ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN ASSEMBLEA 6/00059

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 420 del 19/01/2011
Abbinamenti
Atto 6/00055 abbinato in data 19/01/2011
Atto 6/00056 abbinato in data 19/01/2011
Atto 6/00057 abbinato in data 19/01/2011
Atto 6/00058 abbinato in data 19/01/2011
Firmatari
Primo firmatario: CASINI PIER FERDINANDO
Gruppo: UNIONE DI CENTRO
Data firma: 19/01/2011
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO 19/01/2011
RIA LORENZO UNIONE DI CENTRO 19/01/2011
BOCCHINO ITALO FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA 19/01/2011
MORONI CHIARA FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA 19/01/2011
NAPOLI ANGELA FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA 19/01/2011
TABACCI BRUNO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA 19/01/2011
LANZILLOTTA LINDA MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA 19/01/2011
LO MONTE CARMELO MISTO-MOVIMENTO PER LE AUTONOMIE-ALLEATI PER IL SUD 19/01/2011
PISICCHIO PINO MISTO-ALLEANZA PER L'ITALIA 19/01/2011
MELCHIORRE DANIELA MISTO-LIBERAL DEMOCRATICI-MAIE 19/01/2011
TANONI ITALO MISTO-LIBERAL DEMOCRATICI-MAIE 19/01/2011


Stato iter:
19/01/2011
Partecipanti allo svolgimento/discussione
PARERE GOVERNO 19/01/2011
Resoconto ALFANO ANGELINO MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 19/01/2011
Resoconto DI PIETRO ANTONIO ITALIA DEI VALORI
Resoconto NAPOLI ANGELA FUTURO E LIBERTA' PER L'ITALIA
Resoconto RAO ROBERTO UNIONE DI CENTRO
Resoconto MOLTENI NICOLA LEGA NORD PADANIA
Resoconto COSTA ENRICO POPOLO DELLA LIBERTA'
Resoconto BERNARDINI RITA PARTITO DEMOCRATICO
Resoconto BARANI LUCIO POPOLO DELLA LIBERTA'
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 19/01/2011

NON ACCOLTO IL 19/01/2011

PARERE GOVERNO IL 19/01/2011

DISCUSSIONE IL 19/01/2011

RESPINTO IL 19/01/2011

CONCLUSO IL 19/01/2011

Atto Camera

Risoluzione in Assemblea 6-00059
presentata da
PIER FERDINANDO CASINI
testo di
mercoledì 19 gennaio 2011, seduta n.420

La Camera,
premesso che:
l'amministrazione della giustizia in Italia viene avvertita - tanto dai cittadini quanto dal sistema imprenditoriale interno e straniero - come arretrata, distante dai bisogni sociali e incapace di contribuire al progresso civile ed economico;
il sistema di amministrazione della giustizia influisce in maniera diretta sulla crescita economica e sullo sviluppo sociale del Paese ed ogni inefficienza di tale sistema trasferisce i suoi effetti negativi sul livello di ricchezza e benessere nazionali;
la lentezza e l'obsolescenza delle procedure e l'imprevedibilità degli esiti dei processi sono le cause fondamentali che contraddicono i diritti individuali, compromettono il buon andamento dell'economia e finiscono per sfociare nell'irragionevolezza;
premesso, inoltre, che riformare la giustizia deve significare anzitutto:
rendere la struttura giudiziaria nel suo complesso moderna e tecnicamente adeguata, con investimenti programmati ed adeguati ai risultati;
ottenere giudizi più rapidi, attraverso una radicale e razionale riforma del sistema (in particolare, rivedendo completamente le procedure ed i riti, tanto quelli civili quanto quelli penali, in maniera sistematica e non per interventi approssimativi ed episodici, e coinvolgendo nell'analisi critica la magistratura, l'avvocatura, le cancellerie, l'università ed il mondo accademico);
rendere maggiormente prevedibili le conseguenze giuridiche dei comportamenti dei cittadini;
l'attuale irragionevole durata dei processi è determinata da una pluralità di fattori, su cui bisogna agire congiuntamente, ma la necessaria svolta sul piano organizzativo non può essere di per sé strumento sufficiente a risolvere le forti criticità presenti;
udite le comunicazioni del ministro sull'amministrazione della giustizia,
impegna il Governo,
ed in particolare il ministro della giustizia, ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad intervenire:
I) nel campo dell'organizzazione giudiziaria, ossia nella materia che principalmente dovrebbe occupare l'ambito amministrativo di gestione del Ministero della giustizia e che soffre di lacune ed amnesie gestionali ormai croniche. La giustizia italiana patisce un'arretratezza tecnica e tecnologica ormai insopportabile: in un mondo in cui le relazioni personali e lavorative e le transazioni commerciali avvengono ormai sempre attraverso connessioni informatiche, a qualunque livello di importanza ed in ogni ambito territoriale internazionale, il «servizio giustizia» italiano non riesce a scrollarsi di dosso il retaggio antico della carta bollata e del timbro.
