e gli immobili strumentali posseduti dalle stesse: l'aliquota IMU al 7,6 per mille, infatti, comporterà un aumento d'imposizione fiscale del 18,75 per cento circa rispetto all'attuale ICI che pagano le imprese,
impegna il Governo:
nel procedimento di adozione dei prossimi schemi di decreto legislativo per l'attuazione del federalismo fiscale, al dovuto rispetto delle istituzioni che prendono parte all'iter di esame e delle sedi parlamentari;
a prevedere nel decreto interventi di maggiore tutela verso le famiglie;
a rimodulare la prevista applicazione dell'imposta municipale propria che rappresenta un aggravio della già elevata pressione fiscale ricadente sulle piccole e medie imprese;
ad eliminare le ulteriori nuove imposte introdotte dal provvedimento che risultano particolarmente penalizzanti per il settore del turismo e del suo indotto (tassa di soggiorno) e per i cittadini che subiranno di fatto l'imposizione di una patrimoniale sulle infrastrutture (tassa di scopo);
a rendere noti i criteri mediante i quali verrà utilizzato il Fondo sperimentale d'equilibrio (che sostituirà i trasferimenti) e come verrà ripartito tra i comuni; di perequazione si parla troppo poco nei decreti legislativi, mentre l'aumento della pressione fiscale locale peserà sui cittadini e acuirà ancor di più le distanze tra i territori ricchi e quelli in ritardo nello sviluppo;
a prevedere meccanismi di «contrasto d'interessi» tra locatori e conduttori, in modo da rendere più efficace e perseguibile l'obiettivo di impedire l'evasione fiscale nelle locazioni immobiliari.
(6-00067) «Galletti, Della Vedova, Lanzillotta».