A fronte di richieste continue degli operatori della giustizia, a tutti i livelli, e dei cittadini utenti del servizio, abbiamo assistito negli anni soltanto a vuote affermazioni di principio e ad esercizi di retorica da parte del Governo, che si lamenta della lentezza della giustizia, propaganda futuri interventi modernizzatori e poi, in concreto, sottrae risorse al settore fino a determinarne il blocco delle attività.
Nei giorni scorsi si è consumato l'ultimo esempio concreto di tale politica «bifronte»: mentre il ministro della giustizia e quello della pubblica amministrazione convocavano conferenze stampa per presentare progetti su nuovi strumenti di comunicazione tra gli operatori di giustizia, il responsabile dei servizi informatici del Ministero di giustizia comunicava a tutti gli uffici giudiziari, con una scarna circolare burocratica, che l'assistenza informatica veniva sospesa dall'inizio del 2011 per la decurtazione dei capitoli di bilancio operata dal Ministero dell'economia. La circostanza che i fondi siano stati poi parzialmente recuperati a seguito della tempesta mediatica scatenatasi, non cambia i termini della questione, che riguarda la concezione stessa dell'organizzazione giudiziaria in Italia.
Perché la società civile possa godere di un efficiente servizio, occorre procedere ad un massiccio intervento organizzativo su diverse linee programmatiche:
investire in tecnologia ed aggiornamento professionale, sostituendo gli archivi cartacei con quelli informatici e permettendo l'accesso dei cittadini e degli operatori della giustizia alle pratiche e procedure burocratiche con l'ausilio delle reti elettroniche. Ciò non può prescindere da: 1) massicci ed oculati investimenti (a cosa serve acquistare e distribuire ai magistrati costosi e raffinati programmi di riconoscimento vocale, se mancano i computer sui quali far girare tali programmi?), con una programmazione costante ed a lungo termine; 2) distribuzione uniforme dei fondi su tutto il territorio nazionale, e non a macchia di leopardo, perché la modernizzazione del sistema sia fruibile ovunque; 3) gestione condivisa con gli operatori del servizio, perché la modernizzazione possa risolvere i problemi pratici e non crearne di nuovi;
procedere finalmente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, eliminando i piccoli uffici (solo formalmente efficienti in quanto destinatari di carichi di lavoro insufficienti) ed aumentando gli organici di quelli in sofferenza: tutte le migliori riforme delle procedure non serviranno a far funzionare meglio tribunali comunque sovraccarichi;
aumentare gli organici dei magistrati in maniera da riequilibrare il rapporto tra magistrati e procedimenti assegnati pro capite (uno dei più alti a livello continentale, come sempre confermato dai rapporti del Consiglio d'Europa) e sbloccare il blocco delle assunzioni di personale di cancelleria nel comparto giustizia;
allo stesso tempo, introdurre strumenti normativi di deflazione del numero delle controversie giudiziarie, dall'introduzione di cauzioni e penali percentuali in caso di soccombenza alla limitazione del numero degli avvocati: secondo le statistiche pubblicate dal Consiglio degli Ordini forensi europei (CCBE) relative all'anno 2008, risultavano 213.000 avvocati operanti in Italia, quando la Francia ne contava 47.765, la Germania 146.910, la Spagna 154.953, il Regno Unito 155.323. Lo scorso anno, nel corso dell'inaugurazione dell'anno giudiziario presso la Corte di Cassazione, sono stati forniti i dati dei rapporti numerici tra avvocati e giudici: in Italia, il rapporto è di 26,4 avvocati per ogni giudice; in Francia tale rapporto è di 7,1:1, in Germania di 6,9:1, in Inghilterra di 3,2:1. Questo quadro è completato dal numero degli avvocati abilitati a patrocinare presso le Corti superiori (in Italia, i cc.dd. cassazionisti), che nel nostro Paese sono 44.817, mentre in Francia solo 95 ed in Germania appena 44. Possiamo permetterci la litigiosità giudiziaria favorita da questo enorme numero di avvocati?
intervenire celermente nel settore delle notifiche degli atti. Nella relazione del ministro della giustizia sullo stato dell'amministrazione della giustizia in Italia comunicata al Parlamento nel gennaio del 2010, si leggeva tra l'altro: «Tra questi dipendenti, ben 5.183 (circa il 12 per cento) sono impegnati ad effettuare 28 milioni di notifiche manuali ogni anno (pari a 112.000 notifiche al giorno), di cui oltre la metà destinate agli avvocati. Circa il 12 per cento dei soli processi penali viene rinviato per omessa o irregolare notifica». Tuttavia, nonostante che la questione sia ben presente anche all'esecutivo, nulla è stato fatto per porvi rimedio, nemmeno comprendere quanto costi ogni giorno allo Stato questo enorme spreco di risorse. Diverse sono le proposte parlamentari pendenti in materia, e tra le prime ad essere state presentate risulta l'A.S. 1287 (su proposta del senatore D'Alia), che suggerisce la soluzione della diffusione dell'utilizzo della posta elettronica certificata e della domiciliazione obbligatoria dell'imputato presso il difensore di fiducia: da qui occorre partire per recuperare efficienza per il servizio giustizia;
il 13 gennaio del 2010 il Governo ha dichiarato lo stato emergenziale in relazione allo stato delle carceri italiane e nello stesso tempo ha varato un «piano-carceri» sulla cui esecuzione, a distanza di un anno, nulla più è dato sapere. La situazione delle carceri italiane è realmente emergenziale, con un sovraffollamento accertato di oltre 24.000 detenuti rispetto ai 43.000 posti disponibili (il totale dei detenuti supera ormai i 67.000). La polizia penitenziaria soffre di paurose vacanze organiche. Ma ciò che soprattutto stupisce è che nessun progetto operativo, nessuna scadenza, nessuna programmazione risulta in ordine all'ampliamento ed all'ammodernamento dell'apparato carcerario italiano: l'unica soluzione prospettata sembra essere quella di ampliare il sistema delle sanzioni alternative alla detenzione. Nel frattempo, mentre il numero dei suicidi in carcere aumenta costantemente, il direttore del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (che, in quanto commissario per l'emergenza carceri, dovrebbe guidare l'attività di soluzione della crisi) si pone l'obiettivo di progettare la creazione di una linea aerea del D.A.P. per le traduzioni dei detenuti, come egli stesso ha affermato in audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia il 25 maggio 2010, ritenendo che la creazione di una linea aerea dedicata sia soluzione più economica dell'uso di aerei di linea. Occorre che il Governo utilizzi, allora, le migliori e più adatte professionalità per risolvere, con una programmazione rapida, il problema logistico degli istituti di pena, perché la giustizia sia civilmente esercitata anche nella sua fase repressiva. E questo impegno deve essere assunto come realmente prioritario;
infine, occorre una razionale ed efficiente gestione dei fondi. Nella relazione resa al Parlamento lo scorso anno, il ministro della giustizia ha affermato che «La giustizia costa 8 miliardi di euro l'anno, cioè circa 30 milioni di euro per ogni giornata lavorativa»; non ci ha detto, però, quanto la giustizia rende allo Stato, quanti miliardi di euro produce con le confische, con la prevenzione e repressione dei reati e con la risoluzione delle controversie civili. Chiediamo con decisione che sia verificato tale dato e che sia in tal maniera calibrata la destinazione percentuale di risorse al comparto. Il decreto-legge n. 143 del 2008, convertito nella legge n. 181 del 2008, recante «Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario», ha istituito il «Fondo unico giustizia» con l'obiettivo di razionalizzazione della gestione delle somme amministrate da devolvere ai Ministeri dell'interno e della giustizia, per la tutela della sicurezza e del soccorso pubblico e per il potenziamento dei propri servizi istituzionali. Tuttavia, con una modifica introdotta dall'articolo 2 della legge 27 febbraio 2009, n. 14 si è previsto che con un D.P.C.M. stabilisca - fino al massimo del 30 per cento delle sole risorse oggetto di sequestro penale o amministrativo - le quote delle risorse intestate al «Fondo unico giustizia»; tali quote vengono poi smistate: in misura non inferiore ad 1/3 al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico; in misura non inferiore ad 1/3 al Ministero della giustizia per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali; all'entrata del bilancio dello Stato. In tal modo la dotazione delle risorse volte ad assicurare il funzionamento ed il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi del Ministero della giustizia è stata drasticamente ridotta, ed una ben minima parte degli oltre 1.590.000.000 di euro confluiti lo scorso anno nel F.U.G. sarà destinata ai servizi giudiziari. Appare quantomai opportuno che gli enormi ricavi della giustizia siano destinati prioritariamente all'organizzazione ed ai servizi giudiziari, per auto-alimentarli: è un meccanismo perverso quello di un erario che sottrae le risorse ad un settore efficiente (rendendolo così meno efficiente) per destinarle a settori deficitari e ad amministrazioni in perdita.
II) nel settore civile, dove anche di recente si è proceduto attraverso una successione di mini-riforme settoriali, spesso scollegate l'una dall'altra, che hanno avuto l'inevitabile effetto di moltiplicare i fattori di disfunzione. In particolare si segnala che:
a) una riforma all'insegna della razionalizzazione dovrebbe incidere prioritariamente sulla pluralità di riti. In un sistema a grado d'appello generalizzato, che si ritiene utile conservare e auspicabilmente potenziare, la garanzia della collegialità è comunque assicurata al cittadino. Nulla dovrebbe ostare, allora, all'introduzione del giudice monocratico in tutto il primo grado del processo civile, il che consentirebbe di dare vita a un unico rito ordinario di cognizione;
b) l'assunzione della prova in contraddittorio davanti ad un giudice terzo dovrebbe rappresentare una garanzia imprescindibile per i cittadini. E tuttavia il sistema non appare oggi in grado di assicurare in concreto detta garanzia. La necessaria alternativa a questa situazione non può essere rappresentata solo da una prova assunta in forma scritta (che, peraltro, introdotta di recente, non ha dato alcun concreto e percettibile frutto in senso acceleratorio della procedura, perché sentita come estranea alle nostre tradizioni socio-giuridiche);
c) è indispensabile affrontare il problema della deflazione del contenzioso giudiziale. In quest'ottica, occorre ripensare il precetto di cui all'articolo 24 della Costituzione, immaginando forme di tutela dei diritti anche non «giudiziali». I cosiddetti strumenti alternativi di risoluzione delle controversie vanno potenziati; i giudizi che hanno finalità di mera liquidazione di diritti sostanzialmente incontroversi, per i quali resta indispensabile la funzione di un'autorità «terza» ma non di un vero e proprio processo, potrebbero essere affidati a quei «cittadini idonei estranei alla magistratura» di cui parla proprio l'articolo 102 della Costituzione; occorrerebbe, infine, puntare decisamente sulla sperimentazione di arbitrati di derivazione contrattuale del genere «obbligatorio» (ad esempio in campo previdenziale), senza per questo rinunciare all'introduzione di modelli arbitrali di derivazione legislativa. In quest'ottica, appare imprescindibile che il sistema della «mediazione civile e commerciale» introdotto dalla legge n. 69 del 2009 entri in vigore senza ritardi e senza tentennamenti e che sia poi verificata la possibilità di una sua estensione operativa;
d) è necessario rivedere l'attuale sistema delle impugnazioni. Tre gradi di giudizio generalizzati, infatti, sono difficilmente compatibili con il precetto costituzionale della ragionevole durata del processo. Appare assai opportuna la previsione della non ricorribilità per Cassazione nell'ipotesi di «doppia conforme» sul fatto. Si potrebbe anche, più radicalmente, eliminare la facoltà di ricorso per Cassazione per «insufficiente o contraddittoria motivazione»; il che, per un verso non lederebbe il principio costituzionale di cui al comma 6 dell'articolo 111 della Costituzione e, per altro verso, consentirebbe l'adozione di provvedimenti giurisdizionali in forma particolarmente sintetica;
III) nel settore penale, poiché il sistema è oggi largamente inefficace: ciò sia per il corto circuito determinato dal rapporto tra lunghezza dei processi e termini di prescrizione, sia per il carattere virtuale che la pena ha assunto in troppi casi, non essendo più in grado di svolgere alcuna funzione deterrente (tanto che in tale sistema di sanzioni virtuali, i provvedimenti cautelari, anche per la loro rilevanza mediatica, hanno ormai assunto una funzione sostanzialmente surrogatoria della pena). In tale settore occorrerebbe seguire le seguenti indicazioni:
a) è necessario un intervento efficiente e razionale sul terreno degli istituti della contumacia, delle notifiche, della durata del processo. Fatto salvo il principio che non deve celebrarsi un processo a carico di imputato che ne abbia avuto provata conoscenza, la nomina del difensore dovrebbe valere comunque come elezione di domicilio ai fini di tutte le comunicazioni, anche in via telematica. Le notifiche, che pesano enormemente sulla lunghezza del processo, devono essere completamente rivedute, con sistemi telematici ed informatici (e con le relative modifiche normative e finanziarie) ed anche, se necessario, privatizzando in tutto o in parte il sistema. L'irragionevole durata del processo - come è noto, una pena in sé - non può giustificare l'ampliamento dei termini di prescrizione. E tuttavia, nell'attuale situazione, termini di prescrizione brevi comportano un indiretto effetto-amnistia. È necessario intervenire, dunque, attraverso un bilanciamento dei diritti fondamentali delle parti processuali. Non è pensabile, però, che il diritto del cittadino a non essere sottoposto a tempo indefinito a un «processo» possa essere tutelato attraverso progetti legislativi che introducano istituti astrusi ed estranei alla tradizione giuridica, quale quello della «prescrizione processuale» che, come attualmente congegnato, determinerebbe non il miglioramento ma il collasso del sistema giudiziario penale;
b) per l'adozione dei provvedimenti cautelari personali maggiormente limitativi della persona (la custodia in carcere e gli arresti domiciliari), assunti inaudita altera parte, può ipotizzarsi l'introduzione di una regola di competenza collegiale - almeno per le ipotesi di reato più gravi - con previsione di sistemi di salvaguardia dai pericoli di incompatibilità (ad esempio utilizzando il sistema della competenza distrettuale già prevista per i reati di mafia);
c) quanto alle intercettazioni telefoniche, restano fermi gli emendamenti proposti al disegno di legge del Governo. In particolare, chiarito che le intercettazioni sono uno strumento di indagine indispensabile e che i numeri dei soggetti intercettati appaiono (se ben ponderati) congrui rispetto ai risultati programmati ed ottenuti, ciò che maggiormente rileva dal punto di vista pratico è la questione dell'economicità di gestione del servizio: sotto questo aspetto, non possono che ribadirsi le soluzioni già prospettate nel corso dei lavori parlamentari sotto forma di emendamento al testo governativo, ossia la necessità di introdurre un sistema di noleggio centralizzato delle apparecchiature tecniche e di prevedere obblighi di fornitura gratuita dei dati telefonici a carico dei gestori di telefonia, pubblici concessionari;
d) nessuna seria efficacia deterrente potrà essere assicurata dal sistema penale se la pena non torna ad essere effettiva. Si conferma la necessità di una rivisitazione della legislazione penale ispirata al principio di residualità: occorre, in sostanza, una drastica depenalizzazione, accompagnata da istituti quali l'oblazione nel processo penale per i reati bagatellari, l'archiviazione per irrilevanza del fatto, e soprattutto, nella doverosa ottica di tutela delle vittime, l'estinzione del reato in seguito a condotte riparatorie (tutte proposte già oggetto di specifiche iniziative parlamentari). È assolutamente indispensabile, poi, una profonda revisione del modello sanzionatorio, che riduca l'utilizzazione della pena detentiva (troppo spesso tanto apparentemente pesante quanto nei fatti meramente virtuale) e la sostituisca con pene alternative alla detenzione (interdittive, prescrittive o ablative), commisurate alla gravità del fatto ed effettive. Anche la pena detentiva, ove irrogata, deve essere effettivamente scontata. In proposito, è necessario ripensare tanto l'istituto della sospensione condizionale della pena, quanto l'impianto della legge Simeone-Saraceni. In ogni caso, per restituire certezza alla pena, detentiva o meno, occorre affidare al giudice che l'ha irrogata anche la decisione circa le concrete modalità di esecuzione della stessa; infine, occorre che la pena sia scontata secondo criteri di civiltà e modernità, in istituti di pena nuovi ed adeguati e con personale di vigilanza ed assistenza sufficiente ed idoneo;
e) in materia di contrasto alle organizzazioni mafiose, occorre anzitutto rendere il giusto omaggio alle Forze di polizia ed alla magistratura specializzata, che hanno ottenuto risultati mai raggiunti finora, con l'arresto di pericolosissimi latitanti, il sequestro e la confisca di beni mafiosi per miliardi di euro e indagini a tutto campo con centinaia di indagati ed arrestati. Il sistema normativo è stato arricchito, su condivisibile impulso del ministro dell'interno, da una riforma della legislazione in materia di misure di prevenzione patrimoniali, che ha accolto le proposte e le indicazioni provenienti da anni dalla magistratura di prevenzione e dai lavori delle Commissioni parlamentari antimafia; tale risultato deve essere valutato in maniera positiva. Tuttavia, con la legge n. 136 del 2010, il Governo ha ottenuto dal Parlamento una delega per il riordino della normativa antimafia in un testo unico: quella delega si segnala per alcuni profili di genericità per ciò che attiene alla normativa primaria tali che, perché non diventi una "delega in bianco", sollecitiamo con forza il Governo (ed in particolare il ministro della giustizia) ad attenersi nel suo esercizio al contenuto dell'ordine del giorno G1, approvato dal Senato della Repubblica il 3 agosto del 2010, che fissa per l'appunto i limiti dell'esercizio di tale delega.
IV) nei rapporti istituzionali, poiché affrontare il tema della giustizia significa inevitabilmente considerare l'assetto dei diversi poteri quale delineato dalla nostra Costituzione, in particolare dal titolo IV della stessa. La Costituzione è una cornice all'interno della quale è disegnato un delicato equilibrio tra i diversi poteri dello Stato. Sarebbe errato, dunque, pensare a interventi di modifica costituzionale «parcellizzati» e limitati solo ad uno o alcuni di questi. Occorre considerare, invece, l'evoluzione che l'assetto dei poteri ha subito dal 1948 ad oggi, determinando un innegabile squilibrio rispetto all'originario disegno costituzionale. È necessario, insomma, riflettere sulla complessiva dinamica evolutiva dei poteri, con lo scopo di assicurare un nuovo equilibrio che rifletta l'aggiornata organizzazione politico-sociale. In particolare:
a) l'azione penale deve restare obbligatoria, a garanzia del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si impone, tuttavia, una riflessione sui criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale, oggi sostanzialmente discrezionali. Appare necessario porre mano ad una riforma che realizzi un sistema di individuazione periodica delle priorità nella trattazione degli affari penali, selezionandoli in ragione della loro rilevanza e gravità. Occorre, dunque, un intervento che si articoli in un rapporto di cooperazione istituzionale in duplice direzione: periodicamente dovrebbe funzionare un raccordo in senso sia discendente che ascendente tra il Consiglio superiore della magistratura e le articolazioni territoriali dell'autogoverno rappresentate dai Consigli giudiziari; dall'altro lato, dovrebbe operare il medesimo raccordo tra il Consiglio superiore della magistratura, il Parlamento ed il ministro della giustizia, al fine di fissare i criteri di priorità nell'esercizio dell'azione penale sulla base delle proposte provenienti dai diversi ambiti territoriali;
b) se l'azione penale deve restare obbligatoria, il pubblico ministero, che la esercita, deve restare un magistrato indipendente. Occorre porsi, tuttavia, il problema di un bilanciamento del potere che oggettivamente - anche per ragioni legate alle dinamiche del sistema mediatico - il pubblico ministero esercita oggi in tutte le democrazie contemporanee. In proposito, l'ipotizzata separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudici non sembra risolutiva, di per sé, dei problemi indicati. Infatti, con la separazione e la conseguente nascita della figura del «P.M. a vita» verrebbero inevitabilmente accentuati gli elementi negativi che si vorrebbero eliminare (a cominciare dall'affievolimento della cultura della giurisdizione);
c) il legame inscindibile tra potere e responsabilità del magistrato implica la soluzione del problema del controllo sul lavoro del magistrato. In proposito, occorre introdurre un sistema informatico di rilevazione statistica uniforme e generalizzato, al fine di consentire una misurazione della quantità e qualità del lavoro dei magistrati; ciò anche al fine di prevedere sistemi adeguati di premialità (economica e di carriera) per il conseguimento di risultati oggettivamente apprezzabili. Da sostenere e da rendere normativamente cogente appare poi la diffusione delle cosiddette best practices, introdotte già da anni in molti uffici giudiziari per iniziativa autonoma. Invece appare da respingere il tentativo di ampliare il campo di azionabilità della responsabilità civile dei magistrati, con la modifica della legge n. 117 del 1988 proposta da alcune forze parlamentari: modifiche del sistema che permettano l'azione diretta del cittadino, senza limiti, nei confronti del magistrato renderebbero quest'ultimo ostaggio della propria attività e avrebbero come risultato facilmente pronosticabile una paralisi delle decisioni giudiziarie;
d) il rilevante ruolo ormai assunto dalla cosiddetta magistratura onoraria nel nostro ordinamento, e quello ancor più rilevante che potrebbe assumere, impongono di affrontare senza equivoci il problema della sua collocazione ordinamentale. In primo luogo, occorre superare l'equivoco in cui continua a dibattersi la figura del giudice di pace, e scegliere definitivamente tra «modello di prossimità», che privilegia il giudizio secondo equità, e «modello semiprofessionale». Questa presa d'atto rende ineludibile garantire la professionalità iniziale e permanente del giudice di pace, nonché il rispetto delle regole deontologiche. Si devono individuare, insomma, criteri più stringenti degli attuali sia per selezionare i giudici di pace, sia per controllarne l'operato, sia sotto il profilo delle incompatibilità; il che potrà essere assicurato solo inserendo a pieno titolo il giudice di pace nel sistema di governo autonomo della magistratura. Distinto e diverso è il problema dei magistrati onorari propriamente detti quali giudici onorari di tribunale e vice procuratori onorari, le cui funzioni - considerata l'attuale insostituibilità - devono essere adeguatamente normate;
e) in tutto il mondo, l'affermazione dello stato sociale ha comportato nelle democrazie la progressiva espansione del «potere dei giudici»; e poiché ad ogni potere deve corrispondere pari responsabilità, una maggiore responsabilizzazione del magistrato è corollario indispensabile dei nuovi poteri acquisiti. A sua volta, corollario della responsabilità è l'esistenza di un affidabile sistema che consenta di limitare e, ove necessario, reprimere i comportamenti «irresponsabili». Il che non deve affatto comportare una riduzione delle garanzie di autonomia e di indipendenza di coloro che esercitano funzioni giurisdizionali, quali delineate dalla nostra Costituzione, ma deve tendere, al contrario, a rafforzarle e generalizzarle attraverso una riforma del sistema di governo autonomo che quelle garanzie assicura. Occorre ribadire la validità del modello pluralistico dell'assetto dei poteri delineato dalla Costituzione, sottolineando che non può esservi alcuna gerarchia tra potere politico legittimato dalla volontà popolare e poteri neutri di controllo che fondano differentemente la propria legittimazione. Invece, occorre sottoporre a costante verifica ed adeguamento normativo il sistema disciplinare rimesso alle competenze del C.S.M., che pure in anni recenti è stato profondamente innovato;
f) è assolutamente necessario dare vita ad un'unica figura di magistrato, con identità di percorsi di accesso, di diritti e di doveri, di garanzie e di indipendenza, di regole di carriera e regole disciplinari. È giunto il momento di realizzare l'unità della giurisdizione, rendendo comune il percorso professionale dei magistrati ordinari e di quelli speciali (amministrativi, contabili, militari). Il che non significa necessariamente unificazione materiale delle giurisdizioni, ma deve significare almeno unificazione del sistema di governo autonomo delle magistrature, dei percorsi di accesso e progressione delle carriere. Una simile soluzione, per un verso, comporterebbe il rafforzamento delle garanzie di indipendenza di tutti i magistrati a prescindere dalle funzioni svolte, attraverso la «costituzionalizzazione» del governo della magistratura amministrativa, di quella contabile, e di quella militare; per altro verso, consentirebbe se non di eliminare, certamente di diluire il tasso di corporativismo inscindibilmente connesso all'autogoverno di un corpo burocratico. Si passerebbe così da un «Consiglio superiore della magistratura» (insieme a tanti organi più o meno a questo assimilabili, quante sono le magistrature speciali) al «Consiglio superiore delle magistrature», all'interno del quale la disarticolazione delle logiche corporative e correntizie si realizzerebbe anche attraverso il necessitato confronto tra le diverse culture delle varie magistrature. L'unificazione del governo autonomo delle magistrature consentirebbe di affrontare in un'ottica unitaria anche il tema della responsabilità disciplinare dei magistrati nonché quello dei limiti alle attività extragiudiziarie che soffrono oggi di rilevanti differenze di regolamentazione (e che incidono grandemente sull'efficienza del servizio, sottraendo preziose risorse alla giurisdizione);
g) il rilievo costituzionale dell'avvocatura, quale tramite necessario per l'affermazione del diritto alla giustizia del cittadino, rende la riforma dell'ordinamento professionale un tassello indispensabile di una più complessiva riforma della giustizia. La professionalità dell'avvocato rappresenta corollario indispensabile del rilievo costituzionale della professione forense, e deve dunque essere garantita al cittadino-cliente attraverso più stringenti controlli tanto nella fase di accesso quanto nel corso della vita professionale. Il fatto di non avere proceduto contestualmente alla riforma dell'ordinamento giudiziario e di quello forense ha determinato una profonda crisi di fiducia da parte dell'avvocatura nei confronti delle forze politiche che occorre cercare di recuperare. Il progetto di riforma dell'ordinamento forense è un'occasione imperdibile per migliorare e modernizzare una professione tanto rilevante in campo sociale.
Occorre che, nel dibattito parlamentare, il Governo solleciti l'inserimento nel progetto in discussione di misure che incentivino la competitività, che favoriscano la formazione continua dei professionisti e che permettano ai più meritevoli, soprattutto ai giovani, di fare strada nella professione, non lasciando questa prospettiva appannaggio soltanto di chi parta da situazioni di vantaggio economico e sociale. Si ragioni, ad esempio, sulla possibilità di affidare la competenza disciplinare a un soggetto terzo rispetto all'ordine professionale di appartenenza, di concedere borse di studio a favore dei tirocinanti e di anticipare la pratica forense già agli ultimi anni del percorso universitario.
(6-00059) «Casini, Rao, Ria, Bocchino, Moroni, Angela Napoli, Tabacci, Lanzillotta, Lo Monte, Pisicchio, Melchiorre, Tanoni».